CARTA DEL PERCORSO - ALTRE ESCURSIONI A BUGLIO IN MONTE - GALLERIA DI IMMAGINI


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Gli amanti dell’escursionismo sono sempre alla ricerca di percorsi un po’ fuori dai circuiti maggiormente battuti, che offrano scenari inconsueti, selvaggi e nel contempo di grande fascino ed impatto visivo. La Val Terzana (chiamata anche Valle di Scermendone: così, per esempio, nella carta della Val Masino curata dal conte Lurani, nel 1881-1882), riunisce in sé tutti questi elementi di interesse. Si tratta della valle che confluisce, da nord-est, nella Valle di Sasso Bisòlo, la quale, a sua volta, chiude ad est l’ampio arco delle valli tributarie della Val Màsino. La valle, che si apre con l’alpe di Scermendone basso (m. 2032) e si chiude con il passo di Scermendone (m. 2595), ha un orientamento da ovest ad est; è chiusa a sud da un largo versante, erboso sul crinale, disseminato di pascoli e roccette sul fianco che guarda alla valle stessa, che la separa dalla piana della media Valtellina fra Ardenno e Berbenno, a nord, invece, dal tormentato ed aspro crinale che, con un’impressionante susseguirsi di spigoli e rocce rossastre, scende dai Corni Bruciati (m. 3097, cima settentrionale, e m. 3114, cima meridionale), fino al Sasso Arso (m. 2314), per poi concludersi fra i massi di una grande frana. L’aspetto della valle, infine, è davvero curioso: fin dall’ingresso si presenta come una successione di pianori, avvallamenti, gobbe, dossi, che conferiscono al suo aspetto complessivo una configurazione non aspra, ma piuttosto atipica, simile a quella di qualche altipiano asiatico.
L’accesso alla valle avviene mediante un comodo sentiero, che si imbocca nei pressi della chiesetta di san Quirico (m. 2131) e del bivacco Scermendone. La valle nasconde infine una piccola perla, il piccolo ma incantevole lago di Scermendone, l'unico, insieme ai laghi della Valle Spluga, di tutta la Val Masino. L'escursione ad anello che ci porta alle sue rive rappresenta una camminata alla portata di tutti, di grande valore panoramico e godibilissima in estate ed in autunno inoltrato, fino alle prime nevi.


Apri qui una fotomappa dei sentieri del versante retico da Ardenno a Berbenno

L'ANELLO DEL LAGO DI SCERMENDONE

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Rif. Alpe Granda-cermendone-Lago di Scermendone-Croce dell'Olmo-Verdel-Merla-Rif. Alpe Granda
5-6 h
720
E
SINTESI. Saliti a Buglio in Monte, prima della piazza centrale prendiamo a destra e poi subito a sinistra (indicazione per i maggenghi di Our), salendo su una stradina alla parte alta del paese. Qui prendiamo a sinistra ed imbocchiamo la stradina che sale ad Our. Dopo Nansegolo, ad un bivio stiamo sulla sinistra salendo con un lungo traverso. Poi troviamo una serie di tornanti che ci portano ad Our di fondo. Dopo un tornante sx e lasciamo alle spalle le baite, raggiungendo, dopo un traverso, il successivo tornante dx, dove vediamo una pista che si stacca sulla sinistra (indicazioni rifugio Granda), Parcheggiamo qui (1380 m. circa) e ci incamminiamo sulla pista per Granda che, dopo una serie di tornanti dx-sx, effettua l'ultimo traverso in direzione dell'alpe Granda. Prendiamo a destra e ci portiamo al rifugio Alpe Granda (m. 1680), nascosto dietro una macchia di abeti (m. 1680). Proseguiamo sul tratturo che sale diritto al limite del bosco a nord-est del rifugio, e prosegue con un lungo traverso in una pecceta. Superata la croce sul poggio a monte dell'alpe Merla, giungiamo ad una rapida sequenza di tornantini sx-dx-sx-dx, oltre la quale siamo ad un bivio: procediamo diritti ed usciamo dal bosco nella parte mediana dell'alpe Scermendone, poco ad ovest del baitone. Procediamo diritti (verso est) passando a destra del baitone e dopo una breve salita raggiungiamo la chiesetta di San Quirico (m. 2137). Poco più avanti troviamo il bivacco Scermendone. Tornati alla chiesetta, imbocchiamo il tratturo (lo vi trova alla sua sinistra, per chi rivolga lo sguardo alla facciata della chiesetta) che si inoltra a mezza costa, verso est-nord-est, in Val Terzana, sul suo lato destro (per noi, cioè meridionale), portando all'alpe Piano di Spini (m. 2198). Qui diventa sentiero e, dpo uno strappo, varca un corridoio oltre il quale raggiunge la conca del lago di Scermendone (m. 2339). Dal laghetto torniamo all'alpe Piano di Spini e cerchiamo sulla sinistra, il sentierino che affronta il versante meridionale della valle, salendo dapprima verso sinistra e superando da destra a sinistra un piccolo corso d’acqua, piegando, poi, leggermente a destra (direzione sud). Per facili balze, tenendo, più o meno, il entro o il lato destro di un ampio canalone che sale dolcemente, raggiungiamo, così, senza difficoltàl’ampia sella erbosa, di quota 2380 metri. Da qui scendiamo facilmente verso destra (ovest), in direzione del grande ometto ben visibile sul crinale che si affaccia sulla media Valtellina, e passiamo accanto ad una pozza. Vicino al grande ometto c'è la Croce dell'Olmo (m. 2342). Scendiamo ora per un tratto diritti e poi pieghiamo a sinistra, tagliando un ripido versante erboso, in diagonale, fino ad intercettare il Sentiero Italia che, percorso verso destra, ci riporta al bivacco Scermendone e a San Quirico. Procediamo ora verso ovest, scendendo verso il vicino baitone. Prestando attenzione alla nostra sinistra vediamo un sentiero che scende con serpentine verso il limite della pecceta. Nella pecceta il sentiero scende verso sinistra diritto, fino ad un bivio, al quale prendiamo a destra, seguendo un marcato sentiero che scende diritto verso sud-ovest. Attraversa un vallone e piega leggermente a sinistra, scendendo verso sud ed uscendo al limite orientale dell'alpe Verdel (m. 1716). Qui ignoriamo un sentiero che scende a sinistra, traversiamo al lato opposto (ovest) dei prati, quasi in piano, passando a destra del cocuzzolo boscoso ed imbocchiamo il sentiero che procede in piano verso ovest, rientrando nella pecceta. Dopo una lunga traversata in piano usciamo al limite orientale dei prati dell'alpe Merla (m. 1734). Anche qui traversiamo i prati in piano, oltrepassiamo il cocuzzolo boscoso e, ignorato un sentiero che scende a sinistra, procediamo diritti rientrando nella pecceta. Seguendo un sentierino, con qualche saliscendi e qualche radura, procediamo verso ovest raggiugendo l'alpe Granda nei presso del rifugio Alpe Granda. Se non abbiamo parcheggiato qui, ridiscendiamo all'automobile sulla pista sterrata.


Clicca qui per aprire una panoramica di San Quirico e della parte orientale dell'alpe Scermendone

Il percorso più breve per raggiungerla parte dal maggengo di Our di cima (m. 1415), cui si può salire in automobile da Buglio in Monte. Dal tornante destrorso che precede Our (m. 1300) parte, verso nord-ovest (sinistra), una pista sterrata che si stacca, sulla sinistra, dalla strada, attraversa anche sezioni di bosco devastate dall’incendio del 1998 e che, salendo gradualmente, descrive una serie di tornanti sx-dx-sx-dx ed un traverso che lo porta, poco sotto i 1700 metri, all’alpe Granda, nei pressi del suo limite nord-orientale, vicino ad una baita isolata.
Alcune fra le più famose cime della testata della Val Masino si presentano di fronte ai nostri occhi. Guardando verso il cuore della Val Masino, distinguiamo la cima di Cavalcorto e, alla sua destra, i pizzi del Ferro (sciöma dò fèr). Verso ovest si distinguono, da sinistra, il corno di Colino, l’elegante profilo della cima del Desenigo e, sulla selvaggia costiera che sembra incombere sopra Cataeggio, la cima di Cavislone (sciöma dò caveslùn) ed il monte Lobbia (lòlbia). Dirigiamoci versa destra, in direzione di una grande vasca per la raccolta dell’acqua, dove troviamo anche alcuni cartelli. A destra appare, improvviso e bellissimo, il nuovo rifugio Alpe Granda.


Cima del Cavalcorto, pizzo Cengalo e pizzi del Ferro visti dall'Alpe Granda

Possiamo giungere all'Alpe Granda, però, per altra via, percorrendo, cioè, la pista che parte dai Prati di Erbolo, sopra Gaggio.
L’alpe Granda ("alp grènda") è l’alpe di Ardenno, ed il suo punto di massima elevazione è la cima di Granda, quotata 1708 metri (o, secondo alcune carte, 1705 metri). Fino a qualche decennio fa era sfruttata intensamente, e permetteva di caricare 60 capi di bestiame.
Nell'estimo generale della Valtellina del 1531 la valutazione dell'alpeggio è ancora maggiore: 150 mucche caricate, per un valore di 30 lire (una lira corrispondeva a 20 soldi ed a 240 denari).
I suoi prati disegnano una lunga striscia, lungo la direttrice sud-ovest – nord-est, adagiata sul lungo e splendido crinale che, dalla cima di Vignone, passando per l’alpe Scermendone, l’alpe Granda, il Sas del Tii ed i prati di Lotto, scende a dividere l’imbocco della Val Masino dalla piana di Ardenno. Sul limite sud-occidentale dell’alpe si trovava anche il rifugio Alpe Granda (che ha subito due incendi), ora sostituito dal nuovo bivacco Baita degli Alpini all'Alpe Granda (m. 1630).


Il bivacco Baita degli Alpini all'Alpe Granda, sullo sfondo del monte Disgrazia

Sul suo limite settentrionale, all'imbocco del tratturo per Scermendone, è stato invece costruito il nuovo rifugio Alpe Granda, di fronte all'incantevole scenario delle cime del gruppo del Masino che si mostrano a nord (da sinistra, pizzo Porcellizzo, cima del Cavalcorto, pizzo Cengalo e pizzi del Ferro. Alla loro sinistra la selvaggia costiera Cavislone-Lobbia e la cima del Desenigo, mentre a destra il monte Arcanzo e la cima degli Alli. Se poi dal rifugio procediamo salendo al vicino cocuzzolo del monte Granda, per poi volgerci indietro, vedremo comparire sua maestà il monte Disgrazia ed alla sua destra anche i Corni Bruciati. Salendo verso il limite del bosco a nord, verso sinistra, noteremo una roccia sulla quale è stata scolpita una Madonna con Bambino.
Tornati al rifugio, potremo gustare il sapore della buona cucina e dell'ancor più squisita cortesia (per prenotazioni si deve telefonare al 347 7566960).


Il rifugio Alpe Granda

La gestione dell'alpeggio, di decisiva importanza per l'economia dei secoli passati, era affidata ad una serie di figure fra le quali si istituiva una gerarchi netta. Al vertice stava il caricatore, cui le famiglie dei "lacée", cioè dei contadini che possedevano mucche, affidavano i capi di bestiame. Veniva, poi, il casaro, alla cui sapiente arte era affidata la confezione dei prodotti d'alpe, formaggi e burro. Seguivano il capo-pastore ed i pastori, che, coadiuvati anche da abili cani, sorvegliavano il bestiame e ne governavano gli spostamenti, stando attenti che nessuna mucca cadesse nei dirupi (il che rappresentava un vero e proprio dramma).


Apri qui una panoramica dell'alpe Granda

Infine, i più giovani fungevano da cavrèe (pastori di capre) e cascìn (garzoni d'alpe, cui erano affidati i compiti più umili, in genere ragazzini affidati dalle famiglie ai caricatori d'alpe nella stagione estiva). Nella vita d'alpeggio, che iniziava ai primi di giugno e durava 80-83 giorni, due momenti rivestivano un'importanza particolarissima: il ventottesimo ed il cinquantaseiesimo giorno si effettuava la pesa, cioè si pesava il latte prodotto da ciascuna mucca, alla presenza del proprietario, per pattuire, su tale base, il compenso che a questi andava corrisposto.


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L'alpeggio costituisce oggi la meta di una facile e molto remunerativa escursione, per la sua posizione estremamente panoramica, sul confine fra Val Masimo, a nord, e bassa Valtellina, a sud. Gli appassionati della geologia vi potranno trovare più di un elemento di interesse. Passa di qui, infatti, nelle profondità della terra, la faglia che separa la falda Margna dalla falda Sella. Siamo sul limite settentrionale dellla falda paleoafricana. Tutto ciò, ovviaente, sfugge al nostro sguardo, come pure, probabilmente, sfugge la diversa natura delle rocce dell'alpe, antichissimi gneiss, micascisti e vene di quarzo, rispetto alle molto più giovani rocce del gruppo del Masino, il cosiddetto plutone Masino-Bregaglia, di cui vediamo un'interessante sezione a nord (testata della Val Porcellizzo, costiera Arcanzo-Remoluzza, monte Disgrazia).


Apri qui una panoramica dell'Alpe Granda e del rifugio Alpe Granda

Il valore panoramico dell'alpe è impreziosito da uno splendido colpo d'occhio sulla catena orobica, a sud, che mostra in tutta la sua bellezza un'ampia sezione della Val Gerola e, sul limite destro, il caratteristico corno del monte Legnone. Il rifugio Alpe Grande costituisce, infine, un possibile punto di appoggio o di ristoro.
Vediamo ora come salire a Scermendone. Dal rifugio Alpe Granda dobbiamo seguire le indicazioni di un cartello e salire su un tratturo verso il margine del bosco. Proseguiamo nella salita descrivendo una lunga diagonale, in direzione dell’alpe (nord-est). Alla piccola radura di quota 1900 si trova una croce in legno, collocata in occasione del Giubileo del 2000: qui la pista intercetta un sentiero che sale dall’alpe della Merla (m. 1729).


Apri qui una panoramica della pozza all'alpe Scermendone

Possiamo giungere fin qui anche con una via più breve e ripida, che taglia fuori l’alpe Granda, staccandoci dal sentiero Our-Granda ad una deviazione segnalata, sulla destra, per la Merla; dai prati dell’alpe il sentiero riprende a salire ripido, fino a questa croce.
Ma riprendiamo la marcia verso Scermendone. Poco oltre gli unici due tornanti, posti in rapida successione, bisogna prestare attenzione ad deviazione poco evidente verso sinistra: dopo averla imboccata saliamo rapidamente, con tornanti secchi, raggiungendo l’estremità sud-occidentale dell’alpe Scermendone, in corrispondenza di una baita semidiroccata (m. 2060). Anche la pista, però, conduce all’alpe Scermendone: ci porta, però, più o meno a metà dell'alpe, ad ovest rispetto al baitone ed alla chiesetta di San Quirico, posti sul suo limite nord-orientale.
Torniamo al suo limite opposto. Proseguendo verso nord-est si giunge sul crinale, dove si apre un panorama superbo, dominato dalla mole regale del monte Disgrazia. Se abbiamo molto tempo a disposizione, possiamo dirigerci verso sinistra, al limite estremo dell’alpe, dove si trova un sentierino che corre sul versante valtellinese, appena sotto il crinale. Dal primo tratto del sentierino possiamo facilmente salire alla cima quotata 2127 (monte Scermendone), dalla quale il panorama è davvero incomparabile.


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Se abbiamo sufficiente esperienza e prudenza, possiamo poi tornare al sentierino e proseguire verso sud-sud-ovest, tenendoci sempre in prossimità del crinale, fino a raggiungere, superata un’ultima conca erbosa, il pizzo Mercantelli (sciöma dè Mercantéi, m. 2070), caratterizzato da una bandierina tricolore metallica. Il pizzo domina, dall’alto, l’alpe Granda. Questo percorso esige molta accortezza, perché il versante montuoso è, su entrambi i lati del crinale, molto ripido.
Se non abbiamo ambizioni avventuristiche, dal rudere di quota 2060 procediamo verso nord-est (destra). Il sentiero passa accanto alla casera dell’alpe (m. 2103), regalando un’ottima visuale anche sulla costiera Remoluzza-Arcanzo, dove spiccano, da sinistra, la cima di Arcanzo, la cima degli Alli (sciöma dei äl) e la punta Vicima. A destra della costiera, la piana di Preda Rossa, dominata dal monte Disgrazia. Verso sud-ovest si scorgono, invece, il monte Spluga, il pizzo Ligoncio, i pizzi dell’Oro e la punta del Barbacan. Bellissimo è anche il colpo d’occhio sulla Valtellina medio-bassa, fino al monte Legnone.


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Il sentiero passa poi accanto ad un picco specchio d’acqua, e ad una seconda baita, recentemente ristrutturata, per poi puntare, aggirato a destra un dosso, alla chiesetta di san Quirico (m. 2131), piccola perla posta a protezione dell’alpe.
Lo scenario della chiesetta, sullo sfondo della remota e poco conosciuta
Val Terzana (chiamata anche Valle di Scermendone: così, per esempio, nella carta della Val Masino curata dal conte Lurani, nel 1881-1882, che confluisce, da nord-est, nella Valle di Sasso Bisòlo, la più orientale delle valli che costituiscono la Val Masino), è davvero indimenticabile. La sua campanella risuona quando, la seconda domenica di luglio, si festeggia il santo (san Cères), e la piana di Scermendone si riempie di tende e sacchi a pelo. Qualche parola su questa chiesetta merita di essere ancora spesa. Ci sono pochi altri esempi di chiesette alpine poste ad una quota così alta. La sua collocazione testimonia due cose: innanzitutto l'importanza di questo ampio alpeggio, in secondo luogo la sua posizione strategica come luogo di transito.
Molto probabilmente la chiesetta fu, in antico, uno xenodochio, cioè un luogo deputato al ricovero di pellegrini e viandanti che transitavano di qui. Non dovevano essere pochi: in tempi nei quali il passaggio sul fondovalle era disagevole e pericoloso, per l'alpe Scermendone passava, infatti, un'importante via che collegava la bassa Valtellina alla Valmalenco, lungo l'asse Ardenno - Buglio- Alpe Granda - Alpe Scermendone - Val Terzana - Valle di
Postalesio - Val Torreggio (Val del Turéc'). Purtroppo questa via è oggi quasi dimenticata: anche il Sentiero Italia l'ha ignorata. Ma a chi la sa riscoprire regala un tesoro di emozioni e scenari insospettati.
Sostando presso la chiesetta, cerchiamo di saperne di più ascoltando quanto scrive don Domenico Songini, nel bel volume “Storie di Traona – Terra Buona – II” (Sondrio, 2004): “Scermendone, toponimo inesplorato fino alle indagini di don Ezio Presazzi - prevosto di Baglio - che asserisce derivato dai primitivi pastori di Cermenate, che già nel 1308 caricavano l'alpe con l'impegno di consegnare il latte d'una giornata (una cagliata) alla parrocchia di san Fedele.


Apri qui una fotomappa della Valle di Preda Rossa e di Scermendone

Scermendone rappresenta la tipica altura, a dossi e a pianori, a 2000 rn. sulla dorsale tra la Valtellina e la Valmasino, di proprietà della comunità di Buglio, che v'invia il bestiame per l'alpeggio estivo e che vi si dà convegno per una sagra popolare di gran prestigio: nel solito mese di luglio, dopo la metà, tempo delle feste dei nostri SS. Sette Fratelli.
Il Santo venerato lassù, alla stessa altitudine di Sant'Esfrà (m 2010) è San Ceres, ritenuto uno dei Sette Fratelli. Realmente l'Oratorio è dedicato a San Quirico, il figlioletto di Santa Giuditta, ambedue martiri del IV secolo. Questa attribuzione sembra poco convincente: il martirologio infatti assegnava la festa al 9 dicembre, tempo in cui il monte è quasi inaccessibile. Allora perché San Ceres?


Apri qui una panoramica della pozza di Scermendone

Qualcuno vede un'affinità linguistica con "Siro", il santo evangelizzatore di Pavia, vescovo del IV secolo: le chiese di Pavia possedevano vasti feudi in Valtellina; non manca anche qualche allusione al Saint Cyr di franca memoria. A confondere le acque, interviene anche la mitologia pagana, cui non sembra vero richiamarsi a Cerere, la dea-madre. Tutto lascia supporre trattarsi d'un Santo dei Pastori: San Siro si festeggia il 16 giugno, nel colmo della stagione degli alpeggi; San Ceres, la II domenica di luglio, nel momento della "pesa del latte". La tradizione locale indica nell'incavo di un roccione prospiciente il "Pian di Spin" la grotta del Santo Eremita. È uno dei Sette Fratelli? ...”
Appena sotto la chiesetta, a destra del grande e ben visibile baitone, c'è una piccola sorgente, con una scritta in dialetto che segnala che si tratta dell'acqua degli occhi, dell'acqua, cioè, legata alla leggenda dei Corni Bruciati, l'acqua che avrebbe ridato la vista al pastore buono ma disobbediente.


Il nuovo bivacco Scermendone

Alle spalle della chiesetta raggiungiamo rapidamente la baita del bivacco Scermendone, recentemente attrezzata (1999) come punto di appoggio importantissimo sul tracciato del Sentiero Italia Lombardia nord. Il bivacco ha una parte sempre aperta, dove si può pernottare o trovare ricovero in caso di improvviso maltempo. Alle spalle del rifugio il Sentiero Italia prosegue verso il Dosso del Termine.


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In cammino, ora: a noi sarà, però, concessa la libertà di volgerci indietro, talora per ammirare ottimi scorci panoramici sulle cime della Valle dell’Oro (dove spicca, con il suo profilo tondeggiante e un po’ tozzo, il pizzo Ligoncio). A poche decine di metri da San Quirico parte una pista che si addentra in Val Terzana, tagliandone il fianco meridionale, fino alla già citata alpe Piano di Spini (m. 2198, cattiva traslitterazione del pian di spìn, letteralmente piano delle spine).
Sulla nostra destra il facile crinale è percorso da un sentiero che sale ad un'ampia sella che si affaccia sulla Valtellina: proseguendo verso destra possiamo ridiscendere a San Quirico passando per un bellissimo microlaghetto e per la Croce dell'Olmo (più avanti, prendiamo a destra e scendiamo un largo canalone erboso che scende ad un sentiero che, percorso verso destra, ci riporta al limite orientale dell'alpe). Se, invece, dalla sella proseguiamo verso sinistra troveremo un cartello che indica il punto nel quale parte un sentiero che scende all'alpe Baric; di qui si prosegue scendendo all'alpe Vignone ed a Prato Maslino. Se, infine, proseguiamo salendo lungo il crinale saliamo facilmente all'arrotondata, erbosa e panoramica cima di Vignone (m. 2609).
Ma torniamo all'alpe Piano di Spini. Alle spalle della baita di sinistra dell’alpe comincia un sentiero (segnavia rosso-bianco-rossi), che sale per un tratto verso sinistra, sormonta un dosso e prosegue verso nord-est, fino ad un breve corridoio nella roccia, che ci porta qualche metro sopra il laghetto di Scermendone (m. 2339). Si tratta di uno specchio d’acqua non ampio, ma pur sempre considerevole, sia per la sua bellezza, sia per il fatto che, insieme ai laghetti della
valle di Spluga e ad uno specchio ancor più modesto al centro della val Cameraccio, è ciò che resta di una presenza di laghi alpini che, in Val Masino, dovette essere, in tempi remoti, ben più consistente. Una sosta sulle sue rive permette di osservare il Sasso Arso ed i Corni Bruciati: viste da qui, queste formazioni montuose mostrano bene la ragione della loro denominazione.
Per illustrare meglio le caratteristiche di questo lago e dell'ambiente che lo ospita riportiamo le informazioni che ci vengono offerte dal bel volume "Laghi alpini di Valtellina e Valchiavenna", di Riccardo De Bernardi, Ivan Fassin, Rosario Mosello ed Enrico Pelucchi, edito dal CAI, sez. di Sondrio, nel 1993:


In Val Terzana, verso il passo di Scermendone (clicca qui per aprire una panoramica)

Dall'altra parte della Val Masino (verso oriente), poco più avanti si apre la Valle di Sasso Bisolo, dalla quale era possibile salire con facilità fino a qualche anno fa al pianoro di Preda Rossa (ora è stata interrotta da frane a più riprese). Si può salire comunque abbastanza agevolmente oggi anche dal versante valtellinese per strade che portano ad alti prati sotto il crinale di Scermendone (il toponimo allude probabilmente appunto  al «crinale»). Dietro questo, al di là di un sistema di ampi pascoli, una valletta si distende dal salto su Sasso Bisolo, fino al passo di Scermendone, parallela alla Valtellina. Il lago sta annidato in un anfratto tra le numerose balze e i dossi che articolano l'altopiano pascolivo.


Apri qui una panoramica della Val Terzana e del lago Scermendone

L'accesso più interessante però è probabilmente quello dal Piano di Preda Rossa, per un sentiero che con alcuni saliscendi s'inoltra in un bel lariceto, tra massi di frana caduti dal Sasso Arso (su un pietrone vi sono incisioni di sigle e date probabilmente opera di pastori) e quindi porta alla valletta (Val Terzana). Si passa per unpiccolo pascolo, poi il sentiero si fa meno evidente, ma resta ben più interessante di quelli che si scorgono dall'altra parte nei pascoli, in quanto attraversa vari microambienti naturali, corre sotto le morene sospese di antichi ghiacciaietti sulle falde dei Corni Bruciati, costeggia la forra del ruscello che a tratti si nasconde tra le rupi, passa vicino a strane lame di roccia (sulle destra salendo anziché le rosse rocce serpentinose che danno il nome alle cime già ricordate, compaiono scisti stratificati e friabili che si modellano in forme emergenti dalle morbide chine dei pascoli), e di pianoro in pianoro giunge al passo. Il lago, dalle acque cupe, se ne sta un po' in disparte in una buca dell'altopiano.”


Laghetto di Scermendone

Per un breve tratto sfruttiamo il medesimo sentiero che ci ha condotti sin qui, e ci riportiamo all’alpe Piano di Spini. Qui cerchiamo, sulla sinistra, il sentierino che affronta il versante meridionale della valle, salendo dapprima verso sinistra e superando da destra a sinistra un piccolo corso d’acqua, piegando, poi, leggermente a destra (direzione sud). Per facili balze, tenendo, più o meno, il centro o il lato destro di un ampio canalone che sale dolcemente, raggiungiamo, così, senza difficoltà (a parte qualche noiosa chiazza di neve marcia che nella prima parte del mese possiamo ancora trovare, data l’esposizione nord del versante) l’ampia sella erbosa, ad est della cima quotata 2395 metri, che ci consente di riaffacciarci sul versante retico della media Valtellina, ad una quota di circa 2380 metri.
Una sella che non ha nome sulle carte, ma che meriterebbe di essere menzionata, in quanto rappresenta la più agevole porta che collega gli alpeggi della Val Terzana a quelli del versante retico sopra Berbenno (alpe Baric, alpe Vignone e Prato Maslino). Guardando verso sinistra, un po’ più in alto, scorgiamo, infatti, un cartello, posto quasi sul ciglio meridionale dell’ampio crinale erboso, a quota 2440, nei pressi del punto di partenza della mulattiera che scende, verso est, all’alpe Baric ed all’alpe Vignone (l’alpe Baric è data a 45 minuti e Prato Maslino a 2 ore, mentre, nella direzione opposta, il laghetto di Scermendone viene dato a 30 minuti). Alle spalle del cartello, sulla sinistra, riconosciamo, poi, l’arrotondata ed erbosa cima di Vignone (m. 2608), alla quale si sale, senza difficoltà, seguendo un sentierino (o anche a vista): un fuori-programma di circa un’ora ci consentirebbe di raggiungerla e di godere dello splendido panorama che essa ci offre.
Ma anche dalla sella il panorama è ottimo, sia sul versante della Val Terzana e dei Corni Bruciati, che su quello della catena orobica, che dominiamo interamente, e della bassa Valtellina, di cui si mostra uno scorcio assai interessante.
Guardiamo, ora, alla nostra destra, verso sud-ovest: si apre davanti a noi un larghissimo corridoio erboso, a sud (sinistra) delle roccette della cima quotata 2395 metri; sul suo limite basso di sinistra individuiamo un grande ometto, posto nei pressi della Croce dell’Olmo, sullo sfondo delle cime della valle di Spluga e della val Ligoncio (Val Masino). È davvero un piacere impagabile scendere sul dolce declivio erboso, protetti quasi maternamente dall’abbraccio di questo alveo che ci nasconde da più ampi orizzonti, restituendoci alle più antiche sicurezze di un’infanzia remota. Ben presto si rivela, inattesa, una pozza nella quale si riflettono la cima del Desenigo ed il monte Spluga (valle di Spluga), le cime della Merdarola (valle della Merdarola) e l’arrotondato pizzo Ligoncio (val Ligoncio). Guardata dal lato opposto la pozza regala, invece, il riflesso del tripudio dorato del crinale, coronato dalla dolce cima di Vignone, suscitando un raro senso di raccoglimento e di imperturbata quiete.


Apri qui una panoramica dalla vecchia Croce dell'Olmo

C’è qualcosa di mistico in questi luoghi, di unico. La vicina Croce dell’Olmo corona questa sensazione. La raggiungiamo in pochi minuti, scendendo per un breve tratto verso sinistra. È posta, a 2342 metri, a pochi metri dal grande ometto che abbiamo scorto dalla sella, su uno speroncino di roccette nel punto culminante dell’ampio Dosso del Termine che, come indica la denominazione stessa (da “tèrmen”, confine), fa da confine fra i comuni di Buglio in Monte e Berbenno di Valtellina. È una modesta croce in legno (qualche anno fa ce n’era una ancora più modesta e malridotta, che però, nella sua povertà, con quel braccio orizzontale mestamente reclinato, sembrava perfetta per questo luogo ascetico).

La nuova e la vecchia Crus de l'Om

Nel suo nome nasconde un mistero: il riferimento diretto all’albero, data la quota, è da escludersi; c’entra, forse, un riferimento indiretto, in quanto l’olmo era rappresentato nello stemma della famiglia degli Olmo, che venne dalla bergamasca in Valtellina nei secoli scorsi, ed alla quale si riconduce anche il paesino di Olmo, in Valchiavenna. E', però, anche possibile spiegare il nome come deformazione di "om": a Buglio, infatti, molti sono perplessi su quale sia la sua autentica denominazione, "crus de l'olm" o "crus de l'om". Se fosse vera la seconda possibilità, la spiegazione sarebbe assai facile: si tratterebbe della croce presso un "om", un grande ometto. Ultimo mistero: una croce venne effettivamente posta in questo luogo solo nel secondo dopoguerra (recentemente ne è stata piantata una nuova): prima non c'era (o forse vi fu solo in tempi molto più antichi).


Il monte Disgrazia visto da San Quirico

Alla croce riemergiamo dall’abbraccio materno del corridoio che solca il versante ai più ampi spazi. Si riapre, amplissimo, l’orizzonte. Un orizzonte addirittura angosciante, per chi soffrisse di agorafobia. Sul fondo, ad ovest, le valli di Spluga, della Merdarola, Ligoncio e dell’Oro; poi, più a destra, è di nuovo la costiera Remoluzza-Arcanzo a negarci la visuale della splendida sequenza delle più nome cime del gruppo del Masino. Ai piedi di questo splendido scenario, il lungo serpente dell’alpe Scermendone (rivediamo san Quirico ed il baitone). A nord la cima meridionale dei Corni Bruciati (m. 3114) occhieggia appena alle spalle del crinale erboso che ci separa dalla Val Terzana. A sud, infine, le Orobie si distendono, nella fitta trama di cime che giochiamo volentieri a riconoscere, percorrendole una ad una fino all’inconfondibile corno del monte Legnone, vera colonna d’Ercole che segna il confine della Valtellina, alle soglie di altri monti ed altri mondi.


San Quirico

Ma anche il grande ometto merita la nostra attenzione. Gli ometti (umèt) hanno sempre rappresentato un interrogativo aperto per gli studiosi delle cose della montagna, che si sono chiesti se si tratti di semplice gioco che utilizza le pietre ricavate dallo spietramento dei terreni, di manufatti con significato funzionale di orientamento rispetto a punti nodali su sentieri o luoghi pericolosi, essenziale in caso di scarsa visibilità e foschia, o, infine, di segni con valenza anche religiosa. Di quest’ultimo avviso è Dario Benetti, che, nell’articolo “I pascoli e gli insediamenti d’alta quota” (in “Sondrio e il suo territorio”, IntesaBci, 2001), scrive: “Nel complesso rapporto vissuto dalla società tradizionale con il proprio territorio alla ricerca di un orientamento e di un ordinamento rientra anche, naturalmente, l’area degli alpeggi. Il profondo senso religioso dei contadini pastori si è espresso in varie modalità lasciando molti segni. Tra questi i più misteriosi e, nel contempo, emblematici, sono sicuramente i cosiddetti umèt… Ancora oggi oggi visitando la zona degli alti pascoli si resta colpiti dalla presenza, in genere sulle creste intervallive o, comunque, in punti ben visibili, di pilastri isolati in pietra a secco di circa un metro e mezzo di altezza… Gli umèt spuntano all’improvviso durante il cammino, come antichi guardiani dello spazio abitato, segnando i confini e i riferimenti tra un alpeggio e l’altro”. Il Benetti si riferisce soprattutto alla zona orobica delle Valli del Bitto, ma il suo discorso calza perfettamente anche per l'alpe Scermendone ed il lungo crinale che da essa sale verso est.


San Quirico

Lasciamo a malincuore questo luogo di meditazione, per continuare la discesa alla volta del bivacco Scermendone. Non c’è un vero e proprio sentiero: proseguiamo in parallelo alla linea del crinale, che corre, alla nostra destra, poche decine di metri più in alto, poi, seguendo il percorso più agevole, cominciamo a descrivere un arco che tende progressivamente a sinistra, superiamo qualche rudere di modesti ricoveri e scendiamo su terreno un po’ ripido, ma non problematico, fino ad individuare una traccia di sentiero che, volgendo a destra, ci fa perdere ulteriormente quota, fino ad intercettare la marcata mulattiera che proviene dal bivacco Scermendone. Prendendo a sinistra, ci si incammina sul Sentiero Italia che, fattosi modesto sentierino, scende all’alpe Vignone; noi, invece, prendiamo a destra e, dopo un tratto pianeggiante, in pochi minuti siamo di nuovo al bivacco Scermendone.


Verdel

Portiamoci ora alla vicina chiesetta di San Quirico. Invece di tornare per la medesima via di salita, scegliamo una traversata più bassa, per gli alpeggi di Verdel e della Merla. Dalla chiesetta di San Quirico procediamo quindi verso ovest, scendendo a sinistra, verso il vicino baitone. Prestando attenzione alla nostra sinistra vediamo un sentiero che scende con serpentine verso il limite della pecceta. Lasciando il sentiero utilizzando nella salita, sendiamo su questo secondo sentiero.
Nella pecceta il sentiero scende verso sinistra diritto, fino ad un bivio, al quale prendiamo a destra, seguendo un marcato sentiero che scende diritto verso sud-ovest. Attraversa un vallone e piega leggermente a sinistra, scendendo verso sud ed uscendo al limite orientale dell'alpe Verdel (m. 1716). Da qui godiamo del bel colpo d'occhio verso sud: si mostrano in primo piano la Val Tartano e la Val Gerola.
Qui ignoriamo un sentiero che scende a sinistra, traversiamo al lato opposto (ovest) dei prati, quasi in piano, passando a destra del cocuzzolo boscoso ed imbocchiamo il sentiero che procede in piano verso ovest, rientrando nella pecceta.

Sentiero singolare: non è segnato sulle carte, ma è ben marcato ed ha un fondo incredibilmente regolare e riposante, costituito da aghi di pino, senza sassi o irregolarità. Riattraversiamo così tranquillamente la parte alta della Val Primaverta, sempre restando all’ombra della pecceta.


Alpe Merla

Dopo una quarantina di minuti il sentiero esce dalla pecceta sul limite orientale dell’alpe Merla (m. 1734), che assomiglia singolarmente al Verdel: anche qui i prati stanno appena a nord di un cocuzzolo boscoso. Passiamo appena sotto una baita isolata e siamo ad un trivio: alla nostra destra un sentiero rientra nella pecceta e sale ad intercettare il sentiero per Scermendone, davanti a noi un sentiero appena accennato procede in piano verso l’alpe Grande, alla nostra sinistra, infine, un sentiero scende al limite inferiore dei prati appena oltre il poggio boscoso e rientra nella pecceta.


Apri qui una panoramica verso sud dall'alpe Merla

Seguiamo il sentiero di mezzo, che imbocchiamo procedendo quasi in piano. Rientriamo nella pecceta e con qualche saliscendi e qualche radura, procediamo verso ovest raggiugendo l'alpe Granda nei presso del rifugio Alpe Granda. Se non abbiamo parcheggiato qui, ridiscendiamo all'automobile sulla pista sterrata.


Apri qui una panoramica dell'alpe e del rifugio Alpe Granda

CARTA DEL PERCORSO sulla base della Swisstopo, che ne detiene il Copyright. Ho aggiunto alla carta alcuni toponimi ed una traccia rossa continua (carrozzabili, piste) o puntinata (mulattiere, sentieri). Apri qui la carta on-line

Mappa del percorso - particolare della carta tavola elaborata da Regione Lombardia e CAI (copyright 2006) e disponibile per il download dal sito di CHARTA ITINERUM - Alpi senza frontiere

GALLERIA DI IMMAGINI


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