Molte leggende sono legate a luoghi magici. In Valtellina il monte magico per eccellenza è sicuramente il pizzo Scalino, in Valmalenco. Non si tratta, con i suoi 3323 metri, di una delle cime più alte della valle, ma la sua posizione felice (un po’ distaccata, verso sud-est, dalla testata dei giganti del vallone di Scerscen e della val Lanterna) e la sua forma inconfondibile, di slanciata piramide che si erge su una base poderosa, ne fanno un punto di riferimento inconfondibile, che si impone allo sguardo da diversi punti di osservazione, non solo in Valmalenco o in Val di Togno, ma anche sul versante orobico, tanto da essersi meritato, dagli alpigiani di Campagneda e Prabello, la denominazione di "Piz Bèl".
I Caspoggini, poi, considerano questo monte un po' come loro: gli alpeggi che si stendono ai suoi piedi, di Campagneda e Prabello, pur rientrando amministrativamente nel territorio di Lanzada sono infatti, dal secolo XVI, di loro proprietà.
Visto dall’alpe Prabello, che, con il rifugio Cristina, si stende proprio ai suoi piedi, il pizzo mostra tutto il poderoso e scuro contrafforte sul quale si eleva il profilo della cima. Assomiglia, quindi, ad un castello, dai bastioni imprendibili, su cui si eleva una torre maestosa. Probabilmente per questo (oltre che per il fatto di confinare con una delle valli magiche ed anche malefiche per eccellenza, la Val di Togno), che il pizzo ha dato luogo al fiorire di diverse leggende, o meglio, di diverse varianti di un’unica credenza.
Questa vuole che il suo interno sia cavo, e strutturato come una vera e propria fortezza, che ospita esseri magici e riproduce la corte di un castello. Su cosa accada poi in conseguenza di ciò, le varie versioni divergono, anche se non nella sostanza.
Una parla di una giostra cavalleresca, che vede cavalieri d’altri tempi rinnovare la disfida nelle chiare notti d’autunno, inverno e primavera, dall’ultimo rintocco della mezzanotte fino al tramonto della luna.
Un’altra versione parla, invece, della lotta eterna fra due armate, l’armata nera delle tenebre e quella bianca del giorno. Secondo questa versione il pizzo Scalino è diviso, al suo interno, in due settori, che ospitano le forze avverse. Il loro scontro si ripete ogni giorno, così come ogni giorno si ripete l’esito alterno: alla vittoria dell’armata delle tenebre, che determina il calar della notte, segue quella dell’armata della luce, che riporta aurora, alba e giorno. Questa versione fa del pizzo Scalino, la magica sede della regolare ciclicità del tempo, un luogo nel quale di notte scorazzano, trionfando della temporanea vittoria, i neri cavalieri delle tenebre, di giorno, gioendo della rivincita ottenuta, gli invisibili campioni della luce. 
Ecco, infine, come viene raccontata questa leggenda nel bel volume di Lina Rini Lombardini “In Valtellina - Colori di leggende e tradizioni”, Sondrio, Ramponi, 1950: “Una delle più suggestive nostre leggende s'irradia attorno al Pizzo Scalino. Crea sulle sue ferrigne rupi un favoloso castello. Non uno di quei fugaci e splendidi castelli fatti di nubi che presto il vento lacera e sfalda e disperde, ma un castello di roccia. A mezzanotte mentre il mondo dorme, lo  Scalino vive un'avventura arcana; perde la sua cima, proietta mastio e torrioni, s'inghirlanda di merli, trafora di feritoie le bertesche, dischiude finestrelle ogivali che, all'ultimo tocco di mezzanotte, s'illuminano; e una gran folla appare, formicola dentro le sale.
Sono cavalieri e dame che, al raggio della luna, o sotto il coro delle stelle, escono sul ponte levatoio, e scorrono giù lievi, a passo d'Ombre, lungo il dirupo, fino a uno spiazzo nevoso; armati a giostra gli uomini; palpitanti, dame e damigelle, in attesa che tra loro venga prescelta la Regina del Torneo, la Regina dell'Amore.
Tribune e steccati, sorgono d'impeto; alle prime s'affacciano le dame, pallide d'amabile tremore; fra gli aguzzi denti dello steccato, i cavalieri, ormai in groppa a bianchi leardi pur essi fatti di nulla, si slanciano l'un contro  l’altro. Squilli di corni e di trombe, impennarsi di cavalli: lampi e cozzi di lance, rimbombi di mazze ferrate sugli elmi e sulle corazze. Allorquando, tra i gemiti dei feriti, s'alzano le grida dei vincitori, s'avanza dalla tribuna la Regina del Torneo, la Regina della Bellezza. Scintillano al lume dell'astro d'argento i ricami delle sue vesti e dell'alto berretto a conoda cui fluttua un velo niveo. Sorride la dama offrendo ai vincitori corone e plausi... Ma se già nel cielo, che ha visto fuggir tutte le stelle, balugina il riverbero della prima luce, dame e cavalieri risalgono verso il castello, e con esso sfumano e dileguano.
E' invece una notte buia? Imperversa  sullo Scalino e sulle imponenti montagne che gli fanno blocco intorno, con fischi e lampie tuoni e folgori, l'uragano? Dalle porte del castello spalancate con gran fragore, escono solo uomini pronti a sanguinosa battaglia. Grida d'odio e di minaccia, rimbombo e cozzo d'armi, si mischiano all'urlo dei venti, all'accecante rotear del nevischio..., finché la oscurità notturna comincia a impallidire, e si placa, insieme alla furia degli uomini, la furia degli elementi.
Suggestiva per se stessa, la leggenda attrae e avvince anche perché introduce nelle due trasfigurazioni, di feste e di guerre, l'alternarsi di vicende liete e minacciose dei nostri castelli; ne condensa e rispecchia in certo qual modo la storia, specialmente del periodo feudale e dell'agitatissimo tempo dei Guelfi e Ghibellini.”

Ma al pizzo Scalino è attribuita anche l’origine degli altri luoghi celebri della valle: dalle sue nozze con Valmalenco, infatti, sarebbero nate la figlia Chiesa ed i figli Caspoggio, prima, e Lanzada, poi (cfr. "Una famiglia modello in Valmalenco", di Giuseppe Martorano, in "Esperia", Sondrio, giugno-luglio 1950, pp. 47-48).
Molti, dunque, i motivi per fantasticare, sul far del tramonto, ai piedi del gigante del versante orientale della Valmalenco.

 

 

 

 

 

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