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L’ampia parte terminale della Valle di Fenile viene designata nel suo complesso dal toponimo “Pescegallo” (che significa l’abete “pesc” del gallo cedrone). A monte del Villaggio Pescegallo, dove termina la strada provinciale n. 7 della Val Gerola, si aprono due grandi conche glaciali che sono altrettanti importanti alpeggi: quella orientale ospita il lago di Pescegallo (sbarramento artificiale) de è chiamata “péscégàl dal laach” o alpe del laghetto (alpeggio comunale), mentre quella occidentale è chiamata “péscégàl li fòpi” o “péscégàl de li fòpi” (Foppe di Pescegallo sulla carta IGM, anch’essa alpeggio comunale). Quest’ultima ospita il rifugio Salmurano (m. 1848) ed è chiusa ad ovest dalla Rocca di Pescegallo (o Denti della Vecchia, “ul filùn de la ròca” o “denc’ de la végia”, cinque torrioni il più alto dei quali è quotato m. 2125 e che vengono visti come un unico torrione da Gerola, chiamato anche “piz de la matìna” perché il sole vi sosta, appunto, la mattina), a sud dal crinale che la separa dalla valle di Salmurano, sul versante orobico della Val Brembana, e ad est da un versante che ha come sua massima elevazione il monte Salmurano ("scima de sùra", m. 2269), cima poco pronunciata che si distingue facilmente quasi sulla verticale dell’omonimo rifugio, abbastanza conosciuta come meta sci alpinistica, assai meno come meta escursionistica.


Apri qui una fotomappa dell'alta Val Gerola orientale

Per il suo valore panoramico e la sua facile accessibilità, però, merita di essere presa in considerazione anche dai cultori del trekking. Difficile definire l’etimo del nome: forse c’entrano le radici “su” e “muro”. Assai meno descrivere come arrivarci.


Conca di Salmurano

PESCEGALLO-MONTE SALMURANO (O MONTE DI SOPRA)

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Pescegallo-Lago di Pescegallo-Monte Salmurano
2 h e 30 min.
820
E
SINTESI. Alla prima rotonda all'ingresso di Morbegno (per chi proviene da Milano) prendamo a destra ed alla successiva ancora a destra; dopo un ponte imbocchiamo la provinciale della Val Gerola, saliamo a Gerola Alta e proseguiamo fino al termine della strada, a Pescegallo (m. 1450). Parcheggiamo qui e ci incamminiamo sulla pista che sale verso sud. Ad un bivio stiamo a destra. La pista termina proprio davanti al rifugio Salmurano (m. 1848). Seguendo una traccia di pista che corre nei pressi dell’impianto (siamo a destra del rifugio Salmurano), raggiungiamo il manufatto in cemento al termine dell’impianto stesso. Alle sue spalle inizia un marcato sentiero che, dopo un tornante sinistrorso, punta decisamente al passo sulla sinistra della testata della valle (se ne stacca, sulla destra, un altro sentiero che effettua una traversata al gemello passo di Salmurano). Il sentiero ci porta ai 2099 metri del passo dell'Avaro. Ci immettiamo sul sentiero 101 ed andiamo a sinistra, ma al primo valloncello al quale piega leggermente a destra, lo lasciamo per imboccare sulla sinistra una debole traccia che sale di qualche metro, supera il valloncello da sinistra a destra e taglia in diagonale, salendo, il versante erboso, guadagnando un facile crinale erboso. Il sentierino sale all’anticima del monte Salmurano (m. 2230) con successiva discesa ad una sella che precede il facile crinale che porta direttamente alla cima del monte Salmurano (m. 2269). L'escursione può essere prolungata così. Ridiscesi alla vicina sella, prendiamo a sinistra imboccando un sentierino che dopo alcuni tornanti ci porta ad un primo pianoro, dove riparte sul lato di destra, scendendo ad un secondo pianoro e proseguendo, oltre una vasca di raccolta dell’acqua, con diversi tornantini, fino ad un piccolo alpeggio caratterizzato dalla presenza di alcuni enormi massi erratici, fra i quali è stato anche ricavato un ricovero. Prendendo a sinistra, saliamo, poi, all’ampia sella erbosa che si apre alle spalle del monte Avaro (m. 2088). Intercettiamo il sentiero sentiero 101 verso sinistra, fino a trovare il punto, segnalato, nel quale da esso si stacca, sulla sinistra, il sentiero 109. Imboccato quest’ultimo, dopo un breve strappo sul crinale erboso, ci affacciamo all’ampia conca che nasconde i laghetti di Ponteranica. Il sentiero piega leggermente a destra ed effettuando un traverso in direzione dei laghetti. Alla fine raggiungiamo il laghetto meridionale (m. 2105), che ha la forma di una “C” orientata verso sud-est. Costeggiamo il laghetto sulla destra: dopo aver superato una fascia di roccette, ci affacciamo al secondo laghetto, quello settentrionale. Portandoci ai piedi del crinale compreso fra i due laghetti, scoviamo, infine, anche altri due micro-laghetti.


Apri qui una panoramica dal passo dell'Avar
o

Alla prima rotonda all'ingresso di Morbegno (per chi proviene da Milano) prendamo a destra ed alla successiva ancora a destra; dopo un ponte imbocchiamo la provinciale della Val Gerola, saliamo a Gerola Alta e proseguiamo fino al termine della strada, a Pescegallo (m. 1450). Dobbiamo ora salire alla conca di Salmurano. Se sono aperti gli impianti di risalita in seggiovia, possiamo sfruttarla; in caso contrario, dobbiamo utilizzare una pista sterrata, che parte proprio dal piazzale degli impianti, snodandosi sul crinale che porta alle Foppe di Pescegallo, un ambiente gentile e ridente, costellato di piccole macchie di larici.
Alla nostra destra possiamo ammirare la già citata formazione costituita dalle cinque punte della Rocca di Pescegallo (m. 2082 e che costituisce la costiera che separa la valle di Pescegallo dalla Val Tronella. Alla nostra sinistra, invece, si può scorgere il muro di sbarramento della diga di Pescegallo, nella conca gemella rispetto a quella cui stiamo salendo.


Apri qui una panoramica del sentiero di salita al monte Salmurano (o monte di Sopra)

Proprio sopra la diga, è facilmente riconoscibile il passo del Forcellino (m. 2050), che unisce la conca di Pescegallo con l’alta Val Bomino. Dopo pochi tornanti, dalla pista si stacca, sulla sinistra, una pista secondaria, che conduce al lago di Pescegallo; noi proseguiamo nella salita, un po’ monotona, della pista principale, che termina sul limite inferiore del Pianone (così è chiamata la conca di Salmurano), proprio davanti al rifugio Salmurano (m. 1848). Poco prima che termini, possiamo vedere, sulla destra, le segnalazioni della Gran Via delle Orobie, che passa proprio di qui, su un sentiero che proviene dalla Val Tronella, e prosegue, oltre il rifugio, per il lago di Pescegallo ed il passo del Forcellino. Sempre sulla nostra destra possiamo riconoscere il sentiero che punta al passo di Salmurano (“buchéta de salmüràa” o, come si dice sul versante bergamasco, “pas de selmürà”, m. 2017), facilmente riconoscibile sulla più marcata depressione della parte destra della testata che chiude il Pianone. Per questo passo transita il percorso più agevole per il rifugio Benigni.
La nostra meta, però, è diversa: dobbiamo, infatti, puntare sul passo gemello che si trova sulla sinistra del crinale, e precisamente su una larga sella erbosa cui giunge un secondo sentiero, che possiamo facilmente scorgere. Si tratta del passo dell’Avaro (“buchéta de avàar”, m. 2099), posto a monte del punto di arrivo dell’impianto di risalita che percorre il lato sinistro del Pianone. Seguendo una traccia di pista che corre nei pressi dell’impianto (siamo a destra del rifugio Salmurano), raggiungiamo, dunque, il manufatto in cemento al termine dell’impianto stesso. Alle sue spalle inizia un marcato sentiero che, dopo un tornante sinistrorso, punta decisamente al passo (se ne stacca, sulla destra, un altro sentiero che effettua una traversata al passo di Salmurano). Dopo circa un’ora e mezza di cammino, eccoci, alla fine, ai 2099 metri del passo, dal quale si domina l’ampio Pianone.
Eccellente è il panorama verso nord. Da sinistra, a destra della Rocca di Pescegallo, scorgiamo le cime della bassa Valchiavenna, della bassa Val Codera e della Valle dei Ratti, fra le quali spicca il profilo affilato del Sasso Manduino. Più a destra, testata della Valle di Spluga, ecco la suggestiva carrellata delle cime del gruppo del Masino, con i pizzi Scalino, Cengalo e del Ferro, le cime di Zocca e di Castello, la punta di Rasica, i pizzi Torrone, il monte Sissone e le cime di Chiareggio (resta invece nascosto, più a destra, il monte Disgrazia, che si vede però più in basso, salendo verso il passo).
Il passo di affaccia sull’alta e solitaria valle di Salmurano (tributaria della val di Ornica, in alta Val Brembana), un grande catino chiuso da ripidi versanti che produce un singolare effetto di contrasto con gli scenari più aperti sulla Val Gerola. Vi si distingue il marcato canalone dei Piazzotti (“ul canalìgn di piazzòc’”), per il quale passa il sentiero che conduce al rifugio Benigni (da qui sembra assai difficile risalirlo, anche se in realtà non è così) e, sull’angolo sud-occidentale della valle (a sinistra del canalone), l’arrotondato pizzo di Giacomo (m. 2184). Verso sud, poi, come in una fuga di quinte, si apre lo scenario di cime e versanti dell’alta Val Brembana.
Il passo è raggiunto anche da un sentiero che proviene dal passo di Salmurano e prosegue, verso est, tagliando i ripidi versanti. Iniziamo, dunque, una traversata in questa direzione (sinistra), lasciando, però, quasi subito il sentiero, al primo valloncello al quale piega leggermente a destra, per imboccare una debole traccia che sale di qualche metro, supera il valloncello da sinistra a destra e taglia in diagonale, salendo, il versante erboso, guadagnando un facile crinale erboso. Si tratta dell’estrema propaggine del fianco che scende dal monte Valletto (“ul valèt” o “ul pizzàl”, m. 2371) verso sud e sud-ovest e la possiamo seguire facilmente, su traccia di sentiero (o a vista), fino all’anticima del monte Salmurano (m. 2230) con successiva discesa ad una bocchettina che precede il facile crinale che porta direttamente alla cima del monte (m. 2269).
In due ore e mezza circa da Pescegallo possiamo, quindi, raggiungere la cima del monte Salmurano e godere dell’interessante panorama che essa offre (il dislivello approssimativo è di 820 metri). A nord e nord-est si profilano le cime più celebri del gruppo del Masino: i pizzi Badile (m. 3308), Cengalo (m. 3367) e del Ferro (occ. m. 3267, centr. 3289 ed or. m. 3234), le cime di Zocca (m. 3174) e di Castello (m. 3386), la punta Rasica (m. 3305), i pizzi Torrone (occ. m. 3349, cent m. 3290, or. m. 3333), il monte Sissone (m. 3330) ed il monte Disgrazia (m. 3678), che si eleva proprio alle spalle del pizzo di Trona (m. 2510). Segue la testata della Valmalenco, che propone, da sinistra, il pizzo Gluschaint (m. 3594), le gobbe gemelle della Sella (m. 3584 e 3564) e la punta di Sella (m. 3511), il pizzo Roseg (m. 3936), il pizzo Scerscen (m. 3971) il pizzo Bernina (m. 4049), i pizzi Argient (m. 3945) e Zupò (m. 3995), la triplice innevata cima del pizzo Palù (m. 3823, 3906 e 3882), ed il più modesto pizzo Varuna (m. 3453). Poi l’orizzonte verso l’alta Valtellina è chiuso da due eleganti cime, che si impongono, in primo piano: la cima occidentale dei pizzi di Ponteranica (“piz de li férèri” o “piz ponterànica”, orientale, m. 2378, meridionale, m. 2372, occidentale, m. 2372) e l’ardito spuntone del monte Valletto (“ul valèt” o “ul pizzàl”, m. 2371).
Verso sud-est, sud e sud ovest si apre, poi, un ampio spaccato dell’alta Val Brembana, interrotto dal poderoso complesso delle più alte cime della testata della Val Gerola, che mostrano da qui un profilo piuttosto insolito: distinguiamo, comunque, sulla sinistra, l’arrotondata cima del Pizzo dei Tre Signori (“piz di tri ségnùr”, m. 2554), il cono regolare del pizzo di Trona (“piz di vèspui”, cioè il pizzo del vespro, sul quale il sole indugia la sera, m. 2510) ed il caratteristico uncino del torrione della Mezzaluna (nel complesso dei pizzi di Mezzaluna - “li mezzalüni”, vale a dire il pizzo di Mezzaluna, m. 2333, la Cima di Mezzo e, appunto, il torrione di Mezzaluna, m. 2247). Più a destra, al culmine della costiera che separa la Val Tronella dalla Valle della Pietra, si vede l’arrotondato torrione di Tronella (“turiùn de pìich”, m. 2311), dietro il quale si profila l’erbosa cima del pizzo Mellasc (“melàsc”, m. 2456), seguito, sempre sul versante occidentale della Val Gerola, dal monte Rotondo (m. 2496). Verso nord-ovest si può ammirare un bello spaccato delle cime della Valchiavenna, fra le quali spiccano il pizzo Tambò, m. 3279, sul versante occidentale, ed il pizzo Stella, m. 3163, su quello orientale. Seguono l’affilato profilo del Sasso Manduino (m. 2888), che apre la testata della Valle dei Ratti, ed il pizzo Ligoncio (m. 3038), che ne costituisce la massima elevazione.
Se desideriamo proseguire l’escursione, possiamo puntare ai laghetti di Ponteranica. Per farlo, dobbiamo tornare sul sentiero che abbiamo lasciato poco oltre il passo (o bocchetta) dell’Avaro; non è necessario, però, ripercorrere la via di salita, ma basta scendere alla bocchetta dalla quale siamo saliti alla cima ed imboccare un sentiero che scende sull’ampio versante erboso che si apre ai piedi del Valletto. Dopo alcuni tornanti, questo ci porta ad un primo pianoro, dove riparte sul lato di destra, scendendo ad un secondo pianoro e proseguendo, oltre una vasca di raccolta dell’acqua, con diversi tornantini, fino ad un piccolo alpeggio caratterizzato dalla presenza di alcuni enormi massi erratici, fra i quali è stato anche ricavato un ricovero. Prendendo a sinistra, saliamo, poi, all’ampia sella erbosa che si apre alle spalle del monte Avaro (m. 2088).
Il suo nome è legato ad una leggenda molto nota del comune di Ponteranica, ed anche molto istruttiva. Ecco quel che si racconta.
Gran brutto vizio, l’avarizia. È uno dei sette peccati capitali, che ti manda diritto diritto all’inferno. A volerla vedere da un differente punto di vista, è una malattia dalla quale difficilmente si guarisce, una malattia che rende chi ne è affetto odioso a tutti. Di avari ce ne sono dappertutto. Ed anche Cusio, incantevole borgo posto in cima alla Val Averara, aveva il suo. Un “Avarù”, avarone, di quelli che, quando c’era da tenersi in tasca il denaro, ne sanno una più del diavolo. Ma quando il diavolo ci vuole mettere lo zampino, allora anche per un avaro la situazione si fa difficile. Ecco quel che accadde.
L’avaro possedeva l’alpeggio ai piedi del monte Triomen e poco a monte di una modesta e graziosa elevazione erbosa. Un pascolo piuttosto … avaro, pieno di sassi com’era. Le sue bestie non trovavano granché, ed erano patite e stentate. E ben gli stava, commentavano i Cusiesi: "Chèl che s' fa 'l vé rendì", quel che si fa viene reso. Il nostro taccagno era tanto odioso che il suo alpeggio ed il vicino monte vennero chiamati (e si chiamano ancora oggi) “Monte Avaro”. Il disprezzo dei suoi compaesani non lo disturbava più di tanto; lo disturbava, invece, eccome, la scarsa resa del suo alpeggio. Si rodeva tanto che un giorno gli scappò l’esclamazione “Darei l’anima al diavolo per un alpeggio pulito e verdeggiante!”


Apri qui una panoramica sul Monte Avato e sulla Val Brembana

Non puoi dire cose del genere senza conseguenze: la terrà tremò e si squarciò ed il diavolo in persona gli si presentò sotto le classiche sembianze di un rosso caprone. Senza preamboli, andò al dunque: in cambio dell’anima gli avrebbe ripulito l’alpeggio per bene. Neppure un sassolino ci sarebbe rimasto. L’avaro, che avaro era, ma non stupido, sentì puzza di bruciato, e non solo perché dalle viscere della terra esalava un pizzo di zolfo da far paura. Per la prima volta nella sua vita la prospettiva di un enorme guadagno lo lasciò titubante. Aveva imparato che gli affari apparentemente più vantaggiosi possono nascondere le più grandi perdite. Cos’era quella storia dell’anima? All’anima non aveva mai pensato sul serio, ma ora venne preso dal sospetto che si trattasse di qualcosa di molto prezioso, e che forse la stava svendendo. No, meglio tenersela. Ma come rinunciare alla magnifica prospettiva di un alpeggio ricchissimo? Ebbe come un lampo, come un’illuminazione: si sarebbe tenuto anima e pascolo ingannando il diavolo. “Ad una condizione, messere: avrete la mia anima se saprete portare a termine il lavoro a regola d’arte questa notte, prima che i rintocchi dell’Ave Maria mattutina dal campanile di Cusio si diffondano per tutta la valle”, disse. “E così sia pattuito”, tuonò il caprone.


Apri qui una panoramica sul monte Avaro

La sfida iniziò, L’avaro era sicuro di sé; del resto, di persone molto furbe non si dice che ne sanno una più del diavolo? Troppi i massi, impossibile ripulire tutto in una sola notte: sul far dell’alba si sarebbe trovato, senza spesa alcuna, un bel pezzo dell’alpeggio ripulito, e tanto gli bastava. Ma il diavolo era ancora più sicuro di sé, perché dalle viscere della terra richiamò una schiera di compari diavoli, che si misero al lavoro di buona lena. Uno spettacolo davvero unico e suggestivo quello delle diaboliche ombre al lavoro all’incerto chiarore della luna, ma l’avaro non era certo nello stato d’animo di poterselo godere perché, minuto dopo minuto, era sempre meno convinto di uscire vincitore dalla sfida.


La pozza presso il monte Avaro e, sul fondo, il monte Triomen

Erano ormai prossime le sei di mattina, l’ora dell’Ave Maria, e la sfida si giocava sul filo di lana. Ai diavoli mancava solo un masso da rimuovere, il più grande. L’avaro si vide perso, e corse a precipizio scendendo sul sentiero per Cusio, per far suonare l’Ave Maria un po’ prima dell’ora canonica. Giunto in paese, si precipitò alla casa del sagrestano, chiedendo le chiavi del campanile per poter dar di mano alla corda della campana. Stremato, si attaccò alla corda cadendo quasi a corpo morto, e la campana diffuse il suo suono nell’aria che ancora pareva immersa nel torpore del sonno.


Il grande masso con l'impronta del diavolo

La sfida ebbe termine: ma com’era andata? Non lo poteva sapere. Per qualche istante rimase lì, immobile: se il diavolo avesse vinto, sarebbe subito sceso a reclamare la sua anima. Ma nessuno si affacciò all’uscio del campanile, se non il sacrestano assonnato che non capiva quel che stava accadendo. “Dio sia lodato!” scappò detto all’avaro, con grande stupore del sacrestano, che non gli aveva mai sentito usare parole così devote. Quando la luce ebbe preso pieno possesso della valle, l’avaro si incamminò, titubante, verso il suo pascolo. Che spettacolo! Che splendore! Tutto ripulito, tranne che per il masso erratico più grande, che sembrava leggermente smosso, ma era ancora lì. L’avrebbe abbracciato, se avesse potuto, quell’enorme masso sotto il quale tante volte avevano trovato riparo pecore e capre. Non gli avrebbe mai staccato gli occhi di dosso, a quella fredda pietra che lo aveva salvato. E fu allora che vide l’impronta dello zoccolo del diavolo. Fu un giorno grandioso: da allora si guadagnò la fama dell’avaro che aveva ingannato il diavolo.
E la sua anima? Non sappiamo cosa ne sia stato, dopo la morte, non sappiamo se il diavolo si sia preso la sua rivincita o se sia rimasto scornato. Quel che sappiamo è che il monte Avaro ancora oggi sorride, con la sua incantevole pozza, a tutti quanti passano sul vicino sentiero. A poca distanza una fascia di massi, e l’enorme macigno con l’impronta del diavolo. E se poi qualcuno pensa che all’avaro sia andata troppo bene, si consoli, perché della leggenda esiste una seconda versione, secondo la quale la sfida fu vinta dal diavolo, che si portò via sghignazzando maleficamente la sua anima.
Chissà. Intanto gustiamo lo scenario bucolico, impreziosito dalla pozza, posto a 1997 metri di quota, nel quale si specchia il monte Triomen (m. 2251).

Proseguiamo sul sentiero sentiero 101, fino a trovare il punto, segnalato, nel quale da esso si stacca, sulla sinistra, il sentiero 109. Imboccato quest’ultimo, dopo un breve strappo sul crinale erboso, ci affacciamo all’ampia conca che nasconde i laghetti di Ponteranica. Il sentiero piega leggermente a destra ed effettuando un traverso in direzione dei laghetti, che ancora non si vedono, mentre davanti a noi, sulla testata che chiude la conca, è il torrione del monte Valletto (m. 2371) ad imporsi al nostro sguardo.
Alla fine, eccoci al laghetto meridionale (m. 2105), che ha la forma di una “C” orientata verso sud-est. Costeggiamo il laghetto sulla destra: dopo aver superato una fascia di roccette, ci affacciamo al secondo laghetto, quello settentrionale. Portandoci ai piedi del crinale compreso fra i due laghetti, scoviamo, infine, anche altri due micro-laghetti.

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ANELLO PESCEGALLO-LAGO DI PESCEGALLO-MONTE SALMURANO O MONTE DI SOPRA

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Pescegallo-Lago di Pescegallo-Monte Salmurano-Passo dell'Avaro-Rifugio Salmurano-Pescegallo
5 h
820
E
SINTESI. Alla prima rotonda all'ingresso di Morbegno (per chi proviene da Milano) prendamo a destra ed alla successiva ancora a destra; dopo un ponte imbocchiamo la provinciale della Val Gerola, saliamo a Gerola Alta e proseguiamo fino al termine della strada, a Pescegallo (m. 1450). Dall’ingresso del grande parcheggio di Pescegallo, subito dopo aver passato il ponte, imbocchiamo la stradina asfaltata che se ne stacca sulla sinistra (cartello del Sentiero 146, che dà il lago di Pescegallo ad un’ora e 20 minuti). Dopo una breve salita, riattraversiamo il torrente da destra a sinistra e proseguiamo fino al punto in cui inizia una discesa; lì si stacca sulla destra una pista con fondo sconnesso, che noi imbocchiamo, seguendola finché, dopo un tornante dx ed uno sx, termina ad una baita (la casera di Pescegallo, a 1595 metri). Appena oltre la baita, sul lato destro, vicino ad una vasca in cemento per la raccolta dell’acqua, parte la mulattiera per Pescegallo (segnavia rosso-bianco-rossi), che sale, diritta, per un buon tratto, sul ripido dosso a monte della baita, passando appena a destra di una baita ristrutturata come casello dell’acqua e proponendo anche un passaggio scalinato con pioli in legno. Mantenendo sempre un andamento piuttosto ripido, la mulattiera entra in un bel bosco di larici, per poi uscirne ad una fascia di noccioli e macereti, piegando quindi a per breve tratto a sinistra e poi a destra e passando appena sotto alcune roccette, fino ad approdare ad un’ampia conca di prati. Sul lato opposto vediamo la sterrata che sale da Pescegallo, ma il sentiero non punta ad essa, bensì volge a sinistra. Dopo aver piegato ancora a destra e proposto alcuni tornantini, ci porta ai piedi di una fascia di valli paravalanghe, dove ci intercetta il sentiero 161 che proviene da destra (dal rifugio di Salmurano). Poco più avanti il sentiero sale ad intercettare la pista sterrata e troviamo un cartello della Gran Via delle Orobie (GVO). Ci portiamo al limite meridionale del camminamento della diga. Non ci portiamo al camminamento ma prendiamo a destra seguendo un sentierino che poi scende sulle rive del lago. Noi, però non scendiamo, ma lo lasciamo andando ancora a destra, cioè restiamo sul dosso erboso ed attacchiamo un più pronunciato dosso di larici, rocce lisce e macereti, a sud-ovest del lago. Saliamo tenendo più o meno il centro del dosso, superiamo un larice solitario semibruciato ed approdiamo ad un ampio pianoro erboso. Qui non andiamo diritti, ma prendiamo a sinistra e, appena possibile, riprendiamo, piegando leggermente a destra, l’andamento sud-sud-ovest fino ad affacciarci ad un valloncello superato il quale ci attende una larga fascia di massi erratici e sfasciumi, che va attraversata in diagonale, puntando ad un enorme masso erratico con la sommità colonizzata da erbe ed arbusti. Oltre il masso risaliamo un modesto dosso erboso e, seguendo una debole traccia di sentiero, aggiriamo a valle una formazione rocciosa e, prendendo leggermente a destra, tagliamo a mezza costa un valloncello alla nostra sinistra, fino a raggiungere una spianata erbosa. Risaliamo diritti il facile versante a sinistra di un torrentello, fino ad una nuova conca con un nevaietto, ai piedi del quale guadiamo il torrentello da sinistra a destra, per poi risalire un canalino erboso. Al termine della salita ritroviamo la traccia di sentiero che prosegue verso destra, passando a monte di un nuovo nevaietto, fino ad una selletta, che introduce ad una pianetta, poco sotto la cima di Salmurano. La traccia descrive ora una semicirconferenza verso sinistra, fino ad un terzo nevaietto (sotto di noi ne vediamo uno più grande, che alimenta un micro laghetto); poi procede diritta verso sinistra, in direzione del crinale, superando un passaggio esposto, che richiede attenzione (potremmo, però, evitarlo salendo direttamente al crinale). Alla fine ci ritroviamo sul crinale ed alla nostra destra vediamo la cima del monte Salmurano (m. 2269). Raggiunta facilmente la cima seguendo il crinale, scendiamo sul crinale opposto (sentierino), verso sud-sud-est, ad una sella. Una breve risalita ci porta all'anticima del monte, oltre la quale scendiamo ancora sul crinale verso sud-sud-est per breve tratto, piegando poi a destra (est) e, disceso un versante un po' ripido, intercettando il sentiero 101 che, percorso verso destra, ci porta al passo dell'Avaro (m. 2099). Qui lasciamo il sentiero 101 e prendiamo a destra, ignorando una deviazione a sinistra e proseguendo nell'ampia conca di Salmurano, in direzione (sud) di un grande manufatto in cemento e degli impianti di risalita, fino a raggiungere il ben visibile rifugio Salmurano (m. 1848). Qui imbocchiamo la pista sterrata che ridiscende a Pescegallo.


Clicca qui per aprire una panoramica sulla piana presso il lago di Pescegallo

Alla cima del monte Salmurano, però, si può arrivare anche per una diversa via, più lunga ma anche più varia, avventurosa e panoramicamente interessante: si tratta di un percorso assai simile a quello utilizzato da coloro che praticano lo sci-alpinismo. Esso prevede innanzitutto che da Pescegallo ci si porti non alla conca di Salmurano, ma al lago di Pescegallo, sfruttando la nuova pista sterrata (che, come abbiamo visto, si stacca sulla sinistra da quella per Salmurano dopo pochi tornanti) oppure il vecchio sentiero. Diamo una breve descrizione di quest’ultimo.
Alla prima rotonda all'ingresso di Morbegno (per chi proviene da Milano) prendamo a destra ed alla successiva ancora a destra; dopo un ponte imbocchiamo la provinciale della Val Gerola, saliamo a Gerola Alta e proseguiamo fino al termine della strada, a Pescegallo (m. 1450). Dall’ingresso del grande parcheggio di Pescegallo, subito dopo aver passato il ponte, imbocchiamo la stradina asfaltata che se ne stacca sulla sinistra (cartello del Sentiero 146, che dà il lago di Pescegallo ad un’ora e 20 minuti). Dopo una breve salita, riattraversiamo il torrente da destra a sinistra e proseguiamo fino al punto in cui inizia una discesa; lì si stacca sulla destra una pista con fondo sconnesso, che noi imbocchiamo, seguendola finché, dopo un tornante dx ed uno sx, termina ad una baita (la casera di Pescegallo, a 1595 metri). Appena oltre la baita, sul lato destro, vicino ad una vasca in cemento per la raccolta dell’acqua, parte la mulattiera per Pescegallo (segnavia rosso-bianco-rossi), che sale, diritta, per un buon tratto, sul ripido dosso a monte della baita, passando appena a destra di una baita ristrutturata come casello dell’acqua e proponendo anche un passaggio scalinato con pioli in legno.
Mantenendo sempre un andamento piuttosto ripido, la mulattiera entra in un bel bosco di larici, per poi uscirne ad una fascia di noccioli e macereti, piegando quindi a per breve tratto a sinistra e poi a destra e passando appena sotto alcune roccette, fino ad approdare ad un’ampia conca di prati. Sul lato opposto vediamo la sterrata che sale da Pescegallo, ma il sentiero non punta ad essa, bensì volge a sinistra.

Dopo aver piegato ancora a destra e proposto alcuni tornantini, ci porta ai piedi di una fascia di valli paravalanghe, dove ci intercetta il sentiero 161 che proviene da destra (dal rifugio di Salmurano). Davanti a noi vediamo ora la costiera che separa la conca di Pescegallo dalla Val Bomino, con la cima del Larice (erroneamente segnata come cima dell’Arice sulla IGM). Proseguendo diritti, ci portiamo ad un ampio pascolo con una vasca di cemento con segnavia e numero 161: davanti a noi la casera di Pescegallo lago (m. 1778).


Lago di Pescegallo

Poco più avanti il sentiero sale ad intercettare la pista sterrata e troviamo un cartello della Gran Via delle Orobie (GVO) che dà il lago di Pescegallo a 20 minuti, il passo di Verrobbio ad un’ora e 10 minuti ed il passo di S. Marco a 2 ore e 10 minuti. Seguendo la pista, ci avviciniamo alla diga di Pescegallo, prima della quale si trova la baita quotata 1865 metri. Il sentiero che porta al versante alto sotto la cima del monte Valletto, per il quale si sale al monte di Salmurano, parte da qui, ma non è segnalato ed ha una traccia discontinua. Può essere interessante raggiungere il medesimo versante per una via più alta e panoramicamente suggestiva.


Apri qui una fotomappa del percorso da Pescegallo al lago di Pescegallo ed al Monte di Sopra

Proseguiamo, allora, sul sentiero fino al cartello della GVO (sentiero 146), che ci fa imboccare un sentiero che se ne stacca sulla destra, portandoci al limite meridionale del camminamento della diga. Ora, invece di attraversarlo, seguendo la GVO che sale poi al Forcellino e passa in alta Val Bomino, lo lasciamo prendendo a destra e seguendo un sentierino che poi scende sulle rive del lago. Noi, però, non scendiamo, ma andiamo ancora a destra, restiamo sul dosso erboso ed attacchiamo un più pronunciato dosso di larici, rocce lisce e macereti, a sud-ovest del lago. Saliamo tenendo più o meno il centro del dosso e sfruttando le rocce scoperte ed i corridoi erbosi per evitare i fastidiosi rododendri. Puntiamo, quindi, un grande larice solitario, facilmente riconoscibile perché nella parte alta è stato sfrondato da un fulmine, mentre conserva i rami nella parte bassa.


Monte Ponteranica e monte Valletto

Oltrepassato il larice, proseguiamo diritti, gettando ogni tanto un’occhiata alle spalle per godere dell’ottimo colpo d’occhio sul lago di Pescegallo. Alla nostra sinistra, invece, incombe la bizzarra ed imponente protuberanza rocciosa che si protende sulla conca di Pescegallo dal crinale con le cime di Ponteranica: si tratta del monte di Pescegallo. Ad un certo punto approdiamo ad un ampio pianoro erboso, davvero incantevole e suggestivo, dove si trovano anche resti di pozze interrate dagli eriofori. Ora, però, dobbiamo stare attenti ed evitare di proseguire diritti, perché il pianoro termina ad un pericoloso salto roccioso di cui dalla nostra posizione non ci rendiamo conto (non lasciamoci ingannare da alcuni larici, che sono piantati proprio sullo strapiombo). Dobbiamo, quindi, piegare decisamente a sinistra, con due possibili itinerari: avvicinarci molto al versante della testata della valle (sud), là dove arriva anche un valloncello, e portarci ad un secondo pianoro dove si trova anche una bella pozza; prendere a sinistra ma, appena possibile, riprendere, piegando leggermente a destra, l’andamento sud-sud-ovest ed affacciandoci ad un valloncello superato il quale ci attende una larga fascia di massi erratici e sfasciumi, che va attraversata in diagonale, puntando alla parete nord del monte Valletto, ben visibile sulla testata della valle. Anche nel primo caso dobbiamo attraversare la fascia di massi, ed è, questa, la parte più noiosa della salita.
Per avere un punto di riferimento, cerchiamo, sul lato opposto della fascia, un enorme masso erratico con la sommità colonizzata da erbe ed arbusti (ma dal punto nel quale siamo non lo possiamo ancora notare), e puntiamo a raggiungerlo. Il masso, che ha la forma piuttosto regolare di una scatola scura, più larga che alta, non si trova a ridosso del versante montuoso, ma sul limite dei pascoli, visivamente sotto la verticale della bocchetta erbosa a sinistra del monte Salmurano (che, a sua volta, è l’arrotondata elevazione che vediamo più a destra sul crinale); è, inoltre, non molto a sinistra di un grande larice solitario che sembra piantato in mezzo ai massi.


Conca di Pescegallo

Dopo la faticosa traversata (nella quale ci potrà capitare di imbatterci in un piccolo ometto), ci possiamo riposare, se la giornata è calda ed il sole picchia, all’ombra della sua parete settentrionale, godendo anche dell’ottimo panorama che già da qui si apre: vediamo, davanti a noi, i pizzi Tambò e Stella, in Valchiavenna, e, alla loro destra, il gruppo del Masino dal pizzo Badile al monte Disgrazia.
Lasciato l’ospitale masso, risaliamo un modesto dosso erboso e, seguendo una debole traccia di sentiero, aggiriamo a valle una formazione rocciosa e, prendendo leggermente a destra, tagliamo a mezza costa un valloncello alla nostra sinistra, fino a raggiungere una spianata erbosa. Siamo appena a sinistra del torrente che scende dal versante alto della valle; invece di guadarlo, risaliamo diritti il facile versante alla sua sinistra, fino ad una nuova conca con un nevaietto, ai piedi del quale guadiamo il torrentello da sinistra a destra, per poi risalire un canalino erboso. Al termine della salita ritroviamo la traccia di sentiero che prosegue verso destra, passando a monte di un nuovo nevaietto, fino ad una selletta, che introduce ad una pianetta, poco sotto la cima di Salmurano. La traccia descrive ora una semicirconferenza verso sinistra, fino ad un terzo nevaietto (sotto di noi ne vediamo uno più grande, che alimenta un micro laghetto); poi procede diritta verso sinistra, in direzione del crinale, superando un passaggio esposto, che richiede attenzione (potremmo, però, evitarlo salendo direttamente al crinale). Alla fine ci ritroviamo sul crinale ed alla nostra destra vediamo la cima del monte Salmurano, ormai vicinissima: pochi passi sul crinale che sale dolcemente e siamo al cartello “Val Brembana”, piantato sulla cima.


Conca di Salmurano

Per questa via la salita da Pescegallo alla cima richiede più tempo (diciamo tre ore), mentre il dislivello approssimativo è solo di poco superiore (840 metri circa). Ovviamente possiamo sfruttare la più semplice via di salita come via per il ritorno, procedendo così. Scendiamo dal monte Salmurano sul crinale opposto (sentierino), verso sud-sud-est, ad una sella. Una breve risalita ci porta all'anticima del monte, oltre la quale scendiamo ancora sul crinale verso sud-sud-est per breve tratto, piegando poi a destra (est) e, disceso un versante un po' ripido, intercettando il sentiero 101 che, percorso verso destra, ci porta al passo dell'Avaro (m. 2099). Qui lasciamo il sentiero 101 e prendiamo a destra, ignorando una deviazione a sinistra e proseguendo nell'ampia conca di Salmurano, in direzione (sud) di un grande manufatto in cemento e degli impianti di risalita, fino a raggiungere il ben visibile rifugio Salmurano (m. 1848). Qui imbocchiamo la pista sterrata che ridiscende a Pescegallo. L'anello richiede circa 5 ore di cammino (il dislivello approssimativo in altezza è di 820 metri).  

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