LA BOCCHETTA DI TRONA NELLA STORIA


Val Varrone

Con due giorni a disposizione, buone previsioni meteorologiche e la volontà di scoprire qualcosa di più fra le molteplici possibilità escursionistiche offerte dalla Val Gerola possiamo progettare un bellissimo anello, denso di significati storici e paesaggistici, fra Val Gerola, Val Varrone e Val di Fraina. Il primo giorno ci fa traversare da Laveggiolo, sopra Gerola Alta, a Premana per la bocchetta di Trona, il secondo ci fa tornare a Laveggiolo per la cima di Fraina e la Val Vedrano.
L'anello tocca luoghi densi di bellezza naturale ma anche di suggestione storica, primo fra tutti la bocchetta di Trona ("buchéta de Truna"), che è, dal punto di vista storico, il più importante fra i numerosi valichi che collegano i due versanti della lunga catena orobica.
Tale importanza ha radici antichissime: di qui, infatti, passa quella via del Bitto che è stata, per molti secoli, la via di comunicazione terrestre più diretta e breve fra la Valtellina ed il basso Lario, il che vuol dire, poi, con Milano. Il suo primato cominciò ad essere intaccato solo in epoca medievale, con la costruzione di una strada sulla riva orientale del Lario, poi ampliata nel secolo XIX. Ma al tempo dei Romani questi temevano una calata dei barbari proprio da qui (e fortificarono diversi luoghi strategici della Valsassina), ed è a loro che risale la definizione di questo asse come “via gentium”, cioè via delle genti. Parrebbe strano, visto che si dipana nel cuore delle Orobie occidentali, fra Valsassina (o, più precisamente fra Val Troggia, Val Biandino ed alta Val Varrone) e Val Gerola, eppure è così.
Qualche dato generale aiuta a comprendere l’importanza storica di questa direttrice. La via parte da Introbio, nel cuore della Valsassina, ma facilmente raggiungibile da Lecco (che dista circa 16 chilometri). Si sviluppa per 11,5 km da Introbio alla bocchetta di Trona (al confine fra le province di Bergamo e Sondrio), con un dislivello in salita di circa 1500 metri, e per 20 km dalla bocchetta di Trona a Morbegno, con un dislivello in discesa di circa 1900 metri effettivi (1800 sulla carta). In totale, 31,5 km circa, che, aggiunti ai 16 da Lecco ad Introbio, portano la distanza fra Lecco e Morbegno a 47,5 km.
Per la Via del Bitto, da Introbio, in Valsassina, a Morbegno passarono, nei secoli genti, mercanti ed eserciti. Fin dal primo apparire dei popoli che, salendo da sud, colonizzarono per primi questo questo lembo della catena orobica. Sembra che i primi siamo stati i Liguri, seguiti dai Celti e dagli Etruschi. Vennero, quindi, i Romani, ai tempi dell’imperatore Augusto. E, dopo di loro, venne la religione cristiana, predicata da S. Ermagora. Dopo la caduta dell’impero romano vennero i Goti, e dopo di loro i Longobardi, sconfitti dai Franchi: tutti passarono dalle valli orobiche, ed il valico della bocchetta di Trona era, fra tutti, il più praticato.


La bocchetta di Trona

All’inizio del Quattrocento salirono dalla Val Varrone alla bocchetta di Trona truppe al soldo dei Rusconi di Como, ghibellini, per dar man forte alla loro fazione, prevalente a Morbegno e sulla sponda orobica della bassa Valtellina, contro la fazione guelfa, che prevaleva a Traona e sul versante retico: la loro calata in valle, però, venne bloccata dalla coalizione avversa, salita in Val Gerola. Nel 1431 fu la volta dei Veneziani, che, uniti ad un contingente di Valsassinesi, varcarono la bocchetta per scendere a conquistare la bassa Valtellina, possesso dei Visconti di Milano: furono però disastrosamente sconfitti nella sanguinosa battaglia di Delebio l’anno successivo, nel 1432. Passarono di qui, il secolo successivo, nel 1515, i mercenari svizzeri in rotta dopo la sconfitta subita nella battaglia di Melegnano da parte dei Francesi: scesi in bassa Valtellina, molti di loro riuscirono a riparare nella natia Svizzera.
Nel 1531 venne un esercito nella direzione opposta, cioè dalla bassa Valtellina: si trattava di 6000 uomini delle Tre Leghe, capitanati da Giorgio Vestari, che, per la Val Troggia scesero ad Introbio, tentando di conquistarla. Vanamente. Sempre dalla Valtellina salirono i funesti Lanzichenecchi, nell’anno più nero della storia di questa valle, perché vi portarono un’epidemia di peste che ridusse la sua popolazione complessiva a poco più di un quarto. Pochi anni dopo, nel 1635, furono gli Spagnoli in rotta, sconfitti dai Francesi a Morbegno in uno dei tanti fatti d’armi della fase valtellinese della Guerra dei Trent’Anni, a varcare la bocchetta di Trona per scendere in Val Varrone. Ed ecco subito dopo, l’anno successivo, che il francese Duca di Rohan, vincitore sugli Spagnoli, passò anch’egli di qui per calare poi in Valsassina ed assumerne il controllo.


Rudere della casa Pio XI alla bocchetta di Trona

È l’ultimo transito significativo di armati, prima del secolo XX, quando, durante la seconda guerra mondiale, nell’ottobre del 1944, le forze nazifasciste organizzano un rastrellamento in grande stile che interessa la Valsassina. Gli elementi della brigata partigiana 55sima Rosselli, per sfuggire all’accerchiamento, decisero di ripiegare in Svizzera, lasciando solo alcune unità sul territorio della valle orobica, nell’intento di non perdere il contatto con la popolazione locale. Il grosso della brigata salì, quindi, in Val Troggia e, valicata la bocchetta di Trona, scese in Val Gerola, di cui attraversò l’intero fianco occidentale, passando per gli alpeggi di alta quota, al fine di evitare il presidio di SS italiane che stazionava a Pedesina. Dalla Corte scese, quindi, sul fondovalle, varcando, in punti diversi, con il favore delle tenebre, il fiume Adda, il 3 novembre. Gran parte degli elementi, risalito il versante orientale della Costiera dei Cech, si ritrovarono alla piana di Poira, sopra Civo, già sede, per alcuni mesi, del comando della 40sima Matteotti. Di qui traversarono alla Val dei Ratti ed alla Val Codera, riuscendo (non senza vittime) a passare in territorio elvetico per la bocchetta della Teggiola.
Poi più nulla. Ora passano solo i ben più miti escursionisti, lasciando impressioni ammirate ma anche, talvolta, qualche rifiuto davvero indesiderato.


Apri qui una panoramica sulla Val Varrone dalla bocchetta di Trona

Alla bocchetta di Trona giungeva anche una seconda importante strada storica, denominata "la Strada del Ferro" o "di Maria Teresa". A differenza della Via del Bitto, questa via saliva non dalla Valsassina, ma dalla Val Varrone, più ad ovest. Partiva infatti dalla frazione Giabi di Premana e risaliva tutta la Val Varrone. Venne tracciata molti secoli fa per trasportare a valle il minerale di ferro estratto nel bacino dell'alta Val Varrone. Guardando dalla bocchetta verso la Val Varrone, poco in basso, a sinistra, si vede ancora un baitello presso le ex miniere di ferro.
Il riferimento all'imperatrice Maria Teresa d'Austria si giustifica per il fatto che fu lei a promuoverne, nel Settecento, la risistemazione. Un'ulteriore intervento venne effettuato nel XX per inglobarla nel sistema di comunicazioni della liena Cadorna, che aveva nella bocchetta di Trona un nodo fondamentale. Il generale Cadorna sospettava infatti che la neutralità Svizzera proclamara dopo lo scoppio della Prima Guerra Mondiale e l'entrata in guerra del Regno d'Italia contro l'impero Austro-Ungarico non avrebbe retto e che quindi l'esercito Austro-Ungarico avrebbe potuto invadere la Valtellina dalla Valle di Poschiavo e dalla Val Bregaglia. Bisognava quindi fortificare tutto il crinale orobico per impedire che questo potesse scendere attraverso le valli della Bergamasca, minacciando Milano e la pianura Padana.


Fortino sopra la bocchetta di Trona

Questo spiega la presenza su un dosso a monte della bocchetta di un fortino militare (ancora in piedi) fatto costruire nel 1917. E' l'unico ad essere rimasto in piedi nell'intero complesso di fortificazioni della linea Cadorna che correva sul crinale orobico. Dentro la struttura è stata collocata anche una lapide che ricorda Giovanni Galbiati, perito nella scalata al pizzo di Trona il 17 agosto del 1927. Proprio sulla bocchetta, invece, si trova il rudere della struttura edificata nel 1924, Casa Pio XI, rifugio-colonia estiva della Federazioni Oratori Milanesi, che fu poi incendiata dai nazifascisti il 21 marzo 1944, per togliere ai partigiani un punto di appoggio.
Una nota linguistica, per concludere: il toponimo "Trona" è, in questi luoghi, tanto diffuso da essere riferito, oltre alla bocchetta, ad un pizzo, ad un lago ed ad un'alpe; esso deriva da "truna", che significa "ricovero", "luogo riparato", ma anche "cunicolo", e si riferisce, qui, ai cunicoli delle miniere di ferro sfruttate in passato.


Apri qui una panoramica dalla bocchetta di Trona

L'ANELLO VAL GEROLA-VAL VARRONE-VAL DI FRAINA - 1 -
LAVEGGIOLO-RIF. TRONA SOLIVA-RIF. CASERA VECCHIA DI VARRONE-PREMANA

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Laveggiolo-Rif. Trona Soliva-Bocchetta di Trona-Rifugio Casera Vecchia di Varrone
3 h
670
E
SINTESI. Alla prima rotonda all'ingresso di Morbegno (per chi proviene da Milano) prendamo a destra ed alla successiva ancora a destra; dopo un ponte imbocchiamo la provinciale della Val Gerola, saliamo a Gerola Alta e all'uscita dal paese lasciamo la strada per Pescegallo per prendere a destra, imboccando la strada che termina a Laveggiolo, dove parcheggiamo (m. 1471). Ci incamminiamo sulla pista che procede verso ovest-sud-ovest, in direzione dell'imbocco della Val Vedrano, lasciandola però non appena vediamo sulla sinistra un sentiero che se ne stacca traversando più basso fino al torrente Vedrano, che supera su un ponticello, per poi salire sul versante opposto e tagliare più volte la pista. Alla fine restiamo sulla pista e giungiamo così alla casera quotata 1865 e proseguiamo sul tracciato che si inoltra nella valle della Pietra, in direzione del rifugio Trona Soliva. La traversata, con qualche saliscendi, ci porta al grande edificio del rifugio di Trona Soliva (m. 1907). Poco oltre il rifugio c'è un bivio segnalato, al quale andiamo a destra (indicazioni per la bocchetta di Trona), seguendo il sentiero che aggira un dosso e procedendo verso sud-ovest raggiunge la bocchetta di Trona (m. 2092). Sul versante opposto si apre la Val Varrone: ignorato il sentiero di sinistra che traversa ai rifugi Falc e Santa Rita, scendiamo lungo il sentiero che si abbassa verso ovest-nord-ovest, raggiungendo la piana nella quale è posto il rifugio Casera Vecchia di Varrone (m. 1672). Dal rifugio seguiamo la stradella che scende lungo l'intera Val Varrone correndo a ridosso del torrente, fino a Premana (m. 951). Procediamo attraversando la piana oltre il rifugio, verso ovest, restando a destra del torrente Varrone. Un tempo sul limite della piana esisteva, secondo un’ipotesi, una torre di avvistamento, di cui però non sono rimaste tracce. La pista comincia poi a scendere e, attraversato un torrentello laterale, attraversa anche verso sinistra il torrente Varrone, piegando poi a destra e correndo a ridosso dello stesso, lungo la sezione più incassata della valle, descrivendo un ampio cerchio verso sinistra. A quota 1480 metri circa piegando ancora a sinistra se ne allontana raggiungendo la sommità di un poggio, per poi scendere piegando a destra, con diverse svolte, verso ovest. Poi un nuovo ponte (m. 1361) ci riporta a destra (nord) del torrente), e di nuovo, piegando a sinistra, lo seguiamo in direzione nord-ovest. Un ponticello ci consente di superare il torrentello che scende dai ripidi versanti meridionali del pizzo Laréc’ (Lareggio). A breve distanza ne superiamo un secondo e, un po’ più avanti, troviamo il ponte sul torrente de la Valée, presso una cappelletta nella quale è raffigurata una Madonna con Bambino, sotto la caratteristica cascata del Dente. Dopo il ponte ci raggiunge un sentiero che scende da destra e siamo alla località Pé d’Artin (1270 m). Più in basso la pista passa per le baite di Vegessa (m. 1200). Restando a destra del torrente Varrone scendiamo ancora leggermente verso nord-ovest e, superato l’ennesimo torrentello laterale, siamo alle baite dell’alpe Forni (m. 1128). La pista mantiene la sua direzione nord-ovest, avvicinandosi allo sbocco della valle. Superata una croce dedicata alpini di Premana caduti durante la II Guerra Mondiale, passiamo sotto il dosso di Pegnaduro, con una bianca cappelletta con portico, e raggiungiamo un nuovo ponte, che ci permette di superare il torrente Fraina. Traversando verso ovest raggiungiamo le baite dell’alpe Gebbio (m. 824). Qui siamo ad un bivio. Il percorso più breve sale a destra verso Premana. Bisogna prestare un po' di attenzione per imboccarlo. Lasciamo l’ex strada militare e saliamo verso destra, alle case più alte di Gebbio. Prima dei tornanti che portano alle baite più in basso vediamo a destra della strada, presso un ruscello che la attraversa e sotto una fontana a destra, il palo di legno su cui c'era un cartello con indicazione "Premana". Imbocchiamo qui il sentiero che sale verso ovest, fino ad intercettare la circonvallazione di Premana (m. 951). La variante più lunga scende invece verso sud-ovest ad un ponte in sasso del periodo di Maria Teresa, attraversando di nuovo il torrente Varrone. Restando presso il torrente, alla sua sinistra, scendiamo verso sud-ovest fino al ponte (m. 764) che ci introduce alla parte industriale di Premana. Appena oltre il ponte ignoriamo la carrozzabile e seguiamo il sentierino che sale verso nord e porta al centro di Premana (m. 951), dove la traversata termina.


Apri qui una panoramica sulla Valle della Pietra dalla pista per il rifugio di Trona Soliva

Vediamo ora come salire al rifugio di Trona Soliva ed alla bocchetta di Trona, per poi scendere facilmente al rifugio Casera Vecchia di Varrone.
Per raggiungere la bocchetta di Trona abbiamo due possibilità di fondo: una prima, più impegnativa, parte da Gerola e risale la valle della Pietra ("val de la Préda"), ed una seconda, più agevole, parte da Laveggiolo e passa per il rifugio di Trona Soliva. Raccontiamo la prima.
Portiamoci all’uscita di Gerola verso sud (alta valle) e, ignorata la deviazione sulla destra per le frazioni di Castello e di Laveggiolo (“Lavegiöl”), proseguiamo fino al ponte sul torrente che scende dalla valle della Pietra. Appena prima del ponte, stacchiamoci dalla strada sulla destra, percorrendo per un breve tratto una strada asfaltata che ci conduce ad un secondo ponte, superato il quale ci troviamo sul lato sinistro (per noi) della valle della Pietra. Percorriamo, così, per un buon tratto una bella mulattiera, fino ad intercettare una pista sterrata, che, tagliando un bel bosco di larici, ci porta ad una radura con alcune baite, a quota 1250. Qui troviamo un ponte che ci riporta sul lato destro della valle, dove seguiamo per un tratto l’argine del torrente, prima di cominciare a salire in un bosco, trovando, a quota 1450 circa, un bivio. Un cartello ci informa che entrambi i rami portano al rifugio di Trona, quello di destra in un’ora, quello di sinistra in un’ora e mezza. Il primo, infatti, sale deciso sul fianco della valle, in un bellissimo bosco, per poi sbucare, a quota 1700, su un ampio dosso, occupato dai prati e da qualche larice solitario, e salire, con traccia debole, fino ad intercettare, a quota 1900, la mulattiera che da Laveggiolo effettua la traversata all’alpe di Trona Soliva.
Noi dobbiamo, però, seguire la traccia di sinistra, che, dopo qualche metro, supera un primo torrentello che scende dal fianco orientale della valle, per poi incontrarne, più in alto, un secondo. Stiamo salendo, con diversi tornanti, su una bella mulattiera, con fondo lastricato di pietre, in uno scenario che non manca di elementi di asprezza, legati alle slavine che hanno reso irregolari le macchie e la vegetazione. Intorno a quota 1580 incontriamo una deviazione, sulla sinistra: si tratta di un sentiero che punta verso il bacino artificiale di Trona. Noi proseguiamo sul tracciato principale, che in alcuni punti è scavato nella roccia, ed a quota 1620 metri circa varchiamo in senso opposto, cioè da sinistra a destra, il torrentello incontrato più in basso, che in questo punto scende, molto suggestivamente, da una lunga roccia, dalla pendenza non accentuata, con un fresco scroscio. Più in alto, ritroviamo per la terza volta, a quota 1780 metri, il corso d’acqua, e lo varchiamo da destra a sinistra, per poi cominciare a risalire un largo dosso che porta al limite inferiore dei pascoli di Trona, passando a destra della casera nuova di Trona (m. 1830).


L'alta Valle della Pietra

Al termine della salita, ci troviamo ad un quadrivio, nel quale alcuni cartelli ci chiariscono un po’ le idee. Abbiamo, infatti, intercettato la Gran Via delle Orobie, che, percorsa verso destra porta al rifugio di Trona Soliva, mentre in senso opposto si dirige al bacino artificiale di Trona. C’è, però, anche un sentierino che si stacca dalla Gran Via e punta deciso, in salita, alla bocchetta di Trona, ed è quello che ci interessa. Se, però, vogliamo prima sostare al rifugio di Trona Soliva, ottenuto riadattando la casera vecchia di Trona (m. 1907), prendiamo a destra.
Il rifugio è già ben visibile, ai piedi dell’ampio e luminoso anfiteatro di alpeggi che si dispiega ai piedi del versante orientale del pizzo Mellasc (m. 2465). Lo raggiungiamo dopo un ultimo tranquillo tratto: sono trascorse circa due ore e mezza dalla partenza, ed abbiamo superato 850 metri in altezza. Il panorama dal rifugio è bellissimo: guardando a sud, riconosciamo lo sbarramento della diga di Trona e, alla sua destra, la mole imperiosa del pizzo omonimo (m. 2510). Alle spalle della diga si vede bene anche il solco della valle della Pietra, risalendo la quale si trova il bellissimo lago Zancone ("làch Sancùn", m. 1856) e la bocchetta di Trona (m. 2324). Più a sinistra, il Torrione di Tronella (m. 2311), nel quale culmina la frastagliata costiera che divide le valli di Trona e di Tronella.


Il rifugio Trona Soliva

Vediamo, ora, come giungere al rifugio da Laveggiolo (seconda possibilità), e, infine, come proseguire dal rifugio alla bocchetta. Raggiunta, dunque, Gerola Alta sfruttando la provinciale n. 7 della Val Gerola, in uscita dal paese, subito dopo la chiesa di S. Bartolomeo ed il piccolo cimitero, lasciamo la strada principale e prendiamo a destra, su strada asfaltata che sale alle frazioni alte ad ovest del paese. Dopo pochi tornanti passiamo a destra della località Castello (“castèl”, nucleo già citato in un documento del 1323); ignorata la deviazione a destra per la località Case di Sopra (“li cà zzuri”, già citata nel 1333 e distrutta da una valanga nel 1836), incontriamo, quindi, nel successivo tratto la chiesetta secentesca di San Rocco (“san ròch”, m. 1395), su un poggio panoramico che guarda all’alta Val Gerola. I successivi tornanti destrorso e sinistrorso ci portano, infine, a Laveggiòlo (“lavegiöl”, m. 1470), dove troviamo un parcheggio al quale lasciare l’automobile.
L’antico nucleo è citato già in un documento del 1321, dove risulta costituito  da tre nuclei famigliari, tutti Ruffoni, che discendono da un unico capostipite, tal ser Ugone. È collocato su una fascia di prati assai panoramica (il colpo d’occhio sul gruppo del Masino e sulla testata della Val Gerola è davvero suggestivo), nella parte mediana del lungo dosso che scende verso est dalla cima del monte Colombana (“ul pizzöl”, m. 2385). Il suo nome deriva, probabilmente, da "lavegg", la nota pietra grigia molto utilizzata in Valtellina per ricavarne piatti ed altri utensili.
Dalla spianata del parcheggio, dove si trova anche un’edicola del Parco delle Orobie Valtellinesi, parte una pista sterrata che si dirige verso l’imbocco della Val Vedràno (“val vedràa”), il cui torrente, omonimo, confluisce nel Bitto poco a nord di Gerola.
Si tratta di una pista chiusa al traffico; un gruppo di cartelli vicino a quello di divieto di accesso ci segnala, fra l’altro, che imboccando la pista percorriamo un tratto della Gran Via delle Orobie (G.V.O.) e insieme del Sentiero della Memoria (a ricordo del ripiegamento della 55sima brigata partigiana Fratelli Rosselli, che effettuò, nel novembre del 1944, la traversata Valsassina-Val Gerola-Costiera dei Cech-Valle dei Ratti-Val Codera-Svizzera), che ci porta, in un’ora e mezza, al rifugio di Trona Soliva; da qui, poi, con un’ulteriore ora di cammino, possiamo portarci al rifugio Falc. Incamminiamoci, dunque, sulla pista, fino a trovare, dopo un breve tratto, sulla sinistra, un cartello della G.V.O. che segnala la partenza di un sentiero (segnalato da segnavia rosso-bianco-rossi) che se ne stacca per portarsi, con tracciato più diretto, al guardo del torrente Vedrano. Lo imbocchiamo e, dopo una breve e poco marcata discesa, procediamo quasi in piano, superando alcune baite; ad un bivio, presso una fontanella ed un casello del latte, ignoriamo la traccia meno marcata che sale verso destra (indicazione “Vedrano” su un masso), procedendo diritti. Superati in rapida successione due modesti corsi d’acqua, usciamo dal bosco e superiamo un torrentello, per poi scendere leggermente fino al ponticello di travi in legno che ci permette di superare il torrente Vedrano (m. 1541).
Sul lato opposto della valle troviamo subito, a destra, un’amena radura, con un tavolo in legno e due panche per chi volesse sostare; un’indicazione su un masso (“Castello”) segnala che giunge fin qui anche un sentiero che parte più in basso, dalla località Castello. Il sentiero, che qui diventa larga mulattiera, prende a salire sul fianco boscoso della valle, ingentilito da luminosi larici e, dopo un traverso a sinistra, propone una sequenza di tornanti dx, sx, e dx, prima di intercettare, a quota 1595, la medesima pista sterrata che abbiamo lasciato poco dopo Laveggiolo. Dopo un tornante a destra ed il successivo a sinistra, percorriamo un lungo traverso, superando un primo traliccio, un torrentello ed un secondo traliccio (si tratta della linea ad alta tensione che scavalca il crinale orobico in corrispondenza della bocchetta di Trona), presso una radura. Passiamo, poi, accanto alla baita isolata quotata 1725 metri. Una sosta ed uno sguardo alle nostre spalle ci permette di ammirare l’ottimo colpo d’occhio sulle cime del gruppo del Masino, dal pizzo Cengalo al monte Disgrazia.


Clicca qui per aprire una panoramica sul gruppo del Masino visto dalla pista per il rifugio Trona

Dopo il successivo tornante a destra, troviamo, sulla sinistra, il cartello che segnala la ripartenza della mulattiera che abbiamo lasciamo un bel tratto sotto. Saliamo per un tratto verso sinistra, poi affrontiamo una sequenza di tornanti dx-sx-dx-sx ed usciamo dalla macchia di larici, attraversando una piccola radura fino ad una roccia affiorante, per poi volgere di nuovo a destra. Dopo un ultimo tornante a sinistra, raggiungiamo una radura con un tavolo in legno e due panche: siamo alla “furscèla” (m. 1888), cioè alla forcella, piccola bocchetta sul crinale che dal Piazzo (“piz di piàz”, m. 2269) scende verso est.
Ci affacciamo, così, sulla soglia settentrionale dell’ampio bacino dell’alpe di Trona e si apre davanti a noi l’intera testata della Val Gerola, che mostra, da est (sinistra), il monte Verrobbio (m. 2139), il pizzo della Nebbia (“piz de la piana”, m. 2243), i pizzi di Ponteranica (“piz de li férèri” o “piz ponterànica”, orientale, m. 2378, meridionale, m. 2372, occidentale, m. 2372), l’agile spuntone del monte Valletto (“ul valèt” o “ul pizzàl”, m. 2371), la compatta compagine della Rocca di Pescegallo (o Denti della Vecchia, “ul filùn de la ròca” o “denc’ de la végia”, cinque torrioni il più alto dei quali è quotato m. 2125 e che vengono visti come un unico torrione da Gerola, chiamato anche “piz de la matìna” perché il sole vi sosta, appunto, la mattina), i pizzi di Mezzaluna (“li mezzalüni”, vale a dire il pizzo di Mezzaluna, m. 2333, la Cima di Mezzo ed il caratteristico ed inconfondibile uncino del torrione di Mezzaluna, m. 2247), il pizzo di Tronella (“pìich”, m. 2311), il regolare ed imponente cono del pizzo di Trona (“piz di vèspui”, m. 2510) ed infine il più famoso ma non evidente, per il suo profilo tondeggiante e poco pronunciato, pizzo dei Tre Signori (“piz di tri ségnùr”, m. 2554, chiamato così perché punto d’incontro dei confini delle signorie delle Tre Leghe in Valtellina, degli Spagnoli nel milanese e dei Veneziani nella bergamasca).


Il rifugio di Trona Soliva

Dopo qualche saliscendi, raggiungiamo un grande traliccio, a monte del quale si trova un frangi-valanghe in cemento, su cui è scritto “Rifugio di Trona 10 min.” Pochi metri più avanti, infatti, dopo una semicurva ci appare la struttura del rifugio: ci vien da pensare che 10 minuti è stima ottimistica, e ci vorrà almeno un quarto d’ora. Dopo aver superato il punto nel quale ci intercetta, salendo da sinistra, il sentiero che sale diretto dal fianco orientale della Val della Pietra (segnalazione su un masso), ci attende un’antipatica discesa (infatti ogni discesa diventa salita al ritorno!), che ci porta ad attraversare un torrentello, prima di riprendere a salire. Attraversato il torrentello, alziamo lo sguardo verso il crinale nel quale culminano gli alpeggi: vedremo, alla sommità di una sorta di enorme scivolo erboso, il profilo sfuggente del pizzo Mellasc. Poi un ultimo tratto con qualche saliscendi ci porta al grande edificio del rifugio di Trona Soliva (“casèri végi”, la Casera vecchia di Trona sulla carta IGM, m. 1907), che offre i servizi di pranzo, di mezza pensione o pensione completa, con piatti tipici valtellinesi fatti in casa (pizzoccheri fatti a mano, gnocchi di patate al grano saraceno prodotti nel rifugio stesso, polente e carni, dolci fatti in casa) o classici della cucina italiana (lasagne, paste fresche all'uovo fatte in casa, ...). A 15 minuti dal rifugio c'è anche una palestra attrezzata di arrampicata su roccia. Diverse arrampicate con diversi gradi di difficoltà si trovano da mezz'ora di cammino in poi.


Apri qui una fotomappa della bocchetta di Trona e dei suoi dintorni

Dopo la sosta ristoratrice, ci rimettiamo in cammino. Appena oltre il rifugio, si trova un bivio: il sentiero di sinistra (prosecuzione della G.V.O. e del Sentiero della Memoria) scende alla Casera nuova di trona (“li caséri”), dalla quale si può salire diritti alla diga di Trona e poi prendere a sinistra (Tronella e Pescegallo), si può salire a destra (rifugio Falc e pizzo dei Tre Signori) e si può, infine, scendere a sinistra in Valle della Pietra, fino a Gerola; il sentiero di destra, invece, non segnalato da cartelli, sale alla bocchetta di Trona.o sud ovest dalla casera, vediamo, invece, la cima del Piazzo, bel terrazzo panoramico sulla Val Gerola.


Apri qui una panoramica sulla Val Varrone dalla bocchetta di Trona

Per salire alla bocchetta di Trona dal rifugio proseguiamo diritti, seguendo il sentiero che assume, nel primo tratto, la direzione sud-ovest, per poi volgere a sinistra, dopo aver attraversato un torrentello, ed aggirare un crinale che si stacca dalla quota 2302 e scende verso nord-est. Oltrepassato il crinale, ci troviamo ai piedi di un ampio e facile canalone e lo risaliamo, passando alti, sulla destra, rispetto alla baita isolata di quota 2019 ("baita de varùn"), e guadagnando i 2092 metri della bocchetta di Trona, riconoscibile anche per il grande traliccio che sembra vegliarla. Soffermiamoci, ora, ad ammirare il versante retico, dove si impone buona parte della lunga testata del gruppo Masino-Disgrazia, sulla quale distinguono, da sinistra, il pizzo Cengalo, i pizzi Gemelli, i pizzi del Ferro (sciöma dò fèr), la cima di Zocca, le cime di Castello e Rasica, i pizzi Torrone, il monte Sissone ed il monte Disgrazia, che si impone per la mole imponente.


Pizzo Varrone

Sul lato della bergamasca si apre, invece, un orizzonte assai vasto, che propone, in primo piano, l’ampia conca dell’alta Val Varrone, dove, a quota 1672, è posto il rifugio Casera Vecchia di Varrone. Si tratta di una struttura sempre aperta nella stagione estiva e nei finesettimana durante il resto dell’anno, che rappresenta un ottimo punto di appoggio per l’esplorazione delle Orobie occidentali. La discesa al rifugio può avvenire facilmente sfruttando un largo sentiero, anch’esso di notevole importanza dal punto di vista storico: si tratta dell’antica Strada del Ferro, poi denominata Strada di Maria Teresa.
A monte della bocchetta, appena sopra di noi, troviamo, invece, il rudere dell’ex-fortino militare fatto costruire nel 1917 nel contesto delle fortificazioni della linea Cadorna: si temeva, infatti, che, in caso di sfondamento del fronte dello Stelvio-Adamello, o di invasione della Svizzera, gli Austriaci avrebbero potuto dilagare, attraverso la Valtellina, nella pianura Padana, minacciando Milano. La linea orobica doveva, quindi, assicurare il versante delle Orobie bergamasche da possibili direttrici secondarie di attacco alla pianura padana, oltre che fungere da punto di partenza per eventuali controffensive. Il fortino divenne, dopo la guerra, una cappella. Sorse qui anche, nel 1924, Casa Pio XI, rifugio-colonia estiva della Federazioni Oratori Milanesi, che fu poi incendiata dai nazifascisti il 21 marzo 1944, per togliere ai partigiani un punto di appoggio. Per visitare l’ex-colonia Pio XI dobbiamo salire di qualche decina di metri dalla bocchetta, perché è collocato a quota 2122.


Val Varrone dal sentiero che scende dalla bocchetta di Trona

Per raggiungere il rifugio dobbiamo ora ignorare il sentiero di sinistra che traversa ai rifugio Falc e Santa Rita ed imboccare quello che scende verso ovest-nord-ovest sul facile sentiero che confluisce in una pista ed in circa mezzora ci porta alla piana dove scorre tranquillo il torrente Varrone e dove è posto il rifugio Casera Vecchia di Varrone.
Il rifugio è gestito da Antonella Gianola (tel.: 0341 1881142), e dispone di 24 posti letto, 30 posti pranzo e 24 posti tavola esterni. Per maggiori informazioni clicca qui o visita il sito www.rifugiovarrone.com/

Dal rifugio seguiamo la stradella che scende lungo l'intera Val Varrone correndo a ridosso del torrente, fino a Premana (m. 951).


Rifugio Casera Vecchia di Varrone

Procediamo attraversando la piana oltre il rifugio, verso ovest, restando a destra del torrente Varrone. Un tempo sul limite della piana esisteva, secondo un’ipotesi, una torre di avvistamento, di cui però non sono rimaste tracce.
Attraversiamo verso sinistra su un ponticello il torrente Varrone, piegando poi a destra e correndo a ridosso dello stesso, lungo la sezione più incassata della valle, descrivendo un ampio cerchio verso sinistra. La pista, con tratti ben lastricati, ad un tornante con transenne (m. 1520) troviamo una sorta di balcone panoramico sulla Val Varrone. A quota 1480 metri circa piegando ancora a sinistra se ne allontana raggiungendo la sommità di un poggio, per poi scendere piegando a destra, con diverse svolte, verso ovest. Poi un nuovo ponte (Ponte del Dente, m. 1361) ci riporta a destra (nord) del torrente), e di nuovo, piegando a sinistra, lo seguiamo in direzione nord-ovest. Vediamo da qui la bella Cascata del Dente.
Un ponticello ci consente di superare il torrentello che scende dai ripidi versanti meridionali del pizzo Laréc’ (Lareggio). A breve distanza ne superiamo un secondo e, un po’ più avanti, troviamo il ponte sul torrente de la Valée, presso una cappelletta nella quale è raffigurata una Madonna con Bambin. Dopo il ponte ci raggiunge un sentiero che scende da destra e siamoalla locallità Pé d’Artìn (1270 m.). Qui, presso una stuatuetta della Madonna, ci lascia sulla sinistra un sentiero segnalato che sale ad Artìn. Proseguiamo sulla pista, passando a sinistra di uno sbarramento artificiale sul torrente, che forma un piccolo laghetto.


Alpe Forni dall'alpe Casarsa

Cascata del Dente

Scendendo ancora siamo alle baite di Vegessa (m. 1200), tutte caratterizzate da una parte inferiore in murature e da una superiore intonacata. Ci accolgono un'area di sosta con alcuni tavoli, una croce inferro, una Madonnina ed una fontana. Troviamo un cartello che indica la Via del Ferro. Qui ignoriamo un sentiero che si stacca sulla sinistra e scende ad un ponte sul torrente, per poi risalire all’alpe Barconcelli. Sul lato opposto della valle vediamo le più numerose baite dell’alpe Casarza, verso le quali scende verso il torrente una pista.
Restando a destra del torrente Varrone scendiamo ancora leggermente verso nord-ovest e, superato l’ennesimo torrentello laterale, siamo alle baite dell’alpe Forni (m. 1128), il cui nome richiama inequivocabilmente le attività di lavorazione del materiale ferroso del passato. Qui troviamo anche un ristoro. Alla parte bassa delle baite troviamo una palina che indica la località Forni di Sopra (m. 1105).
La pista mantiene la sua direzione nord-ovest, a lato del torrente, avvicinandosi allo sbocco della valle. Superata una croce dedicata alpini di Premana caduti durante la II Guerra Mondiale ed una cappelletta dedicata a S. Uberto, patrono dei cacciatori. Sul lato destro c'è anche una fontanella e su quello sinistro un tavolo con due panche. Poco oltre passiamo sotto il dosso erboso di Pegnaduro (Pignadur, m. 1025), con una candida cappelletta con portico, e, con qualche saliscendi della pista che qui ha un fondo in cemento, raggiungiamo un nuovo ponte, che ci permette di superare il torrente Fraina, che scende dall’importante valle omonima e che poco più in basso confluisce nel torrente Varrone. Dopo una salitella troviamo una cappella dedicata a Sant'Antonio. Traversando verso ovest raggiungiamo le baite dell’alpe Gebbio (m. 824).


Cappelletta degli Alpini a Pegnaduro

Ponte in pietra all'alpe Gebbio

Qui siamo ad un bivio. Il percorso più breve sale a destra verso Premana. Bisogna prestare un po' di attenzione per imboccarlo. Lasciamo l’ex strada militare e saliamo verso destra, alle case più alte di Gebbio. Prima dei tornanti che portano alle baite più in basso vediamo a destra della strada, presso un ruscello che la attraversa e sotto una fontana a destra, il palo di legno su cui c'era un cartello con indicazione "Premana". Imbocchiamo qui il sentiero che sale verso ovest, fino ad intercettare la circonvallazione di Premana (m. 951).
La variante più lunga scende invece verso sud-ovest ad un ponte in sasso del periodo di Maria Teresa, attraversando di nuovo il torrente Varrone. Restando presso il torrente, alla sua sinistra, scendiamo verso sud-ovest fino al ponte (m. 764) che ci introduce alla parte industriale di Premana. Appena oltre il ponte ignoriamo la carrozzabile e seguiamo il sentierino che sale verso nord e porta al centro di Premana (m. 951), dove la traversata termina.


Premana

Premana

Premana

Premana

Premana

Premana

Val di Fraina, Premana e Valvarrone

L'ANELLO VAL GEROLA-VAL VARRONE-VAL DI FRAINA - 2 -
PREMANA-CIMA DI FRAINA-LAVEGGIOLO

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Premana-Alpe Fraina-Cima di Fraina-Laveggiolo
6 h
1340
EE
SINTESI. La seconda giornata dell’anello prevede la salita da Premana in Val di Fràina, tributaria della Val Varrone, fino all’alpe Fraina, dove, sfruttando il ramo meridionale del sentiero Cadorna, saliamo alla bocchetta di Colombana ed alla cima di Fraina, con discesa conclusiva in Val Vedrano ed a Laveggiolo. Una traversata fisicamente impegnativa, con un dislivello ragguardevole, ma priva di difficoltà tecniche. Punto di partenza è il parcheggio della Cooperativa di Premana (m. 1000), dove, in corrispondenza del tornante della strada, seguiamo i cartelli per l’alpe Fraina, imboccando la stradella con fondo in cemento che nel primo tratto sale verso nord, piegando poi a destra (nord-est). Camminiamo all’ombra di un bosco, mentre alla nostra destra un ripido versante precipita sul fondo della Val Varrone. Il bosco si apre ad alcune radure con nuclei di baite, Piegando leggermente a destra la stradella prosegue verso est-sud-est, poi piega a sinistra (nord-est) e scende ad un ponte in ferro che scavalca un torrentello che poco più in basso confluisce nel torrente Fraina. Siamo ormai prossimi all’imbocco della Val Fraina.  Proseguiamo poco sopra il torrente Fraina, che resta alla nostra destra, verso est, fino alle baite dell’alpe Rasica (Rasga, m. 1075), la prima della Val Fraina. Proseguendo diritti verso ovest superiamo una valletta e, dopo una coppia di tornanti sx-dx, saliamo leggermente per poi scendere a superare il ponte sul torrente Fraina, passando alla sua destra. Dopo una nuova copia di tornanti sx-dx, ci addentriamo nella valle, restando sul suo versante meridionale, salendo gradualmente e superando due torrentelli laterali, prima di raggiungere il bel poggio prativo dell’alpe Fraina (m. 1390). Attraversiamo le baite e procediamo per circa 200 metri, fino ad incontrare un bivio presso un ponticello, dal quale partono i due rami del sentiero Cadorna. Il ramo di sinistra, come segnalano i cartelli, sale alla bocchetta di Stavello ed al monte Rotondo, mentre quello di destra sale alla bocchetta di Colombana (data a 2 ore e mezza) ed alla cima di Fraina. Prendiamo dunque a destra. In diversi punti il sentiero Cadorna mostra ancora il suo fondo accuratamente lastricato e si difende ancora discretamente dalla vegetazione che vorrebbe cancellarlo e che in molti punti lo invade. Dopo un traverso a sinistra ci portiamo ad una fascia di prati con alcune baite, fra cui il baitello della Cassera (m. 1742). Poi sale ancora verso destra, prima di iniziare un lungo traverso ascendente verso sinistra, cioè est-nord-est. Ignorato il sentiero che prende a destra per salire alla bocchetta di Lareggio, ci portiamo così ai piedi della bocchetta di Colombana. Dopo pochi tornanti (all'ultimo tornante sx ignoriamo il ramo del sentiero Cadorna che prende a destra) guadagniamo i 2206 metri della bocchetta di Colombana. Da qui prediamo a sinistra (nord), seguendo il sentiero che risale il facile crinale che ci porta alla croce della cima di Fraina (m. 2288). Torniamo indietro per un tratto sul crinale, verso sud, fino ai resti di una piazzola di osservazione fortificata. Nei suoi pressi vedremo un sentiero che scende a sinistra, verso la Val Gerola, lungo il facile versante erboso che conduce ad una splendida conca posta ad est della cima. Raggiunta la conca, la traccia si perde. Volgiamo, ora, a destra, dirigendoci verso un rudere ed un evidente ometto posto sul limite meridionale della conca (ce n’è un altro, collocato sul lato opposto). Raggiunto l’ometto, ci affacciamo di nuovo all’alta val Vedrano e torniamo a vedere le baite dell’alpe. Seguendo il marcato sentiero che parte dall’ometto, scendiamo, infine, con facilità alle baite dell'alpe Vedrano (m. 1946). Seguendo il marcato sentiero che parte dall’ometto, scendiamo, infine, con facilità alle baite, e da qui proseguiamo sul sentiero segnalato che scende verso la bassa valle (nord-nord-est), attraversando il torrente Vedrano da sinistra a destra. Dopo il guado dobbiamo prestare un po' di attenzione per trovare la partenza di una marcata mulattiera nella fascia di roccette e bassa vegetazione. Una volta trovata, la mulattiera non dà problemi: scende verso destra per buon tratto, attraversando qualche ruscello, poi inanella alcuni tornanti scendendo lungo il gradino di soglia fra alta e media Val Vedrano, fino ad un ampio conoide costituito da materiale di slavina. Qui la traccia si fa meno marcata, ma con un po' di attenzione non la perdiamo. Traversiamo fra pietrame, pascoli e radi larici tornando al torrente e riportandoci sul lato sinistro (per noi), dove il sentiero prosegue fra i larici intercettando una pista sterrata che termina alle vicine baite Grasso, che vediamo un po' più in alto alla nostra sinistra. Seguendo la pista in una lunga discesa, verso nord-est, giungiamo a Laveggiolo (m. 1471). Proseguiamo su una stradina che lascia il paese e scende verso nord. Ad un bivio imbocchiamo la pista che sale diritta e ci riporta al parcheggio di San Giovanni al quale abbiamo lasciato l'automobile.


Apri qui una fotomappa del sentiero Cadorna in Val di Fraina per la bocchetta di Colombana

La seconda giornata dell’anello prevede la salita da Premana in Val di Fràina, tributaria della Val Varrone, fino all’alpe Fraina, dove, sfruttando il ramo meridionale del sentiero Cadorna, saliamo alla bocchetta di Colombana ed alla cima di Fraina, con discesa conclusiva in Val Vedrano ed a Laveggiolo. Una traversata fisicamente impegnativa, con un dislivello ragguardevole, ma priva di difficoltà tecniche.


Alta Val Fraina

Alta Val Fraina

Alta Val Fraina

Alta Val Fraina

Punto di partenza è il parcheggio della Cooperativa di Premana (m. 1000), dove, in corrispondenza del tornante della strada, seguiamo i cartelli per l’alpe Fraina, imboccando la stradella con fondo in cemento che nel primo tratto sale verso nord, piegando poi a destra (nord-est). Camminiamo all’ombra di un bosco, mentre alla nostra destra un ripido versante precipita sul fondo della Val Varrone. Il bosco si apre ad alcune radure con nuclei di baite, Piegando leggermente a destra la stradella prosegue verso est-sud-est, poi piega a sinistra (nord-est) e scende ad un ponte in ferro che scavalca un torrentello che poco più in basso confluisce nel torrente Fraina. Siamo ormai prossimi all’imbocco della Val Fraina.
Proseguiamo poco sopra il torrente Fraina, che resta alla nostra destra, verso est, fino alle baite dell’alpe Rasica (Rasga, m. 1075), la prima della Val Fraina. Proseguendo diritti verso ovest superiamo una valletta e, dopo una coppia di tornanti sx-dx, saliamo leggermente per poi scendere a superare il ponte sul torrente Fraina, passando alla sua destra.


Alpe Fraina

Dopo una nuova copia di tornanti sx-dx, ci addentriamo nella valle, restando sul suo versante meridionale, salendo gradualmente e superando due torrentelli laterali, prima di raggiungere il bel poggio prativo dell’alpe Fraina (m. 1390).
Attraversiamo le baite e procediamo per circa 200 metri, fino ad incontrare un bivio presso un ponticello, dal quale partono i due rami del sentiero Cadorna. Il ramo di sinistra, come segnalano i cartelli, sale alla bocchetta di Stavello ed al monte Rotondo, mentre quello di destra sale alla bocchetta di Colombana (data a 2 ore e mezza) ed alla cima di Fraina. Prendiamo dunque a destra.


Salita dalla bocchetta di Colombana alla cima di Fraina

Proseguiamo dunque sul sentiero Cadorna verso sud-ovest, riprendendo a salire sul versante della media valle. La salita non si annuncia breve: ci sono quasi 800 metri di dislivello da superare. Ben presto il sentiero scarta a sinistra (est) e si affaccia al ripido vallone che sale alla bocchetta, iniziando ad inanellare numerosi tornanti, con andamento regolare, verso sud. In diversi punti mostra ancora il suo fondo accuratamente lastricato e si difende ancora discretamente dalla vegetazione che vorrebbe cancellarlo e che in molti punti lo invade. Dopo un traverso a sinistra ci portiamo ad una fascia di prati con alcune baite, fra cui il baitello della Cassera (m. 1742). Poi sale ancora verso destra, prima di iniziare un lungo traverso ascendente verso sinistra, cioè est-nord-est. Ignorato il sentiero che prende a destra per salire alla bocchetta di Lareggio, ci portiamo così ai piedi della bocchetta di Colombana.
Il sentiero Cadorna sale ora con ampi tornanti verso est (dopo l'ultimo tornante dx ignoriamo il ramo del sentiero Cadorna che prende a destra), portandosi appena sotto la sella erbosa della bocchetta di Colombana (m. 2206). Nell’ultimo tratto prima della bocchetta il sentiero è meno evidente, ma non abbiamo difficoltà a portarci alla sella che si affaccia sul un ripido canalino erboso che scende in Val Vedrano (Val Gerola). Teniamo presente che la carta IGM la colloca, erroneamente, più a nord, quotandola 2227 metri.
È sconsigliabile scendere per questa via. Più semplice e panoramico prendere a sinistra e, seguendo il sentiero, salire il facile crinale erboso che sale alla vicina cima di Fraina (m. 2288), che raggiungiamo in una decina di minuti o poco più. Sul crinale troviamo alcune fortificazioni militari e si apre a nord lo splendido scenario del gruppo del Masino. Infine siamo alla croce della cima di Fraina ("piz de fòpa", m. 2288).


Clicca qui per aprire una panoramica dalla cima di Fraina
- La cima di Fraina su YouTube

Il panorama è eccezionale. A nord, in primo piano, seminascosta dalla cima quotata m. 2325, vediamo il monte Colombana ("ul pizzöl", m. 2385), anch’esso facilmente raggiungibile da Laveggiolo, e, alle sue spalle, il monte Rotondo ("ul redùnt", m. 2496), immediatamente a nord della bocchetta di Stavello (“buchéta de Stavèl”). A sinistra del monte Rotondo, l’affilata cima del pizzo Alto (m. 2512), sulla testata della val Lesina. Ancora più a sinistra, di nuovo, le Orobie bergamasche occidentali, le cime lariane e, sullo sfondo, le Alpi occidentali. Proseguendo in questa panoramica in senso antiorario, torniamo sulla testata della val Vedrano, ed ecco di nuovo il poderoso pizzo Mellasc ("ul melàsc").


Apri qui una panoramica della Val Vedrano vista dalla cima di Fraina

Più a sinistra ancora, intravediamo uno spaccato della testata della Val Gerola, con i pizzi di Mezzaluna (“li mezzalüni”, vale a dire il pizzo di Mezzaluna, m. 2333, la Cima di Mezzo ed il caratteristico ed inconfondibile uncino del torrione di Mezzaluna, m. 2247), il monte Valletto (“ul valèt” o “ul pizzàl”, m. 2371) e le cime o pizzi di Ponteranica (“piz de li férèri” o “piz ponterànica”, orientale, m. 2378, meridionale, m. 2372, occidentale, m. 2372). Verso est, la suggestiva fuga di quinte delle Orobie centrali, che propongono un dedalo di cime nel quale non è facile districarsi. A nord-est, infine, ecco di nuovo la punta Painale, il pizzo Scalino, i pizzi Palù, Zupò ed Argient, i pizzi Bernina e Scerscen ed il monte Disgrazia.


Apri qui una fotomappa della discesa dalla cima di Fraina all'alpe Vedrano

Per scendere in Val Vedrano torniamo indietro per un tratto sul crinale, verso sud, fino ai resti di una piazzola di osservazione fortificata. Nei suoi pressi vedremo un sentiero che scende verso sinistra, in Val Gerola, lungo il facile versante erboso che conduce ad una splendida conca posta ad est della cima. Raggiunta la conca, la traccia si perde.


Alpe Vedrano

Volgiamo, ora, a destra (sud), dirigendoci verso un rudere ed un evidente ometto posto sul limite meridionale della conca (ce n’è un altro, collocato sul lato opposto). Raggiunto l’ometto, ci affacciamo all’alta val Vedrano e vediamo più in basso le baite dell'alpe Vedrano (o alpe Colombana, m. 1946). Seguendo il marcato sentiero che parte dall’ometto, scendiamo, infine, con facilità alle baite, e da qui proseguiamo sul sentiero segnalato che scende verso la bassa valle (nord-nord-est), attraversando il torrente Vedrano da sinistra a destra. Dopo il guado dobbiamo prestare un po' di attenzione per trovare la partenza di una marcata mulattiera nella fascia di roccette e bassa vegetazione.


Scendendo lungo la Val Vedrano

Una volta trovata, la mulattiera non dà problemi: scende verso destra per buon tratto, attraversando qualche ruscello, poi inanella alcuni tornanti scendendo lungo il gradino di soglia fra alta e media Val Vedrano, fino ad un ampio conoide costituito da materiale di slavina.
Qui la traccia si fa meno marcata, ma con un po' di attenzione non la perdiamo, Traversiamo fra pietrame, pascoli e radi larici tornando al torrente e riportandoci sul lato sinistro (per noi), dove il sentiero prosegue fra i larici intercettando una pista sterrata che termina alle vicine baite Grasso, che vediamo un po' più in alto alla nostra sinistra. Seguendo la pista in una lunga discesa, verso nord-est, giungiamo a Laveggiolo (m. 1471). Proseguiamo su una stradina che lascia il paese e scende verso nord. Ad un bivio imbocchiamo la pista che sale diritta e ci riporta al parcheggio di San Giovanni al quale abbiamo lasciato l'automobile.


Apri qui una panoramica su Laveggiolo nella cornice del gruppo del Masino e del monte Disgrazia

LA STRADA DEL FERRO NELLA STORIA


Apri qui una panoramica sulla Val Varrone dalla bocchetta di Trona

La "Strada del Ferro" o "di Maria Teresa" fu nei secoli scorsi un'importante via di comunicazione particolarmente legata, come dice chiaramente il nome, all'estrazione di minerali ferrosi. Partiva dalla frazione Giabi di Premana e risaliva tutta la Val Varrone culminando alla bocchetta di Trona. Venne tracciata molti secoli fa per trasportare a valle il minerale di ferro estratto nel bacino dell'alta Val Varrone. Guardando dalla bocchetta verso la Val Varrone, poco in basso, a sinistra, si vede ancora un baitello presso le ex miniere di ferro. Attraverso questo facile valico la strada si connetteva poi con il sistema delle miniere dell'alta Val Gerola.


Pizzo Varrone visto dalla Val Varrone

Il nesso fra Premana e la Val Varrone e le attività di estrazione e lavorazione del ferro ha radici assai antiche, forse pre-romane. E' comunque certo che con l'avvento della dominazione romana essa assunse un rilievo economico importante, proseguendo in età medievale e moderna. Si configurò così una rete di sentieri e mulattiere che collegavano le cave sparse per i monti alle fornaci, che potevano essere anche parecchio distanti. Su questi sentieri avveniva il trasporto dei carichi delle rocce da colare, di circa 160 kg, in genere trasportati a cavallo. Le rocce avevano però già subito una lavorazione preliminare presso la miniera, per eliminare le scorie, attraverso colpi di mazza e la torrefazione in piccoli forni.
Fu l'imperatrice Maria Teresa d'Austria a promuoverne, nel Settecento, la risistemazione della Via del Ferro. Tra gli anni 1750 e 1760, infatti, fu migliorato il tratto di strada che da Premana sale fino alle miniere sotto il monte Varrone, agevolando il trasporto del minerale estratto, verso i forni fusori lungo il torrente sotto Premana. Venne allargato il sentiero, interamente selciato ed adattato ai piccoli carri, e si disegnarono altri tornanti per rendere la pendenza più omogenea.


Baitello all'ingresso di un'ex miniera di ferro

Il periodo di lavoro più intenso era però l'inverno, quando i minatori, detti "fraìni" (da qui anche il nome della vicina Val Fraìna) erano liberi dai lavori dei campi e la presenza della neve agevolava il trasporto tramite slitte.
Nel Settecento, secolo di massima attività estrattiva, le 6 fornaci della Val Varrone erano di proprietà della famiglia Manzoni, dalla quale nacque il celebre scrittore Alessandro Manzoni. Molte persone vi trovavano lavoro. Nel 1783, per esempio, al forno al Ponte Regio di Premana, di proprietà di Massimiliano Manzoni, lavoravano 150 persone. Il ferro colato veniva poi trasportato lungo la Valsassina, trasportato a Lecco e di qui, per il sistema dei Navigli, alla darsena di Milano, nei cui pressi erano attive le botteghe artigiane che lo lavoravano e che diedero il nome ad alcune vie di Milano, come via Spadari e via Armorari. Le officine non erano però le uniche destinatarie del ferro: questo servì, per esempio, anche alla costruzione del Teatro della Scala a Milano.


Alta Val Varrone

Le officine di lavorazione del ferro non erano però solo a Milano. Premana, all'imbocco della Val Varrone, ricavò dalla sua posizione una fortissima vocazione di distretto della lavorazione del ferro, specializzato nella produzione di forbici e coltelli.
Ma nel secolo XIX vi fu un rapido declino dell'attività estrattiva, legato all'esaurimento di molte vene ma anche alla maggiore competitività del minerale importato dall'estero.


Pizzo Varrone visto dalla Val Varrone

L'importanza della Via del Ferro non fu storicamente solo legata al ferro. Un ulteriore intervento, dopo quello di Maria Teresa d'Austria, venne effettuato nel XX per inglobarla nel sistema di comunicazioni della linea Cadorna, che aveva nella bocchetta di Trona un nodo fondamentale. Il generale Cadorna sospettava infatti che la neutralità Svizzera proclamara dopo lo scoppio della Prima Guerra Mondiale e l'entrata in guerra del Regno d'Italia contro l'impero Austro-Ungarico non avrebbe retto e che quindi l'esercito Austro-Ungarico avrebbe potuto invadere la Valtellina dalla Valle di Poschiavo e dalla Val Bregaglia. Bisognava quindi fortificare tutto il crinale orobico per impedire che questo potesse scendere attraverso le valli della Bergamasca, minacciando Milano e la pianura Padana.


Fortino sopra la bocchetta di Trona

Questo spiega la presenza su un dosso a monte della bocchetta di Trona di un fortino militare (ancora in piedi) fatto costruire nel 1917. E' l'unico ad essere rimasto in piedi nell'intero complesso di fortificazioni della linea Cadorna che correva sul crinale orobico. Dentro la struttura è stata collocata anche una lapide che ricorda Giovanni Galbiati, perito nella scalata al pizzo di Trona il 17 agosto del 1927. Proprio sulla bocchetta, invece, si trova il rudere della struttura edificata nel 1924, Casa Pio XI, rifugio-colonia estiva della Federazioni Oratori Milanesi, che fu poi incendiata dai nazifascisti il 21 marzo 1944, per togliere ai partigiani un punto di appoggio.


Val Varrone

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