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Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Cimitero di Caspano-Gonchi-Funtanìn-Corte di Roncaglia-Crus de Fer
4 h
1220
E
Dal parcheggio della chiesetta di S. Margherita a Poira di Civo ci incamminiamo poi sulla pista sterrata che passa a destra del campetto di calcio ed a sinistra del Sacrario degli Alpini, salendo in pineta, fino ad un bivio, al quale prendiamo a sinistra, salendo per una stradella molto ripida (passiamo a sinistra dei prati di Careggio), fino ad intercettare di nuovo la pista sterrata, che seguiamo salendo alla conca di Ledino. Passiamo a destra della conca ed a sinistra di un agriturismo, fino alla fine della pista (m. 1200). Un largo sentiero procede diritto ed in piano verso est, delimitato sul lato destro dal recinto dell'agriturismo; non lo seguiamo ma, in corrispondenza della sua partenza guardiamo sul limite della pineta alla nostra sinistra, e vedremo un sentiero che comincia a salire in pineta verso nord, con diversi tornanti. Raggiunta una cappelletta, siamo ad un bivio al quale andiamo a destra. Poco sopra intercettiamo la pista tagliafuoco della Costiera dei Cech orientale e ritroviamo il sentiero sul suo lato opposto, salendo ancora nel bosco, verso nord, fino ad uscire alla parte bassa dell'alpeggio di Pesc' (Peccio, m. 1613), nella sua parte orientale. Non saliamo verso le baite, ma restiamo nella parte bassa, prendendo a destra e cercando la partenza di un sentiero che si addentra nel bosco, in direzione est-nord-est. Il sentiero, con traccia discontinua, è segnalato da una serrata sequenza di bolli e strisce blu, su sassi o tronchi d’albero. Saliamo gradualmente e dopo qualche valloncello incontriamo la baita solitaria quotata m. 1827 sulla carta IGM (ma in realtà a quota 1770 circa), sulla quale, accanto a diversi bolli blu e ad una freccia, è posta la scritta “Laghi Spluga”. Atraversata la Valle di San Martino in breve raggiungiamo la radura con la grande baita solitaria, a quota 1770 metri, con una grande cisterna. cercando, sul limite occidentale della baita, un sentiero che sale nel bosco. Dopo pochi metri, prendiamo a sinistra, iniziando ad effettuare una diagonale in direzione ovest (lasciando, cioè, a destra il sentiero sopra descritto per la Valle di Spluga). Salendo, oltrepassiamo, a quota 1820, una radura con un valloncello appena marcato, per poi rientrare per un ultimo breve tratto nel bosco. Usciti dalla macchia, ci avviciniamo al solco della Valle di San Martino, percorrendo un tratto un po’ esposto. A quota 1830 metri circa attraversiamo la valle, colonizzata dagli ontani, e proseguiamo sul versante opposto, intercettando un marcato sentiero che sale da sinistra. Seguendolo, dopo un ultimo traverso verso ovest raggiungiamo la Corte di Roncaglia, a quota 1890. Salendo in diagonale i prati verso nord-est, cioè verso una cabina recintata, individuiamo la partenza di un sentiero che procede per un tratto nel bosco, uscendo di nuovo all’aperto in vista della parte più alta del solco della Valle di San Martino. Ci avviciniamo al solco della valle, poi saliamo verso sinistra con tornantini, e di nuovo ci avviciniamo al vallone e lo attraversiamo ad una quota di 1950 metri circa; sul lato opposto la traccia, più debole, procede diritta per breve tratto, poi, raggiunto un corpo franoso, piega a sinistra ed inizia a risalire, con fitte serpentine, il canalone erboso che costituisce il gemello di destra del canalone centrale dell’alta valle. Saliamo, dunque, con andamento diritto, su una larga fascia circondata a destra ed a sinistra dagli ontani, finché l’ulteriore salita sembra sbarrata da altri ontani. Un decina di metri sotto questi ontani, ad una quota approssimativa di 1980 metri, pieghiamo a destra, seguendo la traccia che si fa per un tratto più visibile, e procedendo con un traverso che, in breve, ci porta a due pini silvestri gemelli dal profilo piuttosto bombato. Raggiunti i pini, dobbiamo stare attenti, perché una falsa traccia piega a sinistra, passa proprio in mezzo ai due tronchi e prosegue salendo (ma perdendosi dopo un breve tratto). Invece di seguirla, proseguiamo diritti: la traccia si vede appena, ma poi si fa più chiara e procede diritta, con modesti saliscendi, sul fianco erboso del dosso, fino a raggiungere il tronco di un enorme pino abbattuto. Qui piega a sinistra e comincia a salire, in diagonale, puntando al filo del dosso che scende dalla cima del Corno del Colino verso est. Non sempre è ben visibile, ma quand’anche dovessimo perderla, non ci sono troppi problemi: raggiunto il filo del dosso, basta proseguire nella salita seguendolo. Memorizziamo, però, per il ritorno. La salita su corpo franoso va fatta cn attenzione, e ci porta alla pianetta dell'Acqua Gélda, m. 2160. Poco sopra, fra alcune roccette, la Croce dei Cacciatori, o Crus de Fèr.


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Ecco una proposta escursionistica pensata per camminatori solitari, una visita ad uno dei luoghi meno conosciuti del versante a monte di Caspano, nella parte orientale della Costiera dei Cech. Una visita ad un luogo da cacciatori, una modesta pianetta a 2160 metri, sul crinale che scende verso sud-est dal Corno di Colino, che si affaccia sulla porta occidentale della bassa Val Masino ed è denominata “Acqua gélda”, cioè “Acqua gelida”. Appena sopra, annidata fra alcuni grandi blocchi di granito, la “Crus de Fèr”, “Croce di Ferro”, che sormonta una edicola dedicata alla Madonna dei Cacciatori, edificata nel 1983. Qualche metro ancora più a monte, una grande croce di legno, che segnala anche ad una certa distanza un luogo altrimenti non facile da trovare.
Punto di partenza dell’escursione il cimitero di Caspano. Saliamo, dunque, in automobile a Caspano: da Morbegno ci portiamo al ponte di Ganda, seguendo le indicazioni per la Costiera dei Cech, e qui prendiamo a destra, salendo a Dazio e proseguendo sulla strada per Poira, che, ignorata, dopo Naguarido, la deviazione a sinistra per Poira, ci porta appunto a Caspano. Si tratta di uno dei più antichi ed illustri borghi della Costiera, anche se la più probabile etimologia (da “Casa del pane”) parrebbe suggerire una più modesta dimensione. Alle porte occidentali del paese, non prendiamo a sinistra, imboccando la strada che conduce alla piazza del paese, ma proseguiamo sulla strada principale, che passa proprio sotto il poderoso muraglione della sontuosa chiesa dedicata a S. Bartolomeo (m. 875).
La strada prosegue verso Bedoglio, ma, appena possibile, prendiamo a sinistra, salendo per un tratto verso il limite orientale di Caspano, per poi deviare a destra, evitando l’abitato. Un nuovo tornante a sinistra ci porta ad intercettare la strada che dal paese sale al cimitero, posto più a monte, verso est. In breve lo raggiungiamo: alla sua destra la bella chiesa di S. Antonio, poco più avanti uno slargo che ci permette di parcheggiare senza disco orario.
Inizia, dunque, da qui, cioè da circa 940 metri, la nostra escursione. Seguendo la carrozzabile, attraversiamo il solco della Valle di S. Martino e saliamo, in breve, ad una piazzola dove troviamo alla nostra sinistra una baita ristrutturata e, a destra, una pista secondaria che si stacca dalla principale e porta, come dice un cartello, al maggengo di Regurs (Rigorso). Noi restiamo sulla pista principale, con fondo sterrato largo ed in buone condizioni (ottima anche per gli amanti della mountain-bike), che sale, con pendenza media, ai maggenghi di Gonchi e Funtanìn (Fontanili), in direzione nord-est. Ottimo, già ora, il colpo d’occhio sulla media Valtellina, che ci accompagnerà per buona parte dell’escursione. Dopo un lungo tratto, troviamo una rapida sequenza di tornanti sx-dx-sx-dx, poi, più avanti, una nuova sequenza di tornanti più distanziati sx-dx. All’ultimo tornante sinistrorso gettiamo uno sguardo verso la Val Masino: appena sotto di noi, sul suo fianco orientale, vediamo il maggengo di Rigorso ed il paese di Cevo.
Poi saliamo al limite inferiore dei prati di Gonchi (m. 1178), dove, sulla sinistra della strada, troviamo anche una cappelletta dedicata alla Madonna e corredata da tre minuscole e graziose campanelle. Sotto l’edicola una fresca fontanella. Anche da qui il colpo d’occhio sulla Val Masino è davvero suggestivo: in fondo, anche se siamo ancora nella Costiera dei Cech, ci troviamo proprio sulla soglia della sua porta occidentale. Si mostrano, da sinistra, la cima di Castello e la punta Rasica, i pizzi Torrone occidentale, centrale ed orientale, il monte Arcanzo, la punta della Remoluzza, il monte Disgrazia ed i Corni Bruciati. Più a destra, la Val Terzana, sul cui lato destro si distingue il modesto pizzo Bello; ad est i monti canale e Rolla precedono il gruppo dell’Adamello, che chiude, lontano, l’orizzonte. Ottimo il colpo d’occhio anche sulla media Valtellina, ad est, e sulla catena orobica, a sud-est e a sud.
La pista volge a destra, poi propone una sequenza di tornanti sx-dx-sx  e conduce alla parte inferiore dei prati di Funtanìn (Fontanili), termine che, com’è facile intuire, deriva da “fontana”, alimentata da sorgenti che sono un bene tanto prezioso quanto raro su questi monti affascinanti ma alquanto poveri d’acqua. La pista piega, quindi, a destra e di nuovo a sinistra; dopo una rapida sequenza dx-sx-dx-sx, siamo alla parte alta del maggengo, dove si trova una baita ed una tettoia di color rosso. Proseguendo verso sinistra, ci portiamo, quindi, al rudere della baita più alta sul lato occidentale dei prati. Qui la pista prende di nuovo a destra, tornando all’andamento nord-est, ed avvicinandosi al limite di un bel bosco di pini silvestri, faggi e betulle.
Appena prima di entrare nel bosco, vediamo, sulla destra, una pista secondaria che si stacca dalla nostra e porta alle baite alte della parte orientale del maggengo (m. 1375). Restiamo sulla pista principale, che, dopo un buon tratto, volge a sinistra (qui si stacca, sulla destra, un troncone di pista, che, ovviamente, ignoriamo). Procediamo, ora, in direzione ovest, e cominciamo a prestare attenzione al versante boscoso alla nostra destra: troveremo, dopo un po’, la partenza di un sentiero (che sale da sinistra) che si inoltre nel bosco verso destra. Lasciamo, quindi, la pista per salire nel bosco. Il sentiero quasi subito, però, si perde: procedendo leggermente verso destra raggiungiamo, in breve, una pianetta disseminata di alcuni massi. Qui prendiamo a destra, raggiungendo qualche metro più in là una sorta di corridoio dove gli alberi si diradano un po’, sul filo di un largo dosso, e dove ritroviamo il sentiero che sembra però provenire da destra.
Lo seguiamo, in una lunga salita quasi diritta (non ci sono tornanti, per cui la pendenza è abbastanza severa). Il sentiero procede quasi diritto, poi piega leggermente a destra. Non ci sono segnavia (non ne troveremo nessuno nell’intera escursione), ma non possiamo perderlo. Raggiunte, a quota 1660 metri circa, alcune roccette, il sentiero sembra mutare l’andamento, piegando a sinistra, ma poi, subito, torna verso destra, riprendendo la direzione precedente e portandoci, a quota 1710, ad una modesta pianetta, dove si biforca: un ramo prosegue nella medesima direzione, l’altro piega decisamente a sinistra. Seguiamo quest’ultimo, che effettua una luna traversata, senza tornanti, sempre nel cuore del bosco: superati una piccola radura ed alcuni saliscendi, saliamo per un buon tratto, fino a sbucare, a quota 1770, sul limite occidentale della radura-poggio sulla quale è posta una grande e singolare baita, caratterizzata da una cisterna di considerevoli dimensioni davanti alla sua facciata, giustificata dalla necessità di raccogliere l’acqua piovana, data la natura dei luoghi, assai avari di sorgenti naturali.
Sul lato opposto, il sentiero riprende portandosi al solco della Valle di San Martino e procedendo nella traversata che lo porta a scendere al lato orientale dell’alpeggio del Pecc (italianizzato sulle carte in Peccio; se lo si segue, prestare attenzione ai bolli blu, per non perderlo in alcuni punti in cui la traccia si fa incerta).
Noi, però, dobbiamo proseguire per altra via, cercando, sul limite occidentale della baita, alla sua destra, un sentiero che sale nel bosco. Dopo pochi metri, prendiamo a sinistra, iniziando ad effettuare una diagonale in direzione ovest. Salendo, oltrepassiamo, a quota 1820, una radura con un valloncello appena marcato, per poi rientrare per un ultimo breve tratto nel bosco. Usciti dalla macchia, ci avviciniamo al solco della Valle di San Martino, percorrendo un tratto un po’ esposto (la traccia è qui più debole ed insidiata dalla “paiùsa”, erba molto resistente ma anche oltremodo scivolosa). A quota 1830 metri circa attraversiamo la valle, colonizzata dagli ontani, e proseguiamo sul versante opposto. Prima di portarci oltre il vallone, però, gettiamo uno sguardo in alto, al Corno di Colino, che riconosciamo facilmente, leggermente alla nostra sinistra.
Una breve salita ci porta, quindi, ad intercettare un più largo sentiero che sale da sinistra (si stacca, più in basso, dal già citato sentiero che dalla baita di quota 1770 traversa all’alpe Peccio) e nel quale ci immettiamo. Rientrati in un bel bosco, effettuiamo l’ultimo traverso, sempre verso ovest, raggiungendo il limite inferiore dei prati di quella che dovrebbe essere la Corte di Roncaglia (anche se sulla carta IGM questa viene collocata qualche decina di metri più in basso), a quota 1890. Davanti a noi, un po’ più in alto, il rudere di una baita, alle cui spalle è stata scavata una fossa per la raccolta dell’acqua con pareti in cemento (attenzione a non caderci dentro!). Sul lato opposto dei prato, ad est, una piccola cabina ed un recinto.
Il prato è collocato sul crinale che dalla cima del Corno di Colino (m. 2504) scende in direzione sud-est, e che, più in alto, va gradualmente restringendosi, proponendo un’ultima fascia occupata dal bosco, prima del terreno aperto, costituito da magri pascoli, massi e roccette. Guardando più a destra, in direzione cioè della Val Masino, distinguiamo un brevissimo scorcio dell’alta Val Cameraccio, cioè il passo di Mello, chiuso poi dalla cima di Arcanzo, sulla costiera Remoluzza-Arcanzo, che separa la Val di Mello dalla Valle di Preda Rossa. Proseguendo verso destra vediamo il monte Pioda, vassallo della regale cima del monte Disgrazia; quindi i Corni Bruciati, la Val Terzana, il pizzo Bello sul suo angolo di destra, la vetta di Ron che occhieggia appena sul fondo, il profilo sfuggente dei monti Canale e Rolla che precede la lontana visione del gruppo dell’Adamello, che chiude, sul fondo, un ottimo scorcio sulla media Valtellina. A sud-est e a sud la catena orobica; in primo piano, infine, a sud ovest, la Val Gerola, di cui possiamo osservare bene l’intera testata. Il luogo, solitario e bellissimo, si presta bene a meditazioni che ci sottraggono al turbinante fluire delle preoccupazioni quotidiane, restituendoci ad una dimensione nella quale il tempo si dilata oltre il limite angusto delle nostre attese e dei nostri timori.
Guardando verso nord-est, sul crinale che ci nasconde la visuale su buona parte del gruppo del Masino, distinguiamo la croce in legno che costituisce la meta dell’escursione. Meno di trecento metri di dislivello ci separano da essa, ma c’è ancora da sudare molto, perché la traversata si sviluppa su terreno un po’ faticoso. Non, però, nel primo tratto, servito da un buon sentiero. Lo troviamo salendo in diagonale verso nord-est, cioè verso la cabina recintata, ne individuiamo facilmente la partenza. Lasciato alle spalle il prato, procediamo per un tratto nel bosco, uscendo di nuovo all’aperto in vista della parte più alta del solco della Valle di San Martino, che qui sembra un grande scivolo che si biforca e sale alla parte più alta del crinale, fin sotto la cima del Corno del Colino. Vista da qui, questa sembra davvero essere all’altezza del suo probabile etimo: il toponimo Colino, come anche quello analogo di Culino, sul versante orobico sopra Talamona, si può ricondurre ad “aquilinus”, cioè battuto dalle aquile. Un posto dove nulla sembra turbare la scontrosa solitudine delle aquile. Tranne i cacciatori, che qui salgono per sostare presso la croce loro dedicata, o qualche escursionista che ha perso la retta via dei sentieri più canonici e battuti.
Dopo un breve tratto, eccoci presso il solco della valle: il sentiero non scende subito ad esso, ma prima, per breve tratto, sale zigzagando, per poi piegare a destra e portarci nei pressi degli ontani che si sono fatti signori di buona parte della Valle di San Martino. Attraversiamo, dunque, il vallone ad una quota di 1950 metri circa; sul lato opposto la traccia, più debole, procede diritta per breve tratto, poi, raggiunto un corpo franoso, piega a sinistra ed inizia a risalire, con fitte serpentine, il canalone erboso che costituisce il gemello di destra del canalone centrale dell’alta valle. Alto ed impassibile, sopra le nostre teste, il Corno di Colino sembra osservare distrattamente le nostre fatiche.


Panorama dalla Curs de Fèr

Saliamo, dunque, con andamento diritto, su una larga fascia circondata a destra ed a sinistra dagli ontani, finché l’ulteriore salita sembra sbarrata da altri ontani. Un decina di metri sotto questi ontani, ad una quota approssimativa di 1980 metri, pieghiamo a destra, seguendo la traccia che si fa per un tratto più visibile, e procedendo con un traverso che, in breve, ci porta a due pini silvestri gemelli dal profilo piuttosto bombato. Raggiunti i pini, dobbiamo stare attenti, perché una falsa traccia piega a sinistra, passa proprio in mezzo ai due tronchi e prosegue salendo (ma perdendosi dopo un breve tratto).
Invece di seguirla, proseguiamo diritti: la traccia si vede appena, ma poi si fa più chiara e procede diritta, con modesti saliscendi, sul fianco erboso del dosso, fino a raggiungere il tronco di un enorme pino abbattuto. Qui piega a sinistra e comincia a salire, in diagonale, puntando al filo del dosso che scende dalla cima del Corno del Colino verso est. Non sempre è ben visibile, ma quand’anche dovessimo perderla, non ci sono troppi problemi: raggiunto il filo del dosso, basta proseguire nella salita seguendolo. Memorizziamo, però, per il ritorno, il punto nel quale siamo giunti sul crinale, per sapere dove iniziare a scendere in diagonale verso destra. Si tratta di una salita abbastanza faticosa, da affrontare anche con una certa attenzione, perché il terreno è occupato da un’antica frana ricoperta dalla vegetazione e dai macereti, il che ci espone al rischio di infilare un piede in qualche buco, procurandoci una distorsione.
Alla fine i nostri sforzi sono premiati: la croce, che, lasciata la Corte di Roncaglia, non abbiamo più visto, riappare, finalmente, proprio davanti a noi, a monte della bella pianetta dell'Acqua Gélda e dell’edicola della Madonna dei Cacciatori. La pianetta è ad una quota di 2160 metri, l’edicola è annidata fra i massi appena a monte, la grande croce di legno è posta ancora più in alto, fra blocchi di granito.
Ottimo il panorama che si apre dal terrazzo dell’Acqua Gélda: in direzione della Val Masino si propone, innanzitutto, il basso fianco settentrionale della Valle di Spluga. Procedendo, poi, verso destra, ecco un bello spaccato delle cime del gruppo del Masino: la poderosa cima di Zocca (m. 3175), sulla testata della valle omonima, seguita dalla punta Allievi (m. 3121), dalla cima di Castello (la più alta del gruppo del Masino, con i suoi 3392 metri), e dalla punta Rasica (rèsga, m. 3305). I tre poderosi pizzi Torrone (turùn, occidentale, m. 3351, centrale, m. 3290, ed orientale, m. 3333) chiudono la valle omonima, che precede l’ampia Val Cameraccio, sulla cui testata si pongono il monte Sissone (sisùn, m. 3330), la punta Baroni, o cima di Chiareggio settentrionale (m. 3203), le cime di Chiareggio centrale (m. 3107 e 3093), il passo di Mello (m. 2992), fra Val Cameraccio e Val Sissone e, seminascosto dietro la cima di arcano (sciöma dè narchènz, m. 2715), il monte Pioda (m. 3431).
Poi, il sempre regale monte Disgrazia (m. 3678) e, alla sua destra, i suoi vassalli maggiori, cioè i Corni Bruciati (punta settentrionale, m. 3097, e punta centrale, m. 3114). Ad est si vedono la Val Terzana, il pizzo Bello, sul suo angolo di destra, la vetta di Ron che occhieggia appena sul fondo, il profilo sfuggente dei monti Canale e Rolla che precede la lontana visione del gruppo dell’Adamello, che chiude, sul fondo, un ottimo scorcio sulla media Valtellina. Bellissimo è anche lo spettacolo della catena orobica, che propone in primo piano, a sud e sud-ovest, la Val di Tartano,  la Valle del Bitto di Albaredo e la Val Gerola, in tutta la loro bellezza. Infine verso sud ovest, a destra del corno del Monte Legnone, si apre uno spicchio di alto Lario, incorniciato dalle alpi Lepontine. Ma è soprattutto ciò che ci circonda e assedia da vicino, cioè solitudine e silenzio, ad imprimersi maggiormente nell’animo. Forse la voce del vento, o forse neppure quella, ci rammenta della nostra esistenza.


Panorama dalla Crus de Fer

Non sentiamo più la fatica delle tre ore e mezza di cammino necessarie per superare i circa 1220 metri di dislivello. Se vogliamo tornare per una (parzialmente) diversa e più lunga via rispetto a quella di salita, visitando l’alpeggio del Pesc (Peccio), procediamo così. Ridiscesi alla corte di Roncaglia, imbocchiamo il sentiero che si dirige al solco della Valle di San Martino, ma, al primo tornente destrorso, non stacchiamocene per imboccare il sentierino che prosegue diritto, ma seguiamolo nella successiva discesa, che ci porta ad intercettare il già citato sentiero che dalla baita di quota 1770 scende molto gradualmente (con diversi saliscendi) al lato orientale dell’alpe Pesc. Il sentiero è segnalato con bolli blu, posti molto capillarmente sui tronchi proprio dai cacciatori. Prestiamo attenzione a questi bolli, perché in alcuni punti delle false tracce potrebbero trarci in inganno. Alla fine, attraversato un corpo franoso, raggiungiamo i prati dell’alpe. Per proseguire nella discesa, cerchiamo, poco più avanti, sulla sinistra, la partenza del sentiero che ben presto volge a destra ed inizia a scendere diritto, intercettando, infine, la nuova pista tagliafuoco in in punto più ad ovest rispetto a quello nel quale l’abbiamo lasciata salendo. Ora seguiamo la pista verso sinistra, attraversando la Val Toate, prima, la Valle di San Martino, poi, e tornando al punto nel quale l’abbiamo lasciata per imboccare il sentiero che sale nel bosco. Il resto del ritorno avviene seguendo la pista fino al cimitero di Caspano.


Panorama da Gonchi

CARTA DEL PERCORSO sulla base della Swisstopo, che ne detiene il Copyright. Ho aggiunto alla carta alcuni toponimi ed una traccia rossa continua (carrozzabili, piste) o puntinata (mulattiere, sentieri). Apri qui la carta on-line

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