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Tre giorni per visitare con un trekking ad anello i più bei laghi e laghetti della Valle Spluga orientale, dal Bergseeli al lago Azzurro, dal lago Ghiacciato ai laghetti di Val Niemet, dal lago di Emet al lago Nero dello Spadolazzo: ecco un'idea che non può non raccogliere interesse fra gli amanti degli scenari di alta montagna, caratterizzati da una bellezza che rapisce. Con base al passo dello Spluga, possiamo esplorare questo angolo estremo della Rezia occidentale sfruttando i punti di appoggio del bivacco Suretta e del rifugio Bertacchi. Un'esplorazione che non propone particolari difficoltà tecniche (anche se i ramponi per alcuni passaggi su nevaio possono essere utili), ma sicuramente esperienza escursionistica, buone condizioni di visibilità e di terreno, soprattutto nella salita dal passo dello Spluga al bivacco Suretta nella prima giornata.


Il lago Ghiacciato

L'ANELLO DEI LAGHI DELLA VALLE SPLUGA ORIENTALE - TERZA GIORNATA: RIFUGIO BERTACCHI-PASSO DELLO SPLUGA
Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Rifugio Bertacchi-Andossi-Lago Nero dello Spadolazzo-Montespluga-Passo dello Spluga
7 h
380
E
SINTESI. Dal rifugio Bertacchi (m. 2196) ci portiamo, procedendo verso il passo di Emet (nord), al vicino bivio, segnalato da cartelli: il sentiero che prende a sinistra (C6) porta a Montespluga in un’ora e mezza. Imbocchiamo questo largo sentiero, che passa a sinistra di una caratteristica casa rosa, prima di affacciarsi all’ampio e ripido versante che scende a sud del pizzo Spadolazzo fino al fondo della Val Scalcoggia. Si tratta di un sentiero sempre largo, che attraversa però qualche tratto esposto. Seguono alcuni saliscendi che ci portano, alla fine della traversata, sul limite settentrionale degli Andossi, dopo essere passati sotto il poderoso muraglione di una cava. Prima di giungere fin qui, però, prestiamo attenzione ad un cartello che, sul lato destro del sentiero, indica la partenza della traccia di sentiero prima descritta nell’itinerario di ritorno dal lago Nero dello Spadolazzo (dato ad un’ora ed un quarto; sentiero C13). Il sentiero è solo una leggera traccia intermittente, ma non ci sono problemi, se la visibilità è buona ed abbiamo l’accortezza di tener d’occhio i segnavia bianco-rossi. Procediamo salendo sul lato sinistro di una valletta ed approdando ad una modesta pianetta, che prelude alla più ampia è gentile piana di terreno torboso. Attraversiamo la piana verso il vertice di sinistra, per riprendere la salita in direzione di una selletta erbosa, che ci introduce ad una sorta di ampio risalto di roccette e corridoio erbosi. Proseguiamo senza perdere quota, ed alternando tratti in falsopiano a salite di canalini e corridoi erbosi. Oltrepassata la già citata pista sterrata, ci infiliamo in un canalino ed in un corridoio, per giungere infine alla porta che ci apre la soglia dell’ampia conca del lago Nero dello Spadolazzo (m. 2310). Ci attende la noiosa traversata, in discesa, della fascia di massi, fino a raggiungere la riva sud-occidentale del lago. Seguendo i segnavia, costeggiamo la riva occidentale (sinistra) del lago, passando a destra del poggio quotato 2360 metri, raggiungendo lo sbarramento che lo delimita a nord-ovest. Qui pieghiamo a sinistra e troviamo il largo sentiero (C13, segnavia bianco-rossi) che inizia decisamente a scendere verso il fondovalle, verso ovest. Dopo il primo tratto di discesa, il sentiero passa appena a destra di due casupole e dopo una sequenza di tornanti dx-sx-dx-sx, ci portiamo a ridosso di un torrentello proseguendo la discesa diretta verso ovest, con diversi tornantini, e restando alla sua destra. A quota 2160 metri la pendenza si addolcisce ed il sentiero volge bruscamente a sinistra. Iniziamo così un lungo traverso, in leggera discesa, che si conclude intercettando una pista sterrata, sul fondovalle. La seguiamo verso destra (nord-ovest), camminando in piano e in parallelo alla strada statale 36 dello Spluga, che a sua volta segue la riva orientale del grande lago artificiale di Montespluga. Superato su un ponticello il torrente Suretta, proseguiamo sulla pista fino alle baite delle Alpi di Suretta (m. 1900). Ci portiamo poi sulla strada statale e la seguiamo fino a Montespluga, sempre in piano (m. 1905). Mancano circa quaranta minuti alla conclusione del trekking: si tratta di salire da Montespluga al passo dello Spluga (m. 2215) seguendo la carrozzabile. Qui si conclude la tre giorni di scoperla delle perle della Valle Spluga orientale.


La terza ed ultima giornata dell'anello dei laghi della Valle Spluga orientale prevede la traversata dal rifugio Bertacchi al passo dello Spluga, passando per il fascinoso lago Nero dello Spadolazzo e per il grande lago artificiale di Montespluga.


Apri qui una fotomappa dell'alta Valle Spluga

Dal rifugio Bertacchi (m. 2196) procediamo per breve tratto verso il passo di Emet, fino ad un bivio, al quale lasciando alla nostra destra le indicazioni per il passo ed il pizzo di Emet e per il pizzo Spadolazzo: noi dobbiamo procedere stando sulla sinistra, fino ad un bivio nei pressi del rifugio, segnalato da cartelli: il sentiero che prende a sinistra (il già citato C6, che ci interessa) porta a Montespluga in un’ora e mezza. Imbocchiamo, dunque, questo largo sentiero, che passa a sinistra di una caratteristica casa rosa, prima di affacciarsi all’ampio e ripido versante che scende a sud del pizzo Spadolazzo fino al fondo della Val Scalcoggia. Si tratta di un sentiero sempre largo, che attraversa però qualche tratto esposto. Proprio all’inizio, infatti, troviamo una targa che commemora Mauro, escursionista che qui perse la vita il 2 giugno del 1985. Iniziamo, dunque, la traversata, che ci porta al tratto più esposto, interamente servito da corde fisse (anche se la sede, larga e piana, è ampiamente rassicurante). Seguono alcuni saliscendi che ci portano, alla fine della traversata, sul limite settentrionale degli Andossi, dopo essere passati sotto il poderoso muraglione di una cava.


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Prima di giungere fin qui, però, prestiamo attenzione ad un cartello che, sul lato destro del sentiero, indica la partenza della traccia di sentiero prima descritta nell’itinerario di ritorno dal lago Nero dello Spadolazzo (dato ad un’ora ed un quarto; sentiero C13, non segnalato sulla carta Kompass). Annotiamolo mentalmente, ci torneremo a breve; ora però proseguiamo ancora per un tratto.
Ci ritroviamo così sul limite settentrionale della splendida dorsale degli Andossi, uno dei luoghi più belli dell'alta Valle Spluga, che merita un approfondimento. Si tratta di una lunga dorsale di pascoli che separa il solco principale della Valle di Spluga dalla Val Scalcoggia (la conca di Medesimo). Giovanni De Simoni nel suo bel volumetto “Toponimia dell’alta valle Spluga” (CCIAA, Sondrio, 1966), spiega in questi termini l’origine del nome: “Vasta, tondeggiante dorsale che separa la valle dell'aqua granda dalla vallata principale del Liro, un tempo boscosa (come in genere molti degli attuali alpeggi) ed ora tenuta a prati nella parte più prossima a Madesimo, dove sorgono numerosi gruppi di cascine, e a pascolo più al nord. Altri ha pensato di vedere nel nome un composto di Alpe e Dossi, ma non ho esempi in questa zona di una siffatta contrazione del termine alpe, frequente per contro nella zona aostano-savoiarda. Neppure condivido «ai dossi». Ma poi che le regolari onde (per esempio dell'erba ottenute dalla falciatura) sono dette in forma accresc. ispregiativa «andann», riterrei piuttosto andòss=grosse ande, nome suggerito dalla regolare successione delle ondulazioni del terreno, quasi enormi «andàne».”
Così li descrive la “Guida alla Valtellina” edita dal CAI di Sondrio nel 1884 (a cura di Fabio Besta): “Per dolce declivio a ponente dello stabilimento si sale all’ameno altipiano dell’alpe Andossi (1650 m.) verdeggiante di prati e pascoli. È un cumulo caotico e morenico ammassato nell’epoca glaciale, della quale il geologo trova qui, come in tutta la Valtellina, le tracce, oltrechè nelle morene, anche nelle rupi tondeggianti levigate e striate.” Diverso, infine, è lo sguardo di Giovanni Bertacchi, sguardo di poeta che coglie l’elegia del ritorno degli armenti dall’alpeggio ai ricoveri invernali:Scendendo la via
dietro un placido gregge Calano al piano dai ridenti Andossi,
dalle conche pasciute in Val di Lei.
dietro un lento squillar di bronzi mossi.
Cantilena più mesta io non potrei
trovar nel mondo, sul cui metro ondeggi
la tacita armonia de' sogni miei.
Oh, misurar la vita in su le leggi
dell'erbe e degli armenti; andar le belle
notti, seguendo un tintinnio di greggi;
salutare ogni dì forme novelle
d'ingenua vita; uscir della memoria
di ciò che fui, richiedere alle stelle
l'antico Iddio; l'avara arte e la gloria
travagliata depor lento, dal cuore;
dimenticar degli uomini la storia,
fino a trovarmi semplice pastore!


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La pratica dell’alpeggio è qui ancora viva, ed arricchisce il fascino di uno scenario scandito dal dolce alternarsi di morbidi dossi. Se vogliamo conoscere un altro laghetto, scendiamo per una decina di minuti su una pista, e vedremo alla nostra destra, poco più in basso, il laghetto degli Andossi. Riprendiamo ora il racconto del trekking.
Tornando indietro sulla pista e sul sentiero che proviene dal rifugio Bertacchi e che abbiamo percorso, dopo breve tratto prestiamo attenzione ad un cartello che, sul lato sinistro del sentiero, segnala la partenza di un sentierino che sale al Lago Nero dello Spadolazzo (dato ad un’ora ed un quarto; sentiero C13).
Lasciamo qui il largo sentiero per il rifugio Bertacchi ed iniziamo a salire a sinistra, seguendo un sentiero debole ed intermittente. Tuttavia non incontreremo problemi, se la visibilità è buona ed abbiamo l’accortezza di tener d’occhio i segnavia bianco-rossi. Procediamo salendo sul lato sinistro di una valletta ed approdando ad una modesta pianetta, che prelude alla più ampia è gentile piana di terreno torboso. Guardano in alto, alla nostra destra, distinguiamo la croce che sormonta la cima settentrionale del pizzo Spadolazzo (m. 2722).


Il laghetto degli Andossi

Attraversiamo la piana verso il vertice di sinistra, per riprendere la salita in direzione di una selletta erbosa, che ci introduce ad una sorta di ampio risalto di roccette e corridoio erbosi. Proseguiamo senza perdere quota, ed alternando tratti in falsopiano a salite di canalini e corridoi erbosi. Oltrepassata la già citata pista sterrata, ci infiliamo in un canalino ed in un corridoio, per giungere infine alla porta che ci apre la soglia dell’ampia conca del lago Nero. Ci attende la noiosa traversata, in discesa, della fascia di massi, fino alle sospirate rive del lago, che, se la fortuna ci assiste, ci accoglierà con il suo mesto silenzio.
I laghi sono come persone. Ciascuno con il suo carattere, i suoi umori, i suoi colori e le sue sfumature di grigio. Vi sono laghi e persone solari, umorali, cupi, scontrosi, gelidi, severi. Uno, su tutti, meriterebbe di essere denominato il lago mesto, malinconico  per eccellenza, stando, almeno, a quanto ci suggerisce la sensibilità del poeta. Del poeta, dico, cioè di Giovanni Bertacchi, il cantore chiavennasco la cui ispirazione molto deve agli scenari della Valchiavenna. Si tratta del lago Nero dello Spadolazzo, cui egli dedicò la seguente lirica, tratta dal Canzoniere della Alpi:


Il lago Nero dello Spadolazzo

IL LAGO NERO

Forse un'anima triste ed errabonda,
alla vita e all'amor fatta straniera,
cercossi un di questa perduta sponda
e romita aspettò l'ultima sera.

Or qualcosa di lei vive in quest'onda
immota, in questa fredda aura leggiera,
nella tinta di sol che, moribonda,
abbandona la livida scogliera.

Fior non rallegra qui la sconsolata
landa e la tomba onde scendea la Morta,
la dolce Morta dal pensier creata.

Qui non è vita: ma nell'alte, antiche
malinconie della natura assorta,
all'amor dell'idea veglia la psiche.


Il lago Nero dello Spadolazzo

Versi che incuriosiscono ed inducono a pensare ad uno scenario plumbeo e disperato. Ed in effetti l’ampia conca che ospita questo lago, immediatamente ad ovest del selvaggio fianco occidentale del pizzo Spadolazzo, lo nasconde, quasi, alla vita di luci e colori dell’alta Valle di S. Giacomo (o di Spluga) e lo circonda di un piccolo deserto di massi, conferendo a questo luogo una parvenza cimiteriale che giustifica il volo della poetica fantasia: qui venne, un giorno, un’anima che, volte le spalle all’amore ed alla vita, si lasciò vincere dal segreto fascino della fredda morte.
Anche la Guida alla Valtellina del CAI di Sondrio (Sondrio, 1884, a cura di Fabio Besta), si pone sulla medesima lunghezza d'onda: "Si fanno tre ore e mezza di viaggio per giungere in presenza di un bacino d'acque tranquille, silenti, opache, con rive brulle e sassose, che ricordano un'epoca, diremmo, di scosse convulse, e in cui la sdegnosa bellezza dell'orrido fa, non sapremmo dire se contrasto od accordo, colla imponente cupola del cielo lombardo e colla frangiata e bianca cornice delle cime alpine."
Seguendo i segnavia, costeggiamo la riva occidentale (sinistra) del lago, passando a destra del poggio quotato 2360 metri, raggiungendo lo sbarramento che lo delimita a nord-ovest. Qui pieghiamo a sinistra e troviamo il largo sentiero (C13, segnavia bianco-rossi) che inizia decisamente a scendere verso il fondovalle, verso ovest. Davanti a noi si apre lo splendido scenario del lago di Montespluga, incorniciato dai pizzi Ferrè e Tambò e dalla Val Loga.


Lago di Montespluga dal sentiero per il bivacco Suretta

Dopo il primo tratto di discesa, il sentiero passa appena a destra di due casupole costruire dalla Società Edison (il lago Nero non è scampato alla sistematica utilizzazione idroelettrica delle acque di Valchiavenna e Valtellina). Sulla seconda si trova anche una targa che commemora un operaio morto nei lavori finalizzati a tale sfruttamento, Ghelfi Mario G. B. (1959). Dopo una sequenza di tornanti dx-sx-dx-sx, il sentiero si porta a ridosso di un torrentello e prosegue la discesa diretta verso ovest, con diversi tornantini, restando alla sua destra.
A quota 2160 metri la pendenza si addolcisce ed il sentiero volge bruscamente a sinistra (sud). Iniziamo così un lungo traverso, in leggera discesa, che si conclude intercettando una pista sterrata, sul fondovalle. La seguiamo verso destra (nord-ovest), camminando in piano e in parallelo alla strada statale 36 dello Spluga, che a sua volta segue la riva orientale del grande lago artificiale di Montespluga. Superato su un ponticello il torrente Suretta, proseguiamo sulla pista fino alle baite delle Alpi di Suretta (m. 1900).
Inizia da qui la parte meno entusiasmante, ma ineludibile del trekking: dobbiamo portarci sulla strada statale e seguirla fino a Montespluga, sempre in piano (m. 1905).


Lago di Montespluga

Qui un pannello illustrativo racconta la storia del piccolo e simpatico nucleo: “La località fu nota fino agli inizi del XIX secolo come «Ca' de la montagna» per l'osteria-ospizio qui esistente fin dall'alto Medioevo, ma documentata solo a partire dal XIV secolo (oggi è l'albergo Vittoria). Uno scrittore degli inizi del Seicento annota «Uomini e giumenti troppo spesso perderebbero la loro vita su questo monte, se non vi fosse questo ricovero». Qui, quando infuriavano le bufere di neve si suonava una campana «per orientare i viaggiatori smarriti e chiamarli a pietoso rifugio durante la tempesta». L'ospizio fu poi ampliato nel XVIII secolo, e vi si ricavò una cappella, che fu posta sotto la giurisdizione della sede apostolica. Nel 1823, quando fu aperta la nuova carrozzabile dello Spluga da parte del regno lombardo-veneto sotto l'Austria, fu ristrutturata la dogana e sul lato opposto della strada fu costruita nel 1825 la chiesetta di San Francesco con pala del santo patrono che riceve le stimmate, firmata nel 1841 da Giovanni Pock. Alla Ca' i vettori dei «Porti» di Val del Reno e quelli di Val San Giacomo si scambiavano le merci dirette rispettivamente a sud e a nord del valico. Qui sostava e faceva dogana la corriera di Lindau, che già nel 1823 in trentasei ore correva dal Lago di Costanza a Milano.
Possiamo riportare, per completezza, anche le notazioni di Giovanni Guler von Weineck, che, nell’opera “Rhaetia” (Zurigo, 1616), scrive: “Salendo dal villaggio di Spluga in cima al passo e scendendo poi un poca per il versante italiano, s'incontra un edificio in muratura detto Alla-casa, dove, durante le furiose tormente,si rifugiano le bestie da soma e di viandanti. Uomini e giumenti troppo spesso perderebbero la loro vita su questi monti, se non vi fosse questo ricovero. Il luogo circostante è cosi elevato, selvaggio e gelido, che non produce legna di sorta. Perciò la legna, necessaria per la cucina e per il riscaldamento, vi deve essere condotta a soma dal basso di ambedue i versanti. Davanti al ricoverosi stende una pianura discretamente larga, che per otto mesi all'anno è coperta da un bianco strato di neve, mentre negli altri quattro mesi vi cresce un poco di erba e di pascolo.”
Ecco, infine, come G. B. Crollalanza, nella sua monumentale “Storia del contado di Chiavenna” (Milano, 1867), descrive questi luoghi:
A Teggiate s'incontra la prima Casa Cantoniera stabilita e mantenuta dal governo per dar ricovero e soccorso ai viaggiatori assaliti dalla tempesta, e alla Stuetta una seconda Cantoniera, dopo la quale si apre una spaziosa ma deserta pianura, in fondo a cui sorge la Casa detta della Montagna a 1904 metri sul livello del mare, antica dogana italiana, oggi semplice posto di guardie doganali. Quivi presso sorgono altre fabbriche
ben costruite, fra le quali la chiesa, la casa del R. Cappellano, l'abitazione per l'Ingegnere di riparto e per gli altri inservienti della strada, ed un comodo albergo. In questo punto non è cosa rara che nell'inverno vi sia della neve che giunge fino alle finestre del primo piano, e duranti le tempeste si suona la campana della chiesa per guidare i viaggiatori.
Poco lungi dalla casa della Montagna s'incontra la terza Cantoniera, e quindi subito dopo la sommità dello Spluga, ove in quel luogo che à forma di piazza è marcato il confine fra l'Italia e la Svizzera. La elevatezza di questo punto sul livello del mare è di 2117 metri, e su quello del lago di Como è di 1919; ed una vecchia torre si trova alla sommità del passaggio, da dove volgendo le sguardo al ponente si scorge la bella aguglia di Tambohorn che servì di segnale trigonometrico con stupendi feldispati bianchi e turchini, e talco e clorite color d'uliva, in mezzo al gneis stratificato verticalmente, cui poi verso l'alpe di Loga congiungonsi la tormalina, la quarzite, l'orniblenda. Superata la vetta dello Spluga, la strada discende sino al paese grigione di questo nome, donde per la valle del Reno si va a Coira.”
Lo scenario, in passato, doveva, quindi, essere assai più severo: la convergenza e la circolazione delle correnti favorivano, nella zona del passo, abbondanti precipitazioni, per cui qui si poteva davvero sperimentare quanta fatica costasse all’uomo riuscire a convivere con le asperità del clima e della montagna. Oggi tutto appare più addomesticato ed ingentilito.
Mancano circa quaranta minuti alla conclusione del trekking: si tratta di salire da Montespluga al passo dello Spluga (m. 2115) seguendo la carrozzabile. Qui si conclude la tre giorni di scoperla delle perle della Valle Spluga orientale.


Il lago Ghiacciato

CARTE DEL PERCORSO sulla base della Swisstopo, che ne detiene il Copyright. Ho aggiunto alla carta alcuni toponimi ed una traccia rossa continua (carrozzabili, piste) o puntinata (mulattiere, sentieri). Apri qui la carta on-line

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