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LAGO E PASSO DI PUBLINO - BIVACCO PEDRINELLI - PIZZO ZERNA

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
S. Salvatore-Lago di Publino-Baita dei laghi-Bivacco Pedrinelli-Passo di Publino-Alpe Piana-Forno-Crocetta-Teggia-S. Salvatore
9 h
1100
E
S. Salvatore-Lago di Publino-Baita dei laghi-Sella di quota 2420 m.-Pizzo Zerna
4-5 h
1270
EE
SINTESI. Stacchiamoci dalla tangenziale di Sondrio all'altezza dello svincolo per la via Vanoni (l'unico sulla destra per chi proviene da Milano) e, raggiunta la via, dirigiamoci verso la località Porto di Albosaggia (alla rotonda, a destra per chi proviene da Milano), attraversando su un largo ponte il fiume Adda. Invece di proseguire sulla Pedemontana Orobica, deviamo a sinistra, per il centro di Albosaggia, e ad un bivio prendiamo a destra, ignorando le indicazioni per la Moia. Oltrepassato il poderoso muraglione che sorregge la chiesa parrocchiale di S. Caterina, ci portiamo al centro, dove non saliamo alla piazzetta del municipio, ma proseguiamo, passando a sinistra della famosa torre Paribelli, con un brevissimo tratto in discesa. Ignorata la strada che scende a destra, prendiamo a sinistra, lasciando però subito la strada per prendere a destra, (cartello: San salvatore), immettendoci su una stradina asfaltata che inizia una lunga salita, passando da S. Antonio e Cantone e termina, dopo un tratto molto ripido, a S. Salvatore (m. 1311). Parchaggiamo qui e dalla piazzetta di fronta alla chiesa torniamo indietro sulla stradina sterrata, lasciandola per imboccare a destra la ripida carrozzabile con fondo in cemento che prosegue, con qualche tornante, risalendo l'ampia fascia di prati, fino al parcheggio terminale in località alla Ca', m. 1516. Qui lasciamo la pista sterrata che prosegue a sinistra: un cartello indica la partenza di un sentiero, ben segnalato, che sale in un bosco di larici, fino a sbucare in un'ampia radura nel cuore della Valle della Casera. Qui oltrepassiamo una pista sterrata e proseguiamo ancora diritti per un breve tratto in salita, fino ad un secondo cartello, in corrispondenza di un bivio, ad una quota approssimativa di 1840 metri. Qui prendimo a destra ed imbocchiamo un sentiero che procede in piano verso sud, passando appena sotto il rifugio Baita della Calchera. Superate cinque gallerie, raggiungiamo un’ampia radura, alla quale scende la valle della Biorca, con una baita. Prima di accedere ai prati, troviamo, sul terreno, la ben visibile indicazione “Publin”, con segnavia rosso-bianco-rosso, che segnala un sentierino che si stacca sulla sinistra dal sentiero fin qui percorso, e comincia a risalire, con rapidi tornantini, un ripido versante di bassa vegetazione. Poi il sentiero piega a destra e comincia la lunga traversata con qualche saliscendi e ci porta al lago di Publino (m. 2134), ad ovest (destra) del quale si trova il rifugio Amerino Caprari (m. 2118). Saliamo per il sentiero scalinato che parte dal lato meridionale del rifugio. Scendiamo, poi, alla sottostante spianata dove si trova la segnalata baita dei Laghi (m. 2093). Imbocchiamo, ora, l’evidente sentiero che effettua un traverso, nel primo tratto pianeggiante, in direzione ovest, verso il centro della valle. Ad un trivio con cartelli, lasciamo il sentiero della GVO che traversa l'alta valle e prendiamo a sinistra (indicazioni per il passo di Publino, dato ad un'ora). Il sentiero si fa via via più marcato e, dopo diversi tornanti, piega a sinistra e raggiunge un’ampia conca occupata da una ganda (nevaietti ad inizio stagione). Proseguendo verso sinistra, ci affacciamo, per un tratto, sulla più ampia conca che ospita il lago di Publino, che ora dominiamo dall’alto con un ottimo colpo d’occhio. Poi pieghiamo ancora a destra, effettuando una diagonale che passa a monte della ganda e si avvicina al crinale, che alla fine conquistiamo alla sella di quota 2420 metri. Non si tratta del vero e proprio passo di Publino, che sta più a destra. Alla nostra destra, il crinale che scende dolcemente fino al passo di Publino, per poi risalire fino ad una modesta ed arrotondata cima sormontata da un’antenna. Seguendo il crinale verso est, riconosciamo il cono del Corno Stella. Il sentiero, marcato, scende al passo di Publino (m. 2368), che però nela discesa in Valle del Livrio propone un sentiero piuttosto esposto. Poco sotto il passo, l’accogliente e simpatico bivacco Pedrinelli, a 2353 metri. allestito dal gruppo “Amici Escursionisti Sforzatica Dalmine”. Conviene tornare per la medesima via di salita e non scendere per il ripido versante del passo di Publino. Il ritorno può seguire l'itinerario di salita, oippure sfruttare il sentiero di fondovalle. In questo secondo caso, tornati al trivio con cartelli, prendiamo a sinistra, scendendo diretti verso nord, poco a destra del ramo centrale del torrente Livrio, tagliamo la pista della decauville ed a quota 1800 metri circa passiamo dal lato destro a quello sinistro della valle, guadando il torrente. proseguendo su sentiero abbastanza marcato ma sposco (qualche segnavia), raggiungiamo il fondo della valle e ci immettiamo in una pista. Seguendola, tocchiamo le baite dell’alpe Piana (m. 1500) e le baite della località Forno (m. 1300), per poi superare, su un ponte in legno, il torrente Livrio, portandoci alla sua destra. Proseguiamo all’ombra di una bella pineta e ci portiamo alla località Crocetta (m. 1216). Dobbiamo poi riguadagnare un centinaio di metri. Alla Teggia siamo risaliti a quota 1250, ma poi c’è una nuova discesa. La successiva salita ci riporta prati a valle della chiesa di S. Salvatore.
SALITA AL PIZZO ZERNA. Dalla sella di quota 2420 metri non scendiamo verso destra al bivacco Pedrinelli, ma proseguiamo verso sinistra (est), seguendo il filo della cresta che sale al pizzo Zerna. Restiamo appena a destra del filo di cresta e dopo un ultimo strappo su terriccio e roccette siamo alla croce della vetta di Pizzo Zerna (m. 2572).


Apri qui una fotomappa della salita dal rifugio Caprari al Pizzo Zerna

Il passo di Publino, sul fondo della Val del Livrio (val de lìri) rappresenta uno dei valichi più facili sul crinale orobico. L'escursione ai laghi di Publino, al rifugio Caprari ed al passo rappresenta il più frequente itinerario praticato da coloro che si addentrano in questa valle. Laghi, rifugio e passo sono in territorio del comune di Caiolo, ma l'itinerario escursionistico parte dai maggenghi sopra Albosaggia, cioè dal versante orientale della valle, perché il versante opposto non è praticabile.
Questa escursione si arricchisce di un ulteriore elemento di interesse. Il 13 settembre 1998 il gruppo “Amici Escursionisti Sforzatica Dalmine”, infatti, ha recuperato a bivacco (bivacco Pedrinelli) una casermetta costruita durante la Prima Guerra Mondiale nel quadro dei lavori di fortificazione del fronte orobico che costituirono la cosiddetta “Linea Cadorna”. Il generale Cadorna temeva che le truppe austro-ungariche violassero la neutralità svizzera e quindi aggirassero i fronti dello Stelvio e dell’Adamello, calando dalla Valle di Poschiavo, invadendo la Valtellina e proseguendo fino alle grandi città della pianura lombarda. Per evitare questa disastrosa possibilità allestì questa terza linea sul crinale orobico, linea che, per fortuna, non dovette mai essere utilizzata.
Appena sotto il passo di Publino, che congiunge la Valle del Livrio alla Val Sambuzza (alta Val Brembana), si trova dunque, sul versante bergamasco, l’ex-casermetta, che ora è diventata un utilissimo bivacco, un punto di appoggio sempre aperto ed accogliente, su cui contare per salire al vicino pizzo di Zerna (m. 2572) o per effettuare traversate di grande respiro, come quella da Albosaggia (il termine viene spesso ricondotto all’etico “alpes agia”, cioè “alpe sacra”; probabilmente, però, deriva da una gens romana, l’Albutia) a Carona (il centro della Val Brembana, intendiamo ovviamente, non l’omonimo paesino delle Orobie Valtellinesi ad est di castello dell’Acqua).
La salita al bivacco dal versante valtellinese è piuttosto lunga, ma ha un motivo di grande suggestione storica, perché ci permette di percorrere la cosiddetta “Via Cavallera”, l’antica via utilizzata, fin dalla fine del Cinquecento, dai mercanti che, per evitare le gabelle che si pagavano al passo di San Marco sulla Via Priula appena aperta, salivano al passo di Publino dalla bergamasca per poi scendere in Valtellina e proseguire per i Grigioni. Una via che, fino al periodo fra le due guerre mondiali, veniva percorsa anche da mercanti valtellinesi che trasportavano sul dorso di cavalli (da qui la sua denominazione) le forme di Bitto destinate ad essere vendute sul mercato di Branzi. Veniva, infine, utilizzata per portare viveri ai cavatori che lavoravano all'estrazione ed alla prima cottura del ferro in Valmadre.
Bene. Senza cavallo né mercanzie, ma con zaino e grande voglia di scoprire nuovi scorci di grande suggestione e bellezza, raggiungiamo San Salvatore.
Ci portiamo a San Salvatore in automobile salendo da Albosaggia (cui si sale lasciando la ss. 38 dello Stelvio, al primo svincolo a destra – per chi viene da Milano – o all’ultimo svincolo a sinistra della tangenziale di Sondrio, svoltando poi a destra – o sinistra -, attraversando il ponte sull’Adda, piegando subito a sinistra e cominciando a salire fino al centro, che si raggiunge dopo aver ignorato la deviazione a sinistra per la Moia). Raggiunto il centro, non saliamo alla piazzetta del municipio, ma proseguiamo, passando a sinistra della famosa torre Paribelli, con un brevissimo tratto in discesa. La prima curva a destra, lasciamo la strada sulla sinistra e, seguendo le indicazioni, cominciamo a percorrere la stradina asfaltata che, dopo 8,3 km, giunge a S. Salvatore, passando per S. Antonio (a 5,2 km dal centro: qui troviamo una chiesetta recentemente restaurata), e Cantone (a 7 km dal centro). L’ultimo tratto prima di S. Salvatore è molto ripido: se siamo in molti su un’automobile poco potente, può essere che questa non ce la faccia.
Lasciata l’automobile a S. Salvatore, sostiamo per un po’ presso l’antichissima chiesetta, una delle prime in terra di Valtellina, risalente, forse, al VI secolo, quando ancora in Valle del Livrio era presente il paganesimo e quando i cristiani del versante bergamasco venivano fin qui per seppellire i loro morti, data la prevalenza del paganesimo nelle loro zone. Di fronte alla chiesa si trova anche il rifugio Saffratti. Dobbiamo ora percorrere tutta la Valle del Livrio (val del lìri), fino al passo di Publino, al centro della sua testata. Il nome della valle è probabilmente da una radice assai antica, forse ligure, con riferimento all'acqua ed ai corsi d'acqua. Possiamo risalire la valle per due vie (che, ovviamente, possono essere combinate ad anello di andata e ritorno). La prima, via alta, passa per il rifugio Caprari al lago di Publino, la seconda, invece, la via dei mercanti o Via Cavallara, si tiene sul fondovalle, fino al gradino principale, che risale fino ai piedi del passo. Scegliamo la prima per salire, la seconda per scendere.
Portiamoci, seguendo la carrozzabile che prosegue (oltre lo svincolo a destra per la chiesetta di S. Salvatore) risalendo l’alpeggio, fino al parcheggio terminale in località alla Ca', m. 1516 (fin qui possiamo portarci anche con l’automobile; in tal caso, però, ci conviene poi tornare per la medesima via di salita). Qui un cartello indica la partenza di un sentiero, ben segnalato, che sale nella magica atmosfera di un bellissimo bosco di larici, fino a sbucare in un'ampia radura nel cuore della Valle della Casera, alla sommità della quale si trova un secondo cartello, in corrispondenza di un bivio, ad una quota approssimativa di 1830 metri.


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Qui giunge anche, da sinistra, e termina una pista sterrata, che si stacca dalla pista principale che dalla Ca’ sale fino agli alpeggi sotto il pizzo Meriggio. I cartelli indicano che proseguendo diritti nella salita si raggiunge il bellissimo lago della Casera (dato a 30 minuti di cammino) e, poco sopra, il rifugio Baita Lago della Casera. Piegando a destra, invece, si imbocca il sentiero pianeggiante che segue il canale di gronda della Sondel, alla volta del rifugio Caprari (dato a 2 ore e 20 di cammino).
Prima di proseguire, guardiamo in direzione nord: splendido è il colpo d’occhio sui Corni Bruciati e sul Monte Disgrazia e, alla loro destra, sull’intera testata della Valmalenco.
Prendiamo, dunque, a destra e, dopo una decina di minuti, raggiungiamo il
bivacco Baita Calchera (m. 1830), sempre aperto, un ottimo punto di appoggio per una pausa bucolica o forzata in una escursione. Il sentiero prosegue per un lungo tratto con andamento pianeggiante, mentre, alla nostra destra, si mostra la costiera occidentale della Valle del Livrio, che propone, da destra, pizzo Pidocchio (m. 2329), il monte Vespolo (m. 2385), la cima Pizzinversa (m. 2419), la cima Sasso Chiaro (m. 2395), il pizzo Cerech (m. 2412) e la cima Tonale (m. 2544), oltre la quale è facilmente riconoscibile la larga sella del passo omonimo, che congiunge Valle del Livrio e Val Cervia. Sull’angolo di sud-ovest della valle, si distingue l’elegante cono del Corno Stella (m. 2621), una delle più classiche mete escursionistiche nelle Orobie centrali. Il Corno è riconoscibile anche per il vasto fronte di rocce biancastre che si stende ai piedi del suo versante settentrionale. Proseguiamo, con lo sguardo, verso sinistra: seguono due cime minori e poco pronunciate, ed un intaglio, che parrebbe essere la nostra meta, il passo di Publino; così non è, per, perché il passo è ancora più a sinistra (est).
Dopo aver attraversato una prima galleria, raggiungiamo il ripido solco della valle di Camp Cervè, che il sentiero, con tratti protetti, supera anche grazie ad alcune gallerie scavate nella roccia. Le prime due non offrono problemi, ma la terza, un po’ più lunga, ci permette di apprezzare l’utilità di una torcia, che non dovrebbe mai mancare nello zaino di un escursionista. Dopo una quarta ed ultima galleria, raggiungiamo un’ampia radura, alla quale scende la valle della Biorca (o Biolca, dal mantovano “biolca”, bue, oppure dal dialettale “biork”, forca), con una baita: in basso distinguiamo la decauville che collega lo sbarramento del lago di Publino con quello di Venina, nella valle omonima ad est della Valle del Livrio.


Testata della Valle del Livrio

Prima di accedere ai prati, troviamo, sul terreno, la ben visibile indicazione “Publin”, con segnavia rosso-bianco-rosso, che segnala un sentierino che si stacca sulla sinistra dal sentiero fin qui percorso, e comincia a risalire, con rapidi tornantini, un ripido versante di bassa vegetazione. Poi il sentiero piega a destra e comincia la lunga traversata che ci condurrà al lago di Publino. La testata della valle di allarga, ed ora vediamo il passo di Publino, posto sul suo più basso intaglio; alla sua sinistra si distingue un lungo crinale che culmina con la cima del pizzo di Zerna (m. 2512). Alle nostre spalle, invece, ricompaiono i Corni Bruciati, il monte Disgrazia e la testata della Valmalenco.


La valle del Livrio dal passo di Publino

Proseguendo nel cammino, con qualche saliscendi, incontriamo un masso con il doppio segnavia rosso-bianco-rosso e rosso-giallo-rosso (quello più antico) e con le frecce per il rifugio Caprari e S. Salvatore, poi due baite che precedono la segnalata baita Scoltador (m. 2048), alle spalle della quale parte, sulla sinistra, il sentiero che sale all’omonimo passo (m. 2454), dal quale si scende in Val Venina, seguendo la Gran Via delle Orobie. Se abbiamo guardato in alto a sinistra, percorrendo l’ultimo tratto del sentiero, abbiamo potuto distinguere la sella del passo, scorgendo il cartello che la presidia. Pochi sforzi ancora, e siamo alle modeste balze che precedono il lago di Publino (m. 2134), ad ovest (destra) del quale si trova il rifugio Amerino Caprari (m. 2118), nel territorio del comune di Caiolo. Ora vediamo anche la parte orientale della testata della valle, che ha la sua massima elevazione nel monte Masoni (m. 2663), che si specchia nelle acque del lago, poco a sinistra del pizzo di Zerna.
Vale la pena di leggere come si presentò il lago sul finire dell'ottocento allo sguardo del dott. Paolo Pero, professore di storia naturale al Liceo Ginnasio "G. Piazzi" di Sondrio, che così scrive, in "I laghi alpini valtellinesi" (Padova, 1894): "Presso l'estremità superiore della valle del Livrio, chiusa a sud dalla scoscesa cerchia montuosa costituita dal pizzo Zerna (m. 2567) e dal monte Masoni (m. 2631), vi sono due graziosi laghetti, chiamati Laghi del Publino, dai quali hanno origine le acque del torrente Livrio. Essi sono circondati intorno da roccia in posto e separati fra loro da depositi d'origine secondaria, in parte glaciali, in parte franosi, che derivano dallo sfacelo delle creste montuos, che s'innalzano a E., a S. e a O. di questi laghi. Il più piccolo di essi, posto alquanto più verso S., scarica le sue acque nel secondo, attraverso il detrito sopra menzionato. Si scorge quindi come in orogine dovevano formare un lago solo: la loro divisione venne operata in seguito dal lavoro e trasporto di materiali compiuto dalle forze esogene. Il maggiore di questi due laghi, pertanto, il solo degno di particolar studio, è limitato a N. dalla roccia in posto, che sorge in forma di ampi cocuzzoli arrotondati, di cui il versante minore, interno, si continua colle sponde del lago, ed il versante maggiore, esterno, s'innalza quasi perpendicolarmente sulla valle, per l'altezza di circa 200 metri. Questo è dunque un lago orografico. La roccia appartiene a quella speciale formazione di Gneis detto di Suretta o di Spluga, dalla località della valle del Liro, dove specialmente si sviluppa. Esso è un gneis biancheggiante, a struttura granitica, dai grandi cristalli di feldspato mescolati con frammenti di quarzo e con poche pagliette di mica... Il lago presenta una bella forma ovale la cui maggior lunghezza va da S. a N. Le sponde sono piuttosto ripide, eccettuata quella verso S. che è formata dal detrito trasportatovi continuamente dal ripido versante montuoso che s'innalza a S.E. Verso O. la sponda si abbassa pure notevolmente, per piccolo tratto, ed ivi si apre l'emissario, che, dopo breve percorso, precipita per lo scosceso dirupo del versante esterno del lago. Le sponde sommerse, che mantengono la stessa inclinazione della parte esterna, sono coperte di ciottoli e di poco limo, sul quale trovasi piuttosto scarso il feltro organico. La sua altitudine è di 2104 m. e la superficie di 84.000 m.q. Le sue acque hanno un colore verde oscuro, non ben rappresentato da nessun numero della scala Forel; il più rappresentativo sarebbe il numero V. La temperatura interna era di 10 gradi centigradi e l'esterna di 12,3 gradi centigradi alle ore 10 e mezza del giorno 19 luglio 1893, essendo il cielo assai nuvoloso." Nel secondo dopoguerra venne costruito lo sbarramento artificiale del lago, che assunse la portata di 5 milioni di metri cubi, e la condotta forzata che alimenta la centrale di Publino, costruita fra il 1949 ed il 1951 dalla Società AFL-Falck.
Torniamo, dopo questo doveroso omaggio di informazioni, al racconto dell'escursione. Siamo in cammino da circa tre ore e mezza, ed una pausa, prima dell’ultimo strappo, si impone. Ritemprati, riprendiamo poi il cammino, salendo per il sentiero scalinato che parte dal lato meridionale del rifugio. Scendiamo, poi, alla sottostante spianata dove si trova la segnalata baita dei Laghi (m. 2093): un cartello dà il passo Scoltador ad un’ora e mezza di cammino ed il passo Tonale a due ore, mentre non fa menzione del passo di Publino. Nessun timore, però: non siamo fuori strada. Imbocchiamo, ora, l’evidente sentiero che effettua un traverso in direzione ovest, portandoci, più o meno, al centro della valle, che si apre, con il suo solco diritto, sotto di noi, alla nostra destra.


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Raggiungiamo, così, un cartello divelto, che non permette più di distinguere le direzioni delle mete segnalate. Siamo, comunque, ad un trivio: alla nostra destra scende, verso il fondovalle, il sentiero che sfrutteremo al ritorno: la località Crocetta è data ad un’ora e 50 minuti, S. Salvatore è dato a 2 ore e 40 minuti. Davanti a noi, il sentiero prosegue verso la casera del Publino, data a 30 minuti, ed il passo del Tonale, dato ad un’ora e 20 minuti.


Testata della Valmalenco vista dai prati sopra San Salvatore

Sulla nostra sinistra, infine, parte il sentiero che ci interessa, e sale al passo di Publino, dato ad un’ora. Prima di descrivere la salita al crinale, vediamo come la Guida alla Valtellina, edita a cura del CAI sez. valtellinese nel 1884, racconta la salita fin qui per la diversa via del fondovalle: "“Da Albosaggia, e precisamente dal ponte sul Torchione nella contrada di Piazza parte una via mulattiera che attraversa da prima un castagneto, poi boschi di betulla, e dopo circa mezz'ora di cammino conduce a una chiesa dedicata a S. Antonio. Pochi minuti ancora e poi la strada s' addentra in lenta salita nella Valle del Livrio, mantenendosi sulla pendice orientale, lungo una zona di monte mesta e selvaggia, che i nativi chiamano, con nome forse derivato dalle antiche tradizioni religiose dell'epoca romana, i Valmani. Il nome di Livrio dato al fiume o alla Valle da molti scrittori e nelle carte geografiche, non è antico e non traduce bene quello con cui la designano i terrieri. Essi chiamano, nel natio idioma, Liri il torrente, e questo nome avrebbe potuto essere accolto senza variazione di sorta, molto più che è uno dei tanti che la Valtellina ha comuni coll'antica Etruria, col Lazio e la Campania.
Oltrepassati gli ombrosi casolari di Cantone si arriva al Forno, che deve il suo nome ad antiche fornaci di
ferro ora inoperose, grosso maggengo dove si può trovare la notte modesto ricovero. Risalendo ancora la valle si giunge title' Alpe Piana (1495 m.), a circa tre ore e mezzo da Sondrio. Fin qui s'è percorsa una strada in parte costruita a nuovo ed in parte riparata pochi anni or sono affine di farvi passare la soenda (specie di condotto formato di travi, e inclinato così, che, una volta bagnato, possono lungh'esso scivolare altre travi) per trasportare a Cajolo le bore (tronchi d'albero segati in pezzi) ottenute dal taglio dei boschi che erano nella valle. Il taglio si fece però solo interpolatamente, o i monti sono ancora rivestiti di boschi, quantunque rari e privi di quelle piante secolari che prima vi erano in gran numero, come ci manifestano i tronchi di quelle tagliato. Anche dopo l'Alpe Piana il sentiero corre per una mezz'ora nel tondo della valle sulla sponda sinistra del torrente, poi si eleva tortuosamente e ripidamente fino a un'ultima alpe detta del Publino (2110 m.), che si stende sul letto di un antico stagno, fra pareti rocciose."
Torniamo, ora, al nostro percorso. La traccia non è molto marcata, e neppure segnalata, ma è visibile, e
comincia a risalire, con diversi tornanti, lungo un ampio dosso, dal quale possiamo scorgere, alla nostra destra, una bella pozza d’acqua presso la quale è posto anche un tavolo con due panche. Il passo non si vede, resta nascosto, sulla destra, dietro un dosso. Ed in realtà non lo vedremo più. Infatti il sentiero non porta al passo.
Ma come, direte voi? E dove stiamo andando? Questo sentiero, che si fa più marcato man mano che sale, è la già citata Via Cavallara, la tranquilla via di accesso all’alta Val Seriana, che conduce al crinale in un punto più a monte e ad est rispetto al passo. Al passo vero e proprio (m. 2368) sale un secondo sentiero, che però, nell’ultimo tratto deve superare un ripido canalino, destreggiandosi fra rocce insidiose, con punti esposti e non protetti: non vale la pena di esporsi a rischi e di percorrerlo. Comunque lo si trova raggiungendo la già citata pozza, cominciando a salire a vista in direzione sul, fino ai piedi del canalino che adduce al passo. Torniamo a noi: dopo diversi tornanti, il sentiero piega a sinistra e raggiunge un’ampia conca occupata da una ganda (nevaietti ad inizio stagione). Proseguendo verso sinistra, ci affacciamo, per un tratto, sulla più ampia conca che ospita il lago di Publino, che ora dominiamo dall’alto con un ottimo colpo d’occhio. Dominiamo anche la costiera orientale della valle, che la separa dalla Val Venina, e sulla quale si distinguono, da destra (sud), le cime dello Scoltador (m. 2462 e 2573), il passo dello Scoltador (m. 2454), il pizzo Baitelli (m. 2496), il pizzo di Sulghera (m. 2412), le cime Biorche (m. 2456) ed il pizzo Campaggio (m. 2502).
Poi pieghiamo ancora a destra, effettuando una diagonale che passa a monte della ganda e si avvicina al crinale, che alla fine conquistiamo alla sella di quota 2420 metri. Qui troviamo un cartello del CAI di Bergamo che dà Carona a due ore di cammino. Si apre ora, davanti a noi, lo scenario solitario e suggestivo dell’alta Val Sambuzza, laterale settentrionale dell’alta Val Brembana, nel comunendi Carona. Sotto di noi, isolato, il bivacco. Più in basso, il laghetto di Varobbio. Alla nostra sinistra, lo smilzo ed erboso versante meridionale del pizzo di Zerna, sormontato da una visibile croce, cui sale una traccia di sentiero. Alla nostra destra, il crinale che scende dolcemente fino al passo di Publino, per poi risalire fino ad una modesta ed arrotondata cima sormontata da un’antenna. Seguendo il crinale verso est, riconosciamo il corno del Corno Stella.
Il sentiero, marcato, scende al passo (m. 2368), dove troviamo un cartello che, saggiamente, ci indirizza alla valle del Livrio (dando S. Salvatore a 4 ore) per il sentiero che abbiamo disceso, e non per quello che scende ripido ed esposto dal passo. Poco sotto il passo, l’accogliente e simpatico bivacco Pedrinelli, a 2353 metri. Siamo in cammino da circa 5 ore, ed abbiamo superato un dislivello approssimativo in altezza di 1100 metri.
Su una targa leggiamo: "Ex casermetta recuperata a bivacco dal Gruppo Amici Escursionisti Sforzatica Dalmine affinché la memoria storica legata agli eventi della Grande Guerra non sia mai dispersa. 13 Settembre 1998". Infatti il bivacco, inaugurato Il 13 settembre 1998 per iniziativa degli “Amici Escursionisti Sforzatica Dalmine”, è stato ricavato dai ruderi di una casermetta costruita nel contesto del sistema difensivo della linea Cadorna, voluta dall'omonimo generale per arginare l'eventuale sfondamento del fonte dello Stelvio da parte dell'esercito Austro-Ungarico nella prima guerra mondiale. Cadorna temeva anche che i nemici scendessero in Valtellina dalla neutrale Valle di Poschiavo elvetica, aggirando così il fronte e rischiando di sfondare verso il lago di Como o la bergamasca. Per questo la catena orobica venne fortificata da una serie di fortificazioni e postazioni che avrebbero dovuto impedire questa disastrosa ipotesi
Dietro al bivacco ci sono i ruderi di parte della casermetta citata e presso la struttura si trova anche una colonnina del Soccorso Alpino. Dentro troviamo letti a castello per otto persone, materassi e coperte, un tavolo con panche, un armadietto, un fornelletto da campo con bombola, alcune stoviglie tra cui una moka. Manca invece l'acqua. C'era infine una stufa che però è stata tolta dopo l'increscioso episodio (per dirla con un eufemismo) per cui vi sono state bruciate le panche precedenti panche in legno.
Su una seconda targa, infine, leggiamo: "Alberto Berbieri-Andrea Zanchi-Lorenzo Corsi. L'amore per la montagna vi ha uniti sulla terra. L'amicizia vera vi ha uniti per sempre in cielo. I vostri cari e gli amici a ricordo perenne. 29-12-2002 29-1-2003"

Bene. Raccontiamo, ora, il ritorno per la via del fondovalle. Se non vogliamo ripercorrere i medesimi passi della salita, possiamo infatti disegnare un interessante paercorso ad anello ridiscendendo per il fondovalle.
Riguadagnamo il crinale, seguendo segnavia rosso-bianco-rossi, che ci accompagnano fino al punto in cui il sentiero passa sul versante valtellinese. Ridiscendiamo al trivio, dove la Via Cavallera incrocia la Gran Via delle Orobie, e, invece di prendere a destra per il rifugio Caprari, cominciamo a scendere lungo il sentiero, segnalato da segnavia bianco-rossi e rosso-giallo-rossi.
Dopo alcuni tornanti, pieghiamo a sinistra, superando un primo torrentello e poi il torrente Livrio. La successiva discesa avviene nella boscaglia, e ci porta ad incrociare la decauville che proviene dall’edificio della Sondel, visibile alla nostra destra, e prosegue verso la Val Cervia. Il sentiero, invece, prosegue nella discesa, fino ad uscire dal bosco in corrispondenza di una baita solitaria. Attraversata una radura occupata da "lavazz" e superato un singolarissimo corno roccioso, raggiungiamo la sterrata di fondovalle (chiusa al traffico dei mezzi non autorizzati), sulla quale prosegue una tranquilla ed un po’ monotona discesa. Alle nostre spalle, la testata della valle è ridotta al pizzo di Zerna.
Nella discesa, tocchiamo le baite dell’alpe Piana (m. 1500) e le baite della località Forno (m. 1300), per poi superare, su un ponte in legno, il torrente Livrio, portandoci alla sua destra. Proseguiamo all’ombra di una bella pineta, fino alla località Crocetta (m. 1216). Qui ci accorgiamo di essere più bassi del punto di arrivo (S. Salvatore, a 1311 metri), e quindi di dover faticosamente riguadagnare un centinaio di metri (qualche saliscendi, infatti, arrotonda un po’ la quota). Alla Teggia ci accorgiamo di essere risaliti a quota 1250, ma poi c’è una nuova discesa che dà un po’ sui nervi. Ma la tenacia è premiata, ed alla fine ecco gli splendidi prati a valle della chiesa di S. Salvatore, che saluta il nostro ritorno. Un ritorno che ci è costato circa 3 ore e mezza/4 di cammino.


Apri qui una panoramica occidentale dal pizzo di Zerna

È interessante, infine, leggere la relazione dell’escursione ai laghi del Publino effettuata da Bruno Galli Valerio, alpinista e naturalista che molto amò queste montagne, il 23 luglio 1909: “Certi moralisti sono come certe donne che, dopo di averne fatte di tutti colori quando erano giovani, diventano nella loro vecchiaia, grandi maestre di morale. E' il caso del brav'uomo che m'accompagna stamattina sulla strada di Val del Liri e che, con lunghi discorsi, vuol dimostrarmi che l'uomo muore perchè beve e si diverte colle donne. Ma a Zappello, per essere coerente colla sua morale, si butta su una giovane contadina per abbracciarla un po' troppo boccaccescamente, ma quella si difende bene e lo manda a ruzzolar per terra. Questo episodio mi persuade sempre più che dei grandi moralisti bisogna diffidare.
La stradicciuola, corre fra i larici, come in un parco. Buttando lo sguardo indietro, si vedon sul cielo azzuro Disgrazia e Corni Bruciati, sostituiti subito dopo da Roseg e Bernina.
Tutt'intorno vi sono belle felci e spighe gialle di digitale. Qua e là, cespugli di Sanguisorba dodecandra.


Il lago di Publino

I lamponi abbondano: poveri frutti che, a causa del loro nome dialettale “Mani", han fatto scrivere allo storico Quadrio che queste valli eran dedicate agli "Dei mani. Se così si trovano le etimologie, c'è da dubitare dei filologhi come dei moralisti. Al di là della Costa, i boschi di Citiso sono in piena fioritura: enormi grappoli gialli, mandan nell'aria un profumo penetrante. Le creste del Publino appaiono nere, là in fondo alla valle, sopra l'altipiano da cui cade una cascata. Sono le dieci e quaranta quando arrivo alla baita del Publino. Nuvole involgono la cima del Corno Stella. Attraverso il piano paludoso, seguendo un sentiero che fiancheggia un laghetto, raggiungo i due grandi laghi del Publino. Un leggero vento ne increspa le acque limpidissime.


Panorama settentrionale dal Pizzo Zerna

Sulle rive di uno dei laghi, c'è ancora molta neve. Tutt'intorno, il terreno è stellato di soldanelle. Ci si direbbe in primavera. E' un paesaggio di una malinconia infinita, che meriterebbe un pittore. Ma i pittori della montagna son diventati rari. Quelli che se ne occupano lo fanno con colori impossiili e con allegorie incomprensibili. Mi ricordano una povera pazza che dipingeva laghi di un rosso infuocato, montagne gialle e rosse e mi diceva che lei sola vedeva il colore reale dell'acqua e delle montagne." (Bruno Galli Valerio, "Punte e Passi", a cura di Luisa Angelici ed Antonio Boscacci, Sondrio, 1998).


Apri qui una fotomappa della salita dalla sella di quota 2420 metri al Pizzo Zerna

Vediamo, infine, come salire al Pizzo Zerna, la bella e panoramica cima posta immediatamente a sud-est della sella di quota 2420 metri.
Si tratta di una bella montagna, dal profilo slanciato ed elegante, soprattutto se vista da est. Alla sua notorietà nuocciono probabilmente i due ingombranti vicini, il pizzo Stella ad ovest ed il monte Masoni ad est. Il suo nome deriva probabilmente dalla voce "zerna" che, in dialetto brembano, significa "cumulo di sassi". Viene però anche chiamato, per la sua posizione dominante sul lago di Publino, "Corno di Publino". Vista dalla sella, la salita a questa cima appare difficile, perché, a causa dell'effetto schiacciamento, i suoi versanti appaiono più ripidi di quanto siano realmente. Ripidi, per il vero, lo sono, ma non inaccessibili.


Panoramica sulla Val Sambuzza dal pizzo Zerna

Dalla sella non scendiamo verso destra al bivacco Pedrinelli, ma prendiamo a sinistra (sud-est) e cominciamo a salire su traccia di sentiero tenendoci appena a destra del filo di cresta. In breve siamo ad una finesta che si affaccia sull'alta Valle del Livrio, che precede una modesta elevazione. Qui lasciamo il filo di cresta e traversiamo il leggera salita tagliando il facile versante ai piedi dell'elevazione (sempre sul versante di Val Sambuzza), fra erba e pietrame. Ci portiamo così ad un secondo intaglio, più stretto, una piccola finestra dalla quale si mostra il lago di Publino. Sul versante della Valle del Livrio il pizzo di Zerna mostra un fianco quasi verticale e roccioso.


Il Pizzo Zerna visto da est (foto di Alessio Pezzotta, per gentile concessione; cfr. il Volume "Alpi Orobie Over 2000 - II)

I laghetti di Val Sambuzza visti dalla cima del Pizzo Zerna

Salendo al pizzo Zerna

Croce di vetta del pizzo Zerna

Inizia qui la parte più difficile della salita, perché il crinale si impenna. Senza neve e con terreno asciutto non incontriamo però eccessive difficoltà. Restiamo sempre un po' a destra del filo di cresta, raggiungendo, dopo un primo stratto, una pianetta. Un secondo strappo ci porta ad una seconda pianetta, appena sotto la cima. La croce appare ormai vicina. L'ultimo strappo si snoda su un versante di terriccio e pietrame. Pochi metri sotto la cima aggiriamo a destra un gruppo di roccette. Qualche passo ancora e siamo alla sospirata croce della cima del Pizzo Zerna (m. 2572). Questa croce, con un Cristo stilizzato, è stata collocata dal Gruppo Escursionistico Alpini di Verdello il 10 settembre 1994


Apri qui una panoramica sul monte Disgrazia dal Pizzo Zerna

Bellissimo il panorama. A nord-ovest vediamo uno scorcio della testata della Costiera dei Cech ed il gruppo del Masino, nel quale si distinguono, da sinistra a destra, la punta Torelli (m. 3137) e la punta S. Anna (m. 3171) che precedono il celeberrimo pizzo Badile (badì, m. 3308), cui fa da vassallo la punta Sertori (m. 3195). Segue il secondo signore della Val Pocellizzo, il pizzo Cengalo (cìngol, m. 3367). Ecco poi i pizzi Gemelli (m. 3259 e 3221), il passo di Bondo (pas da bùnd, m. 3169), che dà sulla Val Bondasca, in territorio svizzero, ed i pizzi del Ferro occidentale o cima della Bondasca (m. 3267), del Ferro centrale (m. 3287), e del Ferro orientale (m. 3200). Alla loro destra riappare la poderosa cima di Zocca (m. 3175), sulla testata della valle omonima, seguita dalla punta Allievi (m. 3121), dalla cima di Castello (la più alta del gruppo del Masino, con i suoi 3392 metri), e dalla punta Rasica (rèsga, m. 3305). I tre poderosi pizzi Torrone (turùn, occidentale, m. 3351, centrale, m. 3290, ed orientale, m. 3333) chiudono la valle omonima, che precede l’ampia Val Cameraccio, sulla cui testata si pongono il monte Sissone (sisùn, m. 3330), la punta Baroni, o cima di Chiareggio settentrionale (m. 3203), le cime di Chiareggio centrale (m. 3107 e 3093) ed il monte Pioda (m. 3431), posto immediatamente a sinistra dell’imponente ed inconfondibile monte Disgrazia (m. 3678).


Apri qui una panoramica sul gruppo dello Scalino dal Pizzo Zerna

Il panorama propone poi, verso nord, in primo piano uno splendido colpo d'occhio sulla Valle del Livrio e sul fondo l'intera testata della Valmalenco, sulla quale distinguiamo, da sinistra, il pizzo Gluschaint (m. 3594), le gobbe gemelle della Sella (m. 3584 e 3564) e la punta di Sella (m. 3511), il pizzo Roseg (m. 3936), il pizzo Scerscen (m. 3971) il pizzo Bernina (m. 4049), i pizzi Argient (m. 3945) e pizzo Zupò (m. 3995), la triplice innevata cima del pizzo Palù (m. 3823, 3906 e 3882), ed il più modesto pizzo Varuna (m. 3453). Proseguendo verso destra, si scorge il gruppo dello Scalino, con il pizzo Scalino (m. 3323, la punta Painale (m. 3248) e la vetta di Ron (m. 3136). Più lontano il pizzo Combolo (m. 2900) ed alle sue spalle alcune cime della Val Grosina. Ad est, alle spalle del possente monte Masoni, in primo piano, si mostrano alcuni dei giganti delle Orobie centrali, con il cono regolare del pizzo del Diavolo di Tenda a spiccare su tutti. A sud, in primo piano, la Val Sambuzza con i suoi laghetti e sul fondo una splendida sequenza di cime della Val Brembana. Ad ovest, infine, lo scenario è dominato dal vicino pizzo Stella, dietro il quale occhieggiano appena le cime della sezione occidentale delle Orobie. Ma lo sguardo attento potrà scorgere, lontanissimo, il gruppo del Monte Rosa con la cima Gnifetti e la punta Dufour.


Apri qui una panoramica sulla testata della Valmalenco dal Pizzo Zerna

CARTA DEL PERCORSO SULLA BASE DI © GOOGLE MAP (FAIR USE) e della Swisstopo, che ne detiene il Copyright. Ho aggiunto alla carta alcuni toponimi ed una traccia rossa continua (carrozzabili, piste) o puntinata (mulattiere, sentieri).


CARTA DEL PERCORSO sulla base della Swisstopo, che ne detiene il Copyright. Ho aggiunto alla carta alcuni toponimi ed una traccia rossa continua (carrozzabili, piste) o puntinata (mulattiere, sentieri).

GALLERIA DI IMMAGINI

APPROFONDIMENTO: Viene qui di seguito riportata la relazione di Paolo Pero, professore di Storia Naturale al Liceo
“G. Piazzi” di Sondrio, sul lago del Palù (nella raccolta “I laghi alpini valtellinesi”, Padova , 1894).








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