L'occhio guardingo del custode di tesori in Valtellina e Valchiavenna
Le Alpi sono state sempre considerate dimora prediletta dei draghi. Quando vennero fra queste montagne? Non possiamo non consultare, al proposito, Aurelio Garobbio, uno dei maggiori studiosi dell’universo immaginario dell’arco alpino, il quale, nella bella raccolta “Leggende delle Alpi Lepontine e dei Grigioni” (Rocca San Casciano, Cappelli, 1969, pg. 148), ci assicura che ”draghi e serpi compaiono insieme all'uomo, stanno legati all'uomo come il male sta accanto al bene e l'amore all'odio.”
Partiamo da quella del drago di Roccascissa, in quel di Berbenno di Valtellina. Ce la racconta Lina Rini Lombardini, nella raccolta "Le novelle dell'Adda" (La Scuola, Brescia, 1929, pp. 51-56). Sulla rupe di Roccascissa, i cui contrafforti delimitano l’ampio balcone sul quale poggia il paese, era eretto, in epoca medievale, un importante castello, che dominava la media Valtellina dallo sbocco della Val Masino al colle di Triangia. Questo venne, un giorno, in possesso di Goffredo De’ Capitanei, come eredità dello zio Rainero De’ Capitanei. Lo zio gli aveva, però, fatto giurare che non avrebbe mai usato la fortezza come strumento di sopraffazione, ma avrebbe promosso con ogni mezzo la pace e la concordia. Goffredo giurò, ma in cuor suo era determinato a seguire ben altre strade. E così fece: appena morto lo zio, montò a cavallo, salutò la moglie, unica persona per la quale provava un sentimento di amore, e galoppò ebbro verso la nuova dimora. |
I draghi, in effetti, da tempo immemorabile hanno lasciato i cieli delle valli alpine. Dove si nascondono? Ormai solo i nomi, forse, ne custodiscono le ultime labili tracce, se è vero quel che ipotizza Remo Bracchi, quando scrive, a proposito dell'alpe Mara, a monte di Montagna in Valtellina, che il toponimo "nasconde forse la raffigurazione di un drago primordiale" (da "Inventario dei Topinimi Valtellinesi e Valchiavennaschi - Montagna"): esso deriverebbe, infatti, dalla radice prelatina "mara", che ha generato nomi di diversi insetti con caratteristiche demoniache, e che si trova anche in voci europee che significano "incubo" ("nightmare", in inglese, "cauchmare", in francese, "mara" nell'alto tedesco). |
Quali sono i più implacabili nemici del drago, inteso come incarnazione della potenza del male? Stando all'Apocalisse in primis la Vergine Maria. Ma stando alla tradizione cristiana il secondo posto spetta a San Giorgio, il cavaliere che sconfisse il drago in un epico duello. C'è un luogo, alle soglie della Val Chiavenna, che consensa in sé la suggestione e l'eco di questo formidabile scontro. Si tratta di San Giorgio di Cola, un piccolo nucleo arroccato alle spalle di uno sperone allo sbocco della Val Codera.
Questi luoghi, come testimonia un avello
celtico nei pressi del cimitero, hanno visto da tempo assai antico la
mano operosa dell’uomo. Una leggenda vuole che questo avello, insieme ad un altro simile, abbia ospitato la salma di un comandante spagnolo, in servizio al Forte di Fuentes (edificato nel 1603), morti per la malaria che infestava il Pian di Spagna (la leggenda è riportata nel volume di Giambattista Gianoli "Dizionario storico delle valli dell'Adda e del Mera", Tipografia Commerciale Valtellinese, Sondrio, 1945, pg. 59). Un'altra leggende è legata alla denominazione del paese, che si dovrebbe, nientemeno, che ad una reale presenza di San Giorgio, il grande santo che sconfisse un terribile drago e che negli ultimi anni scelse di vivere proprio qui, con il suo fidatissimo cavallo. Lo proverebbe, fra l'altro, l'orma impressa da quest'ultimo su un masso, quando spiccò, con il santo in sella, un prodigioso balzo fin sul versante opposto della valle, ad Avedée, dove si fermò per abbeverarsi. Una variante vuole che il santo, subito dopo la faticosa uccisione del drago, sia venuto a dissetarsi all'acqua di uno dei due avelli di origine forse celtica che sono uno dei motivi che rendono famoso questo borgo. Dopo la sua morte, sarebbe, quindi, stato sepolto nel cimitero del borgo, luogo davvero unico, il cui spazio è ricavato sotto un enorme blocco di granito.
Se proseguiamo nella salita siamo subito al cimitero di San Giorgio, unico e davvero indimenticabile: le tombe sono adagiate sotto un enorme blocco di granito aggettante, che sembra la visibilizzazione della lotta di tutto ciò che sussiste contro lo strapotere beffardo del tempo. Un po' più in alto ancora, infine, si trova un secondo masso-avello. San Giorgio, dopo l'immane fatica dell'epica battaglia, non potrebbe riposare in uno scenario più mistico.
E per finire, veramente, una menzione merita anche quella sorta di fratello minore del drago, ma non meno pauroso, rappresentato dal “basalesk”, mezzo gallo e mezzo drago volante, temutissimo dai contadini, perché si credeva potesse incenerire una persona con il solo sguardo (ed in effetti, etimologicamente, “drago”, dal greco “drakon”, è, come abbiamo visto, l’animale che ti punta contro lo sguardo, che vede con sguardo acuto in lontananza). Si credeva anche che il basilisco nascesse dal centesimo uovo deposto da una gallina, più piccolo di quelli normali e senza tuorlo, o anche da un uovo deposto da un gallo. Se lo si trovava, lo si doveva gettare subito alle proprie spalle, e non ci si doveva girare per nessun motivo, neppure se si sentivano rumori raccapriccianti: in caso contrario, il mostro sarebbe uscito dall’uovo dischiuso, ed allora erano guai. APPENDICE: ECCO LA VERSIONE DELLA LEGGENDA DEL DRAGO E DI ARINDO, COSI' COM'E' RIPORTATA NEL VOLUME "RACCONTI E LEGGENDE DI GROSIO, GROSOTTO E MAZZO" a cura del Centro di Lettura di Grosotto e della Biblioteca Popolare, edito nel febbraio 1974 (Collana di Quaderni Valtellinesi, n. 1) Nei neri tempi delle invasioni dei barbari, anche nel paese di Grosotto di Valtellina, si trascorreva una dura vita.
Entro una grotta profonda, che s'apriva poco lontano dalle
case del villaggio, in una rupe a picco, stava accovacciata una
strana figura di drago che incuteva terrore in paese e in quelli adiacenti. Esso si presentava con tre enormi teste che noi potremmo paragonare a quelle di certi animali antidiluviani; a differenza dei bestioni di questa genia, disponeva di un solo occhio, ma grande come una ruota di priala, che si poteva muovere nell'orbita come l'occhio del camaleonte; era piantato nel cranio ed era di colore variabile a seconda del tempo che faceva. Aveva
acutissima vista; scorgeva persone ed animali ad una grande distanza ed era aiutato da un udito così fine che udiva il passo
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