SANTI (clicca qui per aprire la pagina relativa a questo giorno dal sito www.santiebeati.it):
S. Aristide martire, Abbondio, Aidano, Aida

SANTI PATRONI: S. Maurizio (Rogolo, I domenica di settembre)

PROVERBI

De Sant'Abonde castegne come monde (a sant'Abbondio le castagne sono come monde – Teglio)
De sant'Abonde, penciröi sü tüt i sponde (a Sant'Abbondio acini d'uva dappertutto – Teglio)
A sant’Abùndi i castégni i è redùndi (a sant’Abbondio le castagne sono rotonde)
Sant’Abundi, acqua a undi (Sant’Abbondio, acqua in abbondanza)
La šcotürä de san Lorénz, e sant'Abóndi vén col val
(se fa un gran caldo a san Lorenzo, verranno piogge alluvionali a san'Abbondio - Villa di Chiavenna)
Se la spìna la fa sü la rüsàda al sa vòlta ‘l témp (se il rubinetto fa la rugiada, cambia il tempo - Tirano)
Se mìga tüti i galìni li va a pulée gh’è vargùt che va mìga bée
(se non tutte le galline tornano al pollaio c'è qualcosa che non va bene - Tirano)
Prest e ben rar al ven (presto e bene raramente avviene - Poschiavo)
Ber l’acqua come un manz, el vin come un re (a ber l'acqua si fa come i manzi, a bere il vino come i re - Grosio)


VITA DI UNA VOLTA

Si celebra oggi la memoria di S. Abbondio, patrono della diocesi di Como. Viene rappresentato con una verga in mano. Venne martirizzato con la decapitazione.

Nel "Vocabolario dei dialetti della Val Tartano", di Giovanni Bianchini (Fondazione Pro Valtellina, Sondrio, 1994), leggiamo:
 “Le fiere più importanti che interessavano i contadini della Valle erano specialmente quelle che si tenevano a Morbegno: la féra dè Sant’Abùndi, la fiera di Sant’Abbondio, il 31 agosto, era la prima dell’autunno; questa era un prodotto dell’andamento del mercato del bestiame; la féra dè Murbégn, la fiera autunnale, che aveva come riferimento la terza domenica di ottobre, durava 8 giorni ed era una delle più importanti della provincia e delle zone del Lario; la féra dè S. Antòni, la fiera di S. Antonio, il 17 gennaio; la féra de S. Isèp, la fiera di S. Giuseppe, il 19 marzo; la féra de Santa Crùs, la fiera di Santa Croce, il 3 maggio; la féra de S. Pédru, la fiera di San Pietro, il 29 giugno.
Fiere a Morbegno di scarso rilievo erano quella di Sant’Andrea, il 30 novembre (a Sant’Andrea rientravano di solito dalla Svizzera gli emigranti stagionali, specialmente muratori e manovali) e quella si S. Silvèstru, San Silvestro, il 31 dicembre.

Importanti erano pure: la fiera autunnale dè Delébi, di Delebio, che si svolgeva 8 giorni dopo quella di Morbegno, e durava 3 giorni; quella dè Ardèn, di Ardenno, il 20 novembre.
La féra del furmàc’, fiera del formaggio, si teneva fino a prima dell’ultima guerra a Branzi, in Val Brembana, nell’ultima settimana di settembre e durava circa 8 giorni. Vi affluiva, oltre a quello della Val Brembana e delle valli adiacenti, quasi tutto il formaggio tipo Bitto degli alpeggi delle Orobie della bassa e media Valtellina fino alla Val Livrio, e alle volte anche di qualche alpeggio della Val Masino. Il formaggio veniva portato, in genere, dalle persone sulle bàste, e poco con muli. A Branzi era depositato in ampie casere. Grossi mercanti della pianura padana e di altre zone acquistavano il formaggio in partìda. I mercanti giravano nelle casere tra le casere piene di forme di color paglierino, pulite e lucide perché erano state spalmate con olio d’oliva o con olio di lino cotto, marchiate col bollo a fuoco con le iniziali del nome e del cognome del caricatore… I caricatori degli alpeggi soggiornavano negli alberghetti del borgo per i giorni necessari a vendere il loro formaggio. Coi soldi ricavati dalla vendita del formaggio, essi dovevano pagare l’affitto dell’alpeggio, i salari ai pastori, il latte ai lacièer e la spésa dell’estate. Di quei soldi rimaneva loro ben poco, anche nelle annate buone.”

 

Sant'Abbondio

Nitido il cielo come in adamante
d'un lume del di là trasfuso fosse,
scintillan le nevate alpi in sembiante
d'anime umane da l'amor percosse.
Sale da i casolari il fumo ondante
bianco e turchino fra le piante mosse
da lieva aura: il Madesimo cascante
passa tra gli smeraldi. In vesti rosse
traggono le alpigiane, Abbondio santo,
a la tua festa: ed è mite e giocondo
di lor, del fiume e de gli abeti il canto.
Laggiù che ride de la valle in fondo?
Pace, mio cuor; pace, mio cuore. Oh tanto
breve la vita ed è sì bello il mondo!

(Giosuè Carducci, Medesimo, 1 settembre 1898)

STORIA

In una notte di fine agosto 1966 il finanziere Dario Cinus, cagliaritano, di 23 anni, perde la vita precipitando da un dirupo sul difficile sentiero della Passerella, sul confine italo-svizzero sopra Baruffini (Tirano), insieme ad un contrabbandiere che stava cercando di aiutare per liberarlo da una situazione precaria. Due anni prima, nella notte fra il 14 ed il 15 dicembre 1964, era morta, sempre nei boschi sopra Baruffini, Irma Rinaldi, contrabbandiera colpida da un colpo di pistola esploso da una guardia di Finanza che le aveva intimato l'title.
Questo lungo brano di Diego Zoia incornicia bene questi due tragici episodi nel contesto delle attività di contrabbando che interessarono, nei seocli scorsi, l'intera Valtellina, e soprattutto il Tiranese.

Diego Zoia, dall’articolo “Commercio minore e contrabbando”, in “Mondo popolare in Lombardia – Sondrio e il suo territorio” (Milano, Silvana editoriale, 1955):
Il miglioramento progressivo delle condizioni di vita nei primi decenni di questo secolo, particolarmente apprezzabile a partire dagli anni Trenta quando si iniziarono nella zona grossi lavori legati alla realizzazione di centrali idroelettriche, ed il relativo maggior benessere che ne seguì ridussero l'intensità del fenomeno contrabbandiero nella zona, con l'esclusione delle frazioni di Roncaiola e Baruffini, dove rimase endemico ancora per diversi decenni.
Una reviviscenza si ebbe comunque negli anni del secondo conflitto mondiale, per effetto soprattutto della penuria di generi alimentari che si accompagna a tutti i conflitti. Il traffico illegale di confine si rifece in quell'epoca assai intenso, in entrambe le direzioni ma soprattutto dall'Italia verso la Svizzera.
Nella provincia di Sondrio, infatti, la relativa fertilità del territorio, la migliore esposizione e le quote di fondovalle più basse consentivano una discreta produzione di grani, uva e castagne.
Va poi aggiunto che erano possibili sia gli allevamenti di suini, da parte di quasi tutte le famiglie, che discrete coltivazioni orticole; tutto ciò consentiva una, se pur stentatissima, autarchia di sopravvivenza; il riso, la pasta e lo zucchero arrivavano, anche se in quantitativi limitati, dalla pianura e bene o male si riusciva a campare.
La confinante valle di Poschiavo, in territorio svizzero, presenta invece possibilità di coltivazione assai più ridotte: le quote e l'orografia non consentono la coltura della vite, riducono ad entità marginale quella del castagno e penalizzano fortemente quella dei cereali, anche i meno esigenti (segale e grano saraceno). Il contrabbando venne esercitato in periodo bellico soprattutto da donne e ragazzi, in quanto i maschi validi erano quasi tutti partiti per svolgere il servizio militare.
Il traffico divenne tanto intenso e si allargò ad una tale varietà di beni, alimentari e non (tra questi ultimi pneumatici, tessuti, binocoli, macchinari leggeri e per­sino profilattici) che si diede vita, in prossimità della dogana svizzera di Viano, ad un vero e proprio mercatino, con esibizione in vendita di generi vari.
In direzione opposta andavano invece i trasporti di sale, all'epoca difficilmente reperibile in Italia (soprattutto dopo il 1943) ed indispensabile alle famiglie contadine per la conservazione delle carni dei maiali dalle stesse allevati, che rappresentavano una componente fondamentale dell'alimentazione, col latte e derivati, i grani ed il vino.
Poschiavo e Brusio erano, in territorio elvetico, i centri di smistamento delle merci. Da Poschiavo partivano infatti i carichi di sale in direzione sia di Grosio (attraverso i passi della val Grosína occidentale) che verso Ponte in Valtellina e Chiuro (attraverso la val Fontana), mentre dalla zona di Brusio partivano quelli diretti verso il Tiranese. Spesso erano le donne che si incaricavano del trasporto, caricandosi sulle spalle sacchi di 20-25 kg e valicando, anche in caso di cattiva stagione, passi alpini che superano abbondantemente i 2000 metri di quota.
Durante il periodo bellico non solo le merci passavano il confine in violazioni delle leggi, ma anche la posta e le persone. Dalla Svizzera venivano infatti porta te in Italia senza servirsi della posta ufficiale (la censura e le ispezioni postali era no assai temute) le lettere dei molti militari che avevano lasciato i reparti dopo l'8 settembre 1943 e dei giovani che volevano sottrarsi al servizio militare nell'esercito della Repubblica Sociale Italiana, che erano riparati in territorio elvetico e vi erano stati internati, o dei fuorusciti politici.
Anche le persone, a volte, passavano clandestinamente il confine, quasi sempre accompagnate da contrabbandieri che conoscevano perfettamente i luoghi. Già nel dicembre del 1926 un deputato Popolare, Guido Miglioli, fu accompagnato in Svizzera attraverso i sentieri della montagna che sovrasta Tirano da un abitante della frazione di Baruffini, Del Simone Domenico, detto «Galèt»; la fuga era stata organizzata dal parroco del luogo, don Angelo Rossatti. La fuga riuscì, ma purtroppo l'episodio non rimase segreto: il parroco venne in carcerato ed al rilascio dal carcere destinato ad altra sede e la guida fu inviata al confino a Lipari.
Il movimento clandestino di persone si intensificò in periodo bellico, quando vennero rigidamente applicate le leggi razziali.
Diverse centinaia (un conteggio anche approssimato è impossibile) furono gli ebrei italiani che, con l'aiuto di contrabbandieri o di irregolari alla macchia non inquadrati nelle formazioni partigiane (che si resero responsabili, secondo l'opinione popolare, di alcuni gravi episodi di tradimento del mandato ricevuto), passarono il confine italo-svizzero.
In qualche caso, data l'età e le condizioni di salute, venivano trasportati a spalla o dentro gerle, come se si trattasse di un carico di merce.
Certo non tutti riuscivano nell'impresa: molti vennero arrestati (a volte diverse decine in un'unica operazione, come avvenne nel dicembre 1943); alcuni altri lasciarono, a quanto si dice, la vita e furono spogliati dei beni sul monte Massuccio, sulla cresta del quale passa la linea di confine; moltissimi riuscirono però nel­l'intento e si salvarono.
Il 1944 fu l'anno di guerra più duro, nella zona. Tutta la valle era occupata e fortemente presidiata dalle truppe tedesche e da quelle della Repubblica Sociale Italiana, che tentavano di contrastare le azioni dei diversi nuclei partigiani che operavano soprattutto nell'alta valle; truppe vennero inviate anche ai confini Sulla montagna di Baruffini vennero inviate pattuglie di militari tedeschi, formate per lo più da militari abbastanza anziani che, in assenza dei superiori, si mostrarono abbastanza elastici e parteciparono addirittura ai traffici procurando agli abitanti del luogo sale in cambio di vino.
Va ricordato che le truppe tedesche di stanza non si comportarono, nella zona di Tirano, con particolare crudeltà o brutalità (diverso è il discorso delle truppe speciali, tra cui alcuni reparti asiatici, impiegate nei rastrellamenti) e che i più gravi fatti di sangue vanno attribuiti da un lato alle milizie della R.S.I. e dall'altro ad alcuni gruppi partigiani non inquadrati in formazioni regolari.
Nel maggio 1944 venne emanato un decreto governativo con il quale si stabiliva lo sgombero degli abitanti della zona di confine tra Italia e Svizzera, che diveniva zona chiusa per una fascia di circa 2 km.
Nel territorio di Tirano erano interessate dal provvedimento le frazioni di Baruffini e Roncaiola e la contrada Ciocca di Madonna di Tirano, i cui abitanti avrebbero dovuto lasciare le loro case.
Le conseguenze sarebbero state rovinose, per la impossibilità di coltivare campi e vigne (ma soprattutto, anche se la cosa ovviamente non poteva essere pubblicizzata, per la grave compromissione del contrabbando, attività che permetteva un aiuto economico essenziale per la sopravvivenza di molte famiglie).
Gli abitanti, coi parroci in testa, si mobilitarono e si recarono in delegazione a Sondrio presso le autorità governative: con un po' di diplomazia e qualche donativo in generi alimentari e sigarette (di contrabbando, s'intende!) il bando venne sospeso a tempo indeterminato.
La presenza sui monti di formazioni partigiane o comunque di irregolari alla macchia contribuiva poi a rendere ancor più precaria la già difficile situazione; a seguito dell'uccisione di un milite della R.S.I. vi fu una grave rappresaglia da parte delle truppe alle quali il caduto apparteneva, che mitragliarono ed incendiarono l'abitato di Baruffini, senza peraltro causare vittime.
Finalmente la guerra finì e le cose ripresero il loro usuale corso: si ridusse gradatamente il contrabbando di generi alimentari e riprese quello dei generi di monopolio, soprattutto tabacchi lavorati, di caffè e di generi vari, in particolare orologi e saccarina.
Mutarono però le caratteristiche di esercizio dell'attività, soprattutto per effetto della diffusione degli autoveicoli: dall'importazione di merci di frodo per uso familiare, o al più locale, si passò gradatamente ad un'organizzazione di tipo più marcatamente criminale, che si occupava del trasporto dei prodotti contrabbandati fino ai centri della pianura.
Ciò avveniva in genere caricando i «sacchi» su veloci automobili, a volte con targhe contraffatte o dotate di ingegnosi (e spesso pericolosi) mezzi per sfuggire ai controlli ed agevolare la fuga, affidate a piloti spesso giovanissimi e sempre assai abili e spericolati. L'auto veloce divenne assai presto, nel mondo del contrabbando, un vero e proprio «status symbol».
Restano nella memoria popolare gli inseguimenti notturni, condotti a folle velocità, che vedevano protagoniste le auto contrabbandiere in fuga (si trattava spesso di Lancia Aurelia) e quelle della polizia tributaria all'inseguimento (per lo più Alfa Romeo), con esiti alternativamente favorevoli all'una o all'altra parte ed accese discussioni tra i giovani circa la bontà dei mezzi usati.
I controlli vennero intensificati intorno agli anni Cinquanta e riprese il solito rosario di morti, alcuni precipitati nei burroni, altri uccisi dalle armi da fuoco delle guardie italiane o svizzere.
Perché anche i doganieri svizzeri sparavano su chi non si fermava all'«title»; come e più di quelli italiani.
Gli incidenti erano più rari solo perché le conseguenze del fermo erano in genere meno gravi (si limitavano nei casi più frequenti all'espulsione o a qualche giorno di detenzione) con conseguente minor frequenza dei tentativi di fuga.
Questo, però, nei periodi «normali», quando cioè da parte svizzera si tollerava, quando non si favoriva apertamente, l'attività contrabbandiera (che fu tra l'altro all'origine di parecchi arricchimenti di famiglie locali).
Quando però il governo elvetico decise, durante il periodo bellico, di stroncare il fenomeno, vi furono nella sola zona di Tirano ben otto morti in pochi anni uccisi dai gendarmi svizzeri.
Negli anni Cinquanta, ma soprattutto nel decennio successivo, l'attività contrabbandiera in zona subì una progressiva quanto radicale trasformazione, legata in gran parte alle disposizioni di legge, sia ín materia doganale, che di altro contenuto, relative al commercio del caffè, che fecero divenire Tirano e il suo circondario un vero e proprio centro di smistamento, a livello addirittura sovraregionale, di tale merce importata di frodo.
Causa prima di tale stato di cose furono gli elevati dazi doganali su tale genere, che rendevano oltremodo lucrosa l'evasione, combinati con le maglie troppo larghe delle disposizioni relative al trasporto del caffè tostato, che rendevano estremamente difficoltoso il controllo sulle evasioni dei dazi una volta che il prodotto fosse in territorio italiano.
Le caratteristiche fisiche della merce, che se trasportata in contenitori generici è difficilmente differenziabile, completavano l'opera.
Per rendere più agevoli le frodi vennero addirittura rese operanti, a poche centinaia di metri dal confine, delle torrefazioni (diverse nella sola frazione di Roncaiola, che contava qualche decina di abitanti in tutto) che lavoravano limitati quantitativi di merce «regolare» e quantità enormemente maggiori di merce di contrabbando.
Una volta che i carichi erano all'interno delle torrefazioni diveniva un gioco da ragazzi, attraverso false o ambigue scritturazioni sui registri, ma soprattutto attraverso il riuso delle stesse bollette di trasporto, effettuare le frodi. La guardia di finanza aveva quasi sempre, anche nei casi di violazione evidente, gravi difficoltà ad intervenire, in quanto la merce risultava, sotto il profilo formale, assai spesso in regola.
L'unica concreta possibilità di accertare la contravvenzione era il fermo della merce prima che venisse depositata nelle torrefazioni.
Tutto questo portò gradatamente ad un evidente snaturamento delle tradizionali forme di esplicazione dell'attività contrabbandiera: ad una vera e propria esplosione del fenomeno sotto il profilo quantitativo si accompagnò una grave degenerazione delle sue caratteristiche.
Nel solo 1965, secondo dati ufficiali, vennero denunciate per contrabbando, in provincia, 1339 persone e sequestrati 212.000 kg di caffè e 18.500 kg di tabacchi lavorati, oltre a 109 automezzi. I dati sono tra l'altro assai poco indicativi, soprattutto per quanto riguarda il caffè, per la notevole sproporzione tra le violazioni accertate e quelle commesse.
Un dato abbastanza realistico, basato su concordi testimonianze degli operatori, è che entrassero giornalmente in Italia in violazione di imposta, nella sola area tiranese, dai 500 ai 1000 carichi di caffè, per un totale di almeno 200 quintali. Il dilagare dell'attività contrabbandiera causò gravissime conseguenze sul piano sociale.
Vi fu innanzitutto un aumento preoccupante delle delazioni e delle correlative vendette, più o meno giustificate ma spesso violente, con la comparsa tra le guardie di finanza di preoccupanti fenomeni di connivenza; sistematiche e gravi si fecero poi le irregolarità nell'uso degli automezzi, con diffusione del traffico di auto rubate e delle intestazioni di proprietà fittizie; si dovette infine assistere all'arrivo nella zona, giornalmente, di centinaia di persone di cui molte provenienti da altre province, spesso con precedenti penali e tendenza a delinquere. La presenza di un elevato numero di persone forestiere, sulle quali risultava quasi impossibile il controllo sociale nelle forme tradizionali, dotate tra l'altro di larghe disponibilità finanziarie, portò le prevedibili conseguenze: larga diffusione del gioco d'azzardo e della frequentazione di locali notturni, continue scorribande notturne di gruppi di giovani su veloci auto o motociclette, disabitudine al lavoro in gruppi sempre più numerosi di persone.
Ma il fatto più preoccupante era il progressivo deterioramento dei principi morali che interessava gruppi sempre più ampi di giovani.
Va comunque aggiunto che tali fenomeni negativi riguardavano solo una minoranza dei soggetti locali interessati; buona parte degli spalloni del luogo utilizzò invece i facili proventi, che si sapeva essere aleatori, per la costruzione o la ristrutturazione di edifici (il «mal della pietra» è sempre stato una costante, in valle), per dare inizio ad attività commerciali o artigianali lecite, per l'acquisto di macchine agricole, per miglioramenti fondiari o semplicemente per costituirsi un capitale di riserva.
L'attività contrabbandiera, così come si era sviluppata sotto il profilo quantitativo, ebbe in quel periodo una parallela evoluzione anche sotto quello qualitativo: si arrivò gradatamente ad una specializzazione dei compiti (così c'erano i portìn, gli spalloni, i capisquadra che ingaggiavano la manodopera e si rendevano responsabili del trasporto, i torrefattori, gli autisti addetti ai trasporti e così via) e ad una vera e propria organizzazione criminale composta di vari gruppi funzionalmente organizzati e con una ben definita gerarchia interna.
Tali gruppi, come già accennato, erano spesso in concorrenza tra loro, con conseguente seguito di «soffiate» a danno degli avversari o presunti tali. Tale stato di cose portò ad una intensificazione dei controlli e ad un brusco aumento dei morti.
Si verificarono in poco più di un anno diversi gravi episodi, con ben 5 decessi, due dei quali imputabili ad un uso quanto meno sconsiderato delle armi da parte delle guardie di finanza (in un caso si trattò forse di omicidio volontario per il quale l'attività contrabbandiera rappresentò un pretesto).
Vi furono vivaci reazioni popolari ed i processi relativi vennero, a causa dello stato di tensione che si era creato, trasferiti altrove per legittima suspicione. Due morti si ebbero poi, uno per parte, in occasione di un gravissimo incidente, che forse segnò il punto di svolta nell'evoluzione del fenomeno e nei rapporti tra la popolazione e le guardie di finanza.
L'episodio si verificò nel settembre 1966, lungo il pericolosissimo sentiero detto «La passerella» che dal confine svizzero porta alla frazione di Roncaiola. Due finanzieri fermarono, nel punto più pericoloso dove il sentiero è assai spaventato e gravato del carico, fece un brusco movimento, perdendo l'equilibrio. Il finanziere Dario Cinus, che si trovava accanto, tentò di trattenerlo, ma non riuscì e precipitò anch'egli nel vuoto. Entrambi persero la vita. Il coraggioso finanziere, poco più che ventenne, venne decorato alla memoria. Sul luogo dell'accaduto una lapide li ricorda entrambi.
L'episodio, di per sé piuttosto simile a molti altri avvenuti lungo i terribili passaggi che, da un lato e dall'altro della valle, sovrastano la rocca di Piattamala (sul versante verso Villa di Tirano si trova il non meno pericoloso «Passo del gatto», che pure fu teatro di incidenti mortali), determinò o, forse meglio, accelerò il mutamento già in corso nei rapporti tra la popolazione locale e la guardia di finanza, che fu accompagnato da una graduale riconsiderazione del fenomeno del contrabbando nel suo complesso.
Gradatamente la secolare avversione, quando non si trattava di aperta ostilità, della popolazione locale nei confronti dei finanzieri, per decenni spregiativamente definiti sgarbasàc (cioè strappasacchi, con riferimento all'uso di tagliare i sacchi dei contrabbandieri, durante gli inseguimenti, per farne uscire la merce) o burlandòt, e della guardia di finanza in genere, chiamata ancor più crudelmente la caìna, si ridusse, anche perché dal canto loro i finanzieri, dopo gli eccessi del biennio 1964-1965, avevano limitato allo stretto necessario l'uso delle armi.
Ma, abbastanza paradossalmente, il massimo di diffusione dell'attività contrabbandiera in zona, alla quale si accompagnavano non indifferenti vantaggi economici per l'area interessata, determinò anche l'avvio di una radicale modificazione della mentalità popolare riguardo al contrabbando nel suo complesso: troppe e troppo traumatiche erano state le novità al riguardo.
Il contrabbando «storico» e se si vuole «eroico», strettamente dipendente da uno stato di dura necessità ed esercitato da disperati che non avevano di che sfamare la famiglia e che rischiavano la vita per pochi chilogrammi di sale o di zucchero, o quello degli spalloni che si assoggettavano a molte ore, spesso a giorni, di durissima marcia, gravati di carichi notevoli e sempre in pericolo di vita, erano per sempre finiti; lo comprendeva la popolazione e se ne rendevano conto gli stessi «addetti ai lavori».
Il miglioramento delle condizioni economiche aveva gradatamente fatto scomparire lo stato di diffusa indigenza, soprattutto nelle frazioni del versante retico, che aveva per molti decenni alimentato il fenomeno, che dal canto suo aveva mutato natura.
Pian piano, anche nella mentalità popolare degli abitanti dell'area tiranese, il contrabbando fu visto per quel che è: un'attività sì lucrosa, ma pericolosa ed illegale, in qualche caso forse ancora giustificabile e tollerabile, ma certamente non più pacificamente accettata (e persino mitizzata) come sempre era stato in passato.
L'ultimo episodio di violenza che si verificò (l'uccisione a rivoltellate di un finanziere da parte di un giovane contrabbandiere del luogo) diede il definitivo colpo di grazia al vecchio modo di pensare in cui il contrabbandiere era idealizzato e ritenuto un po' un eroe locale che si opponeva a uno stato oppressore e violento (cosa purtroppo abbastanza vera in alcuni periodi).
L'omicidio, abbastanza immotivato e per di più commesso con armi da fuoco, che non erano state quasi mai usate dai contrabbandieri, spinse molti a riflettere sulle gravi conseguenze negative che avrebbero potuto derivare dal consolidamento delle nuove forme di contrabbando, che andavano assumendo connotazioni sempre più marcatamente delinquenziali.
L'entrata in vigore di nuove disposizioni in materia di commercio del caffè diede un primo colpo al contrabbando di tale merce, che si ridusse quasi a zero per effetto della nuova politica doganale adottata dalle autorità di governo negli anni Settanta. D'altro canto le nuove forme di esercizio e la distanza dai centri di smercio hanno fortemente ridotto l'importazione clandestina di tabacchi da parte degli spalloni e la liberalizzazione doganale ha notevolmente affievolito quella degli altri generi tradizionali.
Restano oggi in zona, quale relitto, isolati episodi legati per lo più alla zona franca dí Livigno, qualche traffico di preziosi e alcune violazioni individuali dipendenti spesso da scarsa conoscenza delle disposizioni doganali.
Il contrabbando «storico», coi suoi morti, i suoi odi, le sue fatiche e le sue leggende, è però definitivamente tramontato.”

AMBIENTE

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I PROVERBI SONO IN GRAN PARTE TRATTI DAI SEGUENTI TESTI:

Gaggi, Silvio, "Il volgar eloquio - dialetto malenco", Tipografia Bettini, Sondrio, 2011
Laura Valsecchi Pontiggia, “Proverbi di Valtellina e Valchiavenna”, Bissoni editore, Sondrio, 1969
Gabriele Antonioli, Remo Bracchi, "Dizionario etimologico grosino" (Sondrio, 1995, edito a cura della Biblioteca comunale di Grosio)
Dott. Omero Franceschi, prof.ssa Giuseppina Lombardini, "Costumi e proverbi valtellinesi", Ristampa per l'Archivio del Centro di Studi Alpini di Isolaccia Valdidentro, 2002
AA.VV. "A Cà Nossa ai le cünta inscì", a cura della Biblioteca Comunale di Montagna in Valtellina, Piccolo Vocabolario del dialetto di Montagna con detti, proverbi, filastrocche e preghiere di una volta (1993-1996)
Glicerio Longa, "Usi e Costumi del Bormiese”, ed. "Magnifica Terra", Sondrio, Soc. Tipo-litografica Valtellinese
"Parla 'me ta mànget - detti, proverbi e curiosità della tradizione comasca, lecchese e valtellinese", edito da La Provincia, 2003
Pier Antonio Castellani, “Cento proverbi, detti e citazioni di Livigno” I Libri del Cervo, Sondrio, 1996
Pier Antonio Castellani, “Cento nuovi proverbi, detti e citazioni di Livigno” I Libri del Cervo, Sondrio, 1999
Pier Antonio Castellani, “Cento altri, detti e citazioni di Livigno” I Libri del Cervo, Sondrio, 2000
Pier Antonio Castellani, "Detti e citazioni della Valdidentro", I Libri del Cervo, Sondrio, 2000
Luigi Godenzi e don Reto Crameri, "Proverbi, modi di dire, filastrocche raccolti a Poschiavo, in particolare nelle sue frazioni", con la collaborazione di alcune classi delle Scuole di Avviamento Pratico, Tip. Menghini, Poschiavo (CH), 1987
Lina Lombardini Rini, "Favole e racconti in dialetto di Valtellina", Edizioni Sandron, Palermo-Roma, 1926
Cici Bonazzi, “Detti, proverbi, filastrocche, modi di dire in dialetto tiranese”, ed. Museo Etnografico Tiranese, Tirano, 2000
Luisa Moraschinelli, "Dizionario del dialetto di Aprica", IDEVV (Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca"), Sondrio, 2010
Tarcisio Della Ferrera, Leonardo Della Ferrera (a cura di), "Vocabolario dialettale di Chiuro e Castionetto", Comune di Chiuro ed IDEVV (Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca"), Sondrio, 2008 (cfr. anche www.dialettochiuro.org)
Giovanni Giorgetta, Stefano Ghiggi (con profilo del dialetto di Remo Bracchi), "Vocabolario del Dialetto di Villa di Chiavenna", IDEVV (Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca"), Sondrio, 2010
Luigi Berti, Elisa Branchi (con contributo di Remo Bracchi), "Dizionario tellino", IDEVV (Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca"), Sondrio, 2003
Sergio Scuffi (a cura di), "Nü’n cuštümàva – Vocabolario dialettale di Samolaco", edito nel 2005 dall’Associazione Culturale Biblioteca di Samolaco e dall’Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca. Giacomo Maurizio, "La Val Bargaia", II parte, in "Clavenna" (Bollettino della Società Storica Valchiavennasca), 1970 Gabriele Antonioli e Remo Bracchi, "Dizionario etimologico grosino", Sondrio, 1995, edito a cura della Biblioteca Comunale di Grosio.
Silvana Foppoli Carnevali, Dario Cossi ed altri, “Lingua e cultura del comune di Sondalo” (edito a cura della Biblioteca Comunale di Sondalo)
Serafino Vaninetti, "Sacco - Storia e origini dei personaggi e loro vicissitudini degli usi e costumi nell'Evo", Edizioni Museo Vanseraf Mulino del Dosso, Valgerola, 2003
Sito www.fraciscio.it, dedicato a Fraciscio
Sito www.prolocodipedesina.it, dedicato a Pedesina
Massara, Giuseppe Filippo, "Prodromo della flora valtellinese", Sondrio, Della Cagnoletta, 1834 (ristampa anastatica Arnaldo Forni Editore)
Massara, Giuseppe Filippo, "Prodromo della flora valtellinese", Sondrio, Della Cagnoletta, 1834 (ristampa anastatica Arnaldo Forni Editore)


Utilissima anche la consultazione di Massimiliano Gianotti, "Proverbi dialettali di Valtellina e Valchiavenna", Sondrio, 2001

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PRINCIPALI TESTI CONSULTATI:

Laura Valsecchi Pontiggia, “Proverbi di Valtellina e Valchiavenna”, Bissoni editore, Sondrio, 1969
Gabriele Antonioli, Remo Bracchi, "Dizionario etimologico grosino" (Sondrio, 1995, edito a cura della Biblioteca comunale di Grosio)
Dott. Omero Franceschi, prof.ssa Giuseppina Lombardini, "Costumi e proverbi valtellinesi", Ristampa per l'Archivio del Centro di Studi Alpini di Isolaccia Valdidentro, 2002
Tullio Urangia Tazzoli, "La contea di Bormio – Vol. III – Le tradizioni popolari”, Anonima Bolis Bergamo, 1935;
AA.VV. "A Cà Nossa ai le cünta inscì", a cura della Biblioteca Comunale di Montagna in Valtellina, Piccolo Vocabolario del dialetto di Montagna con detti, proverbi, filastrocche e preghiere di una volta (1993-1996);
Giuseppina Lombardini, “Leggende e tradizioni valtellinesi”, Sondrio, ed. Mevio Washington, 1925;
Lina Rini Lombardini, “In Valtellina - Colori di leggende e tradizioni”, Sondrio, Ramponi, 1950;
Glicerio Longa, "Usi e Costumi del Bormiese”, ed. "Magnifica Terra", Sondrio, Soc. Tipo-litografica Valtellinese 1912, ristampa integrale nel 1967 a Bormio e II ristampa nel 1998 a Bormio a cura di Alpinia Editrice;
Glicerio Longa, "Vocabolario Bormino”, Perugia, Unione Tipografica Cooperativa, 1913;
Marcello Canclini “Raccolta di tradizioni popolari di Bormio, Valdisotto, Valfurva, Valdidentro e Livigno – Il ciclo della vita – La nascita e l'infanzia” (Centro Studi Storici Alta Valtellina, 2000);
Marcello Canclini “Raccolta di tradizioni popolari di Bormio, Valdisotto, Valfurva, Valdidentro e Livigno – Il ciclo della vita – Fidanzamento e matrimonio” (Centro Studi Storici Alta Valtellina, 2004);
Luigi De Bernardi, "Almanacco valtellinese e valchiavennasco", II, Sondrio, 1991;
Giuseppe Napoleone Besta, "Bozzetti Valtellinesi", Bonazzi, Tirano, 1878;
Ercole Bassi, “La Valtellina (Provincia di Sondrio) ”, Milano, Tipografia degli Operai, 1890;
"Ardenno- Strade e contrade", a cura della cooperativa "L'Involt" di Sondrio;
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don Domenico Songini, “Storia e... storie di Traona – terra buona”, vol. I, Bettini Sondrio, 2001;
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Cirillo Ruffoni, "Ai confini del cielo - la mia infanzia a Gerola", Tipografia Bettini, Sondrio, 2003;
Cirillo Ruffoni, "Chi va e chi resta - Romanzo storico ambientato in bassa Valtellina nel secolo XV", Tipografia Bettini, Sondrio, 2000;
Cirillo Ruffoni, "In nomine Domini - Vita e memorie di un comune della Valtellina nel Trecento", Tipografia Bettini, Sondrio, 1998;
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Luisa Moraschinelli, "Come si viveva nei paesi di Valtellina negli anni '40 - l'Aprica", Alpinia editrice, 2000;
Aurelio Benetti, Dario Benetti, Angelo Dell'Oca, Diego Zoia, "Uomini delle Alpi - Contadini e pastori in Valtellina", Jaca Book, 1982;
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Ines Busnarda Luzzi, "Case di sassi", II, L'officina del Libro, Sondrio, 1994;
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Giovanni Giorgetta, Stefano Ghiggi (con profilo del dialetto di Remo Bracchi), "Vocabolario del Dialetto di Villa di Chiavenna", IDEVV (Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca"), Sondrio, 2010
Luigi Berti, Elisa Branchi (con contributo di Remo Bracchi), "Dizionario tellino", IDEVV (Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca"), Sondrio, 2003
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Saveria Masa, “Libro dei miracoli della Madonna di Tirano”, edito a cura dell’Associazione Amici del Santuario della Beata Vergine di Tirano” (Società Storica Valtellinese, Sondrio, 2004)
Sergio Scuffi (a cura di), "Nü’n cuštümàva – Vocabolario dialettale di Samolaco", edito nel 2005 dall’Associazione Culturale Biblioteca di Samolaco e dall’Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca. Giacomo Maurizio, "La Val Bargaia", II parte, in "Clavenna" (Bollettino della Società Storica Valchiavennasca), 1970 Gabriele Antonioli e Remo Bracchi, "Dizionario etimologico grosino", Sondrio, 1995, edito a cura della Biblioteca Comunale di Grosio.
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Sito www.fraciscio.it, dedicato a Fraciscio
Sito www.prolocodipedesina.it, dedicato a Pedesina
Massara, Giuseppe Filippo, "Prodromo della flora valtellinese", Sondrio, Della Cagnoletta, 1834 (ristampa anastatica Arnaldo Forni Editore)
Galli Valerio, Bruno, "Materiali per la fauna dei vertebrati valtellinesi", Sondrio, stab. tipografico "Quadrio", 1890

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