Giorni notevoli: 1, 2, 11, 25, 30

1 NOVEMBRE

Ricorrenza di Tutti i Santi.

Amleto Del Giorgio, nel bel libro "Samolaco ieri e oggi" (Chiavenna, 1965), descrive in questi termini la celebrazione di Tutti i Santi ed il culto dei morti nella Samolaco di un tempo:
“A Ognissanti il povero cimitero appariva tutto trasformato e a nuovo: sotto le poche lapidi sistemate sui muri di cinta ardevano file di candeline. Le tombe, semplici tumuli di terra con una croce di legno, ma ricoperte per l'occasione da uno strato di candida sabbia del Mera, erano ornate di croci e cuori disegnati con pietruzze nere e variopinte bacche di stagione. Archetti di verghe flessibili infissi ai due capi nella sabbia segnavano il perimetro del tumulo. Il vespro solenne, quel giorno, aveva a un certo punto un brusco cambiamento di tono: dai salmi cantati alla maniera festiva si passava di colpo, dopo la mutazione dei paramenti all'altare e del sacerdote, al canto in tono più che mesto dell'ufficio dei defunti. E dopo i vespri si scendeva al cimitero, e non mancava nessuno, quel giorno, di onorare con la propria presenza le tombe dei cari defunti. La sera, poi, mentre nel cimitero era tutto un tremolio di tenue fiammelle, e la campana da morto scandiva la sua infinita serie di rintocchi che fino al cuore sembravano penetrare, per stringerlo in una morsa di tristezza, le famiglie al gran completo eran tutte riunite in casa, nell'ampia cucina, attorno al focolare. La persona più anziana intonava il Rosario e seguiva così la lentissima recita, con l'accento iniziale di ogni ave Maria possibilmente sintonizzato con i rintocchi della campana. E tutti avevano sguardo assente e il pensiero volto ai cari defunti. Perfino i ragazzi stavano attenti, quasi assorti, e pareva loro di udire, tra un rintocco e l'altro, un fruscio lieve di passi: erano i morti, recenti e antichi, della famiglia che venivano, in punta di piedi a chiedere, a implorare, a pretendere, che tutti i loro congiunti ancor vivi pregassero. Per questo anche i ragazzi pregavano, quella sera, senza stancarsi e quando, alla fine del Rosario, tutti si alzavano per recitare il 'dies irae', l'agitarsi improvviso della scena, il ritmo cadenzato dell'inno, facevan apparire loro imminente lo scatenarsi del dramma, con la visione fisica della morte nel suo duellare con la vita! E i loro occhi si dilatavano, e il loro cuore batteva più forte che mai mentre fuori, nel gran silenzio, con ossessionante monotonia la infinita serie di rintocchi a morto continuava...”

S. Simon e Giüda strépa la rava che l’è marüda marüda u de marüdà strépa la rava e pòrtela a ka: se te speceré 'l dì di Sant te la streparé piangiant (A S. Simone e Giuda strappa la rapa che è matura; matura o non matura strappa la rapa e portala a casa; se aspetterai il giorno dei Santi la porterai a casa piangente - Ponte)

Per san Simón e Giùda strépa i ràvi da la cultùra, se te spécies fin ai Sant, ti streperàs piangènt, se te spécies fin a sant Martin, ti streperàs cul zapìn
(in occasione della festa dei ss. Simone e Giuda strappa le rape dai campi, se aspetterai fino a Tuttisanti piangerai per strapparle e se poi aspetti fino a s. Martino, allora dovrai utilizzare l'arpione dei boscaioli, perché il terreno sarà gelato - Grosio)

A tücc i Sant tabàr e guànt
(a Tutti i Santi tabarro e guanti - Ardenno)

Tüt i Sant, guantìn e guànt
(a Tutti i Santi si mettono i guanti)
Sa 'l végn i Sànt coi pè blànch i vàn i Mórt coi pè neìr
(se vengono i Santi con i piedi bianchi se ne vanno i morti con i piedi neri, la neve che cade ai Santi dura poco – Livigno)

Tüc’ i sènt a comenzà e sant’Andréiiä a sciünàa (il mese di novembre inizia con la festa di Tutti i Santi e termina con s. Andrea - Villa di Chiavenna)

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2 NOVEMBRE

Commemorazione dei defunti.

Lina Rini Lombardini, nel bel volumetto “In Valtellina - Colori di leggende e tradizioni” (Sondrio, Ramponi, 1950), scrive, sulle credenze legate alla notte fra il primo ed il 2 di novembre (la notte dei morti):
Ritornano alla loro casa i Morti, nella notte che precede il 2 Novembre. Sono tormentati dall'arsura, ed è pietosa tra noi la usanza di preparare Loro l'acqua per dissetarsi sulla tavola o sulla pietra del focolare dov'è pronta la fiamma che può toglier loro d'addosso quel gran gelo della tomba; ... quel gelo che hanno patito anche nel viaggio, lungo o corto che sia, dall'Aldilà fino alla casa ch'ebbero in vita. Giunti all'indimenticata soglia, prima di varcarla, sostano.
Han troppo corso? Sogguardano, ansimando, attraverso i vetri. Temono un troppo improvviso incontro con la Vita? Quella lor mano, pur fatta ormai di nulla, s'alza nel gesto di benedizione; s'alza per i vicini e per i lontani; per i buoni e per quelli che non lo sono, ma possono diventarlo; per le creature umane e per i poderi; per il bestiame. Se questo s'è indugiato sull'alpeggio, i Morti vi salgono; e il pastore, che lo sa, prepara sul focolare, il secchio colino e il mestolo; e tien viva la fiamma, e recita il Rosario. Fuori il vento urla giù dai dirupi, e a tratti la porta del bait trema. Trema, giù, anche la porta di stalla. Per il vento? Forse ...”

Nel “Dizionario etimologico grosino”, di Gabriele Antonioli e Remo Bracchi (Sondrio, 1995, edito a cura della Biblioteca comunale di Grosio), leggiamo:
"Mòrt agg. e sost. morto, defunto / i mort, commemorazione di tutti i defunti (2 novembre). / La devozione verso i defunti è particolarmente sentita fra la popolazione di Grosio ed è testimoniata anche da diverse pratiche di pietà. / Al pater di mort è una orazione quotidiana di suffragio che viene recitata, dalla famiglia riunita, al rintocco di una campana, subito dopo il suono dell'avemaria vespertina. / In passato, quando l'andamento climatico non era favorevole al buon esito dell'annata agricola, si impetrava l'intercessione dei defunti con processioni propiziatorie. / Restano invece fisse, tuttora, due processioni ai cimiteri (quello vecchio, nel sagrato della chiesa di s. Giorgio, e quello nuovo, sotto la parrocchiale di s. Giuseppe). Una processione viene effettuata nella quarta domenica dí quaresima (la prucesión de mèza quaresma o di animi purganti) l'altra il pomeriggio della festa di Tuttisanti (la prucesión di cimiteri). La sera di quella festa, dopo il cenno dell'avemaria, suonano a rintocco, alternativamente, le campa­ne delle chiese di s. Giorgio e di s. Giuseppe e un tempo la gente diceva che erano i morti dei due cimiteri che si chiamavano e si rispondevano. La sera di Tuttisanti, prima di coricarsi, era consuetudine andare alla fontana a riempire tuti i sedèli per dare la possibilità ai morti, che tornavano nelle loro abitazioni, di dissetarsi. Il giorno dei morti, di buon mattino, viene celebrata un'ufficiatura solenne, durante la quale, un tempo, venivano stesi in chiesa due teli (pelòrsc) per la raccolta delle offerte (farmela e furmenton), usanza già in voga nel '600. Alla sera tutta la popolazione si raccoglie presso il cimitero per il rosario. / Il senso di riconoscenza verso i benefici avuti in eredità dai propri cari si manifesta in vario modo; un tempo era di prammatica che alla fine di ogni raccolto, quando si ripuliva il mucchio di fieno nel fienile (quandu se ramava gió la dia delfén), si recitasse un de profundis e tre requiem seguiti dalla seguente pre­ghiera: in sultévu e in sufràgiu de animi che i m'à lagà de dré di sè ben e di sóa fadìghi, che Idiu ghe dàghia bèn requie e pòs a l'anima sóa.II I pór mort, i defunti I Mort de fam, spiantato / sia benedì l'anima di vós pér mòrt, sia benedetta l'anima dei vostri defunti: espressione di ringraziamento."

Dal Rapporto del prefetto dell'Adda Angiolini al signor Conte Consigliere di Stato Direttore Generale della Pubblica Istruzione su gli usi e costumi del Dipartimento dell’Adda - Sondrio, 8 gennaio 1812 (Pubblicato in: ARTI E TRADIZIONI POPOLARI - LE INCHIESTE NAPOLEONICHE SUI COSTUMI E LE TRADIZIONI NEL REGNO ITALICO, a cura di Giovanni Tassoni, La Vesconta - Bellinzona, 1973):
"La morte ha poco o nulla di spaventoso per questi contadini. L'idea che se ne fanno è piuttosto quella del riposo che quella del proprio annientamento. Si domandi ad un villico cosaè accaduto di suo padre, o di qualche suo attinente, risponderà: è là che riposa, volendo significare che è trapassato.
I molti travagli e patimenti, raramente interrotti da qualche piacere, contribuiscono potentemente a rendere loro meno deforme l'aspetto della morte. Spirato l'individuo, si accende nella sua camera una candela, e lo si fa vegliare da qualche persona sino al momento del suo trasporto. Se la famiglia del morto è civile, è dovere di cortesia di tutte le persone sue pari il recarsi presso gli afflitti, e tener loro compagnia sin che dura la cerimonia funebre; ciò che chiamasi tener caso. Se il defunto è contadino, la di lui bara è seguita in alcuni luoghi da tutti i suoi parenti, che assistono alla messa ed alle esequie. Le donne prorompono in pianti, e danno l'ultimo bacio al cadavere pria che venga calato nella fossa. Quindi si ritirano alle loro case, dove pranzano in compagnia, e mangiano d'una forma di formaggio detta in qualche luogo del caso. Questa è la piú bella che si faccia nelle Alpi; rimane intatta in ciascuna famiglia, perché destinata al solo oggetto del convitto mortuario, se uno ne avvenisse in quell'anno. Quando l'anno passi senza accidente, nel venturo alpeggiamento se ne sostituisce un'altra, e la vecchia serve all'uso della famiglia.
Nella comune di Tirano, dopo aver dato sepoltura al cadavere, gli amici ed i parenti si radunano nella casa del defunto. Se era contadino, sorge fra essi un tale che ne tesse l'elogio e ne esalta le buone qualità. Sono indigeste rapsodie raccozzate qua e là ed adattate grossolanamente all'occorrente. La famiglia paga dieci soldi di Milano in rimunerazione all'oratore; si mangia e si beve, e così tutto finisce
."

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Novembre, mese dei morti. Al culto dei morti era legato, in molti paesi della valle, il dono del sale.
Tullio Urangia Tazzoli, ne "La contea di Bormio – Vol. III – Le tradizioni popolari” (Anonima Bolis Bergamo, 1935), scrive:
L'importazione del sale nel Contado di Bormio, specie nei primi secoli, ebbe una rilevante importanza: norme specifiche sul commercio del medesimo erano sancite negli Statuti bormiesi. Erano fatte prescrizioni minute circa l'appalto annuale della "stadera del sale”. Il Pesatore del comune aveva diritti da riscuotere e penalità corrispondenti qualora mancasse ai propri doveri. Il comune percepiva per la pesatura e spesa del sale (stadera del sale) il diritto di lire imperiali una per staio per l'importazione e di lire due per staio per l'esportazione. Negli Statuti, a proposito dei vari dazi comunali, trovasi la curiosissima prescrizione che "qualora un bormiese nel territorio del Contado vendesse e pesasse sale a forestieri doveva riscuotere date somme secondo la quantità di sale venduto, somme che, compreso il pedaggio, dovevano essere portate a Bormio ed assegnate, in aggiunta, al salario del Podestà, del medico e del maestro delle scuole: pubblici ufficiali questi stipendiati dal comune.
Come avveniva il commercio del sale lo ricaviamo da una pagina dell'Alberti. Egli riferisce che Alvise Vallaresso ambasciatore per la Repubblica veneta presso il marchese di Coeuvres negli anni 1624-25, "per maggiormente favorire bormiesi ed i valtellini nell'acquisto del sale fece loro nonche la Serenissima gliene farebbe somministrare e procurerebbe ogni maggiore agevolezza ed, ad ogni loro richiesta, ne farebbe loro introdurre qualche quantità. L'offerta richiesta non fu ricevuta per non discostarsi dall'occasione del commercio con il Tirolo essendo che li conduttori delli vini pagano le spese del vino con ricondurre il sale e per il sale della Repubblica veneta non vi sarebbe l'esito del vino della Valtellina avendo la stato veneto abbastanza vino„. Ancora in merito al commercio del sale Ignazio Bardea così scriveva, nel 1805, in una Supplica o politico-storica esposizione a Sua Maestà Napoleone I Imperatore di Francia e Re d' Italia – nel suo fausto avvenimento al regio trono dalla municipalità di Bormio umiliata -  "Necessitava permettere l'introduzione del sale da Halle sia perché così i cavallanti non tornavano vuoti importando vino in Germania (il guadagno della vendita del vino va tutto nel noleggio) sia perchè l'esausto Tirolo non dà commercio suppletivo nel ritorno ed il vino, ancora, non resta esitabile senza cambio dí sale giacchè è inutile ricevere il valsente in cedole di banca o monete che non hanno, nel Bormiese, corso. Si aggiunga, ancora (e questa affermazione del Bardea ci rivela l'importanza, pel Bormiese, di detto commercio) che il sale di Halle è necessario nel Bormiese essenzialmente per le bestie bovine il commercio e l'esistenza delle quali è l'unica fonte di ricchezza e di vita nel territorio. Dette bestie rifiutano assolutamente di usare il sale fornito dalla Finanza del Regno Italico e molte di esse, in mancanza, ne soffrono onde sia per provvedere alla conservazione delle bestie sia per le accresciute tasse sul sale si esercita il contrabbando del medesimo con grave danno dell' erario e della finanza stessa,,.
Il sale, quindi, come la biada, il pane ed il vino, era grandemente utile (per non dire necessario) e quindi grandemente apprezzato. Perciò esso veniva e viene usato in sostituzione del denaro nelle elemosine private e pubbliche come si usava fare col vino, col pane e con la biada pel passato. Nelle ricorrenze funebri, ad esempio, si distribuiva e si distribuisce, come vedemmo, il sale a chi va a recitare preghiere per l'anima del defunto nella casa del morto. Si facevano e si fanno, in dette ricorrenze, elargizioni di sale pure ai poveri del comune incaricandone il comune stesso e la Congregazione di carità onde evitare perdita di tempo ed affollamenti nella casa od alla porta della chiesa. In certi luoghi (Valdidentro e Valfurva) nelle ricorrenze funebri si distribuisce, tuttora, alla porta della chiesa, uscendone dopo La funzione per recarsi al cimitero, una tazza o due di sale.”

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Se i sant e i mòrt i vén cun i pè négri i va cun i pè bianch ma s'i vén cun i pè bianch i va cun i pè négri (Se i Santi e i morti vengono con i piedi neri se ne vanno con i piedi bianchi e viceversa, nel senso che la neve prima di novembre fa in tempo a sciogliersi, ma dopo i morti non più - Grosio)

S’al végn i sant coi pè néir, al va i mòrt coi pè blanch
(se i Santi vengono con i piedi neri, i morti se ne vanno con i piedi bianchi, cioè se piove il giorno di Tutti i Santi, nevica a quello dei morti - Livigno)

Se i mòrt i végnen co i pé bagnà, i camìnen co i pé sciüt

(se i Morti vengono con i piedi bagnati, camminano con quelli asciutti, cioè ad inizio novembre piove, il resto del mese è asciutto)

Cùra rüa ‘l dì di morcc al sfiurìs ànca l’ort

(il giorno dei morti sfiorisce anche l'orto - Tirano)

I pòr mòrt i protégen el bes-ciàm kontra ogni malànn
(i poveri morti proteggono le bestie contro ogni malanno - Valfurva)

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11 NOVEMBRE

San Martino (festa patronale di San Martino in Val Masino e di Castione Andevenno).

San Martin seré, la pégura la màia ‘l fé; san Martìn negulisc, la pégura mèia ‘l gherbìsc (san Martino sereno preannuncia un lungo inverno, san Martino nuvoloso preannuncia un inverno breve - Valmalenco)

S. Simon e Giüda strépa la rava che l’è marüda, marüda u de marüdà strépa la rava e pòrtela a ka: se te speceré 'l dì di Sant te la streparé piangiant, se te speceré a S. Martìn te la streparé kul zapin
(A S. Simone e Giuda strappa la rapa che è matura; matura o non matura strappa la rapa e portala a casa; se aspetterai il giorno dei Santi la porterai a casa piangente, se aspetterai a San Martino la strapperai con lo zappino - Teglio)

A S. Martìn l' invèrnu l'é visìn
(A san Martino l'inverno è vicino - Caiolo)

De S. Martìn i màngia pulàstri ànka i sciavatìn

(A San Martino mangiano pollastri anche i ciabattini)

A Sant Martìn tütt el must l'è già deventàt vìn

(a san Martino tutto il mosto è diventato vino - Montagna)

Al mör tac cabrét a Pasqua cume tanti cabri uegi a San Martìn
(muoiono tanti capretti a Pasqua quante sono le capre che muoiono a San Martino - Castione)

L’està de San Martìn la düra tri dé e un pitìn

(l'estate di San Martino dura tre giorni e un pochino - Ardenno)

Se 'l dè de San Martii el fa nìul, ul peguréer el suna 'l sciul; se 'l fa serée, ul peguréer el ua per fée
(se il giorno di San Martino è nuvoloso, il pastore suona lo zufolo, se è sereno, va a fieno - Sirta)

Per San Martìi uress la böt e sagia 'l uìi

(per san Martino apri la botte ed assaggia il vino)

Ul dì S. Martin l'é scià tant ul zop kumé ul ladìn
(il giorno di San Martino arrivano lo zoppo ed il veloce, nel senso che tutti devono aver completato i raccolti - Rogolo)

Per San Martin i métan i sctala la besc’cia e pè 'l sciotìn
(per San Martino si mettono nella stalla la pecora e l’agnellino – Livigno)

Sèn Martìn nigul, tra un pet e un sìgul, Sèn Martìn seré, ciàpa la borsa e van pèr fèn

(San Martino nuvoloso, l’inverno sarà fra un peto ed un fischio, cioè breve; San Martino con bel tempo, prendi la borsa e vai a fieno, perché l’inverno sarà lungo – Grosio)

Per san Simón e Giùda strépa i ràvi da la cultùra, se te spécies fin ai Sant, ti streperàs piangènt, se te spécies fin a sant Martin, ti streperàs cul zapìn
(in occasione della festa dei ss. Simone e Giuda strappa le rape dai campi, se aspetterai fino a Tuttisanti piangerai per strapparle e se poi aspetti fino a s. Martino, allora dovrai utilizzare l'arpione dei boscaioli, perché il terreno sarà gelato - Grosio)

Al di de san Martin tüc i most í divéntän vin

(il giorno di s. Martino tutto il mosto diventa vino - Villa di Chiavenna)

A San Martíin l’é táant al zòpp cumé ‘l ladíin
(a San martino giungono insieme il lento ed il veloce, perché il lavoro di raccolta termina - Samolaco)

Se ‘l piöf al dì de San Martìn ‘nvéci de àqua al piöf vin

(se piove il giorno di San martino, invece di acqua piove vino - Tirano)

A san Simón al gira i spigulón e a san Martìn i gira i spigulìn
(a san Simone girano gli spigolatori di grosso ed a san Martino gli spigolatori di fino - Grosio)
San Martin, la nef sül camìn (a san Martino la neve sul camino - Poschiavo)

A S Martin i nisciöli i ga el giuanìn
(a San Martino le nocciole hanno il verme - Cagnoletti)

Ul dì S. Martin la castegna l'é dùl cabrìgn

(il giorno di San Martino la castagna è del capretto (Rogolo)

Martin paga ficc’, töl al pover dal al rik

(San Martino paga l'affitto - dei campi -, toglier al povero e dà al ricco - Stazzona)

San Martìn nìgul, tra'n pét e 'n sìgul; San Martìn serén, ciàpa la falc' e van per fén
(san Martino nuvoloso, fai una scoreggia e fischietta; san Martino sereno, prendi la falce e vai per fieno - Grosio)

A angrasà de San Martìn, sa ciàpa dùma 'l prim, a angrasà quandu l'erba la vée, as ciapa tüc' i fée
(se si sparge il letame a San Martino si prende solo il primo fieno, se lo si sparge quando spunta l'erba, si prendono tutti i fieni - Stazzona)

A San Martìn tütt el mùst l’è già diventàt vìn

(a San Martino tutto il mosto è già diventato vino – Montagna)

A san Martìn i nisciöli i gà el giuanìn
(a san Martino le nocciole sono bacate)

Chi puda de san Martìn guadagna pan e vin

(chi pota a san Martino guadagna pane e vino)

A san Martìn el móst l’è già diventà vìn

(a san Martino il mosto è già diventato vino – Ponte)

A san Martìn se tàpa el vìn
(a san Martino si chiude la botte)

San Martìn serén, pastór provedia fén

(se a san Martino fa bel tempo, pastore provvedi al fieno - Bormio)

A san Martìn séra su la bes’ cia e ‘l so ciutìn

(a san Martino chiudi nella stalla la pecora e il suo agnellino – Bormio)

A san Martìn l’invèrnu l’è visìn
(a san Martino l’inverno è vicino)

A San Martìn, néf sül camìn
(a San Martino neve sul camino - Tirano)

Angrasà de San Martìn de fée sa ‘n fa puchìn

(a spargere il letame a San martino di fieno se ne fa ben poco - Tirano)

Par San Martíin caštégn e bón víin
(per San Martino castagne e buon vino - Samolaco)

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25 NOVEMBRE

Ricorrenza di Santa Caterina d'Alessandria e festa patronale di Albosaggia.

Santa Caterena la ména quaranténa (il tempo che fa a santa Caterina resta per i successivi quaranta giorni – Valmalenco)

De S. Cateréna se scumincia a impizzà la pégna
(a Santa Caterina si comicia ad accendere la stufa - Morbegno)

S. Caterina o név o brina, el frecc el se rafìna

(A santa Caterina c'è neve o brina e il freddo è più pungente- Sondrio)

S. Cateréna la vaka a la caséna e la granda e la pinéna

(Santa Caterina la mucca torna alla stalle, la grande e la piccola - Morbegno)

S. Caterina, porta la crapilìna

(S. Caterina, porta la crapilina - calzatura per la neve - Valle di Morbegno)

A Santa Cateréna la vàca a la cadéna

(da Santa Caterina la mucca va legata: cessa il pascolo libero)

A santa Caterina el su ‘l dà ‘l rivedés e pö ‘l camìna
(a Santa Caterina il sole dà l’arrivederci e se ne va, perché in diversi paesi d’inverno non compare mai)

A Santa Caterìna, néf u brìna
(a Santa Caterina neve o brina - Tirano)

Par S.Caterina porta peur e c(h)èvar in casina
(a Santa Caterina porta pure le capre nella stalla - Fraciscio)

A Santa Caterina o nef o brina
(a santa Caterina o neve o brina)

Santa Caterina la porta la scaldina (santa Caterina porta lo scaldino - Poschiavo)

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30 NOVEMBRE

Si celebra oggi la memoria di S. Giacomo e di S. Andrea apostolo, rappresentato con la croce decussata (croce di S. Andrea), con la verga e la corona. E' festa patronale a Chiuro, Civo e Samolaco.

Sant'Andrea de la barba bianca iè rar i agn che la ghe manca (sant'Andrea dalla barba bianca, sono rari gli anni in cui gli manca, perché nevica - Sirta)

A sant'Andrea apostulò el ciöf el fiòca quant el pò

(a sant'Andrea apostolo piove e nevica fin che può - Val Tartano)

S. Andrea l’é un bón mercàant da la néev

(S. Antonio è un buon mercante di neve, porta spesso neve – Samolaco)

Se a sant’Andrea no la vegnerà, a sant’Ambrös nu la falarà

(se a sant’Andrea la neve non verrà, a sant’Ambrogio non mancherà)

A sant'Andrea del gabàn, se al fioca miga incö al fiucherà dumàn, se al fiòca gnè dumàn gnè dòpu, la vegnerà per i festi per böc' e per finèstri
(se non nevica a Sant'Andrea, nevicherà domani, se non nevica né domani né dopo, nevicherà in abbondanza entro le feste di Natale - Grosio)

Sant’Andrea dàla gran fredüra, San Luréns dàla gran calüra, l’ön e l’ótru póok ei düra

(sant'Andrea con il gran freddo, san Lorenzo con il gran freddo, entrambi durano poco - Val Tartano)

Sant'Andréa végn debót: gh'ù pü gné scàrpi gné sciablót
(Sant'Andrea, giorno della tradizionale fiera, vieni presto: non ho più scarpe, né belle né brutte Chiuro)

Tüc’ i sènt a
comenzà e sant’Andréiiä a sciünàa (il mese di novembre inizia con la festa di Tutti i Santi e termina con s. Andrea - Villa di Chiavenna)

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PROVERBI

Novembre: è già neve...

Se el fioca prest, guasta l’inveren (se nevica presto, rovina l'inverno - Albosaggia)

Nef nuvembrìna l’é mama e l’é madrìna

(la neve di novembre è mamma e matrigna - Poschiavo)

La néf l’è la gràssa di purétt
(la neve è il concime dei contadini che non hanno bestie– Montagna)

S’el fioca sö la föia el sen tö la vöia
(se nevica prima che cadano le foglie, non nevicherà più - Sostila)

Quant che la nééf la tuca la föia, la pèrt la vöia (se nevica quando le foglie sono ancora sui rami, nevicherà poco – Valmalenco)

Se ‘l géla prèst l’è scià l’invèrnu cun tüt al rèst
(se gela presto è arrivato l'inverno, con tutto il resto - Tirano)

...anche precoce,...

Se 'l fioca sö la föia, fa 'n inuèren ch'el fa uöia
(se nevica quando la foglia è ancora sull'albero, fa un grande inverno - Sirta)

Se 'l fioca sö la föia, el s'en tö la uöia
(se nevica quando ci sono ancora le foglie, se ne toglie la voglia - Sirta)

S'al fioca sün la föia, al fioca senza döia

(se nevica quando ancora ci sono le foglie, non porta danno - Val Bregaglia)

Se ‘l fiòca sü la föia al n’à pü vöia
(se nevica quando ancora le foglie sono sugli alberi, non nevicherà più - Tirano)

...e l'orto dà gli ultimi frutti...

Un més dopu i mort l'è sfiurìi ankà l'ort
(un mese dopo i morti avvizzisce anche l'orto – Morbegno)

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Da "Lombardia" (nella collezione almanacchi regionali diretta da R. Almagià), Paravia, Milano, Torino, Firenze, Roma, 1925:




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(Massimo Dei Cas, www.paesidivaltellina.it)