GALLERIA DI IMMAGINI - CARTE DEL PERCORSO


Apri qui una fotomappa del versante orientale della Valle del Bitto di Albaredo


Apri qui una panoramica sulla Valtellina dal Passo di San Marco

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Passo San Marco-Valle e passo di Pedena-Val Budria-Val di Lemma-Cima di Lemma-Passo di Tartano-Laghetti e casera di Porcile-Arale e rifugio Beniamino
8-9 h
1300
EE
SINTESI. Saliamo, sul sentiero (Via Priula) alle spalle del rifugio, dal rifugio San Marco al passo di San Marco (m. 1992), scendendo sul versante della Valle del Bitto di Albaredo lungo la segnalata via Priula (a sinistra della strada provinciale, vicino all’aquila che sorveglia il passo). Scendiamo verso nord, ad alcuni dossi erbosi sottostanti, poi comincia a perdere quota in uno scenario ingentilito da radi larici, fino a piegare leggermente a destra e calare, con qualche ripido tornante, alla piana dell’alpe di Orta Vaga (1694). Prendiamo a destra, raggiungiamo la casera dell'alpe e su stradella saliamo alla strada provinciale per San marco. Percorriamo ora la strada provinciale in salita, verso destra, superiamo un tornante sinistrorso e, al successivo tornante destrorso, la lasciamo, sfruttando un sentiero poco visibile alla partenza: resta sulla destra della Val d'Orta, sale diritto sul fianco erboso, entra in una macchia di ontani e passa da destra a sinistra su un ponticello, proseguendo la salita. A quota 1900 lasciamo a destra la traccia che sale all'alpe di Orta Soliva, che si apre in alto alla nostra destra, e prendiamo a sinistra, aggirando il largo dosso boscoso che scende, verso nord-ovest, dal pizzo d’Orta (m. 2183). Usciti dal bosco, raggiungiamo la baita di quota 1856, al panoramico Dosso della Motta. Seguendo il cartello della GVO proseguiamo salendo in diagonale verso sinistra (per chi guarda a monte; qui la traccia non si vede) cercando la ripertenza del sentiero sul limite di una macchia di larici. Il sentiero taglia, nella boscaglia, il fianco ombroso del pizzo d'Orta (con un breve passaggio assistito dal corda fissa) e si affaccia all’anfiteatro della valle di Pedéna. Il sentiero ci porta ad un gruppo di tre cartelli semidivelti, tutti della GVO (Gran Via delle Orobie), che segnalano un bivio, ad una quota approssimativa di 1860 metri. Il cartello della GVO con direzione a salire indica che procedendo nella salita si raggiunge il passo di Pedena in un’ora e 10 minuti, per poi scendere all’alta Val Budria in un’ora e 40 minuti e quella della Val di Lemma in 3 ore e 30 minuti. Saliamo dunque verso est-nord-est (la traccia, qui, non si vede), per poi piegare a destra ed attraversare una sorta di corridoio erboso. Qualche segnavia sbiadito ci fa salire per un tratto verso destra, poi svoltare a sinistra, e quindi di nuovo a destra. Giungiamo, così, in vista del manufatto che serviva alla teleferica ormai in disuso. Sulla destra, più in basso, vediamo anche un calecc'. Saliamo ancora con una svolta a sinistra (non è facile vederla), poi a destra. Se la perdiamo, prendiamo come punto di riferimento una splendida pianetta erbosa, e cominciamo a salire ad qui diritti, superando con un po’ di fatica ma senza difficoltà alcune rocce montonate: alla fine, ad una seconda pianetta, intercettiamo di nuovo, ad una quota approssimativa di 1960 metri, la traccia, che proviene da sinistra, e la seguiamo verso destra. Qui è tornata ben visibile, in alcuni tratti scalinata, e si destreggia fra diversi affioramenti rocciosi. Passiamo, così, alti, sulla verticale del manufatto della teleferica, attraversiamo un piccolo corso d’acqua e raggiungiamo l’ampia conca della piccola baita posta a quota 2000 metri, presso la quale vediamo un grande roccione ed un ampio recinto con muretto a secco. Dalla baita procediamo verso nord-est, portandoci alla porta di sinistra (oltre la quale si trova un segnavia bianco-rosso), ritrovando il sentiero che attraversa un corso piccolo d’acqua da destra a sinistra (il medesimo che abbiamo attraversato in direzione inversa, poco sotto). Proseguendo diritti, passiamo per una bella porta intagliata in un roccione e raggiungiamo un baitello diroccato a quota 2040; poi pieghiamo a destra, descrivendo un arco che ci porta a salire in direzione di un muretto a secco che sostiene un tratto del sentiero, a quota 2110 circa. Approdiamo alla fascia dei pascoli più alti, quando la traccia si perde saliamo per un tratto diritti zigzagando e la intercettiamo più in alto, in un punto nel quale tende a sinistra. Superato un piccolo gradino costituito da un masso, giungiamo in vista dei cartelli che, alti sopra di noi, segnalano il punto della sella nel quale è posto il passo. Ora possiamo anche procedere tranquillamente a vista, fino ai 2234 metri del passo di Pedena. Dobbiamo, ora, scendere alla baita dei Pradelli di Pedena, a 2024 metri, in Vaò Budria (Val Tartano). La traccia è assai labile, ma la discesa, un po’ ripida in alcuni tratti, può avvenire anche a vista, tenendosi sempre a destra di una fascia di massi precipitati dal fianco sud-orientale del monte Pedena. Raggiunta la baita, non proseguiamo verso sinistra (nord-est), sul sentiero che sul fondovalle della Val Budria, ma pieghiamo decisamente a destra, seguendo le indicazioni di un cartello ed imboccando un sentiero ben tracciato che si dirige all’ampia conca nella quale precipitano le balze del passo. Inizia, così, la facile traversata dell’alta valle, con qualche saliscendi, ad una quota che dai 2000 metri si approssima gradualmente ai 2100. Raggiungiamo così il limite orientale della valle, tenendoci in quota: un breve strappo ci porta ad una piccola sella erbosa, a circa 2200 metri (bocchetta del Lago), che si affaccia sul secondo ramo della Val Corta, la Val di Lemma. Dobbiamo scendere verso il pianoro dell'alpe, non puntando alla ben visibile baita sul limite di sinistra (settentrionale) dell'alpe, ma scendendo più a destra. Nel primo tratto scendiamo ripidi tendendo leggermente a destra e raggiungendo ad un ripiano appena accennato. Poi, seguendo una debole traccia, andiamo a sinistra, passando a monte di un corpo franoso, fino ad approssimarci al fianco del canalone. Pieghiamo di nuovo a destra, tagliando la parte mediana del corpo franoso e procedendo in direzione di un ripiano. Appena prima del ripiano pieghiamo a sinistra e ci portiamo all'imbocco di un canalone poco marcato: qi pieghiamo a destra e scendiamo più o meno al centro dell'avvallamento, portandoci al ripiano dove si trova una baita isolata. Proseguiamo diritti e dopo breve tratto pieghiamo a sinistra, seguendo un nuovo avvallamento e portandoci alla casera di Sona di Sopra, a quota 1900 metri (la baita rammodernata, accanto ad un'altra baita, posta in una conca erbosa a lato del corso d'acqua principale). Alla baita vicino alla casera ritroviamo i cartelli della GVO. Dai cartelli si dipartono due sentieri, segnalati: uno scende sul fondovalle della Val di Lemma, il secondo (quello della GVO, che dà, molto ottimisticamente, l'alpe di Lemma Alta a 30 minuti) sale verso il pizzo Vallone (lo vediamo alla nostra destra, a sud-est, e domina la scena per l'arcigno profilo roccioso) e poi piega a sinistra traversando alla casera di Lemma alta. E' questo secondo che ci interessa, ma per un buon tratto è molto difficile indovinare dove sia e bisogna procedere con molta attenzione. Portiamoci, ad un ponticello in legno, sul lato opposto del torrentello di Sona e cominciamo a salire a vista diritti verso la testata della valle, piegando poi leggermente a sinistra ed imboccando un vallone poco marcato, che risaliamo verso sud-est. Stiamo puntando all'ampio corpo franoso alle pendici settentrionali del pizzo Vallone. Superiamo diverse gobbe erbose e giungiamo a distinguere, alla nostra sinistra, un poggio erboso poco pronunciato. Puntando in quella direzione vediamo che appena a monte del cocuzzolo (per noi alla sua destra) c'è una pianetta con alcuni accumuli di sassi che sembrano un abbozzo di ometti. A destra di questa pianetta il crinale si impenna e appare occupato da macereti e sfasciumi. Attraversata la pianetta, cominciamo a vedere il sentierino che sale tagliando una fascia di massi e macereti a nord del pizzo Vallone. Il sentierino guadagna quota zigzagando, poi raggiunte il versante nord-orientale del pizzo Vallone. Inizia una traversata quasi in piano su terreno molto sporco: il sentiero c'è, ma la vegetazione lo nasconde alla vista. L'erba cela anche qualche masso a terra con la sigla GVO. Avanziamo con cautela, tagliando il versante che a valle è abbastanza ripido, ma occupato da una fitta fascia di ontani. Superata una valletta, lasciamo finalmente alle spalle la debordante vegetazione e ci portiamo ad un poggio erboso. Il sentiero volge ancora leggermente a destra e procede all'aperto, in direzione dell'ormai ben visibile casera di Lemma alta (m. 1986). La raggiungiamo e lasciamo alle spalle la parte più difficile della traversata. Da qui problemi di orientamento (se la visibilità è accettabile) non ce ne sono più. Dobbiamo ora effettuare la traversata della parte alta dell’alpe. Se perdiamo i segnavia (la traccia si fa qui molto incerta), possiamo anche procedere a vista. Raggiunto il passo di Lemma, sul crinale terminale della valle, quasi sulla verticale della casera (m. 2137)seguiamo il crinale, con qualche saliscendi, fino all’erbosa cima di Lemma (m. 2348), che chiude a sud est la valle, affacciandosi sulla testata della Val Lunga. Sul versante opposto un sentierino, che si appoggia a destra sul lato di Val Brembana, scende senza problemi alla grande croce del passo di Tartano (m. 2108). Seguendo l'indicazione dei cartelli, scendiamo in Val Lunga sul sentiero marcato che volge a destra, aggira un dosso e scendendo gradualmente raggiunge un bivio al quale andiamo a sinistra. Il sentiero si porta in vista del lago Piccolo (il lago Grande è poco più alto e vicino, alla nostra destra). Piegando a sinistra passiamo a destra del lago Piccolo, raggiungiamo procedendo verso nord ovest una baita isolata, poi prendiamo a destra (nord est), scendendo per facili balze alla bella conca dove si trovano le baite di Porcile (m. 1803). Sul limite inferiore di destra della conca, superato il torrente, troviamo l’evidente sentiero che prosegue nella discesa, oltrepassando anche il torrente che scende dalla val Dordonella e conducendo, oltre un piccolo boschetto, alla località Arale, dove, fra alcune altre baite, troviamo il rifugio Beniamino, alla sommità di ripidi prati che terminano ad una pista sterrata. Ad Arale si trova anche il rifugio Il Pirata.


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Nella quinta giornata prenderemo congedo dai luoghi del Bitto, il più celebre prodotto caseario valtellinese, per entrare in una quarta grande valle, anch’essa legata ad un’attività casearia di grande qualità, la Val Tàrtano. La traversata propone alcuni tratti nei quali bisogna prestare attenzione a non perdere la traccia, debole ed intermittente (attenzione ai segnavia) ed alle indicazioni GVO che sono posta anche su massi9.
Il cammino ha inizio con la breve salita al passo di San Marco (m. 1992), scavalcato da una strada asfaltata che congiunge la Val Brembana con la bassa Valtellina, in quanto scende fino a Morbegno, passando per Albaredo (albarée).
La salita al passo dal rifugio Casa Cantoniera Ca' San Marco non segue però la strada carrozzabile, ma subito sfrutta la Via Priula che troviamo alle spalle del rifugio e che risale il ripido pendio erboso fino alla piana del passo.

Prima di proseguire, fermiamoci al passo e respiriamo la suggestione del suo paesaggio e della sua storia antica. Il passo di San Marco (1992) è il valico più basso fra Valtellina e versante orobico meridionale ed è anche quello più facile e storicamente importante, da quando, con l’apertura della via Priula nel 1593, fortemente voluta dalla Serenissima Repubblica di Venezia (signora dal 1432 di Bergamo e delle sue valli), divenne il punto culminante della più trafficata via commerciale dalla Pianura Padana ai paesi di lingua tedesca attraverso la Valtellina (sotto la signoria delle Tre Leghe Grigie dal 1512 al 1797). La nuova via soppiantò la Via Mercatorum che passava per il vicino passo di Verrobbio, posto poco più ad ovest e chiamato in passato anche passo di Morbegno, fino al 1593 la più importante via commerciale fra Bergamo e la Valtellina. Il nome della nuova via è legato al capitano di Bergamo Alvise Priuli, che ne curò la progettazione e la realizzazione. 150 metri sotto la sella del passo di San Marco, sul versante della Val Mora (Val Brembana) venne edificata nel 1593 la Casa Cantoniera oggi rifugio Casa Cantoniera Ca’ San Marco, sulla cui facciata una targa riporta la seguente scritta: “Per due secoli questa cantoniera vigilò sulle alpi Brembane i traffici e la sicurezza della Repubblica di San Marco”.


La Val Brembana vista dal passo di San Marco

L’edificio, posto in un ripiano al riparo dalle valanghe, fungeva da rifugio (uno dei più antichi d’Europa) per i viandanti ed ospitava il rottiere che aveva l’incarico di tenere pulita la strada dalla neve garantendo, con non pochi sforzi, che fosse percorribile nell’intero arco dell’anno.


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Nella “Guida alla Valtellina” del 1884, edita dal CAI di Sondrio a cura di Fabio Besta (II ed.), infine, si legge: “Una strada di recente costrutta, quasi carrozzabile, lascia Morbegno e con brevi e numerosi andirivieni, attraverso vigneti e selve, sale le falde del monte, fino a entrare nella valle del Bitto per la pendice orientale, al di sopra del profondo e dirupato burrone per cui essa trova sbocco. Poi in ripida salita, passando attraverso vari casolari, e sempre per luoghi ameni, conduce ad Albaredo (800 m.) (421 ab.). di là una strada mulattiera ben tenuta sale ancora per poco fino ai casali di Sarten e alla Madonna delle Grazie, poi, abbassandosi, raggiunge il torrente che scende dalla Valle Pedena… , quindi, attraversando con varie giravolte una stupenda foresta di abeti e larici, sale al dosso Cerico, casolare in amenissima posizione.


La Via Priula in vista del passo di San Marco

Poscia continua addentrandosi nella Val d’Orto fino al passo (1826 m. ), in prossimità del quale vi ha una cantoniera o casa di rifugio detta Ca di San Marco, dove i viaggiatori possono trovare conforto di cibo e qualche letto per riposare. Da Ca di San Marco, per la Val Mora, si scende ad Averara, e quindi a Olmo sul Brembo, e di là a Piazza, a S. Pellegrino e a Bergamo. Da Morbegno al passo occorrono circa cinque ore e mezza di cammino; dal passo a Olmo circa tre ore. La Strada di San Marco, dichiarata provinciale, è mantenuta lungo la Valle del Bitto a spese dell’intera Provincia. Essa è la migliore e la meno alta fra le varie strade che attraversano la catena Orobia. È tuttavia molto frequentata: in passato, prima della costruzione della strada carrozzabile da Lecco a Colico, era frequentatissima giacchè per essa passavano le mercanzie che da Venezia e dallo Stato Veneto si importavano nella Svizzera e Germania orientale per i valichi dello Spluga, del Septimer e del Maloja.”


Pozza al passo di San Marco

Per la verità con la fine della dominazione delle Tre Leghe Grigie sulla Valtellina (1797) la Via Priula perse gradualmente la sua importanza, ed il passo la vivacità dei transiti. Un secolo e mezzo dopo, però, si rianimò di nuova vita con la nuova carrozzabile, percorsa non solo da autoveicoli, ma anche da molti motociclisti e ciclisti.
Il passo viene chiuso nei mesi invernali, ma è molto frequentato dalla tarda primavera all’autunno inoltrato. La realizzazione della strada venne promossa negli anni Sessanta del secolo scorso dagli amministratori della Val Brembana, e da questa valle ha per la prima volta raggiunto il passo. Negli anni successivi è stato realizzato il tracciato che sale al passo dal versante valtellinese, ed oggi il passo di San Marco è uno dei più suggestivi valichi montani, per la sua apertura, panoramicità e luminosità.


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Scendiamo ora dal passo in Valle di Albaredo restando sulla Via Priula. La troviamo a sinistra della strada, vicino all’aquila che sorveglia il passo. Scende verso nord, con un tracciato tranquillo, ad alcuni dossi erbosi sottostanti, poi comincia a perdere quota in uno scenario ingentilito da radi larici, fino a piegare leggermente a destra e calare, con qualche ripido tornante, alla piana dell’alpe di Orta Vaga (1694). Purtroppo dobbiamo ben presto lasciarla, perché il sentiero se ne stacca proprio in corrispondenza della casera: dobbiamo, infatti, seguendo le segnalazioni, staccarcene sulla destra, raggiungere le baite dell’alpe e, sfruttando la pista che le congiunge alla strada asfaltata (provinciale per il passo di San Marco), risalire a quest’ultima, dopo aver attraversato il torrente.

La Gran Via delle Orobie dal Passo di San Marco al Dosso della Motta, sulla base di Google Earth (fair use)

Percorriamo ora la strada provinciale in salita, verso destra, superiamo un tornante sinistrorso e, al successivo tornante destrorso, la lasciamo, sfruttando un sentiero poco visibile alla partenza: resta sulla destra della Val d'Orta, sale diritto sul fianco erboso, entra in una macchia di ontani e passa da destra a sinistra su un ponticello, proseguendo la salita. A quota 1900 lasciamo a destra la traccia che sale all'alpe di Orta Soliva, che si apre in alto alla nostra destra, e prendiamo a sinistra, aggirando il largo dosso boscoso che scende, verso nord-ovest, dal pizzo d’Orta (m. 2183). Usciti dal bosco, raggiungiamo la baita di quota 1856, al Dosso della Motta, su una larga striscia di panoramici pascoli, anch’essi legati alla produzione del famoso Bitto.


Baita più alta del dosso della Motta

Alla baita troviamo un nuovo gruppo di cartelli; seguendo quello della GVO procediamo salendo leggermente in diagonale verso sinistra (per chi guarda a monte; la traccia qui latita), fra radi larici, cercando con attenzione la traccia di sentiero che taglia, nella boscaglia, il fianco ombroso del pizzo d'Orta (con un breve passaggio assistito dal corda fissa) e si affaccia all’anfiteatro della valle di Pedéna, sul cui crinale è collocata l’ampia sella che costituisce il passo omonimo, incorniciato a destra (sud) dal monte Azzarini (m. 2431) ed a sinistra (nord) dal monte Pedena (m. 2399).


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Il sentiero ci porta ad un gruppo di tre cartelli semidivelti, tutti della GVO (Gran Via delle Orobie), che segnalano un bivio, ad una quota approssimativa di 1860 metri. Nella direzione della discesa dalla Val Pedena un cartello indica l’alpe Lago e l’alpe Piazza, data ad un’ora e 20 minuti (si tratta della variante bassa della GVO). Un secondo cartello indica nella direzione dalla quale proveniamo l’alpe Orta ed il passo di San Marco, dato ad un’ora e 50 minuti. Il terzo cartello della GVO, quello che ci interessa, indica che procedendo nella salita si raggiunge il passo di Pedena in un’ora e 10 minuti, per poi scendere all’alta Val Budria in un’ora e 40 minuti e quella della Val di Lemma in 3 ore e 30 minuti.
Saliamo dunque verso est-nord-est (la traccia, qui, non si vede), per poi piegare a destra ed attraversare una sorta di corridoio erboso. C’è da dire che in questo punto della salita non è facile seguire la traccia, che gioca a rimpiattino; in ogni caso si può salire anche a vista, descrivendo una diagonale che tende gradualmente a destra: ci si ritroverà ad un ripido versante erboso che sale diritto alla sella del passo (lo si può sfruttare, ma è piuttosto faticoso), oppure, proseguendo nella diagonale verso destra, alla baita isolata di quota 2000, leggermente a destra rispetto al passo (non è indicata sulla carta IGM). Vediamo, comunque, come tentare di seguire la traccia fino a questa baita.
Qualche segnavia sbiadito ci fa salire per un tratto verso destra, poi svoltare a sinistra, e quindi di nuovo a destra. Giungiamo, così, in vista del manufatto che serviva alla teleferica ormai in disuso, e che testimonia l’importanza, in passato, di questo ampio alpeggio. Sulla destra, più in basso, vediamo anche un calecc. Ora bisogna tirare un po’ ad indovinare: c’è una svolta a sinistra (con successiva svolta a destra), ma non è facile vederla. Se la perdiamo, prendiamo come punto di riferimento una splendida pianetta erbosa, e cominciamo a salire ad qui diritti, superando con un po’ di fatica ma senza difficoltà alcune rocce montonate: alla fine, ad una seconda pianetta, intercettiamo di nuovo, ad una quota approssimativa di 1960 metri, la traccia, che proviene da sinistra, e la seguiamo verso destra. Qui è tornata ben visibile, in alcuni tratti scalinata, e si destreggia fra diversi affioramenti rocciosi.
Passiamo, così, alti, sulla verticale del manufatto della teleferica, attraversiamo un piccolo corso d’acqua e raggiungiamo l’ampia conca della piccola baita posta a quota 2000 metri, presso la quale vediamo un grande roccione ed un ampio recinto con muretto a secco. Sul lato meridionale (di destra) del muretto vediamo una porta e, su un masso, un grande rettangolo bianco. L’indicazione riguarda non la salita al passo di Pedena, ma alla bocchetta di quota 2175, che vediamo più in alto, leggermente a sinistra (non confondiamola con un intaglio nella roccia molto più marcato, a destra) al termine di un canalone abbastanza ripido, aperta fra il pizzo d’Orta a destra (m. 2183), scuro corno roccioso che sorveglia l’angolo sud-occidentale della Val Pedena, e i versanti rocciosi che scendono a nord dal monte Azzarini, a sinistra.


Apri qui una fotomappa della Val Pedena, del passo di Pedena e della Val Budria

L’indicazione è rivolta a coloro che intendono effettuare una traversata dalla Val Pedena all’alta alpe d’Orta, sfruttando proprio la bocchetta. Dall’alpe d’Orta, poi, ci si può portare sul crinale che scende verso sud-ovest dal monte Azzarini e, percorrendolo, guadagnarne la cima.
Noi, invece, dobbiamo, dalla baita, procede in altra direzione (nord-est), cioè portarci sulla porta di sinistra (oltre la quale si trova un segnavia bianco-rosso), ritrovando il sentiero che attraversa un corso piccolo d’acqua da destra a sinistra (il medesimo che abbiamo attraversato in direzione inversa, poco sotto). Proseguendo diritti, passiamo per una bella porta intagliata in un roccione e raggiungiamo un
baitello diroccato a quota 2040; poi pieghiamo a destra, descrivendo un arco che ci porta a salire in direzione di un muretto a secco che sostiene un tratto del sentiero, a quota 2110 circa. Approdiamo alla fascia dei pascoli più alti, quando la traccia si perde saliamo per un tratto diritti zigzagando e la intercettiamo più in alto, in un punto nel quale tende a sinistra. Superato un piccolo gradino costituito da un masso, giungiamo in vista dei cartelli che, alti sopra di noi, segnalano il punto della sella nel quale è posto il passo.

La Gran Via delle Orobie dal Dosso della Motta al passo di Pedena, sulla base di Google Earth (fair use)

Ora possiamo anche procedere tranquillamente a vista, fino ai 2234 metri del passo di Pedena, che raggiungiamo dopo circa 2 ore minuti di cammino (il dislivello approssimativo in salita è di 700 metri). Il panorama dal passo non è molto ampio. Più ampio è quello sul lato della Valle di Albaredo: davanti a noi vediamo l’ampio dosso di Bema e, alle sue spalle, il versante occidentale della Val Gerola. Sul fondo, uno scorcio dell’alto Lario, della alpi Lepontine e della Costiera dei Cech.


Apri qui una panoramica sulla Valle del Bitto di Albaredo dal passo di Pedena

Sul versante opposto, invece, il panorama è dominato dall’alta Val Budria. I due cartelli della GVO posti sul passo ci informano che nella direzione dalla quale siamo saliti la GVO scende fino al bivio sopra menzionato, proseguendo (a sinistra) per il passo di S. marco, che si raggiunge dopo 2 ore e 30 minuti (il passo di Verrobbio è dato, invece, a 3 ore e 20 minuti). Sul versante della Val Tartano, invece, la GVO effettua, in 3 ore, la traversata al passo di Tartano (per il circo alto delle valli Budrie e di Lemma), scendendo, poi, ai laghi di Porcile (dati a 3 ore e 20 minuti).


Apri qui una panoramica sulla Val Budria dal passo di Pedena

Ci siamo affacciati sull’anfiteatro della Val Budria (dal termine bergamasco “büder”, che significa “vaso fatto di scorza di abete), il più occidentale dei due rami in cui si divide la Val Corta, a sua volta ramo occidentale dell’alta Val di Tàrtano.


Apri qui una fotomappa della Val Budria

Dobbiamo, ora, scendere alla baita dei Pradelli di Pedena, a 2024 metri. La traccia è assai labile, ma la discesa, un po’ ripida in alcuni tratti, può avvenire anche a vista, tenendosi sempre a destra di una fascia di massi precipitati dal fianco sud-orientale del monte Pedena. Raggiunta la baita, non proseguiamo verso sinistra (nord-est), sul sentiero che scende in val Budria, ma pieghiamo decisamente a destra, seguendo le indicazioni di un cartello ed imboccando un sentiero ben tracciato che si dirige all’ampia conca nella quale precipitano le balze del passo.


Apri qui una fotomappa della traversata della Val Budria dal passo di Pedena alla bocchetta di Lago

Inizia, così, la facile traversata dell’alta valle, con qualche saliscendi, ad una quota che dai 2000 metri si approssima gradualmente ai 2100. Passiamo, così, a valle del singolare ed isolato pizzo del Vento (m. 2235) e della bocchetta di Budria, sul crinale che separa la valle dalla Val Brembana. Si tenga presente che la cartina Kompass del Parco delle Orobie Valtellinesi indica, invece, un percorso più lungo e dispendioso, che prevede una discesa che porta oltre la casera di val Budria (m. 1488) ed una risalita sul fianco orientale del dosso che scende dal Foppone, fino alla casera di Lemma alta: direi che non ne vale proprio la pena, anche se la traversata alta (quella perlatro segnalata da cartelli e segnavia) pone qualche problema di orientamento.
Raggiungiamo, dunque, il limite orientale della valle, tenendoci in quota: ci attende un breve strappo, sul ripido crinale che la separa dalla Val di Lemma, fino ad una piccola sella erbosa, a circa 2200 metri (bocchetta del Lago), sul crinale che scende, verso nord, dal monte Tartano (m. 2292). Tocchiamo, così, i primi lembi del secondo ramo della Val Corta. L’alta val di Lemma è, a sua volta, divisa in due alpi terminali, separate da un dosso che scende dal pizzo del Vallone (m. 2249). La prima che incontriamo è l’alpe di Sona di Sopra. Dobbiamo scendere verso il pianoro dell'alpe, non puntando alla ben visibile baita sul limite di sinistra (settentrionale) dell'alpe, ma scendendo più a destra. Nel primo tratto scendiamo ripidi tendendo leggermente a destra e raggiungendo ad un ripiano appena accennato. Poi, seguendo una debole traccia, andiamo a sinistra, passando a monte di un corpo franoso, fino ad approssimarci al fianco del canalone. Pieghiamo di nuovo a destra, tagliando la parte mediana del corpo franoso e procedendo in direzione di un ripiano.


Apri qui una fotomappa del tratto della GVO in alta Val di Lemma

Appena prima del ripiano pieghiamo a sinistra e ci portiamo all'imbocco di un canalone poco marcato: qui pieghiamo a destra e scendiamo più o meno al centro dell'avvallamento, portandoci al ripiano dove si trova una baita isolata. Proseguiamo diritti e dopo breve tratto pieghiamo a sinistra, seguendo un nuovo avvallamento e portandoci alla casera di Sona di Sopra, a quota 1900 metri (la baita rammodernata, accanto ad un'altra baita, posta in una conca erbosa a lato del corso d'acqua principale).


Dal passo di Pedena alla bocchetta del Lago, sulla base di Google Earth (fair use)

La raggiungiamo seguendo la debole traccia, che scende zigzagando. Alla baita vicino alla casera troviamo i cartelli della GVO e dobbiamo prestare molta attenzione, perché la traversata all'alpe sul versante opposto (orientale) dell'alta Val di Lemma non è affatto semplice, in quanto la traccia è molto debole e l'orientamento non facile.


Apri qui una panoramica sulla Val di Lemma dall'alpe di Sona di Sopra

Dai cartelli si dipartono due sentieri, segnalati: uno scende sul fondovalle della Val di Lemma, il secondo (quello della GVO, che dà, molto ottimisticamente, l'alpe di Lemma Alta a 30 minuti) sale verso il pizzo Vallone (lo vediamo alla nostra destra, a sud-est, e domina la scena per l'arcigno profilo roccioso) e poi piega a sinistra traversando alla casera di Lemma alta. E' questo secondo ovviamente che ci interessa, ma definirlo sentiero è un eufemismo, perché dobbiamo salire per deboli tracce, con segnavia scarsi.


Baita con i cartelli della GVO all'alpe Sona di Sopra

Se la visibilità è buona, regoliamoci così. Prendiamo a destra, portiamoci su un ponticello in legno sul lato opposto del torrentello di Sona e cominciamo a salire a vista diritti, piegando poi leggermente a sinistra ed imboccando un vallone poco marcato, che risaliamo verso sud-est. Stiamo puntando all'ampio corpo franoso alle pendici settentrionali del pizzo Vallone. Superiamo diverse gobbe erbose e giungiamo a distinguere, alla nostra sinistra, un poggio erboso poco pronunciato. Puntando in quella direzione vediamo che appena a monte del cocuzzolo (per noi alla sua destra) c'è una pianetta con alcuni accumuli di sassi che sembrano un abbozzo di ometti. A destra di questa pianetta il crinale si impenna e appare occupato da macereti e sfasciumi.


La pianetta che precede la traversata da Sona di Sopra alla casera di Lemma Alta

Abbiamo l'impressione di essere davanti ad una porta, ed in effetti lo è: attraversata la pianetta, infatti, cominciamo a vedere il sentierino che taglia una fascia di massi e macereti a nord del pizzo Vallone. Il sentierino non procede diritto, ma guadagna quota zigzagando, poi si porta al versante nord-orientale del pizzo Vallone. Inizia una traversata quasi in piano su terreno molto sporco: il sentiero c'è, ma la vegetazione lo nasconde alla vista. L'erba cela anche qualche masso a terra con la sigla GVO. Avanziamo con cautela, tagliando il versante che a valle è abbastanza ripido, ma occupato da una fitta fascia di ontani.


Dalla bocchetta del Lago alla Casera di Lemma Alta, sulla base di Google Earth (fair use)

Superata una valletta, lasciamo finalmente alle spalle la debordante vegetazione e ci portiamo ad un poggio erboso. Il sentiero volge ancora leggermente a destra e procede all'aperto, in direzione dell'ormai ben visibile casera di Lemma alta (m. 1986). La raggiungiamo e lasciamo alle spalle la parte più difficile della traversata. Da qui problemi di orientamento (se la visibilità è accettabile) non ce ne sono più. Dobbiamo ora effettuare la traversata della parte alta dell’alpe. Se perdiamo i segnavia (la traccia si fa qui molto incerta), possiamo anche procedere a vista.


Sentiero Sona di Sopra-Casera di Lemma alta: il poggio che precede la casera di Lemma Alta

Una variante interessante prevede la salita al passo di Lemma, quasi sulla verticale della casera, appena un po’ spostato a sinistra (m. 2137). Al passo giunge anche, dalla val Brembana, una mulattiera. Senza più scendere nella valle, possiamo ora seguire il crinale, con qualche saliscendi, fino all’erbosa cima di Lemma (m. 2348), che chiude a sud est la valle, affacciandosi sulla testata della Val Lunga.


Apri qui una foto-mappa della GVO nel tratto dalla Casera di Lemma Alta al crinale che sale alla cima di Lemma

I segnavia del sentiero individuano, invece, un percorso appena più basso, che passa attraverso il passo della Scala, appena sotto la cima. Alla piazzola erbosa della cima non ci attendono croci né ometti, ma un buon panorama, soprattutto a nord, dove dominiamo l'intero gruppo del Masino (mentre alla sua destra le cime della Valmalenco restano nascoste dietro il versante orientale della Val di Tartano).
Guardando a nord e procedendo verso destra vediamo la testata della Costiera dei Cech ed il gruppo del Masino, solo in piccola parte coperto dal monte Gàvet, in primo piano a nord. Si distinguono, così, da sinistra a destra la punta Torelli (m. 3137) e la punta S. Anna (m. 3171) che precedono il celeberrimo pizzo Badile (badì, m. 3308), cui fa da vassallo la punta Sertori (m. 3195). Segue il secondo signore della Val Pocellizzo, il pizzo Cengalo (cìngol, m. 3367). Alla sua destra i puntuti pizzi Gemelli (m. 3259 e 3221), il passo di Bondo (pas da bùnd, m. 3169), che dà sulla Val Bondasca, in territorio svizzero, ed i pizzi del Ferro occidentale o cima della Bondasca (m. 3267), del Ferro centrale (m. 3287), e del Ferro orientale (m. 3200). Alla loro destra spicca la poderosa cima di Zocca (m. 3175), sulla testata della valle omonima, seguita dalla punta Allievi (m. 3121), dalla cima di Castello (la più alta del gruppo del Masino, con i suoi 3392 metri), e dalla punta Rasica (rèsga, m. 3305). I tre poderosi pizzi Torrone (turùn, occidentale, m. 3351, centrale, m. 3290, ed orientale, m. 3333) chiudono la valle omonima, che precede l’ampia Val Cameraccio, sulla cui testata si pongono il monte Sissone (sisùn, m. 3330), la punta Baroni, o cima di Chiareggio settentrionale (m. 3203), le cime di Chiareggio centrale (m. 3107 e 3093) ed il monte Pioda (m. 3431), posto immediatamente a sinistra dell’imponente ed inconfondibile monte Disgrazia (m. 3678).


Clicca qui per aprire una panoramica a 360 gradi dalla cima di Lemma

Nella discesa dalla cima ci appoggiamo al versante bergamasco del crinale che scende verso est, calando così facilmente, su traccia di sentiero, al passo di Tartano (m. 2108), presidiato da una ben visibile croce. Anche questi luoghi recano diverse tracce delle fortificazioni della Prima Guerra Mondiale, che, per fortuna, non giunse però mai ad insanguinare il suolo orobico.

Dalla Valle di Lemma alle Casere di Porcile, sulla base di Google Earth (fair use)

Il passo non riveste però solo questo motivo di interesse storico. Da questo facile valico, per secoli, sono passati i valligiani della Val Tartano per scendere in Val Brembana e vendere i propri prodotti al mercato di Branzi. Ancora oggi la memoria di questa antica consuetudine di frequentazione trans-orobica è mantenuta viva e celebrata durante l'incontro estivo di valligiani dell'uno e dell'altro versante, che si ritrovano proprio sul passo, dove viene celebrata, a luglio, una S. Messa.
Esso merita qualche approfondimento storico.
Si tratta del più facile valico, dopo il passo di San Marco, fra Valtellina e Val Brembana. Nel Medio-Evo e probabilmente anche in epoche assai anteriori fu quindi valicato da quanti transitavano dalla Bergamasca alla Valtellina. Veniva chiamato in passato, più spesso, passo di Porcile (ora questa denominazione è assegnata, dalla carta IGM, al meno agevole valico posto più ad est).
Qualcuno ipotizza che di qui passò anche S. Barnaba, unico, fra i 12 apostoli, a predicare il Cristianesimo nelle terre dell’attuale Lombardia: a lui è infatti dedicata la chiesa patronale di Tartano. È però assai improbabile che ciò sia accaduto, così come è pura congettura che di qui sia passata la X
legione Retica che al tempo della morte di Cristo in croce era di stanza in Palestina, e che quindi fu esecutrice della condanna a morte del Salvatore. È invece probabile che per questo passo siano passati gli sbandati militi al servizio della Serenissima, comandati da Giorgio Cornaro, dopo la disfatta nella battaglia di Delebio del 1432, subita ad opera delle truppe al servizio dei Visconti di Milano, con l’intervento decisivo del condottiero chiurasco Stefano Quadrio.  Il passo era, allora, presidiato da una chiesetta (misurava 4,5 x 5,5, m.), la cui data di edificazione è ignota, dedicata a S. Salvatore, prima (il che farebbe supporre che risalisse ai primi secoli dell’età cristiana, come l’omonima in Valle del Livrio di Albosaggia), a S. Sisto, poi. Si tratta del Papa Sisto V, che condusse una lotta implacabile contro i briganti nello Stato della Chiesa; la dedicazione non fu casuale: anche qui il flagello dei briganti era una delle insidie più temute da mercanti e contrabbandieri che vi passavano con tabacco, vino, castagne secche,  burro, ricotta fresca e salata, fasere, gerli, campac, formaggi quartiroli, formaggio del tipo Bitto, pecore, capre, mucche della pregiata razza bruna alpina, acquistate nelle fiere di Branzi.


Panorama orientale dal sentiero che scende al passo di Tartano

La chiesetta andò in rovina; nel 1960 al suo posto venne eretta una grande croce in larice, con la partecipazione finanziaria dei comuni di Tartano, Valleve e Foppolo, che riportava la scritta “Passo di San Sisto”; è stata poi sostituita dall’attuale grande croce in metallo. Sempre nel secondo dopoguerra venne addirittura ipotizzata la costruzione di una superstrada che da Milano, passando per Bergamo, Foppolo, Tartano, Sostala, Rodolo, scendesse a Sondrio,  passando poi in Valle di Poschiavo e raggiungendo S. Moriz. Il progetto venne steso dagli ingegneri Filippo Orsatti di Sondrio, Aldo Colleoni, Giacomo Paganoni, Cristofaro Bietti e Claudio Mandelli di Bergamo. Venne costituito anche un Consorzio per sostenere il progetto, denominato "Frangar non flectar", cioè “Mi spezzerò ma non mi piegherò”, costituito in data 3 aprile 1953 con sede a Branzi. Il motto voleva esprimere la più ferma determinazione, ma, com’è ben noto, nessuna superstrada ha mai raggiunto e scavalcato il passo di Tartano. 
Ne “La storia di Tartano” Camillo Gusmeroli scrive:


Il passo di Tartano (Crus)

Su questo crinale, dal Pizzo Torrione al Canalino del Tufo sono ancora visibili i camminamenti, le trincee ed i muri di una casermetta della capienza di due compagnie di soldati in pieno assetto di guerra, collegata, da una buona rotabile al fortino, di PASSO TARTANO, intersecandosi al Piano dei Re, scendeva al Baitone dell'alpe Saline, attraversava dolcemente lo spondone e l'alpe Fontanini di Mattina e di Sera, dove si diramava: un tronco saliva al passo Camera e l'altro, seguito il dolce degrado dell'Alpe Sessi, si diramava nuovamente: uno per il passo S. Simone che dà sul comune di Mezzoldo e l'altro scendeva alla Chiesetta di Capobrembo, tracciato ripristinato per gli impianti sciistici attuali di S. Simone. Questi colossali lavori militari, non inferiori a quelli di Passo Dordona, di Foppolo, di passo Carriera o Lemma di Valcorta, di S. Simone, Valleve-Mezzoldo, eseguiti durante la guerra 1915-1918 dal Tonale a Colico (Forte) erano stati preventivati per un eventuale rottura del Fronte italiano… Certo è che da quando il piede umano incominciò a posarsi in valle, quel passo è sempre stato punto d'incontro e passaggio di civiltà e credenze in evoluzione.”


Lago Piccolo e Lago Grande (clicca qui per ingrandire)

Ma torniamo al racconto della traversata. La quinta e penultima tappa sta volgendo al termine: dobbiamo, intatti, ora scendere al rifugio Beniamino, in località Arale (termine connesso con il bergamasco “aral”, cioè “spianata con cataste di legna da ardere”, oppure con il canavesano “eral”, cioè “spianata nel casale”; m. 1500), per il pernottamento.

Dalle Casere di Porcile ai rifugio Beniamonio ed il Pirata, sulla base di Google Earth (fair use)

Seguendo l'indicazione dei cartelli, scendiamo in Val Lunga sul sentiero marcato che volge a destra, aggira un dosso e scendendo gradualmente raggiunge un bivio al quale andiamo a sinistra. Il sentiero si porta in vista del lago Piccolo (il lago Grande è poco più alto e vicino, alla nostra destra). Piegando a sinistra passiamo a destra del lago Piccolo, raggiungiamo procedendo verso nord ovest una baita isolata, poi prendiamo a destra (nord est), scendendo per facili balze alla bella conca dove si trovano le baite di Porcile (m. 1803). Sul limite inferiore di destra della conca, superato il torrente, troviamo l’evidente sentiero che prosegue nella discesa, oltrepassando anche il torrente che scende dalla val Dordonella e conducendo, oltre un piccolo boschetto, alla località Arale, dove, fra alcune altre baite, troviamo il rifugio Beniamino, alla sommità di ripidi prati che terminano ad una pista sterrata (si tratta della prosecuzione della strada che da Tartano sale, fino ad una galleria paravalanghe, in Val Lunga). Ad Arale si trova anche il rifugio Il Pirata. Si chiude qui una tappa abbastanza faticosa, dal momento che diversi saliscendi impongono il superamento di un dislivello complessivo di circa 1300 metri, in circa 9 ore di cammino.

CARTE DEL PERCORSO SULLA BASE DI © GOOGLE MAP (FAIR USE)

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