Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Loreto-Dalò-Lagunc'
3 h
1000
E
SINTESI. Entrati in Chiavenna proseguiamo diritti alla prima rotonda (indicazioni per i passi dello Spluga e del Maloja), per poi prendere a destra alla seconda (Maloja) e percorrere il viale Maloggia, fino a trovare, sulla sinistra, la partenza della “Via alla chiesa di Loreto”. Percorsa la breve via, parcheggiamo l’automobile nei pressi della chiesa e percorriamo un breve tratto verso sinistra, fino a trovare la partenza del Chilometro verticale (K.V.). Saliamo verso nord su ripida mulattiera e scalinate fino ad un rustico, dove  troviamo il cartello “K.V. Stalla ai Ronchi – 450 s.l.m.”. Entroiamo in una selva e, oltrepassate due baite, saliamo la bella rampa scalinata che porta alla cappelletta quotata 575 metri (cartello “K. V. Cappella – 575 s.l.m.). Il sentiero volge a destra e sale ripido alle case inferiori di Pianazzola (m. 635), dalle quali ci portiamo alla parte alta del paese, fino al parcheggio dove termina la carozzabile che sale da Chiavenna. Qui troviamo l'indicazione della partenza della mulattiera per Dalò. Dopo il primo strappo, troviamo un nuovo cartello del kilometro verticale, “K.V. – Posa piana – 723 s.l.m.”. Proseguiamo con andamento diritto, in direzione nord-ovest, interrotto solo da qualche tornantino, per poi iniziare un traverso a sinistra, con elegante scalinatura, che ci porta ad un roccione: qui la mulattiera piega a destra e si porta ad un cartello del kilometro verticale (“K.V. - Senc – 852 s.l.m.”). Af un bivio stiamo sinistra ed a quota 890 la mulattiera volge a sinistra ed inizia il lungo tratto protetto da corrimano a valle, perché esposto su un ripido versante che culmina nell’impressionante salto roccioso del “scénc’”. Saliamo verso ovest-sud-ovest, attraversiamo la parte alta della “val furmagéra" ed a 1007 metri troviamo una elegante fontanella in pietra (la Fontanella degli alpini di Gualdo-Lagunc'). Alla fine della salita ci affacciamo alla parte alta dei prati di Dalò (m. 1125). Non scendiamo a Dalò ma, seguendo le indicazioni per Agoncio, proseguiamo verso nord sulla mulattiera scalinata che sale diritta nel bosco, passando a sinistra di alcuni roccioni, poi piega a sinistra e si addentra in una bella pecceta, con abeti e pini silvestri. Un tratto quasi pianeggiante è seguito da uno strappetto e da un’elegante scala con cartello del kilometro verticale “K.V. – Scala Santa – 1268 s.l.m.". Poi la mulattiera piega a destra ed esce dal bosco, a sinistra di alcune baite; volge quindi, a destra, passando a monte delle baite, poi a sinistra ed ancora a destra; qualche ultimo tornantino fra eleganti e slanciati abeti rossi ci fa uscire dal bosco ai prati di Lagunc'. Salendo fra le baite, ci portiamo alla parte alta sul lato destro, dove troviamo il sacrario dedicato alla Madonna della Neve. Qui un grande pannello segnala la conclusione, a 1352 metri, del chilometro verticale.

1000 metri di dislivello vengono superati da un escursionista abbastanza allenato, che non si proponga di strafare, in due ore e mezza o poco meno. Lo skyrunner bormiese Marco De Gasperi, recordman mondiale sul chilometro verticale, li ha superati, senza l’ausilio di racchette, in 31 minuti, 42 secondi e 9 decimi, su percorso omologato FIDAL, salendo da Loreto (m. 352, alla periferia nord-orientale di Chiavenna) a Lagunc’, sopra Dalò (m. 1352). È accaduto nel contesto del “Trofeo Amici Madonna della Neve”, il 20 luglio del 2008.
La prima parte del percorso sfrutta una delle due storiche mulattiere che da Chiavenna permettevano di salire a Pianazzola, prima che fosse costruita la carrozzabile, la “stràda di mòort”, denominazione che deriva dal fatto che serviva in passato per trasportare i morti da Pianazzola al cimitero di Chiavenna, prima che fosse costruito quello del borgo. La seconda sfrutta la mulattiera scalinata Pianazzola-Dalò (o Daloo), piccolo gioiello di ingegneria alpina che porta allo splendido terrazzo panoramico a nord di Chiavenna. La terza coincide con la mulattiera che da Dalò sale ai prati di Lagunc’ (cioè “lago unto”; non ha senso, quindi, la scorretta italianizzazione L’Agoncio, da cui Agoncio), dove l’epica salita termina, nei pressi della cappelletta dedicata alla Madonna della Neve. È un trionfo di verticalità. Ma non solo. Di storia, giochi di luce, profumi, scorci non ancora sommersi dall’incalzante vortice dello scorrere del tempo. Strappare alla maledizione newtoniana, uno per uno, questi mille metri non rappresenta, dunque, la mera soddisfazione di una curiosità sportiva, ma anche un’escursione impegnativa, ma densa di motivi di interesse e fascino, soprattutto in autunno o a primavera inoltrata.
Punto di partenza, come detto, la chiesa di Loreto, riconoscibile per i caratteristici campanili gemelli. La raggiungiamo entrando in Chiavenna e proseguendo diritti alla prima rotonda (indicazioni per i passi dello Spluga e del Maloja), per poi prendere a destra alla seconda (Maloja) e percorrere il viale Maloggia, fino a trovare, sulla sinistra, la partenza della “Via alla chiesa di Loreto”. Percorsa la breve via, parcheggiamo l’automobile nei pressi della chiesa e percorriamo un breve tratto verso sinistra, fino a trovare la partenza del mitico chilometro verticale (alcuni cartelli sul percorso, con sigla “K.V.”, ne scandiscono le tappe principali). Qui troviamo anche un cartello della Comunità Montana Valtellina di Chiavenna che dà Pianazzola a 40 minuti, Dalò ad un’ora e 40 minuti ed Agoncio (cattiva italianizzazione, come abbiamo detto, di Lagunc’) a 2 ore e 10 minuti.
Si tratta di un chilometro verticale, non possiamo aspettarci troppi complimenti: la mulattiera parte con piglio deciso, salendo circondata da due muri a secco, verso nord, lungo il severo pendio morenico che chiude a settentrione Chiavenna. Segue una breve serie di tornantini che porta a 4 scalinate che si susseguono con direzione sx-dx-sx-dx. Passiamo, qui, a lato di alcune baite. Un breve tratto in una selva ci porta ad un nuovo rustico, dove  troviamo il cartello “K.V. Stalla ai Ronchi – 450 s.l.m.”. Ottimo, alle nostre spalle, è il colpo d’occhio sull’imbocco della Val Bregaglia, con Piuro e Villa di Chiavenna. Entriamo, quindi, in una selva di castagni, passando a sinistra di alcuni roccioni un po’ invadenti e di un muro a secco: i tratti scalinati si alternano ad altri con fondo in terra battuta e la pendenza è sempre impegnativa. Oltrepassate due baite, saliamo la bella rampa scalinata che porta alla cappelletta quotata 575 metri (cartello “K. V. Cappella – 575 s.l.m.). Si tratta della “capèla”, dedicata alla Madonna della Salute ed edificata il 9 ottobre 1904. Una scritta invoca il suo ausilio: “Salus infirmorum ora pro nobis”, cioè “salute degli infermi, prega per noi”. Si fa strada da sé il pensiero che su una mulattiera dal nome così poco beneaugurate questa cappelletta funge da sano contrappeso. Volgendo a destra, affrontiamo una seconda rampa, che ci porta alla prima, isolata, casa di Pianazzola; dopo una svolta a sinistra, siamo alle case del lato sud-orientale del borgo.
Pianazzola (pianazöla, m. 635) è un grumo di case arroccato non su un vero e proprio piano, come vorrebbe suggerire il nome, espressione più di un sogno che di una realtà, ma su una striscia del versante dove la pendenza si fa un po’ meno severa. Un paesino che profuma intensamente di atmosfere ottocentesche, romantiche, che possiamo ancora sorprendere e che ci sorprendono nel reticolo degli stretti viottoli e vicoli, nelle ripide scalette, nei minuscoli orti, nei balconi ben curati, nelle finestre strombate, nella policromia delle facciate, mai monotone, mai monocordi, che vivono del connubio del legno e della pietra, negli scorci dove le diverse ore del giorno restituiscono cangianti e leggeri giochi di luce, nella quattrocentesca chiesetta di San Bernardino da Siena (ampliata nel Seicento), appartata sul lato orientale del paese ed affacciata all’imbocco della Val Bregaglia, nel minuscolo cimitero, dove davvero non si respira aria di morte, ma di assopimento.
Borgo di una certa importanza in passato, tanto da essere sede parrocchiale, anche se solo per pochi decenni, dal  1947 (bolla del 8 febbraio 1947 del vescovo di Como Alessandro Macchi) fino al 1986, quando è tornata nell’alveo della parrocchia di S. Lorenzo in Chiavenna  (decreto del 16 luglio 1986 del vescovo di Como Teresio Ferraroni). I tre chilometri dell’antiestetica carrozzabile l’hanno salvato dal mesto destino di essere deserto per molti mesi, ma non ne hanno annullato la caratteristica di nucleo sospeso fra un presente che non ne ha ancora stravolto la fisionomia ed un passato che non è ancora sterile nostalgia, ma linfa viva che ne percorre le vene.
Un paesino che profuma intensamente di atmosfere ottocentesche, romantiche, che possiamo ancora sorprendere e che ci sorprendono nel reticolo degli stretti viottoli e vicoli, nelle ripide scalette, nei minuscoli orti, nei balconi ben curati, nelle finestre strombate, nella policromia delle facciate, mai monotone, mai monocordi, che vivono del connubio del legno e della pietra, negli scorci dove le diverse ore del giorno restituiscono cangianti e leggeri giochi di luce, nella quattrocentesca chiesetta di San Bernardino da Siena (ampliata nel Seicento), appartata sul lato orientale del paese ed affacciata all’imbocco della Val Bregaglia, nel minuscolo cimitero, dove davvero non si respira aria di morte, ma di assopimento. Salendo fra i vicoli, prendiamo a destra e portiamoci al sagrato della quattrocentesca chiesetta di San Bernardino da Siena (ampliata nel Seicento), appartata sul lato orientale del paese ed affacciata all’imbocco della Val Bregaglia. Sulla facciata si vede un grande dipinto, abbastanza deteriorato, che raffigura S. Cristoforo, opera, forse, di Andrea de Passeris di Torno. Leggermente staccato dalla chiesetta, a sud, il campanile: una targa testimonia che è stato edificato nel 1888 e restaurato nel 1959. Oltre il campanile, il piccolo cimitero ed il monumento in ricordo dei caduti nelle due Guerre Mondiali del Novecento, che ricordano Persenico Angelo, Dell’Adamino Lorenzo, Signorelli Guglielmo, Moro Eugenio, Del Giorgio Guglielmo e Dell’Ava Natale, caduti nella Prima Guerra Mondiale, Della Bella Guglielmo e Della Pedrina Guido, caduti nella Seconda Guerra Mondiale, Dell’Ava Luigi e Del Giorgio Giovanni, dispersi nel medesimo conflitto.
Torniamo sui nostri passi; un cartello, che reca scritto “K. V. - Pianazzola – 634 metri” ci indirizza alla parte alta del paese, che visitiamo, girovagando con libertà e gustandone odori e giochi di luce. A monte delle case più alte termina, ad un parcheggio, la strada asfaltata che sale da S. Giovanni: stona un po’, ma consente, come già detto, la residenza permanente nella frazione. Da qui riparte la mulattiera, segnalata da segnavia bianco-rossi, ma anche da un cartello che dà Dalò ad un’ora ed Agonico (Lagunc’) ad un’ora e mezza. Un piccolo gioiello di ingegneria alpina, come già detto, non del tutto raro, però, in Valchiavenna: la natura scoscesa ed irregolare dei pendii morenici impone, infatti, la soluzione più impegnativa, cioè la costruzione di mulattiere pazientemente scalinate, che affondino con decisione il versante, per la via più diretta, evitando il più possibile i tornanti. I nove decimi di questa mulattiera sono, infatti, scalinati, e salirla non è solo una fatica, ma anche un particolarissimo godimento dello spirito. L’ombra del bosco di castagni, che schermano la luce del sole e consentono che solo alcune occhiate la trafiggano, arricchisce il fascino arcano della salita.
Dopo il primo strappo, ecco il terzo cartello del kilometro verticale, che reca scritto “K.V. – Posa piana – 723 s.l.m.”. Il lettore non si aspetti una piazzola: il pendio attenua appena la sua pendenza, ma alcuni grandi massi sono disposti in modo tale da consentire al viandante di sedersi senza deporre il carico, per una sosta ristoratrice. Seminascosto nella selva, alla nostra sinistra, un rudere sembra meditare sulla mutevolezza delle sorti di tutto ciò che soggiace alla signoria del tempo. Ripreso il cammino, ci imbattiamo quasi subito in un sasso sul quale leggiamo “Dalò - 5 minuti”. Con tutta probabilità qualche bontempone ha, però, cancellato la cifra 4 prima del 5… Ed infatti cinque minuti dopo siamo ancora  ad arrancare nel bosco, che però, a tratti, si apre un po’. La scalinatura è interrotta in alcuni punti ed incontriamo i primi abeti rossi e bianchi (semplificando molto, i primi hanno i rami rivolti verso il basso, i secondo verso l’alto). L’andamento diritto, in direzione nord-ovest, è interrotto solo da qualche zig-zag appena accennato. Stiamo salendo ad est “grosùs”, pendio roccioso chiamato anche “val furmagéra” (in un documento del 1643: “Sengio Grososo”). Poi, per un tratto, la luce del sole irrompe con maggiore decisione nel cuore del bosco, che propone anche betulle ed alberi di noce.
Superato un punto nel quale a monte della mulattiera si trova un muro a secco, iniziamo un traverso a sinistra, che ripropone l’elegante scalinatura e che ci porta ad un roccione: qui la mulattiera piega a destra e si porta al quarto cartello del kilometro verticale (“K.V. - Senc – 852 s.l.m.”). Presso il cartello, alla nostra sinistra, un sasso lavorato funge da rudimentale ma funzionale panca che induce a tirare il fiato. In realtà non siamo ancora a Senc, ma poco sotto, in una zona chiamata “sóta l scénc’ (o “sénc’)”. Poco sopra una breve apertura nel bosco regala un bel colpo d’occhio su Prosto, all’imbocco della Val Bregaglia; qui troviamo anche un bivio, perché un sentiero prosegue verso destra, mentre la mulattiera volge a sinistra e propone forse il tratto più suggestivo, l’elegante scalinatura che disegna un arco regolare. Dopo qualche tornante, la mulattiera, a quota 890, prende a sinistra ed inizia il lungo tratto protetto da corrimano a valle, perché esposto su un ripido versante che culmina nell’impressionante salto roccioso del “scénc’”, che però non vediamo (lo si può osservare bene da Chiavenna).
La salita prosegue, ora, in direzione ovest-sud-ovest. In breve siamo al valloncello che costituisce la parte alta della “val furmagéra”, e qui, a 1007 metri, troviamo una elegante fontanella in pietra, dove si incanala la fresca acqua di una sorgente (la Fontanella degli alpini di Gualdo-Lagunc', costruita nel 1999). Sulla nostra destra imponenti roccioni incutono un po’ di timore, ma, alla fine, risulteranno inoffensivi. Più miti e simpatici sono, invece, gli abeti, sempre più frequenti. Il traverso sembra interminabile, ed un’apertura del bosco sulla nostra sinistra ci regala uno scorcio di Chiavenna, ma lascia anche intuire l’abisso che si apre qualche decina di metri più in basso. Infine, il quinto cartello segnala i Prati di Dalò (1125 metri). Stiamo lasciando il territorio comunale di Chiavenna per entrare in quello del comune di S. Giacomo-Filippo (“sèn iàcum”). Varcata una sorta di porta,, che si apre a sinistra delle ultime rupi di granito del “scénc’”, ci affacciamo alla parte alta dei prati: sotto di noi, in una splendida conca, si stendono le baite e le case di Dalò.
Il percorso del chilometro verticale, però, non scende a Dalò (che chilometro verticale sarebbe, se no?), ma procede nella sua salita alla nostra destra. Nondimeno, non essendo in gara, ci possiamo regalare una visita a questo splendido ed antico nucleo.
Prima di puntare alla chiesetta ed alle case, scendiamo verso sinistra, fino alla croce metallica (posata nel 1981 in sostituzione di una precedente in legno del 1704): come spesso accade in montagna, essa segnala la soglia di un abisso, quello, appunto, della propaggine occidentale del scénc’. Lo sguardo non può raggiungerlo, ma si leva alla bella corona di cime e valli che questo punto panoramico regala. A sud-ovest si impone la corrucciata e sinistra parete settentrionale del Pizzo di Prata, vinta probabilmente per la prima volta dalla singolarissima figura di sacerdote-alpinista chiavennasco don Giuseppe Buzzetti, scomparso e mai ritrovato, a 48 anni, nel luglio del 1934, sul crinale fra Val Masino e Val Codera. Alla sua sinistra, una serie di affilate vette minori, fra la Val Schiesone e la Val Codera: la prima è stata chiamata punta Buzzetti per onorare la memoria del solitario scalatore. Verso est lo sguardo raggiunge una porzione di Val Bregaglia, sul cui fondo si disegnano le granitiche vette del Pizzo Badile e delle Sciore. A sud, invece, ecco Chiavenna e la sua piana; a monte della cittadina, la conca dove si nasconde, quasi, fra densi boschi e qualche prato, l’antico nucleo di Uschione. Ad ovest si mostrano le cime della Mesolcina e a nord-ovest, a monte dei paesini di Olmo e S. Bernardo, sul fianco occidentale della Val San Giacomo, un ampio scorcio della Valle del Truzzo. Scendiamo, ora, verso destra, a Dalò (o Daloo), frazione di San Giacomo-Filippo, alla quale giunge una carrozzabile che si stacca dalla ss. 36 dello Spluga.
Ci accoglie la suggestiva chiesetta dedicata a San Michele, l’arcangelo che guidò la schiera degli angeli fedeli a Dio nella battaglia celeste contro gli angeli ribelli. Al suo interno, infatti, un dipinto di G. B. Macolino il vecchio raffigura l’arcangelo-guerriero nell’atto di cacciare Lucifero negli inferi. La chiesetta, edificata nel 1657, fu ampliata nel 1735-36 e coronata dall’edificazione del campanile nel 1816. Nei suoi pressi, il piccolo cimitero del paese. Alle spalle della chiesetta, guardando da ovest, si eleva il noto profilo della parete settentrionale del pizzo di Prata, che produce un singolarissimo effetto di contrasto cromatico con le candide mura dell’edificio sacro ed il verde brillante dei prati. Le case, ad ovest della chiesetta, mostrano i segni  dell’influsso di popolazioni Walser che, nei loro spostamenti migratori, varcarono lo Spluga e si diffusero in Valchiavenna ma anche in alcune valli orobiche. Colpisce, fra le case, una dall’aspetto più signorile, con finestre dall’elegante disegno arrotondato nella parte alta. Su un’altra casa leggiamo “Dalò – Comune di S. Giacomo – Distretto IV di Chiavenna”.
Riportiamoci, ora, alla parte alta dei prati, presso il valico cui approda la mulattiera da Pianazzola, e, seguendo un cartello, affrontiamo la terza parte del chilometro verticale, che si conclude ai prati di Lagunc’. In verità i cartelli della Comunità Montana della Valchiavenna sono tre, tutti siglati B32: uno dà, nella direzione dalla quale siamo saliti Pianazzola a 40 minuti; un secondo indica, nella direzione dei prati, Dalò, Uggia ed Avero, senza indicazioni di tempo; il terzo, che ci interessa, segnala la direzione per Agoncio, dato a 30 minuti.


Lagunc'

Nella prima parte la mulattiera, scalinata, sale diritta nel bosco, passando a sinistra di alcuni roccioni; poi piega a sinistra e si addentra in una bella pecceta, con abeti e pini silvestri. Un tratto quasi pianeggiante è seguito da uno strappetto e da un’elegante scala; il sesto cartello del kilometro verticale recita “K.V. – Scala Santa – 1268 s.l.m.”; al termine della scala, in una piccola nicchia, si vede una statuetta della Madonna. Ho chiesto a Lagunc’ a cosa si dovesse la denominazione, senza ricevere risposta; mi è stato detto solo che si tratta della “scalòta". Poi la mulattiera piega a destra ed esce dal bosco, a sinistra di alcune baite; sul settimo cartello si legge “K.V. – Prati Lagoncio – 1284 s.l.m.” La mulattiera piega, quindi, a destra, passando a monte delle baite, poi a sinistra ed ancora a destra; qualche ultimo tornantino fra eleganti e slanciati abeti rossi ci fa uscire dal bosco ai prati di Lagunc'.
Passiamo fra alcune baite e vediamo, più in basso, a sinistra, la pozza di acque stagnanti che giustifica la denominazione della località: Lagunc’ da lag-unc’, cioè lago unto. Ma, invece di scendere, proseguiamo nella salita, passando proprio in mezzo ad alcune baite e puntando alla cappelletta che vediamo poco più in alto. Si tratta del sacrario dedicato alla Madonna della Neve. Qui un grande pannello segnala la conclusione, a 1352 metri, del chilometro verticale, e ne raffigura anche fotograficamente lo sviluppo.  Marco De Gasperi è qui, virtualmente, da un due ore e mezza circa (proviamo a spiegargli che senza la digressione a Dalò sarebbero solo un paio d’ore, ma le spiegazioni virtuali sono anche meno convincenti di quelle reali), e ci accoglie con un altrettanto virtuale sorriso. Non possiamo dire di essere felici come lui, che ha compiuto un’impresa difficilmente eguagliabile, ma certo grande è anche la nostra soddisfazione, che si nutre, da ultimo, prima della discesa (sempre verticale), dell’ottimo panorama.


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