SANTI (clicca qui per aprire la pagina relativa a questo giorno dal sito www.santiebeati.it):
S. Donato vescovo, Apollo

PROVERBI

El vin va beütt a memoria (il vino va bevuto a memoria, cioè senza tener conto della quantità – Montagna)
Quànt el dominée l’è fàcc’ lü l’è sàvi e i otri i è màtt
(quando un uomo ha completato la sua istruzione, lui è saggio e tutti gli altri sono matti – Regoledo)
S’cèta marüda bòna ventüra (ragazza matura, gran fortuna – Tirano)
Dòpu i quarànt’agn tücc i dì ‘n nöf malàgn (dopo i quarant'anni ogni giorno un nuovo malanno - Tirano)
Dùi cügnàdi ‘n te ‘na ca, se ‘l diàu al gh’è mìga, al vegnarà
(con due cognate in una casa se non c'è il diavolo, arriverà - Tirano)
Pan, furmài e vin l’è mangià de cuntadìn (pane, formaggio e vino è cibo da contadino - Teglio)
La prümma galìnä che chèntä la fac’ l'ööf (la prima gallina che canta ha fatto l'uovo - Villa di Chiavenna)
Al brasc’ a còl e la gamba a lec'
(il braccio si cura tenendolo al collo e la gamba stando a letto - Villa di Chiavenna)
Al dulùr sa 'l sent quel dal fradèl, ma da plü quel sü la propria pell
(si sente il dolore dle fratello, ma di più quello sulla propria pelle Poschiavo)

VITA DI UNA VOLTA

Fra le consuetudini dell'autunno di un tempo vi era quella di lasciar da parte qualche castagna, un po' di cacio e qualche altro genere alimentare per il più famoso e misterioso fra gli esseri leggendari che era di casa in Val Masino, ma anche nella Costiera dei Cech, il Gigiàt.
Non è facile, però capire di che cosa si trattasse esattamente. Il problema sta nelle fonti: ben pochi possono affermare credibilmente di averlo visto, e coloro che ne parlano lo descrivono in termini diversi. Le più accreditate fonti sono sicuramente le guide alpine, gli storici gestori dei rifugi di Val Masino, che da oltre un secolo narrano le sue gesta nelle serate di veglia.
Secondo alcuni l’habitat estivo dell’animale è rigorosamente circoscritto alle valli Porcellizzo, del Ferro, Qualido e di Zocca, ma la questione è controversa, perché altri lo estendono anche a sud-ovest, cioè alla valle dell’Oro, della Merdarola e di Spluga, e ad est, cioè alle valli Torrone, Cameraccio e di Preda Rossa, affermando che i Corni Bruciati rappresentano il limite orientale del suo territorio. Pare abbastanza certo che d’inverno scenda sul fondovalle, anche se, per la sua grande rapidità, non viene mai avvistato, se non è lui che lo vuole.
Non è certissimo neppure di che animale si tratti: probabilmente è un incrocio fra un caprone ed un camoscio (o stambecco), dal pelo lunghissimo (che si fa tosare ogni primavera) e dalle dimensioni gigantesche, tanto da poter attraversare un’intera valle con pochi balzi. L’aspetto più enigmatico di tutta la faccenda, però, è che, nonostante le sue dimensioni, ben pochi riescono ad avvistarlo, fondamentalmente solo le guide alpine. Altri dicono che non sia poi così gigantesco. In ogni caso il suo identikit ce lo rappresenta con una testa di dimensioni sproporzionate rispetto al corpo, con un naso schiacciato e lunghe corna; le zampe anteriori sono fornite di unghioni, le posteriori di zoccoli prensili; il pelo lungo ed arruffato emana un insopportabile puzzo di caprone selvatico.
Tutti sono d’accordo sulla sua straordinaria agilità: in alta montagna si muove con una destrezza ed una sicurezza senza eguali, salta da una cengia all’altra, volteggia sui ghiacciai, corre verso i precipizi e si ferma bruscamente proprio sul ciglio, sembra farsi beffe delle leggi della gravità e dell’equilibrio. Unisce alla destrezza un’incredibile resistenza: non è mai stanco, non è mai fermo.
Un episodio, fra tanti, può darci un’idea di come sia veramente il re di queste montagne. Lo raccontò, mito che racconta un mito, la guida alpina Giacomo Fiorelli, custode del rifugio Gianetti agli inizi del novecento. Egli soleva scalare le montagna a piedi nudi, anche con le condizioni ambientali più severe. Una volta gli capitò di attraversare l’ultima cengia prima della vetta del pizzo Badile, che era un po’ come la sua seconda casa. Ma fu tradito dal ghiaccio, e scivolò. Sarebbe precipitato, se non fosse riuscito ad aggrapparsi ad uno spuntone di roccia. Si ritrovò, così, sospeso sul precipizio, senza potersi trarre d’impaccio, perché non aveva altri appigli per mani e piedi. Venne, allora, il gigiàt; ne sentì l’odore prima ancora che il rumore degli zoccoli rapidi e sicuro su qualunque terreno; venne e si pose appena sopra di lui. Sentì il suo lungo vello carezzargli il volto contratto per la tensione. Fu un attimo: lasciò lo spuntone e si aggrappò con tutto il peso del corpo al suo pelo, tirandosi su con la sola forza delle braccia. Era salvo, e doveva la sua salvezza all’animale, che però, prima ancora che avesse il tempo di realizzare quanto era accaduto, si era sottratto alla sua vista.

Da questo, e da molti altri episodi, si può evincere che la natura del gigiàt è profondamente buona. Ma la cosa non è così semplice: gli attribuiscono pure la terrificante la consuetudine di integrare la sua dieta, fondamentalmente vegetariana, con qualche pasto a base di escursionisti o alpinisti solitari, sorpresi ad addentrarsi nei suoi remoti territori. Forse perché il nome che gli hanno dato (come tutti i nomi in "-àt" suona, infatti, spregiativo) l'ha profondamente offeso e ancora l'offende.
Come conciliare questi due aspetti? Una chiave di lettura della sua natura apparentemente contraddittoria ce la fornisce un murales ben visibile a San Martino, su una casa che si trova, sulla destra, al suo ingresso. Vicino alla rappresentazione fantastica dell’animale, si legge: “El Gigiat, nume tutelare de esta splendida valle. Buono con lo homo che natura rispetta, mala sorte a chi lo trovasse non rispettoso. Onori et gloria a chi el vedesse e notizia ne desse…”. Dunque, animale fantastico sì, ma non bestia, anzi, quasi espressione di un’arcaica saggezza e giustizia, che non fa male al buono, ma punisce il malvagio. Per questo è non solo temuto, ma anche rispettato: è ancor viva la consuetudine di lasciare, d’inverno, un po’ di fieno nei prati, perché possa sfamarsi.
Non possiamo non consultare, in merito ad un essere così misterioso, Aurelio Garobbio, uno dei maggiori studiosi dell’universo immaginario dell’arco alpino, il quale, nella bella raccolta “Montagne e Valli incantate”, (Rocca San Casciano, Cappelli, 1963, pp. 151-152), afferma:
“In val Masino vive il Gigiat. Selvaggio ed inquieto passa da un alpeggio all'altro lottando con i torelli, balza sulle giogaie con i camosci e si sente anche lui un camoscio, irrompe nelle danze delle marmotte e le afferra costringendole a ballare con lui, salta nelle fratte fra i caprioli, s'arrampica con gli scoiattoli sui pini ed appeso ai rami dondola nell'aria. Qualcuno gli ha scorto le corna ritorte del capro nascoste tra i lunghi capelli, qualcuno ha veduto impronte di zoccoli dove è passato. Se apre la porta della baita e mette dentro il capo, la sua risata rischiara l'aria; se beve alla fonte, l'acqua diventa più copiosa. Uomo o bestia, il Gigiat è incontrastato signore tra il Badile ed il Cengalo, il Torrone ed il Disgrazia.
D'autunno passa tra i castagneti e urlando divalla a piroette: ricci e foglie diventati di bronzo gli s'attaccano al petto ed alla schiena. Di primavera sceglie un alpeggio per farsi tosare il lungo vello ricciuto prima di risalire sulle cime. Per il Gigiat si lascia sulla lista di prato segato un po' d'erba e prima di scaricare i monti si deposita del fieno sulla porta delle baite perché quando la neve tutto copre egli lo trovi. Per lui le donne nascondono nei boschi cacio, castagne, noci. C'è chi l'ha visto metà uomo e metà capro sfrecciare fra gli alberi e scomparire come se inghiottito dalla scagliosa. corteccia di un cembro; c'è chi l'ha udito fra i vigneti d'Ardenno, quando i grappoli si tingono, suonare con lo zufolo ed il crosciare della cascata si intonava a quella melodia come il fremito delle selve ed il battere del cuore. Perché il Gigiat è simbolo della vita che si rinnova e dell'eterna giovinezza che sta sui monti e dai monti scende con i fiumi ad allietare il mondo.”

Occorre però dar conto, per amore d’onestà, anche delle versioni più scettiche della storia del Gigiàt. Si dice che all'origine della credenza del Gigiàt vi sia una colossale burla, ai danni di un ricchissimo e stravagante conte morbegnese, che si vantava di aver raccolto nella sua dimora tutto quanto di più curioso e raro la terra di Valtellina potesse offrire. Autori della burla due abitanti di San Martino, che gli dissero di aver visto, nei pressi del pizzo Badile, un animale spaventoso, enorme, dal pelo caprino lunghissimo e nero e dalle narici vomitanti fiamme. Il conte arse allora dal desiderio di poter arricchire la sua raccolta di rarità catturando quell'animale prodigioso, ed anticipò una cospicua somma di denaro ai due, purché si impegnassero a catturarlo. E' facile intuire quel che accadde: del Gigiàt e dei due non si vide più neppure l'ombra, e da allora sono trascorsi due secoli buoni, senza che nessuno abbia saputo portare prove attendibili sull'esistenza del fantomatico animale. Questo dicono gli scettici.
A questi si contrappongono coloro che difendono a spada tratta l’esistenza del miticoo animale. Costoro affermano che, nel secolo scorso, ne venne catturato un esemplare, che tuttavia non sopravvisse molto alla cattività: portato a Morbegno per essere esibito alla cittadinanza incredula, non tollerò il clima del fondovalle e morì di raffreddore. Fine tristissima per un campione del clima più rigido e severo dell’alta montagna!
Una seconda versione parla non di morte, ma di liberazione: l’animale, infatti, si mostrò del tutto insofferente alla cattività, si ribellò, cominciò a tirare calci a destra e a manca, inducendo le guide alpine che l’avevano portato a Morbegno a restituirlo ai suoi monti. Sì, perché forse il tratto più caratteristico del gigiàt è il suo profondissimo amore per la libertà, la sua vitalità, il suo bisogno rimuoversi, la sua natura inquieta e anche dispettosa: pare, infatti, che ami partecipare alle danze delle marmotte ed oscillare sui rami degli alberi con gli scoiattoli.

Dopo tanti “si dice”, ecco un fatto certo ed attestato. Al Carnevale di Morbegno del 1956 sfilò, infatti, fra la sorpresa e l’ilarità di tutti, un esemplare di Gigiat incatenato e condotto da due abitanti di S. Martino, che volevano, così, assestare un sonoro schiaffo morale a tutti quei Morbegnesi che, prendendo spunto dall’episodio sopra narrato, andavano dicendo, dei “Valöcc” (cioè degli abitanti di Val Masino), che sono persone inaffidabili. Ecco, costoro dovevano ora ricredersi: alla fine l’animale, catturato, era stato portato a Morbegno, come qualche generazione prima era stato promesso. Si trattava, in realtà, di un asino ricoperto di pelli, condotto da un cacciatore con il fucile di legno e da un aiutante, che tentò, anche, di mungerlo. Fra le risate di tutti, la mungitura non riuscì, perché il freddo aveva congelato il latte nelle mammelle (ovviamente posticce). Senza scomporsi, però, l’aiutante corse a comperare del latte appena munto e lo inserì nelle finte mammelle: alla fine anche il latte del Gigiat venne, così, pubblicamente munto.
Rimase, a ricordo dell’epica impresa, una poesiola in dialetto, riportata nel bel libro di Mario Songini “La Val Masino e la sua gente” (aprile 2006): “L’è scià el Gigiàt de San martìn/l’è ‘na bestia düra/che a tüti la fa pagüra./L’em ciapä e encatenä/e a Murbegn, al carnevä,/l’em portä./El so lac ‘l’è tant fregè/che senza el quac’ al sé quagè” (E’ qui il Gigiàt di San Martino ("san martìn")/è una bestia dura/che a tutti fa paura./Lo abbiamo preso e incatenato/e a Morbegno, al carnevale,/l’abbiamo portato./Il suo latte è tanto raffreddato/che senza il caglio è cagliato”).
Non è, però, questa l’unica sorpresa che il Gigiàt ha in serbo. Di lui si parla, infatti, anche al di fuori dei confini della Val Masino, ed in particolare nella vicina Costiera dei Cech, in diversi altri luoghi della Valtellina ed in Valsassina. Uscita dai severi bastioni granitici della Val Masino, la sua figura assume tratti più vaghi, che rimandano all’antichissimo mito del dio Pan, connesso con l’inesauribile fecondità della natura ed il ciclo che sempre si rinnova della vita. Così, si dice, il Gigiat non è più grande di 40-60 cm., ama far udire il suono del suo zufolo senza farsi vedere, si nasconde anche dietro ricci e foglie di castagno in autunno, è un essere a metà fra l’uomo ed il capro, che lotta, per scherzo, con torelli e camosci, o forse anche un folletto burlone e bizzarro, che danza con le marmotte ed ama il dono delle castagne più belle e delle caciotte che i contadini lasciano esposte sull’uscio di casa per lui. Si pensa a lui nel tempo dell’allegria, come la vendemmia: qualche grappolo, fra i più belli, viene lasciato sui filari, come omaggio che il gigiàt apprezza molto.
E allora è forse anche un ringraziamento quella risata cristallina che, nel torpore del meriggio, si sente, qualche volta, squillante ed improvvisa, fra l’uscio ed il cortile, dietro una porta o un castagno. Si va, allora, a guardare chi è. Non vi vede nessuno. Ma si avverte che il gigiàt è stato qui, presenza propizia foriera di abbondanza e gioia di vivere.

Segnaliamo, infine, due testi significativi nei quali possiamo rintracciare il Gigiat, anche se solo sulla carta: "Alpi e Prealpi, mito e realtà", di Aurelio Garobbio (Alfa, Bologna, 1967, pg. 68), e "Dov'è più bello andare. Genti, paesi e itinerari della Valtellina e della Valchiavenna" (in "Numero speciale della Rassegna Economica della Provincia di Sondrio", ed. Camera di Commercio di Sondrio, 1971, pp. 35-36).

STORIA
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AMBIENTE

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I PROVERBI SONO IN GRAN PARTE TRATTI DAI SEGUENTI TESTI:

Gaggi, Silvio, "Il volgar eloquio - dialetto malenco", Tipografia Bettini, Sondrio, 2011
Laura Valsecchi Pontiggia, “Proverbi di Valtellina e Valchiavenna”, Bissoni editore, Sondrio, 1969
Gabriele Antonioli, Remo Bracchi, "Dizionario etimologico grosino" (Sondrio, 1995, edito a cura della Biblioteca comunale di Grosio)
Dott. Omero Franceschi, prof.ssa Giuseppina Lombardini, "Costumi e proverbi valtellinesi", Ristampa per l'Archivio del Centro di Studi Alpini di Isolaccia Valdidentro, 2002
AA.VV. "A Cà Nossa ai le cünta inscì", a cura della Biblioteca Comunale di Montagna in Valtellina, Piccolo Vocabolario del dialetto di Montagna con detti, proverbi, filastrocche e preghiere di una volta (1993-1996)
Glicerio Longa, "Usi e Costumi del Bormiese”, ed. "Magnifica Terra", Sondrio, Soc. Tipo-litografica Valtellinese
"Parla 'me ta mànget - detti, proverbi e curiosità della tradizione comasca, lecchese e valtellinese", edito da La Provincia, 2003
Pier Antonio Castellani, “Cento proverbi, detti e citazioni di Livigno” I Libri del Cervo, Sondrio, 1996
Pier Antonio Castellani, “Cento nuovi proverbi, detti e citazioni di Livigno” I Libri del Cervo, Sondrio, 1999
Pier Antonio Castellani, “Cento altri, detti e citazioni di Livigno” I Libri del Cervo, Sondrio, 2000
Pier Antonio Castellani, "Detti e citazioni della Valdidentro", I Libri del Cervo, Sondrio, 2000
Luigi Godenzi e don Reto Crameri, "Proverbi, modi di dire, filastrocche raccolti a Poschiavo, in particolare nelle sue frazioni", con la collaborazione di alcune classi delle Scuole di Avviamento Pratico, Tip. Menghini, Poschiavo (CH), 1987
Lina Lombardini Rini, "Favole e racconti in dialetto di Valtellina", Edizioni Sandron, Palermo-Roma, 1926
Cici Bonazzi, “Detti, proverbi, filastrocche, modi di dire in dialetto tiranese”, ed. Museo Etnografico Tiranese, Tirano, 2000
Luisa Moraschinelli, "Dizionario del dialetto di Aprica", IDEVV (Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca"), Sondrio, 2010
Tarcisio Della Ferrera, Leonardo Della Ferrera (a cura di), "Vocabolario dialettale di Chiuro e Castionetto", Comune di Chiuro ed IDEVV (Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca"), Sondrio, 2008 (cfr. anche www.dialettochiuro.org)
Giovanni Giorgetta, Stefano Ghiggi (con profilo del dialetto di Remo Bracchi), "Vocabolario del Dialetto di Villa di Chiavenna", IDEVV (Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca"), Sondrio, 2010
Luigi Berti, Elisa Branchi (con contributo di Remo Bracchi), "Dizionario tellino", IDEVV (Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca"), Sondrio, 2003
Sergio Scuffi (a cura di), "Nü’n cuštümàva – Vocabolario dialettale di Samolaco", edito nel 2005 dall’Associazione Culturale Biblioteca di Samolaco e dall’Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca. Giacomo Maurizio, "La Val Bargaia", II parte, in "Clavenna" (Bollettino della Società Storica Valchiavennasca), 1970 Gabriele Antonioli e Remo Bracchi, "Dizionario etimologico grosino", Sondrio, 1995, edito a cura della Biblioteca Comunale di Grosio.
Silvana Foppoli Carnevali, Dario Cossi ed altri, “Lingua e cultura del comune di Sondalo” (edito a cura della Biblioteca Comunale di Sondalo)
Serafino Vaninetti, "Sacco - Storia e origini dei personaggi e loro vicissitudini degli usi e costumi nell'Evo", Edizioni Museo Vanseraf Mulino del Dosso, Valgerola, 2003
Sito www.fraciscio.it, dedicato a Fraciscio
Sito www.prolocodipedesina.it, dedicato a Pedesina
Massara, Giuseppe Filippo, "Prodromo della flora valtellinese", Sondrio, Della Cagnoletta, 1834 (ristampa anastatica Arnaldo Forni Editore)
Massara, Giuseppe Filippo, "Prodromo della flora valtellinese", Sondrio, Della Cagnoletta, 1834 (ristampa anastatica Arnaldo Forni Editore)


Utilissima anche la consultazione di Massimiliano Gianotti, "Proverbi dialettali di Valtellina e Valchiavenna", Sondrio, 2001

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PRINCIPALI TESTI CONSULTATI:

Laura Valsecchi Pontiggia, “Proverbi di Valtellina e Valchiavenna”, Bissoni editore, Sondrio, 1969
Gabriele Antonioli, Remo Bracchi, "Dizionario etimologico grosino" (Sondrio, 1995, edito a cura della Biblioteca comunale di Grosio)
Dott. Omero Franceschi, prof.ssa Giuseppina Lombardini, "Costumi e proverbi valtellinesi", Ristampa per l'Archivio del Centro di Studi Alpini di Isolaccia Valdidentro, 2002
Tullio Urangia Tazzoli, "La contea di Bormio – Vol. III – Le tradizioni popolari”, Anonima Bolis Bergamo, 1935;
AA.VV. "A Cà Nossa ai le cünta inscì", a cura della Biblioteca Comunale di Montagna in Valtellina, Piccolo Vocabolario del dialetto di Montagna con detti, proverbi, filastrocche e preghiere di una volta (1993-1996);
Giuseppina Lombardini, “Leggende e tradizioni valtellinesi”, Sondrio, ed. Mevio Washington, 1925;
Lina Rini Lombardini, “In Valtellina - Colori di leggende e tradizioni”, Sondrio, Ramponi, 1950;
Glicerio Longa, "Usi e Costumi del Bormiese”, ed. "Magnifica Terra", Sondrio, Soc. Tipo-litografica Valtellinese 1912, ristampa integrale nel 1967 a Bormio e II ristampa nel 1998 a Bormio a cura di Alpinia Editrice;
Glicerio Longa, "Vocabolario Bormino”, Perugia, Unione Tipografica Cooperativa, 1913;
Marcello Canclini “Raccolta di tradizioni popolari di Bormio, Valdisotto, Valfurva, Valdidentro e Livigno – Il ciclo della vita – La nascita e l'infanzia” (Centro Studi Storici Alta Valtellina, 2000);
Marcello Canclini “Raccolta di tradizioni popolari di Bormio, Valdisotto, Valfurva, Valdidentro e Livigno – Il ciclo della vita – Fidanzamento e matrimonio” (Centro Studi Storici Alta Valtellina, 2004);
Luigi De Bernardi, "Almanacco valtellinese e valchiavennasco", II, Sondrio, 1991;
Giuseppe Napoleone Besta, "Bozzetti Valtellinesi", Bonazzi, Tirano, 1878;
Ercole Bassi, “La Valtellina (Provincia di Sondrio) ”, Milano, Tipografia degli Operai, 1890;
"Ardenno- Strade e contrade", a cura della cooperativa "L'Involt" di Sondrio;
"Castione - Un paese di Valtellina", edito a cura della Biblioteca Comunale di Castione, in collaborazione con il Sistema Bibliotecario di Sondrio;
don Domenico Songini, “Storie di Traona – terra buona”, vol. II, Bettini Sondrio, 2004;
don Domenico Songini, “Storia e... storie di Traona – terra buona”, vol. I, Bettini Sondrio, 2001;
Scuola primaria di Sirta: calendari 1986 e 1991 (a cura dell'insegnante Liberale Libera);
Luisa Moraschinelli, “Uita d'Abriga cüntada an dal so dialet (agn '40)”;
Giovanni Bianchini e Remo Bracchi, "“Dizionario etimologico dei dialetti della Val di Tartano”, Fondazione Pro Valtellina, IDEVV, 2003;
Rosa Gusmeroli, "Le mie care Selve";
Cirillo Ruffoni, "Ai confini del cielo - la mia infanzia a Gerola", Tipografia Bettini, Sondrio, 2003;
Cirillo Ruffoni, "Chi va e chi resta - Romanzo storico ambientato in bassa Valtellina nel secolo XV", Tipografia Bettini, Sondrio, 2000;
Cirillo Ruffoni, "In nomine Domini - Vita e memorie di un comune della Valtellina nel Trecento", Tipografia Bettini, Sondrio, 1998;
Mario Songini (Diga), "La Val Masino e la sua gente - storia, cronaca e altro", Comune di Val Masino, 2006;
Tarcisio Della Ferrera, "Una volta", Edizione Pro-Loco Comune di Chiuro, 1982;
"Parla 'me ta mànget - detti, proverbi e curiosità della tradizione comasca, lecchese e valtellinese", edito da La Provincia, 2003;
Massimiliano Gianotti, "Proverbi dialettali di Valtellina e Valchiavenna", Sondrio, 2001;
Associazione Archivio della Memoria di Ponte in Valtellina, "La memoria della cura, la cura della memoria", Alpinia editrice, 2007;
Luisa Moraschinelli, "Come si viveva nei paesi di Valtellina negli anni '40 - l'Aprica", Alpinia editrice, 2000;
Aurelio Benetti, Dario Benetti, Angelo Dell'Oca, Diego Zoia, "Uomini delle Alpi - Contadini e pastori in Valtellina", Jaca Book, 1982;
Patrizio Del Nero, “Albaredo e la via di San Marco – Storia di una comunità alpina”, Editour, 2001;
Amleto Del Giorgio, "Samolaco ieri e oggi", Chiavenna, 1965;
Ines Busnarda Luzzi, "Case di sassi", II, L'officina del Libro, Sondrio, 1994;
aa.vv. “Mondo popolare in Lombardia – Sondrio e il suo territorio” (Silvana editoriale, 1995) Pierantonio Castellani, “Cento proverbi, detti e citazioni di Livigno” I Libri del Cervo, Sondrio, 1996 Pierantonio Castellani, “Cento nuovi proverbi, detti e citazioni di Livigno” I Libri del Cervo, Sondrio, 1999 Pierantonio Castellani, “Cento altri, detti e citazioni di Livigno” I Libri del Cervo, Sondrio, 2000
Cici Bonazzi, “Detti, proverbi, filastrocche, modi di dire in dialetto tiranese”, ed. Museo Etnografico Tiranese, Tirano, 2000
Luisa Moraschinelli, "Dizionario del dialetto di Aprica", IDEVV (Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca"), Sondrio, 2010
Tarcisio Della Ferrera, Leonardo Della Ferrera (a cura di), "Vocabolario dialettale di Chiuro e Castionetto", Comune di Chiuro ed IDEVV (Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca"), Sondrio, 2008 (cfr. anche www.dialettochiuro.org)
Giovanni Giorgetta, Stefano Ghiggi (con profilo del dialetto di Remo Bracchi), "Vocabolario del Dialetto di Villa di Chiavenna", IDEVV (Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca"), Sondrio, 2010
Luigi Berti, Elisa Branchi (con contributo di Remo Bracchi), "Dizionario tellino", IDEVV (Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca"), Sondrio, 2003
Pietro Ligari, “Ragionamenti d’agricoltura” (1752), Banca Popolare di Sondrio, Sondrio, 1988
Saveria Masa, “Libro dei miracoli della Madonna di Tirano”, edito a cura dell’Associazione Amici del Santuario della Beata Vergine di Tirano” (Società Storica Valtellinese, Sondrio, 2004)
Sergio Scuffi (a cura di), "Nü’n cuštümàva – Vocabolario dialettale di Samolaco", edito nel 2005 dall’Associazione Culturale Biblioteca di Samolaco e dall’Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca. Giacomo Maurizio, "La Val Bargaia", II parte, in "Clavenna" (Bollettino della Società Storica Valchiavennasca), 1970 Gabriele Antonioli e Remo Bracchi, "Dizionario etimologico grosino", Sondrio, 1995, edito a cura della Biblioteca Comunale di Grosio.
Silvana Foppoli Carnevali, Dario Cossi ed altri, “Lingua e cultura del comune di Sondalo” (edito a cura della Biblioteca Comunale di Sondalo)
Serafino Vaninetti, "Sacco - Storia e origini dei personaggi e loro vicissitudini degli usi e costumi nell'Evo", Edizioni Museo Vanseraf Mulino del Dosso, Valgerola, 2003
Sito www.fraciscio.it, dedicato a Fraciscio
Sito www.prolocodipedesina.it, dedicato a Pedesina
Massara, Giuseppe Filippo, "Prodromo della flora valtellinese", Sondrio, Della Cagnoletta, 1834 (ristampa anastatica Arnaldo Forni Editore)
Galli Valerio, Bruno, "Materiali per la fauna dei vertebrati valtellinesi", Sondrio, stab. tipografico "Quadrio", 1890

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