Giorni notevoli: 1, 12, 19, 21, 25

1 MARZO

Marzo si apre con una tradizione ben diffusa in tutta la Valtellina e la Valchiavenna: ai primi di marzo i bambini festanti percorrono i prati e producono gran rumore con i campanacci per risvegliare l'erba ed invitarla a ricrescere dopo il lungo torpore invernale. Si tratta del rito del "ciamà l'erba".

Scrive, al proposito, Giuseppina Lombardini, in "Costumi e proverbi valtellinesi", 1926, (Ristampa per l'Archivio del Centro di Studi Alpini di Isolaccia Valdidentro, 2002):
"Marzo... è la festa dei prati, dove l'erba verdeggia molle e tenera per aderire all'invito dei ragazzi che l'hanno chiamata a calendi marzo, con un concerto di rustici strumenti e grida di giubilo. Gli eroi di questa festa gentile si chiamano i “marziröi” e, siccome tutti i salmi finiscono in gloria, anch'essi concludono l'impresa col fermarsi nelle case a chiedere qualcosa per far merenda, cantando:
Marsin, marsèt incinem ul me sakèt
Se i ve car i vos fiöi fek dul bee ai marziröi. (Sostila)
"

Nella “Guida escursionistica della Valchiavenna” (edizioni Rota, Chiavenna, 1986), leggiamo:
Èrba fóra che l’é maarz. Tipica tradizione del mondo contadino presente in forme diverse in molti parti d'Europa fin dall'antichità. La primavera si avvicina; la terra è invitata a destarsi dal lungo letargo invernale, a germogliare. I ragazzi giravano per i prati e le vigne ai primi di marzo, agitando campanacci e facendo rumore con gli oggetti più vari. "Èrba föra che l’é maarz", gridavano ("cresci, erba, che è marzo"). La tradizione, nota anche con il nome "Calemaarz" (o "bu marz" a Codera) è stata ripresa dalle scuole elementari.”

Ad Ardenno la sera del primo marzo i giovani passavano di casa in casa, chiamavano all'uscio le famiglie e recitavano questa filastrocca: "pesta, pesta mazarö, se i ve cari i vos fiö, se i ve miga car metìi gió en del barchèt, ma impienìm el me sachet", cioè "pesta pesta marzirolo, se vi sono cari i vostri bambini, se non vi sono cari metteteli in una barchetta, ma riempitemi il sacchetto". Ricevevano un po' di burro, formaggio e farina gialla, che servivano per una festa danzante conclusiva.

Ermanno Sagliani, in "Tutto Valmalenco" (Edizioni Press, Milano), scrive: "Se capitate in Val Malenco, il 1° di Marzo incontrerete brigate di bambini che, secondo un uso antichissimo, vanno di casa in casa con i campanacci delle mucche appesi al collo, prendendo delle piccole offerte, doni con cui faranno festa. L'incessante scampanio serve ad allontanare gli spiriti folletti dell'inverno e invocare quelli della primavera e del buon raccolto. Questa tradizione localmente è detta "festa li Zampogn" (campanacci) o "Cielandamarz" (calende di marzo) dall'usanza diffusa nella vicina Engadina."

Mario Songini (Diga), nel bellissimo volume "La Val Masino e la sua gente - storia, cronaca e altro", (Comune di Val Masino, 2006), così descrive l’usanza tradizionale di Val Masino, denominata “paraiö”:

Non è facile risalire all'inizio di questa usanza, che mobilitava la gran parte dei bambini e dei ragazzi di Cataeggio, Filorera e S. Martino fino agli anni '60 del secolo scorso.
Con la denominazione di paraiö o marzara (la seconda denominazione era usata soprattutto a S. Martino) si volevano indicare innanzitutto i primi interessati alla festa, cioè i bambini e ragazzi. Erano loro che animavano le ore pomeridiane, dopo l'uscita da scuola e fino all'imbrunire, per una quindicina di giorni, dalla metà di febbraio ai primi giorni di marzo. Ma con la qualificazione "dei paraiö " si indicava tutto ciò che aveva rapporto con la festa (la polénta cùnscia dei paraiö, la sfrasèla (= falò) dei paraiö, la schéra (= fila) dei paraiö, i zampógn o i campanèi deí paraiö, i gir dei paraiö).
L'espressione "na en paraiö” venne tradotta in italiano con "andare a chiamare l'erba", visto che questa festa si svolgeva sul finire dell'inverno e segnava l'inizio del risveglio della natura, ma nella tradizione locale si è sempre usato solo il termine onnicomprensivo: paraiö.
..
Gli ultimi giorni erano i più attesi e movimentati. I capi erano indaffarati nei preparativi per la cena. Vi potevano partecipare tutti i bambini-ragazzi che erano andati in paraia almeno qualche volta. Veniva stilato un elenco e si sceglieva la casa dove preparare la "polénta cùnscia" (di solito era la casa di uno dei capi o di suoi parenti). Si suddivideva il paese in diverse parti; in ciascuna uno dei capi o dei vice-capi, accompagnato dai paraià di quel "quartiere", muniti di campanacci, doveva girare casa per casa a far la questua per raccogliere l'occorrente per la cena, che veniva consumata gratis dai partecipanti.
Per ingraziarsi i padroni di casa che si andavano a disturbare, il capo che guidava il gruppetto dei questuanti, recitava la seguente filastrocca:
"Bùna sìra sè ghè si -- dèm la tósa sè ghè l’ì - sè ghè l’ì méga nè a scèrcàla - dèm la ... da maredàla" (Buona sera se ci siete — datemi la ragazza se l'avete — se non l'avete andate a cercarla — datemi la ... per maritarla). Al posto dei puntini si doveva dire il nome di una ragazza della casa, in sua mancanza si nominava la mamma o la nonna o una zia. La visita si concludeva solitamente in allegria, anche perchè gli immancabili errori di persona o le papere dei recitanti provocavano sonore risate. Era l'atmosfera più propizia per ricevere un buon contributo per la festa: chi dava farina, chi formaggio, chi condimenti, chi soldi. C'era anche qualche generoso che dava in abbondanza e più di uno degli ingredienti del piatto unico da preparare. Difficilmente si entrava invano in una casa: tutti avevano qualche giovane parente che partecipava alla festa e, scarso o abbondante, davano il loro contributo.
Il gruppetto lasciava la casa dopo un adeguato concerto dei campanacci.”

Ecco, infine, alcuni passi da “La contea di Bormio – Vol. III – Le tradizioni popolari”, di Tullio Urangia Tazzoli (Anonima Bolis Bergamo, 1935):
Il 1° marzo il Capo o Capitano della Gioventù (figure che abbiamo già ricordato nelle feste carnevalesche e nuziali) vestito bizzarramente col viso dipinto e con un originale copricapo in compagnia di altri giovani similmente truccati fa il giro del paese per riporre i doni di tutte le massaie offerti generosamente e riposti sugli appositi cesti al seguito. Il frastuono durante la passeggiata per la raccolta delle offerte è assordante e ricorda il tintinnìo dei campani delle grandi mandre in montagna. Ad esso partecipano tutti i bambini dai tre anni in su ed anche scapoli che hanno oltrepassata la cinquantina!
Dura il baccanale due giorni. Alle ore 19 si cena a base di fritelle, li manzóla, gustosissime. La prima sera al banchetto prendono parte solo i giovani ; nella seconda sera i giovani
invitano la propria fidanzata, chi non l'ha se la sceglie : si cena, si canta, si balla sino all'alba. Ogni quattr'anni le giovani sostituiscono i giovani come parti principali della festa e, naturalmente, sono esse che invitano i loro fidanzati. Del rito pastorale non è rimasto come insegna che la grossa zampogna che è portata a tracolla dai baccanti per le vie del paese. Così con la primavera trionfa nel riconoscimento ufficiale dei fidanzati il rito d'amore!
Ritroviamo in altri paesi e regioni finitime al Bormiese usanze e riti consimili o speciali col ritornare della primavera nelle vallate alpine. Ritornano le manifestazioni di gioia coi falò (che ricordano e ripetonsi in alcune valli a fine d'anno, all'Epifania ed in Carnevale) e si rinnovano, quasi ovunque, i vari riti d'amore. I riti religiosi si uniscono a questo battesimo della "rinnovata primavera„ nel Bormiese con la festa solenne, nel maggio, della Santissima Croce venerata nella chiesa del S. Crocifisso in Combo e sancita dagli Statuti.”

Calendamarz sciütc, al cresc erba süi ciüc
(se il primo marzo è asciutto, cresce l'erba dappertutto - Val Bregaglia)

12 MARZO

S. Gregori Papa, la runden la pasa l'acqua, la pasa l'acqua e la marina e la riva in Valtelina (A San Gregorio papa la rondine passa l'acqua, passa l'acqua e il mare ed arriva in Valtellina - Gerola, Cagnoletti)

A S. Gregori papa un kar de fée per vaka
(A San Gregorio Papa un carro di fieno per ogni mucca - Forcola)

A San Gregori papa el manca amò 'n car de fée per uàca
(a San Gregorio Papa manca ancora un carro di fieno per ogni mucca - Sirta)

A San Gregori Papa el manca amò un car de fée per uàca
(a san Gregorio papa manca ancora un carro di fieno per vacca - Ardenno)

Sèn Gergòri al ména quaranténa giusta, se Sèn Giusèf nò la desgiùsta
(dopo san Gregorio per 40 giorni il tempo si mantiene costante, se non varia a san Giuseppe - Grosio)

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19 MARZO

Oggi si celebra la festa patronale della Sirta (Forcola)

Par Sant’Üsèpp l’üga sül capèl (per San Giuseppe, i primi grappoli d'uva li puoi mettere sul cappello - Samolaco)

Chi el sumna kul vént, el cöi kun la tampesta

(Chi semina con il vento, raccoglie con la tempesta - Teglio)

San Giüsèp dal bastón fiurì (san Giuseppe dal bastone fiorito)

San Giusèp porta via la candela e porta la marenda
(San Giuseppe porta via la candela e porta la merenda - Poschiavo)

San Michél al pòrta ‘l candeléir e san Giuséf al la pòrta via
(San Michele porta il candeliere, perché si va verso l’autunno, e san Giuseppe lo porta via, perché viene primavera)

A San Michel al di l'e lungh cume a San Giüsèp
(a san Michele - 29 settembre - il giorno è lungo come a san Giuseppe - Poschiavo)

San Gregòri al mena quarantena giùsta, se san Giufèf nò la desgiùsta
(le condizioni climatiche del giorno di s. Gregorio perdureranno per 40 giorni, se non saranno variate dal giorno di s. Giuseppe - Grosio)

21 MARZO

A S. Benedètt i rundin i riva sül tècc'
(a San benedetto le rondini arrivano sul tetto - Sondrio)

A san Benedèt la rùnden la sta sül tècc’
(A san Benedetto la rondine sul tetto - Castione)

25 MARZO

De la Madona de marz la vit rizàda u de rizà l'è ura de lagàla sta
(alla Madonna di marzo la vite, raddrizzata o da raddrizzare, dev'essere lasciata com'è – Rogolo)

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PROVERBI

Dire che marzo è pazzo, è dire ancora poco,...

Màarz a l'è fiö de 'na se'valdóc(h)ia: o c(h)e la pìsa o che la fiòca
(marzo è figlio di una matacchiona: o piove o nevica - Samolaco)

Marz l'è fiö d'una baltroka, o el fa vent, ul piöf, ul fiòka
(marzo è figlio di una mattacchiona, o tira vento, o piove, o nevica - Chiavenna)

Se 'l màrs el baltròca 'n dè 'l pciöf e l'otru 'l fiòca
(se marzo fa il pazzo, un giorno piove e l'altro nevica - Sirta)

'n marz doi di brut temp, tre bel temp
(in marzo due giorni di bel tempo, tre di brutto tempo - Bormio)

Màrs matuscèl, un dì brut e un dì bèl
(marzo pazzerello, un giorno brutto ed un giorno bello - Grosio)

Sa il mes da marz at fa cinq dì da bon, sa pò amò dì ca l'e stàit galantòm
(se nel mese di marzo ci sono cinque belle giornate, si può ancora dire che sia stato galantuomo - Poschiavo)

De marz de sicür el colt l'è amò ün pò scars
(a marzo di sicuro il caldo è ancora un po' scarso - Montagna)

La néev marzulina la düra miga da la sera a la matina
(la neve di marzo non dura dalla sera alla mattina)

La néf marzaröla la düra tant 'me la pas fra la sösera e la nöra
(la neve di marzo dura tanto quanto la pace fra la suocera e la nuora, cioè dura ben poco - Montagna)

Trentùn che n'ò, me'n farò prestàr quai da avrìl e te farò crepàr li fèda in de l'ovìl (io che ne ho trentuno - dice marzo - mi farò prestare qualche giorno da aprile e ti farò morire le pecore nell'ovile - Sondalo)

Lüna marzulìna l’è pégiu de ‘na rüìna
(luna di marzo è peggio di una rovina - Tirano)

...ma almeno che sia secco (come, di solito, è).

Se marz ‘l ghe n’ha trì de bröt l’è già tant, se magg ‘l ghe n’ha trì de bèi ‘n s’acunténta (se marzo piove tre giorni è già tanto, se maggio fa tre giorni di bel tempo, ci accontentiamo – Valmalenco)

Marz pulverént tant segal e tant furmént
(Marzo ventoso tanta segale e tanto grano saraceno - Morbegno)

Marz pulvarént, avril lagrimént, tanta segal e tant furmént
(marzo polveroso ed aprile lacrimoso, tanta segale e frumento - Poschiavo)

Mars pulueréet, poca pàia e tant furméet
(marzo polveroso, poca paglia e molto frumento - Sirta)

Marz pulverént, tanta séghel e tant furmént
(marzo ventoso, tanta segale e tanto frumento - Montagna)

Màrs spulverégn ména sèghel e furmént
(marzo ventoso o con spruzzate di neve porta molta segale e frumento – Grosio)

Al mes de màrs l'arìa de begnàrse la coa gnènca un ràt
(il mese di marzo non dovrebbe bagnarsi la coda neppure un retto - Sondalo)

Marz asciütt, april bagnà, beat quel che l'à seminàa
(marzo asciutto, aprile bagnato, beato quello che ha seminato - Cagnoletti -)

Marz sücc, aprìl bagnàt, beàt quel cuntadìn che l'à sunnàt
(marzo asciutto, aprile bagnato, beato quel contadino che ha seminato - Montagna)

Màrs fuégn e urìl piöf piöf i mét al gràn in dela cöf
(marzo ventoso ed aprile piovoso portano abbondanti raccolti di grano – Grosio)

Màrs suc’ e urìl bagnè, cuntént al cuntadìn che l’à sumenè

(marzo asciutto ed aprile bagnato, contento quel contadino che ha seminato – Grosio)

Marz pulvarulént, tanta segal e tant furmént
(marzo polveroso, tanta segale e frumento - Poschiavo)

Sa 'l marz nul tempégia avril nul verdégia
(se a marzo non c'è il tempo giusto, ad aprile non esplode il verde - Poschiavo)

Mei un marz frecc' c(h)e una gelèda de avrì
(meglio un marzo freddo che una gelata ad aprile - Fraciscio)

L’è méi un brut màrs che un bèl urìl
(è meglio un brutto marzo di un bell’aprile – Grosio)

Primavera tardiva mai falìda

(la primavera tardiva non ha mai deluso, porta buoni raccolti)


Marzo ha anche un che di mistero, di sospensione, di magia: si preparano, la Pasqua, i primi caldi, il tempo a venire...

La löna che la se fa ‘l mes de màrz la val per ses mes (il tempo che caratterizza la luna nuova di marzo caratterizzerà i successivi sei mesi – Valmalenco)

La luna da màrz la porta séisc luna
(com’è la luna nuova di marzo saranno le successive sei lune – Livigno)

La luna da marz la domina par mez ann
(la luna di marzo domina mezzo anno - Poschiavo)

Al végn mìga Pàscqua sa 'l gé mìga tónd da luna da marz
(non viene Pasqua prima del plenilunio di marzo – Livigno)

Marz, marzòt, tant at dì cume la nòt
(marzo, marzotto, il giorno è lungo quanto la notte - Poschiavo)

Marz el dì e la noc cumpàrs
(a marzo la notte ed il giorno sono eguali - Montagna)

De marz e de agóst quand l'è gió el suu l'è fósk
(a marzo e ad agosto al calar del sole è subito buio - Morbegno)

A marz via i kalz (a marzo si possono togliere le calze)

Mée§ de màarz, deschcoolz e deschcàalz
(mese di marzo, senza calze e senza scarpe - Samolaco)

De marz se trà vìa kuert e kalz
(A marzo si buttano via coperte e calze, perché si sentono i primi caldi - Tirano)

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Da "Lombardia" (nella collezione almanacchi regionali diretta da R. Almagià), Paravia, Milano, Torino, Firenze, Roma, 1925:



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(Massimo Dei Cas, www.paesidivaltellina.it)