SECONDO GIORNO

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Somvalle-Alpe d'Assola-Cima della Zocca-Alpe della Zocca-Alpe Vicima-Passo di Vicima-Laghetto di Bernasca-Rifugio Bernasca-Sovalzo-Colorina
8 h
1700 m
EE
Somvalle-Val Vicima-Alpe Vicima-Passo di Vicima-Laghetto di Bernasca-Rifugio Bernasca-Sovalzo-Colorina
6 h
1200
E
SINTESI DEL PERCORSO BREVE. Da Campo Tartano incamminandoci sulla carozzabile per Tartano fino a trovare, sulla sinistra, dopo una semicurva a sinistra, la partenza di della mulattiera della Val Vicima (segnalazione con cartello) che passa a monte della frazione Ronco e sale fino ad un poggio nel bosco posto all'ingresso della Val Vicima. La mulattiera si inoltra nella valle tagliandone il fianco, fino alle Baite Vicima (m. 1505), Saliamo ancoira, attraversiamo un piccolo corso d'acqua ed una fascia di ontani portandoci alle successive baite di quota 1619, che restano alla nostra destra (qui ignoriamo la deviazione a destra che attraversa la valle e porta al Barghèt). Stando sulla sinistra procediamo per breve tratto nel bosco, passando a destra di altre baite, poi usciamo all'aperto e raggiungiamo, a quota 1763, un terzo gruppo di baite, prima di scendere sulla destra ad attraversare il torrente e, superata un’ultima balza, giungere in vista dell’ampio pianoro terminale dell’alpe di Vicima, dove, a 1933, troviamo la baita utilizzata dai caricatori dell’alpe. Tenendo la sinistra (per noi) della valle senza però guadagnare quota, aggiriamo il recinto che delimita lo spazio riservato agli animali e percorriamo a vista il pianoro: manca, infatti, una vera e propria traccia di sentiero. Superata un’ultima baita, risaliamo il fianco del gradino roccioso che ci separa dallo strappo finale. Siamo sempre sul lato sinistro della valle, spostati verso il centro, quando affrontiamo il sentiero ben marcato che, con qualche stretta serpentina, conduce infine al passo di Vicima (m 2234), riconoscibile anche da lontano per il grande ometto e la croce che lo sormontano. Appena oltre il passo seguiamo il sentiero che scende al lago di Bernasca (2134). Procedendo in leggera discesa, giungiamo al rifugio Bernasca (m. 2093). Dalla parte alta dell'alpe Bernasca scendiamo ora al suo limite inferiore, in diagonale verso sinistra. Oltrepassiamo così la casera di Bernasca (m. 1982) ed il Baitone (m. 1887), fino a raggiungere l’ultima baita, intorno a quota 1800. Dalla baita troviamo un sentiero (all’inizio poco evidente, poi più marcato) che prende a sinistra ed in breve giunge a guadare il torrentello della valle, per poi proseguire, in una fascia di bassa vegetazione, con alcuni ampi tornanti. Poi il sentiero si allontana dal solco della valle, puntando decisamente a nord e raggiungendo, dopo una breve salita, un bel bosco di abeti, dove piega ancora, questa volta a destra, e comincia una lunga discesa, che ci fa perdere 600 metri circa, sul crinale di un largo dosso. Alla fine, poco sotto il rudere della baita Caprile (m. 1141), il sentiero volge a sinistra (attenzione a non perdere la svolta proseguendo verso il fondovalle: ci si ritroverebbe ai margini di un dirupo) ed iniziando l’ultimo lungo traverso sul fianco occidentale della bassa Val Madre, selvaggio e scosceso. Raggiungiamo così la piana di Sovalzo, a 859 metri, dove ci accoglie un’edicola del Parco delle Orobie Valtellinesi. Seguendo una pista serrata verso sinistra raggiungiamo la carozzabile che sale da Colorina che, percorsa in discesa, ci riporta all'automobile.
 
La seconda giornata dell’anello (o la prima, per chi parte da Campo Tàrtano) è dedicata ad un’interessante traversata dalla Val di Tàrtano alla Val Madre, o meglio dalle laterali val Vicima e val Bernesca, attraverso il passo di Vicima. Si tratta di uno dei cinque possibili itinerari che congiungono le due valli, il più basso, o settentrionale. Infatti interessa quella parte della Val di Tàrtano che è ben visibile anche dalla zona della bassa Valtellina compresa fra Talamona ed il morbegnese. Guardando da qui in direzione della Val di Tàrtano si scorgono, da nord,
 

il poco pronunciato Crap del Mezzodì, il più alto Culmine di Campo, l’esile cima della Zocca ed il solco della Val Vicima.
La traversata può avvenire in due modi, a seconda che si decida di salire per l’intera val Vicima oppure di raggiungerne il settore mediano con un ampio semicerchio, che ci permette di salire alla cima della Zocca (o cima D’Assola, m. 2166). Raccontiamo per prima quest’ultima, più lunga, ma anche più interessante e panoramica possibilità. Lasciata l’automobile nella frazione di Somvalle, appena oltre Campo,
cerchiamo, alle spalle della graziosa piazzetta del borgo (dove una fresca fontana ci può aiutare a rifornirci di un’adeguata scorta d’acqua), il sentiero che sale all’alpe di Àssola. La prima parte del sentiero si lascia alle spalle i prati che sovrastano le case, supera un casello dell'acqua







e prosegue diritta per un buon tratto, disegnando una lunga diagonale verso sud est e raggiungendo il crinale di un largo dosso. La salita è piuttosto faticosa, e qualche pausa permette non solo di riprendere fiato, ma anche di godere di buoni scorci panoramici sul Culmine di Campo, su Campo Tàrtano e sulla bassa Valtellina.
Improvvisamente, il sentiero volge quindi ad est,











e troviamo una serie di nervosi tornanti, che ci fanno guadagnare rapidamente quota, sempre rimanendo nel bosco
.
Dopo un ultimo tornante sinistrorso, percorriamo un tratto verso nord-est, che ci porta proprio sullo spigolo del dosso. Uno squarcio nella vegetazione ci regala un suggestivo colpo d'occhio su Campo Tàrtano, che appare sotto di noi.









Poi abbandoniamo la luce per addentrarci nella penombra di una fresca e fitta pineta, ed effettuare un lungo traverso in direzione est, con un percorso semipianeggiante lungo il fianco meridionale della valle d’Assola.
Alla fine usciamo dal bosco per attraversare il corso d’acqua che scorre nel solco della breve valle (per poi precipitare con una suggestiva cascata nell’alta val Fabiòlo), e ci ritroviamo sul limite inferiore dell'alpe omonima, alla quota approssimativa di 1700 metri.









Salendo verso le prime baite (e rimanendo nei pressi del limite di sinistra dei prati dell'alpe), possiamo osservare, verso sud est (alla nostra destra),
la Cima della Zocca, che domina l'alpe. 
Oltrepassata la prima baita,
saliamo alla cappelletta
che protegge l’alpe.
Salendo ancora, incontriamo una nuova baita, mentre alle nostre spalle si fa più ampia la visuale sulle montagne della Val Masino e sulla bassa Valtellina.
Oltre gli abeti ed i larici dell'alpe, infatti, campeggia la testata della Val Masino (che mostra, da sinistra, i pizzi Badile e Cengalo, i pizzi del Ferro, la cima di Zocca, la Cima di Castello, i pizzi Torrone, il monte Sissone ed il monte Disgrazia),
mentre verso ovest lo sguardo raggiunge l'alto Lario. Poco prima del limite superiore dell'alpe un sentiero si inoltra nel bosco. Seguendolo, saliamo per un tratto verso nord est, svoltando a sinistra e sbucando, dopo un breve tratto, presso la baita più alta, presso il crinale (m. 1930).
Lasciati alle spalle la baita e l’albero rinsecchito che la veglia, risaliamo gli ultimi prati, raggiungendo un sentiero che segue il crinale che separa la valle dal versante della Valtellina sopra Selvetta, Alfaedo e Rodolo, mentre appare, improvviso, il panorama della media Valtellina, fino al gruppo dell'Adamello.
Il sentiero conduce ad un dosso, che risaliamo in direzione di un primo grande ometto, fino a raggiungere una piccola conca.
Se si dovesse perdere la traccia di sentiero, si può prendere come punto di riferimento un secondo grande ometto.
La conca è collocata alle spalle della cima: da essa saliamo facilmente al crinale, superando alcune facili roccette, e ci troviamo a pochi passi dalla cima erbosa (m. 2166),
che rimane alla nostra destra, ed è sormontata da una croce di legno.
Al superbo spettacolo della testata della Val Masino si aggiunge, qui, un buon colpo d’occhio su quella della Valmalenco. Ma la cima, per la sua posizione avanzata, è un ottimo osservatorio anche sulla catena orobica, soprattutto nella sua sezione occidentale.
Gustato il grandioso scenario, proseguiamo scendendo all'alpe della Zocca, la cui conca è ben visibile a sud est della cima. La discesa sfrutta una labile traccia di sentiero che taglia la parte alta del brullo fianco sud-occidentale del crinale che dalla cima si prolunga in direzione di alcune cime minori, fino al roccioso pizzo di Presio.
Se non dovessimo trovare la traccia, possiamo procedere a vista, perdendo quota gradualmente, fino a raggiungere la parte alta di un evidente canalone erboso, dove un sentierino, con diversi tornanti, ci conduce ai prati dell’alpe. Continuiamo a scendere, fino al limite inferiore di un grande dosso erboso, che segna il limite dell’alpe. Qui troviamo un sentiero che si addentra in un bosco di abeti e scende a monte delle baite della media val Vicima, poco al di sopra di quota 1600, intercettando il sentiero che da queste sale verso la parte alta della valle e dell'alpe omonima.
A questo punto, seguendolo verso sinistra, ci incamminiamo alla volta del passo di Vicima. Prima, però, di raccontare questa seconda salita vediamo come si può giungere fin qui, per via più breve e semplice, risalendo la bassa e media val Vicima.
Torniamo, dunque, a Campo Tartano. Mezzo chilometro circa oltre Campo, in direzione di Tartano, troviamo una piazzola a lato della strada, sulla destra, con un tavolo per la sosta. Pochi metri oltre parte, sulla sinistra, il sentiero per la val Vicima. Dal primo tratto del sentiero si domina la bassa val di Tartano, con Campo Tartano. Sul versante opposto della val di Tartano si vedono le case di Postareccio. Salendo per questa bella mulattiera e gettando un ultimo sguardo a Campo Tartano si giunge al crinale di un dosso, dove una piccola radura permette una piacevole sosta. Dal dosso lo sguardo raggiunge, sul fondo della val Lunga, il passo di Tartano. Il sentiero si inoltra, quindi, sul fianco settentrionale della valle e raggiunge una cappelletta che sembra posta a guardia del pauroso dirupo che si apre, alla nostra destra, sul fondovalle.
Il sentiero, infatti, è largo e comodo, ma esposto su questo dirupo. In questo tratto il sentiero è quasi pianeggiante e da qui scorgiamo anche l’audace ponte di Vicima, che, sulla strada che porta a Tartano, supera la selvaggia forra della bassa val Vicima.
Riprendiamo la salita: ben presto si raggiungono le baite di Vicima (m 1505), a monte dei ripidi prati che la sapienza contadina ha saputo sfruttare da tempi immemorabili. Continuiamo, fino ad un secondo gruppo di baite, che raggiungiamo dopo aver superato un piccolo corso d'acqua ed aver attraversato una fascia di bassa vegetazione, dove ignoriamo una deviazione che si stacca dal sentiero sulla nostra destra, scende al torrente della valle e si porta sul suo lato opposto, per raggiungere l'alpeggio del Barghèt: potremo utilizzare questo itinerario in un'altra occasione, dedicata ad un'interessantissima traversata degli alpeggi della bassa Val di Tàrtano (Assola, Vicima, Barghèt, Torrenzuolo, con discesa finale a Tartano). E' a queste baite che ci conduce anche il sentiero che scende dall'alpe della Zocca.
La salita successiva permette, infine, di superare le ultime balze che ci separano dal pianoro terminale dell’alpe di Vicima, dove, a 1933, troviamo la baita abitata dai caricatori dell'alpe.









Tenendo la sinistra (per noi) della valle senza però guadagnare quota, aggiriamo il recinto che delimita lo spazio riservato agli animali e percorriamo a vista il pianoro: manca, infatti, una vera e propria traccia di sentiero.
Superata un'ultima baita, risaliamo il fianco del gradino roccioso che ci separa dallo strappo finale.
Siamo sempre sul lato sinistro della valle,
spostati verso il centro, quando affrontiamo il sentiero ben marcato
che, con qualche stretta serpentina,
conduce
infine
al passo (m 2234),
riconoscibile anche da lontano per il grande ometto e la croce che lo sormontano.
Oltre il passo,
scendiamo ad un breve pianoro, che percorriamo (ignorando una deviazione che sale sulla destra e che permette, con percorso un po' esposto, di tornare in Val di Tartano, scendendo all’alpe del Gerlo ed in Val Lunga),
fino ad affacciarci su un pianoro più ampio, dove, inatteso, ci appare















il bellissimo laghetto di Bernasca (m 2134), dominato, sulla destra, dalla mole del monte Seleron.
Scendiamo facilmente al laghetto













sfruttando un sentiero ben marcato; raggiunto il suo lato opposto e percorso un breve tratto,










giungiamo poi a vedere lo sperone roccioso denominato












Pizzolo e, nei suoi pressi, una baita ristrutturata di recente (m. 2093). Siamo sul limite superiore di destra dell’alpe di Bernasca, nella valle omonima, laterale della Val Madre.












Dobbiamo ora scendere al suo limite inferiore di sinistra, con una diagonale che lascia alla nostra destra il Pizzolo ed oltrepassa la casera di Bernesca (m. 1982) ed il Baitone (m. 1887), fino a raggiungere l'ultima baita, intorno a quota 1800.
Dalla baita troviamo un sentiero












(all’inizio poco evidente, poi più marcato) che prende a sinistra ed in breve giunge a guadare il torrentello della valle, per poi proseguire, in una fascia di bassa vegetazione, con alcuni ampi tornanti.
Poi il sentiero si allontana dal solco della valle, puntando decisamente a nord e raggiungendo, dopo una breve salita, un bel bosco di abeti,
dove piega ancora, questa volta a destra,
e comincia una lunga discesa, che ci fa perdere 600 metri circa, sul crinale di un largo dosso compreso fra la valle Sciesa, alla nostra destra, ed un vallone laterale della valle del Pizzo, alla nostra sinistra.
Dopo un primo breve tratto di discesa, attraversiamo la radura della piana (m. 1650 circa).













Poi il sentiero prosegue con le sue serpentine all’ombra di un fiabesco ed incantevole bosco di abeti.
Curiosamente, né la carta IGM né quella della Kompass lo segnalano.
Alla fine, poco sotto il rudere della baita Caprile (m. 1141), il sentiero volge a sinistra (attenzione a non perdere la svolta proseguendo verso il fondovalle: ci si ritroverebbe ai margini di un dirupo) ed iniziando l'ultimo lungo traverso sul fianco occidentale della bassa Val Madre, selvaggio e scosceso.
Attraversiamo, così, il solco dell’aspra ed impressionante valle del Pizzo (che scende dal versante nord-orientale del pizzo di Presio), proprio nel tratto in cui un salto roccioso forma un’interessante cascata del torrentello (dopo piogge abbondanti o in tarda primavera non si potrà evitare di ricevere il fresco spruzzo dell'acqua che precipita dal salto).
 Superato un secondo e più modesto vallone,
















che scende anch'esso dalle pendici del pizzo,
ritorniamo a luoghi meno selvaggi:



ci ritroviamo, infatti, nell’amena pianeta di Sovalzo (o Soalzo), ad 859 metri, dove ci accoglie un’edicola del Parco delle Orobie Valtellinesi. E’ l’inizio della fine, e di una fine un po’ monotona dell’escursione: dobbiamo, infatti, percorrere un tratto su una carrozzabile sterrata, che si immette in una seconda sterrata la quale, a sua volta, si congiunge con la strada principale che sale da Colorina (chi volesse effettuare l’anello in senso inverso tenga presente che per raggiungere Sovalzo ci si deve staccare da questa strada alla terza traversa a sinistra).
Non abbiamo altra alternativa che percorrerla in discesa fino al paese, che raggiungiamo dopo aver oltrepassato la bella chiesetta della Madonnina (m. 414).
Siamo in cammino da circa otto ore (primo itinerario) o sei (secondo itinerario), ed abbiamo superato, in salita, rispettivamente 1700 e 1200 metri circa.