Il mistero del tempo affidato ad un masso con l'impronta di Santo Stefano
CARTA DEL PERCORSO - DA CASE DI SOPRA A PORTOLA
Quando
avverrà la fine del mondo? Nell’alto Medio Evo era la severa
profezia “Mille e non più mille” ad incutere una
paura che divenne vero e proprio panico, nell’Europa cristiana,
alle soglie dell’anno Mille. La frase, tuttavia, si presta anche
a questa interpretazione: mille e non più di altri mille, un’interpretazione
che colloca la fine dei tempi al termine del secondo millennio, cioè
all’anno 2000 (anche se i pignoli dicono, giustamente, che il
millennio è terminato all’inizio del 2001): niente, nessuno
sconvolgimento neppure stavolta, il mondo continua. Nondimeno, sono
molti a compulsare ancora, con ansia, testi come l’Apocalisse,
che racconta di ciò che accadrà nei tempi ultimi, vale
a dire sommovimenti, cataclismi, eventi grandiosi e spaventosi.
E se, invece, conformemente al principio per cui grandi eventi spesso
traggono origine da piccole cose, la fine del mondo fosse annunciata
da segni che sfuggono ai più, o addirittura a tutti? Stando a
quanto racconta una leggenda diffusa in quel di Castello dell’Acqua,
è proprio così. La fine del mondo, si narra, è
legata ad un masso, nascosto all’ombra di una splendida pineta,
masso di modeste dimensioni, che reca le impronte dei piedi e del “cazzett”
di Santo Stefano. Quando questo masso sprofonderà nel terreno
nel quale è infisso, sarà la fine. Come avverrà
questa fine, la leggenda non lo dice, dice solo che sarà la fine.
Ma
andiamo con ordine. Santo Stefano è il primo martire, cioè
con la sua morte ha impresso nella storia un primo ed indelebile segno
della fede Cristiana. Non stupisce che a lui si attribuisca anche l’ultimo
segno, un segno già presente, ma non ancora operante: ciò
che è primo, può anche essere ultimo, come il Cristo che
è Alfa ed Omega, la prima e l’ultima lettera della storia.
Ebbene, Santo Stefano, prima di andare incontro al martirio per lapidazione,
capitò in quel di Valtellina, per predicare il Vangelo. Non ebbe,
però, buona accoglienza nei paesi di fronte a Castello, sul versante
retico. Nessuno mise mano alle pietre, non era ancora la sua ora, ma,
insomma, venne più o meno cortesemente invitato a cambiare aria.
Raggiunse, allora, l’opposto versante, quello orobico, passando
per Castello dell’Acqua e proseguendo nella salita ai monti sopra
il centro del paese, dove poté finalmente trovare rifugio.
Ma i santi sono sempre in cammino, e lui li attraversò, quei
monti, sostando in diversi luoghi per riposare e per rifocillarsi, usando
un piccolo attrezzo, il “cazzett”, con il quale quagliava
il latte che il buon cuore dei contadini gli offriva. Operò anche
molti miracoli, nel periodo nel quale rimase, come eremita, in quei
luoghi ritirati: molti salirono fino a lui, ottenendo, come premio per
la loro fede, la guarigione dalle menomazioni che avevano loro imposto
grucce e stampelle.
Ma la sua meta era la cime del monte sul lato opposto della valle d’Arigna,
il monte che ancora oggi reca il suo nome. Per questo, un giorno, spiccò
letteralmente il volo, raggiungendo la media costa sopra Briotti. Segno
del passaggio del santo in quei luoghi è la chiesetta di Santo
Stefano, sommersa dalle acque dell’omonimo sbarramento della Falck
e ricostruita in luogo più alto, nei pressi del muraglione della
diga.
Quel
che, però, più ci interessa non è ciò che
fece ad ovest del torrente Arrisa, ma quel che fece ad Est, cioè
nei monti sopra Castello. Ebbene, prima di spiccare il prodigioso balzo
verso il lato opposto della valle, il santo si fermò a riposare
su un sasso, imprimendovi il segno dei suoi piedi e del cazzett. Era
nei pressi dei prati di Pòrtola.
Il santo lasciò i luoghi, mentre il masso rimase, e con esso
rimase anche la profezia inquietante: quando il terreno l’avrà
ricoperto, il mondo terminerà. Il mondo continua, quindi il masso
è ancora visibile, ma come resistere alla tentazione di andare
a vedere a che punto è il processo che lo porta a sprofondare
nel terreno? Troveremo qualcosa che ci stupirà non poco.
CASE DI SOPRA-MASSO DELLA FINE DEL MONDO-PORTOLA
Punti di partenza ed arrivo |
Tempo necessario |
Dislivello in altezza in m. |
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti) |
Case di Sopra-Masso della fine del mondo-Portola |
1 h e 20 min. |
290 |
EE |
SINTESI. Lasciamo la ss 38 dello Stelvio prendendo a destra (per chi viaggia da Sondrio a Bormio) subito dopo il passaggio a livello di San Giacomo di Teglio. Giunti ad un bivio prendiamo a destra, passando
per le contrade Cavallari, Le Pile, Cortivo e Nesina. Ad un bivio saliamo a sinistra e raggiungiamo il centro di Castello dell'Acqua, con il Municipio e la chiesa parrocchiale di San Michele (m. 664). Dalla piazza del municipio ed imbocchiamo la strada che si dirige
ad ovest (cartelli per Luviera, Tizzone e Piàzzola). Dopo un
chilometro, ad un bivio prendiamo a destra (indicazioni per Piàzzola).
La strada passa per la contrada Case di Sotto, incontra la deviazione
a destra per Bonalli (che ignoriamo) e termina alla contrada Case di Sopra (m. 904). Qui parcheggiamo. Ci incamminiamo su una pista sterrata e la seguiamo per tre tornanti sinistrorsi
consecutivi. Prestiamo poi attenzione: la strada oltrepassa un evidente
spuntone di roccia, sulla nostra destra, e raggiunge, subito dopo, un
punto nel quale la carreggiata si allarga, a destra, a 2,8 km da Case
di sopra. Qui, sul versante a monte, cioè sulla destra per chi
sale, parte, in una zona caratterizzata dai segni evidenti di un’antica
frana, un largo sentiero, che punta subito a destra (ovest), passando
a valle della frana ed a monte di alcuni grandi massi erratici. Il sentiero volge quindi a sinistra, salendo con alcuni tornantini,
per poi riprendere la direzione verso ovest, nel cuore di una fresca
e splendida pineta. Quando, ad una pianetta, un grande abete si para davanti
al nostro sguardo, a lato del sentiero, vediamo vicino ad esso il Masso della fine del mondo, con l'impronta del piede di Santo Stefano. Qualche passo ancora, e ci troviamo sul filo del lungo dosso che dalla
Motta (m. 1957) scende alla conca di Luviera, maggengo ad ovest
di Castello. Raggiungiamo il dosso in un punto in cui segna una leggera flessione,
in corrispondenza di una bella radura: infatti, a valle, cioè
alla nostra destra, scorgiamo la modesta elevazione quotata 1190. Se, invece, ci
dirigiamo a sinistra e saliamo per pochi metri, incontriamo un trivio,
segnalato da tre cartelli di legno sul tronco di un abete: scendendo
si va verso Luviera, salendo si punta a Pesciöla, tagliando a sinistra
si effettua una traversata verso Piàzzola, posta ad una quota
all’incirca corrispondente a quella in cui ci troviamo (teniamo,
però, presente che in alcuni punti questo sentiero tende un po’
a perdersi).
Se guardiamo dalla radura in basso, verso la valle d’Arigna vediamo, oltre
una breve fascia di alberi, una nuova radura, dove si trovano due ruderi
di baita: si tratta del maggengo di Pòrtola (m. 1175). Per il ritorno è importante aver memorizzato bene il percorso dalla pista a Portola, per evitare di perderci in boschi che possono anche condurre a luoghi scoscesi ed infidi. |
Rechiamoci, dunque, a Castello dell’Acqua, piccolo comune il cui
solo nome suggerisce suggestioni d’altri tempi, legate alle opere
della guerra (rimane ancora, sopra la chiesa del centro, il rudere della
torre di un castello) ed a quelle della pace (nella parte bassa del
paese si trova una pila ed una fucina che sfruttano le acque del torrente
Malgina). Un paese singolare, che appare, più che un centro,
una costellazione di frazioni, dove le attività legate alla terra
scandiscono ancora in buona parte i ritmi del cammino sui sentieri del
tempo.
Due
strade salgono, da est e da ovest, fino al centro, congiungendosi in
corrispondenza del cimitero. La prima, che sale da est, si imbocca lasciando la ss 38 dello Stelvio prendendo a destra (per chi viaggia da Sondrio a Bormio) subito dopo il passaggio a livello di San Giacomo di Teglio. Giunti ad un bivio prendiamo a destra, passando
per le contrade Cavallari, Le Pile, Cortivo e Nesina. Ad un bivio saliamo a sinistra e raggiungiamo il centro di Castello dell'Acqua, con il Municipio e la chiesa parrocchiale di San Michele (m. 664). La seconda, che
sale da ovest, parte dal passaggio a livello che si trova subito dopo
la località San Carlo in comune di Chiuro (per chi proviene da
Sondrio) e conduce al ponte Baghetto, al quale si deve prendere a sinistra,
iniziando una salita che ci porta alle contrade Ca’ Iada, Raina
e Gabrielli.
Dal cimitero si sale, infine, rapidamente al centro, posto a valle dell’antico
castello, a sua volta arroccato su un piccolo poggio compreso fra le
parallele val Piccola, ad est, e val Grande, ad ovest. Ci accoglie la
bella chiesa di S. Michele, che divenne centro di una parrocchia autonoma
nel 1427, fu riedificata nel 1688 e restaurata nel 1888.
Dopo l'immancabile visita al rudere della torre del castello, che si
raggiunge percorrendo un sentiero che parte appena a monte della chiesa,
torniamo alla piazza del municipio ed imbocchiamo la strada che si dirige
ad ovest (cartelli per Luviera, Tizzone e Piàzzola). Dopo un
chilometro, ad un bivio prendiamo a destra (indicazioni per Piàzzola).
La strada passa per la contrada Case di Sotto, incontra la deviazione
a destra per Bonalli e termina alla contrada Case di Sopra (m. 904), dove si
trova la chiesetta di Sant’Antonio da Padova. Parcheggiamo qui l'automobile e ci mettiamo in cammino.
Inizia,
qui, una pista sterrata, chiusa al traffico dei veicoli non autorizzati,
che sale con diversi tornanti, effettua un lungo traverso in direzione
est termina agli splendidi prati di Piàzzola (m. 1220). Senza
raggiungere Piàzzola, seguiamola per tre tornanti sinistrorsi
consecutivi; prestiamo poi attenzione: la strada oltrepassa un evidente
spuntone di roccia, sulla nostra destra, e raggiunge, subito dopo, un
punto nel quale la carreggiata si allarga, a destra, a 2,8 km da Case
di sopra. Qui, sul versante a monte, cioè sulla destra per chi
sale, parte, in una zona caratterizzata dai segni evidenti di un’antica
frana, un largo sentiero, che punta subito a destra (ovest), passando
a valle della frana ed a monte di alcuni grandi massi erratici, le cui
forme suggestive e la cui imperiosa imponenza ci immergono rapidamente
in un clima sospeso ed arcano.
Il sentiero volge quindi a sinistra, salendo con alcuni tornantini,
per poi riprendere la direzione verso ovest, nel cuore di una fresca
e splendida pineta. La sensazione di mistero si accentua: la luce fatica
a penetrare, qua e là trafigge le imponenti chiome degli abeti,
ma non ottiene mail il trionfo, in un’atmosfera di contesa magica
difficilmente raccontabile. Infine, un grande abete si para davanti
al nostro sguardo, a lato del sentiero, e, vicino ad esso, il masso della fine del mondo. Non
si può non notarlo. Chiare sono le impronte che lo segnano. Ed
altrettanto chiaramente queste impronte erano tutto ciò che del
masso restava, ormai, scoperto, fino ad un recente passato.
Il masso stava per abbandonare le dimore della luce, e con esso stava
per sprofondare il nostro mondo, probabilmente proprio in prossimità
del fatale anno 2000. Ma una mano accorta ha provveduto a sventare la
sua scomparsa, scavandogli attorno una cavità che ne restituisce
alla luce un più ampio profilo. Una piccola opera, un immenso
dono per l’umanità, ancora tempo, altro tempo, da consumare.
Fermiamoci per osservare il masso arcano e per rivolgere un pensiero
grato all’ignoto eroe.
Un pensiero di gratitudine va anche all’attento lavoro dell’insegnante
Armida Bombardieri, che ha raccolto, nel 1974, con la classe IV B della
Scuola Elementare di Chiuro, questa, ed altre leggende, in un ciclostilato
intitolato “Storie e leggende dei nostri paesi”, impedendo
che sprofondassero, anch'esse, nel nero terreno dell'oblio.
Siamo nel cuore di un’incantevole pianetta, nel cuore del respiro
del tempo, che, da affannoso che era, è tornato piano e libero.
Qualche passo ancora, e ci troviamo sul filo del lungo dosso che dalla
Motta (m. 1957) scende alla stupenda conca di Luviera, maggengo ad ovest
di Castello. Qui
intercettiamo il sentiero che lo percorre, e che può essere utilizzato
da escursionisti allenati per una impagabile, anche se faticosa, salita
da Luviera (m. 728) alla bocchetta di quota 1965, dove parte un sentiero
che punta a sud, raggiungendo luoghi più aperti, dove si trova
il rifugio Baita Pesciöla
(m. 2004), sul fianco orientale della valle d’Arigna.
Raggiungiamo il dosso in un punto in cui segna una leggera flessione,
in corrispondenza di una bella radura: infatti, a valle, cioè
alla nostra destra, scorgiamo la modesta elevazione quotata 1190: possiamo
facilmente raggiungerla, nel cuore di un fitto bosco. Se, invece, ci
dirigiamo a sinistra e saliamo per pochi metri, incontriamo un trivio,
segnalato da tre cartelli di legno sul tronco di un abete: scendendo
si va verso Luviera, salendo si punta a Pesciöla, tagliando a sinistra
si effettua una traversata verso Piàzzola, posta ad una quota
all’incirca corrispondente a quella in cui ci troviamo (teniamo,
però, presente che in alcuni punti questo sentiero tende un po’
a perdersi).
Sulla carta questo luogo è indicato come Portola, e sono segnate
due baite. Ma dove sono? Per vederle, dobbiamo riportarci alla radura
e guardare in basso, verso la valle d’Arigna: scorgeremo, oltre
una breve fascia di alberi, una nuova radura, dove si trovano due ruderi
di baita. Pochi
minuti, e siamo di fronte ad essi: appaiono come muti testimoni, quasi
impietriti per lo sgomento, degli eventi epocali che si possono consumare
appena sopra, alle loro spalle. Un ultimo pensiero, dedicato al mistero
del tempo, prima di guardare l’orologio e di scoprire che è
ancora un’ora, l’ora di tornare.
E' importante aver memorizzato bene il percorso dalla pista a Portola, per evitare di perderci in boschi che possono anche condurre a luoghi scoscesi ed infidi.
CARTA DEL PERCORSO (estratto dalla CNS su copyright ed entro i limiti di concessione di utilizzabilità della Swisstopo - Per la consultazione on-line: http://map.geo.admin.ch)
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