GALLERIA DI IMMAGINI - CARTE DEL PERCORSO


Apri qui una panoramica della Gran Via delle Orobie in Val Gerola Occidentale


Apri qui una panoramica dal sentiero che sale dal Bar Bianco

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Bar Bianco-Alpi Combana e Stavello-Laveggiolo-Alpe e rifugio di Trona Soliva
7 h
1000
E
SINTESI. Dal Bar Bianco inizia la salita, ripida, su un tratturo che parte dai prati a monte del rifugio, e, superata una breve macchia di larici, sale ad intercettare un tratturo che corre quasi pianeggiante (nella salita, ignoriamo un sentiero secondario che si stacca sulla nostra sinistra). Prendiamo, ora, a destra, e raggiungiamo le baite quotate 1646, dove si trova anche una targa in memoria di Silvano Piganzoli. Sul prato dietro la baita con la targa, a monte, scorgiamo un masso sul quale è riportata l’indicazione “Cima Rosetta 124 B”, con un segnavia rosso-bianco-rosso. Non saliamo diritti seguendoquesta indicazione per la cima della Rosetta, ma proseguiamo sul tratturo, che volge qui a sinistra ed inizia la salita verso l’alpe Culino, salendo in diagonale verso sinistra e passando sotto un baitone. Attraversiamo una macchia di radi larici (targa del sentiero Andrea Paniga). Raggiunta un'ampia radura con una baita (Baita Ven, 1801), dobbiamo prestare attenzione ai cartelli che segnalano un bivio con tre cartelli: seguiamo quello del sentiero della Gran Via delle Orobie che va a sinistra (dà l’alpe Combana a 30 minuti e Laveggioloa 2 ore e 20 minuti). Iniziamo la facile traversata della Val Mala. Dopo un tratto fra radi larici, ci portiamo al centro di un facile vallone e cominciamo a salire con pendenza moderata sul lato opposto, fino ad approdare al limite dell'alpe Combanina, raggiungendo la ben visibile e vicina casera dell’alpe Ciof (o Giuf), posta sul dosso di Ciof o Giuf, m. 1732. Seguiamo il cartello della direzione verso sud (diritti), che dà l’alpe Combana a 30 minuti e l’alpe Stavello ad un’ora. Procediamo sul sentiero che non taglia il pascolo, ma prosegue appena sopra il limite superiore del bosco (leggermente più in basso rispetto alla casera), in direzione sud-est. Dopo il primo tratto, entra in un bosco di larici e comincia a guadagnare quota, per circa duecento metri. Ignorata una deviazione a sinistra, e superato il solco della val Combana, raggiungiamo la baita dell’alpe Combana (m. 1810). Il sentiero prosegue lasciandosela alle spalle, sale verso un bel bosco di larici, taglia un dosso e sbuca nella conca dell’alpe Stavello, dove troviamo il rifugio Alpe Stavello (m. 1944), aperto nella stagione estiva. Scendiamo al limite del prato antistante verso sud-est (destra). Se guardiamo con attenzione, vedremo che, quasi intagliato nel fianco roccioso della Val di Pai, parte, verso destra, una mulattiera esposta (per renderla più sicuro è stata attrezzata con corde fisse e con un ponticello in legno). In breve scendiamo a luoghi più tranquilli, incontrando subito una deviazione a sinistra (segnalata su un masso; attenzione a non proseguire diritti su invitante sentiero), che ci fa scendere verso il solco della valle, passando fra imponenti larici (località Carunèla). Raggiungiamo un’ampia radura, attraversata in diagonale la quale (attenzione ai segnavia) ritroviamo, non lontano dal torrente, il sentiero, che ci porta, scendendo ancora, ad una radura minore ed a due ruderi di baita. La lunga discesa, in una macchia di larici, termina ad un'ampia radura con un ponticello con alcuni cartelli escursionistici. Superiamo dunque il torrente a quota 1497. Passati sull’altro lato della valle (il destro), non seguiamo un sentiero che prende a sinistra, in piano, seguendo la riva del torrente della Val di Pai, ma il sentierino che se ne allontana salendo su un versante segnato da una slavina (segnavia bianco-rossi), portandosi con qualche tornantino ad intercettare un più marcato sentiero, che seguiamo verso sinistra. Procedendo in piano o con qualche saliscendi, tagliamo un versante un po' umido (attenzione ai sassi scivolosi), in un bel bosco di abeti e scendiamo ad intercettare una pista sterrata sopra la località di San Giovanni, a 1460 metri circa. Dirigiamoci a sinistra: la pista scende per un tratto, proponendo pochi tornanti, poi passa per un ampio slargo-parcheggio ed infine intercetta una più larga strada sterrata che sale da Gerola e Castello a Laveggiòlo. La seguiamo andando a destra e salendo per breve tratto fino a Laveggiòlo (“lavegiöl”, m. 1470), dove troviamo un parcheggio ed un pannello illustrativo. Incamminiamoci poi sulla pista sterrata per la Val Vedrano fino a trovare, dopo un breve tratto, sulla sinistra, un cartello della G.V.O. che segnala la partenza di un sentiero (segnalato da segnavia rosso-bianco-rossi) che se ne stacca per portarsi, con tracciato più diretto, al guado del torrente Vedrano. Lo imbocchiamo e, dopo una breve e poco marcata discesa, procediamo quasi in piano, superando alcune baite; ad un bivio, presso una fontanella ed un casello del latte, ignoriamo la traccia meno marcata che sale verso destra (indicazione “Vedrano” su un masso), procedendo diritti. Superati in rapida successione due modesti corsi d’acqua, usciamo dal bosco e superiamo un torrentello, per poi scendere leggermente fino al ponticello di travi in legno che ci permette di superare il torrente Vedrano (m. 1541). Sul lato opposto della valle troviamo subito, a destra, un’amena radura, con un tavolo in legno e due panche per chi volesse sostare. Non seguiamo l'indicazione "Castello" ma la larga mulattiera che sale sul fianco boscoso della valle e, dopo un traverso a sinistra, propone una sequenza di tornanti dx, sx, e dx, prima di intercettare, a quota 1595, la medesima pista sterrata che abbiamo lasciato poco dopo Laveggiolo. La seguiamo salendo con diversi tornanti. La pista si affaccia quindi all'ampio bacino dell'alta Valle della Pietra e, proseguendo con qualche modesto saliscendi, che ci conduce diritta al rifugio Trona Soliva (m. 1907).


Il Sentiero Andrea Paniga dal Bar Bianco alla baita Ven, sulla base di Google Earth (fair use)

La terza tappa della Gran Via delle Orobie occidentale (sentiero Andrea Paniga) traversa tutto il versante occidentale della Val Gerola, la più ampia dell'intero versante orobico valtellinese, e porta dal Bar Bianco al rifugio Trona Soliva, passando per gli alpeggi di Giuf, Combana e Stavello e per il nucleo di Laveggiolo, a monte di Gerola Alta.
Dal Bar Bianco inizia la salita, ripida, su un tratturo che parte dai prati a monte del rifugio, e, superata una breve macchia di larici, sale ad intercettare un tratturo che corre quasi pianeggiante (nella salita, ignoriamo un sentiero secondario che si stacca sulla nostra sinistra). Prendiamo, ora, a destra, e raggiungiamo le baite quotate 1646, dove si trova anche una targa in memoria di Silvano Piganzoli, scomparso prematuramente nel 2002. Sul prato dietro la baita con la targa, a monte, scorgiamo un masso sul quale è riportata l’indicazione “Cima Rosetta 124 B”, con un segnavia rosso-bianco-rosso.


Apri qui una panoramica dal sentiero che dal Bar Bianco sale verso l'alpe Culino

Non saliamo diritti seguendo l'indicazione per la cima della Rosetta, ma proseguiamo sul tratturo, che volge qui a sinistra ed inizia la salita verso l’alpe Culino (“cülign”, toponimo che deriva da "aquilino"), salendo in diagonale verso sinistra e passando sotto un baitone. Attraversiamo una macchia di radi larici, dove su un masso è fissata una targa che ci ricorda che quello che stiamo percorrendo è il sentiero Andrea Paniga. Raggiunta un'ampia radura con una baita (Baita Ven, m. 1801), dobbiamo prestare attenzione ai cartelli che segnalano un bivio. Qui troviamo tre cartelli. Il primo cartello dà, in salita, il lago di Culino ("lach de cülìgn”) a 30 minuti e la cima della Rosetta ad un’ora e 10 minuti; il secondo, che segnala il sentiero della Gran Via delle Orobie che passa per l’alpe Ciof, dà l’alpe Combana a 30 minuti e Laveggiolo (“Lavegiöl”) a 2 ore e 20 minuti; il terzo segnala che nella direzione dalla quale siamo saliti ci si può portare all’alpe Olano in 50 minuti, all’alpe Tagliata in un’ora e 50 minuti ed all’alpe Piazza in 2 ore e 30 minuti. Llasciamo il sentiero che prosegue nella salita verso l'alpe Culino e la cima di Rosetta e prendiamo a sinistra (cartello GVO), iniziando la facile traversata della Val Mala (che qui, a dispetto del nome, ha un aspetto molto gentile e molto diverso da quello pauroso e salvaggio che assume a quote più basse).


Baita Ven e bivio Giuf-Culino

Dopo un tratto fra radi larici, ci portiamo al centro di un facile vallone e cominciamo a salire con pendenza moderata sul lato opposto, fino ad approdare al limite dell'alpe Combanina, raggiungendo la ben visibile e vicina casera dell’alpe Ciof (o Giuf), posta al limite inferiore di un lungo e bellissimo prato adagiato sul crinale che scende, verso est, dal monte Rosetta (m. 2360). La casera è posta sul dosso di Ciof o Giuf, m. 1732 e viene localmente chiamata “casera de cumbanìna”, o anche “casera del giùuf”, da nome del dosso sul quale è posta, “dòos del giùuf” o “dòos de cumbanìna”. La denominazione “Ciof” è evidentemente una storpiatura di “Giùuf”. Quanto all’origine del nome Combanina (e dell’analogo Combana), si può ipotizzare che derivi dalla voce comasca e bormina “combal”, “combol”, cioè sommità.


Apri qui una panoramica dall'alpe Giuf

Dopo uno sguardo al magnifico panorama che si apre dalla casera, sia sul gruppo del Masino che sulla Val Gerola, diamo un'occhiata ad una coppia di cartelli escursionistici: il primo dà, verso sud (diritti), l’alpe Combana a 30 minuti e l’alpe Stavello ad un’ora, mentre il secondo dà, nella direzione dalla quale proveniamo (nord), il Bar Bianco a 40 minuti ed il lago di Culino a 45 minuti.
Porseguiamo dunque diritti, sul sentiero che non taglia il pascolo, ma prosegue appena sopra il limite superiore del bosco (leggermente più in basso rispetto alla casera), in direzione sud-est (cartello della GVO).


Il Sentiero Andrea Paniga dalla Casera di Giuf al rifugio Alpe Stavello, sulla base di Google Earth (fair use)

Dopo il primo tratto, entra in un bosco di larici e comincia a guadagnare quota, per circa duecento metri. Ignorata una deviazione a sinistra, e superato il solco della val Combana, raggiungiamo, infatti, la baita dell’alpe Combana (m. 1810). Questa parte del sentiero suscita emozioni contrastanti: gli alpeggi offrono scenari gentili ed aperti, ma i boschi lasciano intravedere versanti che cadono, ripidi, sugli anfratti ombrosi di valli profonde, la val Combana e, ancor più, la successiva val di Pai. La deviazione a sinistra, ignorata, porta proprio nel cuore di questa seconda valle, ad un ponte sul torrente, che permetterebbe di accorciare il percorso di un buon tratto. Meglio, però, rimanere più in alto.
All’alpe Combana, oltretutto, ci viene offerta l’occasione di un secondo interessante fuori-programma, che richiede circa due ore di supplemento di marcia. Invece di proseguire verso la casera di Stavello, prendiamo a destra, risalendo, senza percorso obbligato, la solare e solitaria parte alta della val Combana.
Oltrepassate un paio di baite dell’alpe Piazzi di Fuori, guadagniamo la conca terminale. Portiamoci ora nella sua parte sinistra, risalendo verso il piede della testata fra massi e sfasciumi. Incontreremo, qua e là, tracce di sentiero. Raggiunto il piede di una formazione rocciosa, troveremo un sentiero che ci porta facilmente all’erbosa cima del monte Stavello, a 2416 metri. Dalla conca non è facile individuare la cima, posta ad ovest-sud-ovest rispetto all’ultima baita dell’alpe. Sta alla nostra sinistra e non è molto pronunciata.
Torniamo però ora alla baita di Combana: il sentiero se la lascia alle spalle, sale verso un bel bosco di larici, taglia un dosso e sbuca nella conca dell’alpe Stavello, baitone e dalla casera di Stavello (“baitùn” e “casera de stavél”, m. 1944, nella parte bassa dell’alpe omonima; il termine deriva dal termine dialettale “stabiéll”, stalla, e si trova anche in altri luoghi della Valtellina, cioè in Val Lesina, in Val Grosina, sopra Tirano e Lovero). Il baitone è stato ristrutturato ed ospita oggi l'azienda agrituristica e rifugio Alpe Stavello, aperto nella stagione estiva, che offre servizio di pernottamento su prenotazione (telefonare al 334 7652242; cfr. www.alpestavello.it; per contatti via mail info@alpestavello.it), oltre alla possibilità di ristorazione e di consultazione di un'interessantissima biblioteca.
L'alpe è menzionata già in un documento del 1291, l'atto di vendita dell'alpeggio dalla famiglia Gamba di Bellano ai Capifamiglia di Pedesina. A quel tempo l'alpe Stavello comprendeva anche gli attuali alpeggi di Combana e Combanina. Dopo la Prima Guerra Mondiale la proprietà dell'alpe passò dalla famiglia di Lorenzo Rabbiosi di Rasura alla famiglia Martinelli di Morbegno, che ancora la possiede. Fino a quegli anni l'alpeggio caricava circa 100 capi e vi lavoravano dalle 20 alle 25 persone, una vera e propria piccola comunità con le sue figure e gerarchie (con al vertice il capo, o vecc', ed il casaro), i riti ed i ritmi della vita d'alpeggio di cui oggi si stenta ad immaginare la durezza.


Il rifugio Alpe Stavello

Propongo un terzo fuori-programma, più lungo dei precedenti, e quindi riservato ai grandi camminatori. Dal baitone imbocchiamo il marcato sentiero che sale, verso sud-ovest, in direzione di una formazione rocciosa, che viene tagliata: ci introduciamo, così, nell’ampio anfiteatro dell’alta val di Pai. Siamo su un sentiero, marcato con segnavia rosso-bianco-rossi, che, superata una baita a quota 2000, si dirige verso il ben visibile intaglio nella testata della valle, la bocchetta di Stavello, che viene raggiunta dopo un ultimo ripido tratto. 


Il Sentiero Andrea Paniga dal rifugio Alpe Stavello a Laveggiolo, sulla base di Google Earth (fair use)

La bocchetta, a quota 2201, dà sull’alta val Fràina, laterale della Val Varrone, dalla quale giunge il sentiero Cadorna, tracciato durante la Prima Guerra Mondiale per portare pezzi d’artiglieria alle fortificazioni che sono ancora visibili nei pressi della bocchetta stessa. Troviamo anche una breve galleria scavata nella roccia e che era parte integrante del sistema di fortificazioni. Dalla bocchetta parte, verso destra, una traccia di sentiero che, appoggiandosi alla parte sinistra (di sud-ovest) del crinale, conduce facilmente alla cima erbosa del monte Rotondo (m. 2495), sormontata da una statua della Madonna. Il panorama, da qui, è, nelle giornate limpide, particolarmente ampio e suggestivo. Questo terzo fuori-programma richiede circa due ore e mezza di cammino in più.
D’accordo, adesso diamo un taglio ai fuori-programma e torniamo al sentiero Paniga. Eravamo al baitone di Stavello. Scendiamo al limite del prato antistante verso sud-est (destra). Se guardiamo con attenzione, vedremo che, quasi intagliato nel fianco roccioso della Val di Pai, parte, verso destra, un sentiero abbastanza largo, ma assai esposto (per renderlo più sicuro è stato attrezzato con corde fisse e con un ponticello in legno). Si tratta della mulattiera fatta scavare nella viva roccia, ad inizio Novecento, dalla famiglia di Lorenzo Rabbiosi di Rasura. In breve, però, scendiamo a luoghi più tranquilli, incontrando subito una deviazione a sinistra (segnalata su un masso; attenzione a non proseguire diritti su invitante sentiero), che ci fa scendere verso il solco della valle, passando fra imponenti larici (località Carunèla). Sono luoghi di grande bellezza, fra i più suggestivi della val Gerola.

Il Sentiero Andrea Paniga da Laveggiolo alla pista per il rifugio Trona Soliva, sulla base di Google Earth (fair use)

Raggiungiamo un’ampia radura, attraversata in diagonale la quale (attenzione ai segnavia) ritroviamo, non lontano dal torrente, che scende qui rinserrato in aspre rocce, il sentiero, che ci porta, scendendo ancora, ad una radura minore ed a due ruderi di baita. La lunga discesa, in una macchia di larici, termina ad un'ampia radura con un ponticello con alcuni cartelli escursionistici. Superiamo dunque il torrente (“ul bit de la val de pài”; “bit” è termine generico che significa “torrente”), a quota 1497.


Laveggiolo

Passati sull’altro lato della valle (il destro), non seguiamo un sentiero che prende a sinistra, in piano, seguendo la riva del torrente della Val di Pai, ma il sentierino che se ne allontana salendo su un versante segnato da una slavina (segnavia bianco-rossi), portandosi con qualche tornantino ad intercettare un più marcato sentiero, che seguiamo verso sinistra. Procedendo in piano o con qualche saliscendi, tagliamo un versante un po' umido (attenzione ai sassi scivolosi), in un bel bosco di abeti e, lasciato il torrente sempre più in basso, scendiamo ad intercettare una pista sterrata sopra la località di San Giovanni, a 1460 metri circa. Dirigiamoci a sinistra: la pista scende per un tratto, proponendo pochi tornanti, poi passa per un ampio slargo-parcheggio ed infine intercetta una più larga strada sterrata che sale da Gerola e Castello a Laveggiòlo. La seguiamo andando a destra e salendo per breve tratto fino a Laveggiòlo (“lavegiöl”, m. 1470), dove troviamo un parcheggio ed un pannello illustrativo.


Sentiero Laveggiolo-Val Vedrano

L’antico nucleo è citato già in un documento del 1321, dove risulta costituito  da tre nuclei famigliari, tutti Ruffoni, che discendono da un unico capostipite, tal ser Ugone. È collocato su una fascia di prati assai panoramica (il colpo d’occhio sul gruppo del Masino e sulla testata della Val Gerola è davvero suggestivo), nella parte mediana del lungo dosso che scende verso est dalla cima del monte Colombana (“ul pizzöl”, m. 2385). Il suo nome deriva, probabilmente, da "lavegg", la nota pietra grigia molto utilizzata in Valtellina per ricavarne piatti ed altri utensili.
Dalla spianata del parcheggio, dove si trova anche un’edicola del Parco delle Orobie Valtellinesi, parte una pista sterrata che si dirige verso l’imbocco della Val Vedràno (“val vedràa”), il cui torrente, omonimo, confluisce nel Bitto poco a nord di Gerola.
Si tratta di una pista chiusa al traffico; un gruppo di cartelli vicino a quello di divieto di accesso ci segnala, fra l’altro, che imboccando la pista procediamo sulla Gran Via delle Orobie (G.V.O.) ed insieme sul Sentiero della Memoria (a ricordo del ripiegamento della 55sima brigata partigiana Fratelli Rosselli, che effettuò, nel novembre del 1944, la traversata Valsassina-Val Gerola-Costiera dei Cech-Valle dei Ratti-Val Codera-Svizzera), che ci porta, in un’ora e mezza, al rifugio di Trona Soliva; da qui, poi, con un’ulteriore ora di cammino, possiamo portarci al rifugio Falc. Incamminiamoci, dunque, sulla pista, fino a trovare, dopo un breve tratto, sulla sinistra, un cartello della G.V.O. che segnala la partenza di un sentiero (segnalato da segnavia rosso-bianco-rossi) che se ne stacca per portarsi, con tracciato più diretto, al guado del torrente Vedrano. Lo imbocchiamo e, dopo una breve e poco marcata discesa, procediamo quasi in piano, superando alcune baite; ad un bivio, presso una fontanella ed un casello del latte, ignoriamo la traccia meno marcata che sale verso destra (indicazione “Vedrano” su un masso), procedendo diritti. Superati in rapida successione due modesti corsi d’acqua, usciamo dal bosco e superiamo un torrentello, per poi scendere leggermente fino al ponticello di travi in legno che ci permette di superare il torrente Vedrano (m. 1541).


Apri qui una panoramica su Val Gerola e Valle di Trona dalla pista per il rifugio Trona Soliva

Sul lato opposto della valle troviamo subito, a destra, un’amena radura, con un tavolo in legno e due panche per chi volesse sostare; un’indicazione su un masso (“Castello”) segnala che giunge fin qui anche un sentiero che parte più in basso, dalla località Castello. Il sentiero, che qui diventa larga mulattiera, prende a salire sul fianco boscoso della valle, ingentilito da luminosi larici e, dopo un traverso a sinistra, propone una sequenza di tornanti dx, sx, e dx, prima di intercettare, a quota 1595, la medesima pista sterrata che abbiamo lasciato poco dopo Laveggiolo. Se preferiamo una traversata tranquilla possiamo seguire interamente la pista che propone alcuni tornanti e si affaccia all'ampio bacino dell'alta Valle della Pietra, conducendo diritta, con qualche saliscendi, al rifugio Trona Soliva, oppure cercare alcune ripartenze della storica mulattiera e percorrerne i tratti rimasti.


Laveggiolo dalla pista agro-silvo-pastorale per il rifugio Trona Soliva

Seguendo il sentiero, che corre un po' più basso rispetto alla pista, dopo un tornante a destra ed il successivo a sinistra, percorriamo un lungo traverso, superando un primo traliccio, un torrentello ed un secondo traliccio (si tratta della linea ad alta tensione che scavalca il crinale orobico in corrispondenza della bocchetta di Trona), presso una radura.


Il Sentiero Andrea Paniga sulla pista per il rifugio Trona Soliva, sulla base di Google Earth (fair use)

Passiamo, poi, accanto alla baita isolata quotata 1725 metri. Una sosta ed uno sguardo alle nostre spalle ci permette di ammirare l’ottimo colpo d’occhio sulle cime del gruppo del Masino, dal pizzo Cengalo al monte Disgrazia.
Dopo il successivo tornante a destra, troviamo, sulla sinistra, il cartello che segnala la ripartenza della mulattiera che abbiamo lasciamo un bel tratto sotto. Saliamo per un tratto verso sinistra, poi affrontiamo una sequenza di tornanti dx-sx-dx-sx ed usciamo dalla macchia di larici, attraversando una piccola radura fino ad una roccia affiorante, per poi volgere di nuovo a destra. Dopo un ultimo tornante a sinistra, raggiungiamo una radura con un tavolo in legno e due panche: siamo alla “furscèla” (m. 1888), cioè alla forcella, piccola bocchetta sul crinale che dal Piazzo (“piz di piàz”, m. 2269) scende verso est.
Ci affacciamo, così, sulla soglia settentrionale dell’ampio bacino dell’alpe di Trona e si apre davanti a noi l’intera testata della Val Gerola, che mostra, da est (sinistra), il monte Verrobbio (m. 2139), il pizzo della Nebbia (“piz de la piana”, m. 2243), i pizzi di Ponteranica (“piz de li férèri” o “piz ponterànica”, orientale, m. 2378, meridionale, m. 2372, occidentale, m. 2372), l’agile spuntone del monte Valletto (“ul valèt” o “ul pizzàl”, m. 2371), la compatta compagine della Rocca di Pescegallo (o Denti della Vecchia, “ul filùn de la ròca” o “denc’ de la végia”, cinque torrioni il più alto dei quali è quotato m. 2125 e che vengono visti come un unico torrione da Gerola, chiamato anche “piz de la matìna” perché il sole vi sosta, appunto, la mattina), i pizzi di Mezzaluna (“li mezzalüni”, vale a dire il pizzo di Mezzaluna, m. 2333, la Cima di Mezzo ed il caratteristico ed inconfondibile uncino del torrione di Mezzaluna, m. 2247), il pizzo di Tronella (“pìich”, m. 2311), il regolare ed imponente cono del pizzo di Trona (“piz di vèspui”, m. 2510) ed infine il più famoso ma non evidente, per il suo profilo tondeggiante e poco pronunciato, pizzo dei Tre Signori (“piz di tri ségnùr”, m. 2554, chiamato così perché punto d’incontro dei confini delle signorie delle Tre Leghe in Valtellina, degli Spagnoli nel milanese e dei Veneziani nella bergamasca).


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Dopo qualche saliscendi, saliamo ad intercettare la pista sterrata che prosegue fino al rifugio (possiamo seguirla senza mai lasciarla da Laveggiolo), a monte del quale si trova un frangi-valanghe in cemento, su cui è scritto “Rifugio di Trona 10 min.” Pochi metri più avanti, infatti, dopo una semicurva ci appare la struttura del rifugio: ci vien da pensare che 10 minuti è stima ottimistica, e ci vorrà almeno un quarto d’ora. Dopo aver superato il punto nel quale ci intercetta, salendo da sinistra, il sentiero che sale diretto dal fianco orientale della Val della Pietra (segnalazione su un masso), ci attende una discesa che ci porta ad attraversare un torrentello, prima di riprendere a salire. Attraversato il torrentello, alziamo lo sguardo verso il crinale nel quale culminano gli alpeggi: vedremo, alla sommità di una sorta di enorme scivolo erboso, il profilo sfuggente del pizzo Mellasc. Poi un ultimo tratto con qualche saliscendi ci porta al grande edificio del rifugio di Trona Soliva (“casèri végi”, la Casera vecchia di Trona sulla carta IGM, m. 1907), che offre i servizi di pranzo, di mezza pensione o pensione completa, con piatti tipici valtellinesi fatti in casa (pizzoccheri fatti a mano, gnocchi di patate al grano saraceno prodotti nel rifugio stesso, polente e carni, dolci fatti in casa) o classici della cucina italiana (lasagne, paste fresche all'uovo fatte in casa, ...). A 15 minuti dal rifugio c'è anche una palestra attrezzata di arrampicata su roccia. Diverse arrampicate con diversi gradi di difficoltà si trovano da mezz'ora di cammino in poi. Dal rifugio si possono effettuare diverse escursioni, comprese le salite al pizzo dei Tre Signori ed al pizzo Mellasc', che domina con la sua verde ed un po' sfuggente cima il versante ad ovest del rifugio.


Il rifugio di Trona Soliva

Siamo in cammino da circa 7 ore, fuori-programma esclusi, e la sosta per il pernottamento appare quanto mai meritata. I circa 1000 metri di dislivello superati si fanno sentire, nelle gambe, ma non nello spirito. Domani è un’altra tappa, la quarta.


Il Sentiero Andrea Paniga al rifugio Trona Soliva, sulla base di Google Earth (fair use)

Siamo prossimi ad un valico di interesse storico primario, la bocchetta di Trona, raggiunta da un sentiero che parte dal rifugio, si dirge a sud e, aggirato un dosso, piega a destra, risale un vallone e si porta al valico, che si affaccia sull'alta Val Varrone. Un approfondimento storico, quindi, si impone.


Apri qui una fotomappa della bocchetta di Trona e dei suoi dintorni

Non è azzardato affermare che la bocchetta di Trona ("buchéta de Truna") è, dal punto di vista storico, il più importante fra i numerosi valichi che collegano i due versanti della lunga catena orobica. Tale importanza ha radici antichissime: di qui, infatti, passa quella via del Bitto che è stata, per molti secoli, la via di comunicazione terrestre più diretta e breve fra la Valtellina ed il basso Lario, il che vuol dire, poi, con Milano. Il suo primato cominciò ad essere intaccato solo in epoca medievale, con la costruzione di una strada sulla riva orientale del Lario, poi ampliata nel secolo XIX. Ma al tempo dei Romani questi temevano una calata dei barbari proprio da qui (e fortificarono diversi luoghi strategici della Valsassina), ed è a loro che risale la definizione di questo asse come “via gentium”, cioè via delle genti. Parrebbe strano, visto che si dipana nel cuore delle Orobie occidentali, fra Valsassina (o, più precisamente fra Val Troggia, Val Biandino ed alta Val Varrone) e Val Gerola, eppure è così.
Qualche dato generale aiuta a comprendere l’importanza storica di questa direttrice. La via parte da Introbio, nel cuore della Valsassina, ma facilmente raggiungibile da Lecco (che dista circa 16 chilometri). Si sviluppa per 11,5 km da Introbio alla bocchetta di Trona (al confine fra le province di Bergamo e Sondrio), con un dislivello in salita di circa 1500 metri, e per 20 km dalla bocchetta di Trona a Morbegno, con un dislivello in discesa di circa 1900 metri effettivi (1800 sulla carta). In totale, 31,5 km circa, che, aggiunti ai 16 da Lecco ad Introbio, portano la distanza fra Lecco e Morbegno a 47,5 km.
Per la Via del Bitto, da Introbio, in Valsassina, a Morbegno passarono, nei secoli genti, mercanti ed eserciti. Fin dal primo apparire dei popoli che, salendo da sud, colonizzarono per primi questo questo lembo della catena orobica. Sembra che i primi siamo stati i Liguri, seguiti dai Celti e dagli Etruschi. Vennero, quindi, i Romani, ai tempi dell’imperatore Augusto. E, dopo di loro, venne la religione cristiana, predicata da S. Ermagora. Dopo la caduta dell’impero romano vennero i Goti, e dopo di loro i Longobardi, sconfitti dai Franchi: tutti passarono dalle valli orobiche, ed il valico della bocchetta di Trona era, fra tutti, il più praticato.


La bocchetta di Trona

All’inizio del Quattrocento salirono dalla Val Varrone alla bocchetta di Trona truppe al soldo dei Rusconi di Como, ghibellini, per dar man forte alla loro fazione, prevalente a Morbegno e sulla sponda orobica della bassa Valtellina, contro la fazione guelfa, che prevaleva a Traona e sul versante retico: la loro calata in valle, però, venne bloccata dalla coalizione avversa, salita in Val Gerola. Nel 1431 fu la volta dei Veneziani, che, uniti ad un contingente di Valsassinesi, varcarono la bocchetta per scendere a conquistare la bassa Valtellina, possesso dei Visconti di Milano: furono però disastrosamente sconfitti nella sanguinosa battaglia di Delebio l’anno successivo, nel 1432. Passarono di qui, il secolo successivo, nel 1515, i mercenari svizzeri in rotta dopo la sconfitta subita nella battaglia di Melegnano da parte dei Francesi: scesi in bassa Valtellina, molti di loro riuscirono a riparare nella natia Svizzera.
Nel 1531 venne un esercito nella direzione opposta, cioè dalla bassa Valtellina: si trattava di 6000 uomini delle Tre Leghe, capitanati da Giorgio Vestari, che, per la Val Troggia scesero ad Introbio, tentando di conquistarla. Vanamente. Sempre dalla Valtellina salirono i funesti Lanzichenecchi, nell’anno più nero della storia di questa valle, perché vi portarono un’epidemia di peste che ridusse la sua popolazione complessiva a poco più di un quarto. Pochi anni dopo, nel 1635, furono gli Spagnoli in rotta, sconfitti dai Francesi a Morbegno in uno dei tanti fatti d’armi della fase valtellinese della Guerra dei Trent’Anni, a varcare la bocchetta di Trona per scendere in Val Varrone. Ed ecco subito dopo, l’anno successivo, che il francese Duca di Rohan, vincitore sugli Spagnoli, passò anch’egli di qui per calare poi in Valsassina ed assumerne il controllo.


Rudere della casa Pio XI alla bocchetta di Trona

È l’ultimo transito significativo di armati, prima del secolo XX, quando, durante la seconda guerra mondiale, nell’ottobre del 1944, le forze nazifasciste organizzano un rastrellamento in grande stile che interessa la Valsassina. Gli elementi della brigata partigiana 55sima Rosselli, per sfuggire all’accerchiamento, decisero di ripiegare in Svizzera, lasciando solo alcune unità sul territorio della valle orobica, nell’intento di non perdere il contatto con la popolazione locale. Il grosso della brigata salì, quindi, in Val Troggia e, valicata la bocchetta di Trona, scese in Val Gerola, di cui attraversò l’intero fianco occidentale, passando per gli alpeggi di alta quota, al fine di evitare il presidio di SS italiane che stazionava a Pedesina. Dalla Corte scese, quindi, sul fondovalle, varcando, in punti diversi, con il favore delle tenebre, il fiume Adda, il 3 novembre. Gran parte degli elementi, risalito il versante orientale della Costiera dei Cech, si ritrovarono alla piana di Poira, sopra Civo, già sede, per alcuni mesi, del comando della 40sima Matteotti. Di qui traversarono alla Val dei Ratti ed alla Val Codera, riuscendo (non senza vittime) a passare in territorio elvetico per la bocchetta della Teggiola.
Poi più nulla. Ora passano solo i ben più miti escursionisti, lasciando impressioni ammirate ma anche, talvolta, qualche rifiuto davvero indesiderato.


Apri qui una panoramica sulla Val Varrone dalla bocchetta di Trona

Alla bocchetta di Trona giungeva anche una seconda importante strada storica, denominata "la Strada del Ferro" o "di Maria Teresa". A differenza della Via del Bitto, questa via saliva non dalla Valsassina, ma dalla Val Varrone, più ad ovest. Partiva infatti dalla frazione Giabi di Premana e risaliva tutta la Val Varrone. Venne tracciata molti secoli fa per trasportare a valle il minerale di ferro estratto nel bacino dell'alta Val Varrone. Guardando dalla bocchetta verso la Val Varrone, poco in basso, a sinistra, si vede ancora un baitello presso le ex miniere di ferro.
Il riferimento all'imperatrice Maria Teresa d'Austria si giustifica per il fatto che fu lei a promuoverne, nel Settecento, la risistemazione. Un'ulteriore intervento venne effettuato nel XX per inglobarla nel sistema di comunicazioni della liena Cadorna, che aveva nella bocchetta di Trona un nodo fondamentale. Il generale Cadorna sospettava infatti che la neutralità Svizzera proclamara dopo lo scoppio della Prima Guerra Mondiale e l'entrata in guerra del Regno d'Italia contro l'impero Austro-Ungarico non avrebbe retto e che quindi l'esercito Austro-Ungarico avrebbe potuto invadere la Valtellina dalla Valle di Poschiavo e dalla Val Bregaglia. Bisognava quindi fortificare tutto il crinale orobico per impedire che questo potesse scendere attraverso le valli della Bergamasca, minacciando Milano e la pianura Padana.


Fortino sopra la bocchetta di Trona

Questo spiega la presenza su un dosso a monte della bocchetta di un fortino militare (ancora in piedi) fatto costruire nel 1917. E' l'unico ad essere rimasto in piedi nell'intero complesso di fortificazioni della linea Cadorna che correva sul crinale orobico. Dentro la struttura è stata collocata anche una lapide che ricorda Giovanni Galbiati, perito nella scalata al pizzo di Trona il 17 agosto del 1927. Proprio sulla bocchetta, invece, si trova il rudere della struttura edificata nel 1924, Casa Pio XI, rifugio-colonia estiva della Federazioni Oratori Milanesi, che fu poi incendiata dai nazifascisti il 21 marzo 1944, per togliere ai partigiani un punto di appoggio.
Una nota linguistica, per concludere: il toponimo "Trona" è, in questi luoghi, tanto diffuso da essere riferito, oltre alla bocchetta, ad un pizzo, ad un lago ed ad un'alpe; esso deriva da "truna", che significa "ricovero", "luogo riparato", ma anche "cunicolo", e si riferisce, qui, ai cunicoli delle miniere di ferro sfruttate in passato.

 

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