Su YouTube: Alta Via della Valmalenco 2: Rif. Bosio-Rif. Gerli-Porro o Ventina

Apri qui una panoramica sulla Val Torreggio (Val del Turéc') e la Valmalenco, dal versante alto meridionale della Val Torreggio (Val del Turéc')

CARTA DEL PERCORSO sulla base della Swisstopo, che ne detiene il Copyright. Ho aggiunto alla carta alcuni toponimi ed una traccia rossa continua (carrozzabili, piste) o puntinata (mulattiere, sentieri). Apri qui la carta on-line

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Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Versione lunga: Rif. Bosio-Alpi Mastabia, Giumellino, Pirlo, Pradaccio- Vallone di Sassersa-Val Sassersa-Val Ventina- Rifugi Ventina e Gerli Porro
8-9 h
1170
E
Versione breve: Rif. Bosio-Alpi Mastabia e Giumellino-Vallone di Sassersa-Val Sassersa-Val Ventina- Rifugi Ventina e Gerli Porro
7 h
720
E
SINTESI (VARIANTE BREVE). Dal rifugio Bosio portiamoci al ponte sul Torreggio e proseguiamo per la vicina alpe Airale (m. 2097; localmente: "i Rai"; nel 1924 vi venne aperto un rifugio privato, la capanna Airale, poi dismesso). Qui il sentiero (triangoli gialli) comincia a salire gradualmente sul fianco montuoso, in direzione est-nord-est, entra nel bosco per poi assumere un andamento pianeggiante ed uscirne ai 2077 metri dell'alpe Mastabia. Proseguiamo sul fianco occidentale della Valmalenco, alternando tratti nel bosco ad altri in cui si attraversano corpi franosi e pascoli. Superate alcune cave di talco abbandonate, scendiamo di oltre duecento metri, raggiungendo il filo di un largo dosso, che ci introduce all'alpe Giumellino (m. 1756). Dall'alpe Giumellino proseguiamo verso nord, tagliamo un dosso, pieghiamo leggermente a sinistra (nord-nord-ovest), attraversiamo un vallone e su pietraie e magri pascoli ci affacciamo al versante meridionale del Vallone di Sassersa, portandoci verso il suo centro, dove intercettiamo il sentiero che sale dall'alpe Pradaccio. Lo seguiamo verso ovest, salendo fino al limite del vallone, dove si apre l'ampia conca che ospita il laghetto di Sassersa inferiore (m. 2368). Muovendoci fra grandi blocchi passiamo alla sua destra e volgiamo a destra (nord-ovest), riprendendo a salire nella parte alta della Val Sassersa, per raggiungere passo Ventina, portandoci verso il suo lato sinistro. Nella parte terminale notiamo due evidenti canaloni che salgono al crinale: il passo è appunto posto su quello di sinistra, ed è riconoscibile per un sottile ago di roccia sul suo lato destro. I segnavia ci guidano sulla traccia che serpeggia fra roccette e sfasciumi, e siamo ai 2765 metri del passo Ventina. Il primo tratto della discesa in Val Ventina è piuttosto ripido, su una traccia con fondo in terriccio e rapidi slalom ci permette di perdere rapidamente quota. Dopo il primo tratto di discesa ci troviamo di fronte un nevaietto, che i segnavia ci suggeriscono di oltrepassare seguendo il suo lato sinistro. Raggiunto il limite inferiore del nevaio, un grande segnavia ci indica dove possiamo ritrovare la traccia del sentiero, che prosegue con pendenza meno severa, scendendo presso il filo di una grande morena. Il tracciato prosegue sulla destra di questo filo, poco distante dal crinale. La discesa concude al grande pianoro della Val Ventina, ingentilito dai radi larici, dove procediamo fra rivoli d'acqua, grandi massi e magri pascoli. Superato su un ponticello un ramo del torrente Ventina, giungiamo in vista del rifugio Ventina (m. 1965, alla nostra destra) e, poco più avanti, del rifugio Gerli-Porro (m. 1960).
VARIANTE LUNGA: Si procede, come sopra, dal rifugio Bosio all'alpe Giumellino; qui non si prende a nord, ma a destra (sud-est), scendendo in una macchia fino al bivio di quota 1675, dove prendiamo a sinistra (nord-est), superando un dosso ed un vallone e raggiungendo l'alpe Pirlo (m. 1614). Qui imbocchiamo il sentiero di sinistra (nord-ovest), sempre nel bosco, fino al limite dell'alpe Pradaccio (m. 1725). Qui, prestando attenzione ai triangoli gialli, stiamo a sinistra ed imbocchiamo il sentiero che sale nel vallone di Sassersa, intercettando a quota 1900 metri circa il sentiero della variante reve che sale da sinistra.
La piana dell'alta Val Torreggio (Val del Turéc') è caratterizzata dalla presenza di alcuni grandi massi, fra i quali il Torreggio scorre placidamente.
Sul fondo della valle, là dove inizia la più aspra e sassosa Val Airale (Val di Rai), sono invece i severi Corni Bruciati a connotare il paesaggio. Da qui parte la seconda tappa, e da qui in poi l'alta via, fino a tutta la settima tappa, cioè fino al rifugio Cristina, coincide con il Sentiero Italia Lombardia nord, che scende alla Bosio dal passo di Corna Rossa.
La seconda giornata comincia, dunque, dal rifugio Bosio, lasciato il quale varchiamo il torrente Torreggio su un bel ponte, posato dai cacciatori nel 2000. Ci ritroviamo così sul lato sinistro della valle, dove partono tre sentieri: uno si dirige ad ovest, verso la Val Airale (Val di Rai) ed il passo di Corna Rossa, che permette di scendere in valle di Preda Rossa (Val Masino). Un secondo prende la direzione opposta e conduce, dopo una lunga traversata sul fianco sinistro della valle, all'alpe Lago di Chiesa, dalla quale una comoda carrozzabile scende a Chiesa in Valmalenco.
L'alta via della Valmalenco segue però un terzo tracciato che, in corrispondenza dell'alpe Airale (m. 2097; localmente: "i Rai"; nel 1924 vi venne aperto un rifugio privato, la capanna Airale, poi dismesso), comincia a salire gradualmente sul fianco montuoso, in direzione est-nord-est, per poi assumere un andamento pianeggiante e scendere ai 2077 metri dell'alpe Mastabia, posta su un bel dosso panoramico.
All'alpe sale anche un sentiero che proviene dall'alpe Lago.
Proseguiamo sul fianco occidentale della Valmalenco, alternando tratti nel bosco ad altri in cui si attraversano corpi franosi e pascoli. 

 

Superate alcune cave di talco abbandonate, scendiamo di oltre duecento metri, raggiungendo il filo di un largo dosso, che ci introduce all'alpe Giumellino (m. 1756).
La discesa prosegue nel bosco, piegando però verso destra (est ed est-nord-est) ed oltrepassando alcune cave di pietra ollare.
Raggiungiamo così i 1619 metri dell'alpe Pirlo, dove si trova questo microlaghetto-sorgente, in un ambiente bucolico.
Dopo un tratto sostanzialmente pianeggiante, che conduce all'alpe Prato (m. 1629), ricominciamo a salire nel bosco, su una traccia non sempre marcata, ma ben visibile, fino ad una sorta di corridoio naturale che introduce all'alpe Pradaccio (m. 1720).

All'alpe giunge anche un sentiero che sale da Primolo, sopra Chiesa in Valmalenco.
E' questo il luogo ideale per una sosta, quanto mai opportuna, visto che ci attende la faticosa salita del grande canalone di Sassersa, che si presenta imponente di fronte al nostro sguardo.
Abbiamo percorso un lungo tratto, ma, probabilmente con un po' di disappunto, dobbiamo constatare di non aver guadagnato quota, ed anzi di avere perso più di 350 metri rispetto al punto di partenza.
Ora però avremo modo di riparare: ci attende, infatti, il tratto in assoluto più duro dell'intera alta via, in quanto dobbiamo affrontare uno strappo severo che comporta quasi mille metri di dislivello.

 

 

 

La parte più dura dello strappo è proprio quella iniziale, costituita dal già menzionato vallone di Sassersa.
Per raggiungerne il piede dobbiamo seguire i segnavia, che, costeggiando il bordo della bel pianoro erboso dell'alpe, ci porta ai primi massi del canalone detritico.
la salita comincia, all'ombra della punta di Pradaccio (m. 2602), che lo chiude alla nostra sinistra.
Dobbiamo stare attenti a seguire i segnavia, che tracciano il percorso meno faticoso fra i grandi massi.
Il terreno è faticoso, perché ci impone una costante concentrazione: dobbiamo prestare una particolare attenzione, in quanto non sempre i massi sui quali posiamo i piedi si rivelano stabili come potremmo supporre.

Quest'immagine dà un'idea della natura del terreno e mostra il tratto conclusivo del canalone, quando già cinquecento metri sono stati superati.
La fotografia ci permette di comprendere anche la ragione della denominazione del vallone e della valle alla quale introduce.
Sassersa, cioè sasso arso. Si ha infatti l'impressione che la valle sia stata messa a ferro e fuoco. Il fuoco, in realtà, qui non c'entra, mentre c'entra il ferro, perché sono proprio i minerali ferrosi a conferire alle rocce il colore rossastro.
Il contrasto fra questo paesaggio e quello più gentile ed ombroso dei boschi attraversati è veramente considerevole.

Ma, poi, ecco una perla, un gentile laghetto azzurro che mitiga l'aspra solitudine di questi scenari.
Si tratta del laghetto di Sassersa inferiore (m. 2368), di origine glaciale.
Ce ne sono altri due, posti in successione, poco più in alto, ma per il momento non si vedono.
Solo salendo un altro po' si vede il secondo e più grande laghetto, mentre il terzo resta nascosto dietro una grande costa rocciosa arrotondata.

Il laghetto è il luogo ideale per una seconda e prolungata sosta, prima di affrontare la seconda parte della salita, che conduce al passo Ventina.
Si tratta di superare gli ultimi trecento metri, disegnando un arco che ci porta sul lato sinistro (per noi) della valle.
Il lato opposto esalta l'impressione di inquietudine suscitata da questo luogo unico nel pur vasto repertorio di colori e suggestioni offerto da questa maratona fra le montagne di Valmalenco. Sembra un luogo surreale, soprattutto se lo poniamo a confronto con i ben più familiari profili delle cime del gruppo Scalino-Painale, ben visibili sullo sfondo.

Ma anche da questo luogo di metafisica segregazione emergiamo, dopo aver pagato un abbondante tributo di sudore.
Eccolo, il panorama che l'espiazione ci ha meritato, lo scenario che si apre davanti a noi raggiunti i 2675 metri del passo Ventina (sulla sinistra nel crinale terminale della val Sassersa, riconoscibile per il caratteristico ago roccioso che lo presidia).
Da passo a passo: lo sguardo, con un volo, raggiunge subito il passo del Muretto che, al termine dell'omonima valle, porta in Svizzera. E poi, alla sua sinistra, l'elegante piramide del monte del Forno. E ancora, più a sinistra, il pronunciato profilo della cima di Vazzeda.

Il primo tratto della discesa in val Ventina è piuttosto ripido, ma ci viene risparmiato il tormento del faticoso passaggio di masso in masso, in quanto una traccia con fondo in terriccio e rapidi slalom ci permette di perdere rapidamente quota.
Dopo il primo tratto di discesa ci troviamo di fronte un nevaietto, che i segnavia ci suggeriscono di oltrepassare seguendo il suo lato sinistro: qui, per un tratto, dobbiamo rassegnarci ad un nuovo percorso fra i massi. Raggiunto il limite inferiore del nevaio, un grande segnavia ci indica dove possiamo ritrovare la traccia del sentiero, che prosegue con pendenza meno severa, scendendo presso il filo di una grande morena.

Il tracciato prosegue sulla destra di questo filo, poco distante dal crinale.
Il passo è ormai abbondantemente alle nostre spalle, e noi possiamo osservare il pizzo Rachele (m. 2998), che ne sorveglia il lato alla nostra destra, e le propaggini del crinale meridionale della massiccia cima del Duca (m. 2968), sul lato opposto.
La morena sulla quale terminiamo ci testimonia che qui un tempo c'era quello stesso ghiacciaio che, raggiunto il suo fronte massimo intorno alla metà dell'Ottocento, si è poi progressivamente ritirato nel secolo e mezzo successivo.
Ci potrebbe forse capitare di ascoltare, scendendo, qualche frequentatore abituale di questi luoghi commentare cono toni stupiti e magari un po' desolati questo ritiro.

Per osservare il ghiacciaio dobbiamo guardare alla nostra sinistra.
Ciò che però attira innanzitutto il nostro sguardo è il versante orientale del monte Disgrazia (m. 3678), alla cui destra si distinguono la punta Kennedy (m. 3283) ed il pizzo Ventina (m. 3254).
Fra le due cime si insinua il canalone della Vergine, occupato da un piccolo ma poderoso ghiacciaio.
 

 

 

Eccolo, il ghiacciaio, ormai ritratto nel grande vallone che scende dal pizzo Cassandra (m. 3226).
La valle è percorsa dai diversi rami del torrente Ventina, che scende proprio dal ghiacciaio.
Sulle sue rive, nei periodi di maggiore afflusso vacanziero, soggiornano torme di turisti attratti dal fascino dell'alta quota raggiunta senza eccessivi sforzi (al pianoro si può infatti salire da Chiareggio in un'ora di cammino o poco più).
 

 

La meta ormai è vicina: abbiamo percorso buona parte del pianoro della valle, ingentilito dai radi larici, e rimane sempre suggestivo, di fronte al nostro sguardo, lo scorcio della val Muretto.
La traccia di sentiero, in questo tratto, si dipana fra grandi massi, che ci costringono a prestare attenzione fino all'ultimo passo.
Il tratto più insidioso di un'escursione, infatti, è spesso quello terminale, quando la stanchezza ed una naturale deconcentrazione possono determinare incidenti dagli esiti talora anche seri.

 

 

Se noi proseguiamo oltre i rifugi Gerli-Porro e Ventina, possiamo gustare quei panorami per i quali Chiareggio e l'alta Valmalenco sono giustamente famose.
Ecco una parte della testata della val Sissone, meta della terza giornata dell'alta via: si distinguono, da sinistra, la punta Baroni, o Cima di Chiareggio settentrionale, il monte Sissone, la seminascosta cima di Rosso e la cima di Vazzeda, che le ruba la scena.
 

Ed ecco, in quest'ulteriore immagine, le cime di Rosso e di Vazzeda, e la costiera che separa l'alpe Sissone di fuori dall'ampio balcone di rocce e pascoli che scende dalla vedretta della cima di Vazzeda.
A destra della cima di Vazzeda si può intravedere il passo omonimo (m. 2967) e la cima di val Bona (m. 3033).

 

 

 

Il pernottamento può avvenire in uno dei due rifugi che costituiscono la meta di questa seconda tappa.
Il primo rifugio sul nostro cammino è il Ventina (m. 1965).
Fra questo rifugio ed il Gerli-Porro si notano, sulla destra, numerosi segnavia che dettano il percorso che, salendo ripido sul fianco montuoso, conducono al pianoro roccioso che ospita il lago Pirola (m. 2283).

 

Ecco, infine, il rifugio (anzi, i rifugi) Gerli-Porro (m. 1960).
Qui, dopo circa otto ore di cammino, termina la seconda tappa, che costituisce un poderoso balzo in avanti che, dai bucolici scenari della Val Torreggio (Val del Turéc'), ci ha portati nel cuore dell'alta Valmalenco, dove ormai si respira quell'inconfondibile aria di alta quota che costituirà l'elemento caratterizzante di molte delle tappe successive.
 

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