Apri qui una panoramica della Gran Via delle Orobie in Val Gerola Occidentale

Il monte di Pedesina è costituito da tre grandi alpeggi: da sud a nord, quello di Stavello (“stavél”, di proprietà privata), nella parte settentrionale dell’alta Val di Pai, quello di Combana (“cumbàna”, comunale), nell’omonima valle, e quello di Combanina (“cumbanìna”, comunale), sull’ampio dosso di Giùuf (IGM: Ciof), nella parte meridionale dell’alta Val Mala. Luoghi bellissimi, aperti, solari, che possono essere visitati con molteplici itinerari e che ripagano sicuramente le attese degli escursionisti più esigenti. Suggeriamo due possibilità di anelli escursionistici, che possono anche essere combinate fra di loro.
Non possiamo, però, raccontare l’escursione senza prima aver presentato gli elementi di base per capire cos’è e come funziona un alpeggio. Ci aiuta Dario Benetti, nell’articolo “I pascoli e gli insediamenti d’alta quota” (in “Sondrio e il suo territorio”, edito da IntesaBci nel 2001), nel quale descrive la struttura e l’organizzazione tipica degli alpeggi orobici nell’area del Bitto (dalla Val Lesina, ad ovest, alla valle del Livrio, ad est): “ Gli alpeggi di questa zona, anche quelli comunali, erano prevalentemente dati in affitto a comunità di pastori. A tale tipo di gestione corrisponde una struttura architettonica ben precisa: il pascolo d’alpeggio è suddiviso in bàrech, un reticolo di muretti a secco, più o meno regolare, che delimita “il pasto” di una giornata di malga. Questa suddivisione permette di sfruttare razionalmente il pascolo. Il pascolo non è infatti ricco e, se il bestiame fosse lasciato libero, finirebbe con l’esaurirsi anzitempo. In ogni alpeggio il bestiame si sposta dunque quotidianamente da un bàrech all’altro, restando prevalentemente all’aperto (in pochi alpeggi sono previsti stalloni – baitùu – o tettoie aperte per il ricovero notturno o in caso di brutto tempo). Numerose baite sono collocate sull’alpeggio in corrispondenza dei principali spostamenti. Al centro dell’alpeggio c’è la caséra, la costruzione dove si depositano i formaggi e le ricotte per la salatura e la conservazione temporanea… La necessità di sorvegliare il bestiame durante il pascolo di notte, lontano dalla baita dei pastori, era risolta con una particolare forma di ricovero temporaneo, il bàit. Si tratta di un rifugio trasportabile in legno con copertura inclinata rivestita, negli esempi più recenti, in uso fino a qualche anno or sono, in lamiera. Il bàit era diffuso in val Tartano e nelle valli del Bitto e del Lesina; a volte era a due posti. Nella parete laterale è ricavata una apertura trapezoidale per l’accesso con sportellino in legno, mentre in testata sono ricavati due fori per l’aria e per infilarvi due lunghi bastoni per il trasporto a spalla da una sede all’altra. Caratteristico delle valli del Bitto e Lesina, ma presente in passato anche in val Tartano, è il caléc. Esso era utilizzato nel caso in cui la permanenza dei pastori in una certa parte dell’alpeggio superava i 5-6 giorni. Questa struttura consiste essenzialmente nei quattro muri perimetrali e in una apertura a valle per l’accesso. La copertura veniva realizzata di volta in volta con elementi provvisori, per esempio una struttura in legno e un telo. La distribuzione interna degli spazi è simile a quella della baita in muratura, con il paiér (il focolare), il supporto girevole in legno per la culdèra e un ripiano sul quale si poggiavano i formaggi ad asciugare. In alcuni alpeggi, infine, è presente il baituu, una grande stalla per il ricovero delle mucche in caso di maltempo. Si tratta di una costruzione molto allungata (20-30 metri) a un solo piano, con muratura in pietrame a secco e tetto a due falde con manto di copertura in piode selvatiche (se il fronte verso valle è aperto la costruzione prende il nome di tecia)… I baituu ospitavano fino a 90 capi di bestiame. All’interno, in un soppalco ricavato nelle capriate del tetto alloggiavano due pastori.


Gruppo del Masino e monte Disgrazia dagli alpeggi di Pedesina

ANELLO DELLA COMBANINA

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Parcheggio sopra S. Rocco-Masoncelli-Pescegarz-Alpe Ciof-Alpe Culino-Alpe Ciof-Pedesina
5 h e 30 min.
960
E
SINTESI. Entrando a Morbegno (direzione per Sondrio) alla prima rotonda prendiamo a destra, alla successiva ancora a destra, superiamo il torrente sul Bitto e ci immettiamo nella strada provinciale 7 della Val Gerola. Saliamo a Sacco e Rasura e procediamo fino a Pedesina. Qui svoltiamo a destra e saliamo al paese. Oltrepassata la chiesa, parchaggiamo presso il Municipio (m. 1090). Ci incamminiamo sulla carozzabile verso la chiesetta di San Rocco, sul tornante sx; qui lasciamo la carozzabile per la strada che prende a destra, passando a sinistra di San Rocco. Subito dopo due tornanti sx e dx, troviamo (segnalazione) la mulattiera per maggenghi ed alpeggi. Laciata la strada, saliamo diretti ad intercettare un largo sentiero e ci dirigiamo a sinistra (indicazione per i Masoncelli). Superata una valletta siamo ai prati dei Masoncelli (m. 1210); qui saliamo al limite superiore dei prati e prendiamo a destra, imboccando il sentiero che sale nel bosco, fino ad un trivio. Dei due sentieri che salgono prendiamo quello di destra (indicazioni per Combanina-Pescegarz), procedendo fino al limite dei prati di Pescegarz (m. 1500). Usciti dal bosco, passiamo a sinistra della baita dei prati e saliamo al bivio di quota 1570 metri. Qui ignoriamo il largo sentiero alla nostra sinistra e procediamo diritti su un sentierino che sale, volge a destra e, con poche svolte, porta al limite del dosso di Giuf o Ciof ed alla casera dell'alpe Combanina (m. 1732). Saliamo dritti (ovest) sui prati a monte della casera, fino al filo del dosso, dove troviamo un sentiero che prende a destra, taglia il versante del dosso, passa a monte della baita isolata di quota 1940. Superato un dosso modesto, siamo alle rive del lago di Culino (m. 1959). Dalla baita presso il laghetto scendiamo alla baita di quota 1801, ad un bivio segnalato: qui prendiamo a destra (sud), scendiamo ad attraversare il solco della Val Mala e risaliamo sul versante opposto (direzione est) tornando alla casera di Giuf o Ciof (alpe Combanina). Proseguiamo diritti sulla GVO, verso ovest-sud-ovest, fino a trovare un sentiero che ci intercetta salendo da sinistra. Lo imbocchiamo e scendiamo diritti tornando al bivio di quota 1570. Il ritorno a Pedesina segue da qui la medesima via di salita (attenzione a trovare la partenza della mulattiera al limite del bosco sotto la baita del Pescegarz).

Vediamo, ora, la prima possibilità escursionistica, che potremmo denominare anello della Combanina, e che parte da Pedesina. Per raggiungerla, bisogna imboccare, a Morbegno, la strada ex statale 405, ora strada provinciale n. 7, della Val Gerola, staccandosi dalla ss. 38 dello Stelvio, sulla destra, al primo semaforo all’ingresso della cittadina (per chi proviene da Milano), e seguendo le indicazioni. Dopo 7 km di salita incontriamo il primo paese della valle, Sacco, e dopo 9 il secondo, Rasura. Superata la galleria del Pic, siamo a Pedesina (km 11,5). Al primo svincolo a destra saliamo alle case del paese (ma nei finesettimana estivi ci conviene la sciare l’automobile al parcheggio che troviamo a sinistra della provinciale, prima dello svincolo, e salire a piedi). Dopo un tornante a sinistra, passiamo sotto la chiesa parrocchiale dedicata a S. Antonio ed alla S. Croce. Il successivo tornante a destra ci fa ripassare a monte della chiesa e raggiungere l’oratorio di S. Rocco, dove la strada piega di nuovo a sinistra. Noi, però, parcheggiamo l'automobile appena prima della chiesetta (m. 1090) e presso il municipio, ed imbocchiamo la strada asfaltata che si stacca da quella che prosegue alla parte alta del paese, se ne stacca sulla destra (cartello Stavello-Combana-Combanina), passa a sinistra dell’oratorio e, dopo un tornante sinistrorso, effettua un lungo traverso. Saliamo così al successivo tornante destrorso.
Pochi metri oltre il tornante troviamo, sulla sinistra, un cartello che segnala la partenza del sentiero 115, che sale al Grasso ed all’alpeggio di Combanina, anche se queste mete non vengono neppure menzionate (l’alpe Combana è data ad un’ora e 50 minuti, l’alpe Stavello a 2 ore e 40 minuti e la bocchetta di Stavello a 4 ore). Troviamo anche un cartello del comune di Pedesina che dà il Masoncello a 10 minuti, il Grass a 50, l'alpe Combanina ad un'ora e 10 minuti, l'alpe Combana ad un'ora e 50 minuti e l'alpe Stavello a 2 ore e 40 minuti.
Il sentiero si immerge subito nel bosco e sale, deciso, con qualche tornantino, restando a sinistra di una valletta. Dopo una breve salita, intercettiamo un sentiero con andamento quasi pianeggiante. Siamo alla località Piàzzola e, seguendo il cartello del comune di Pedesina, prendiamo a sinistra, guidati dai segnavia rosso-bianco-rossi. Incontriamo subito una baita con un vecchio cartello della Comunità Montana Valtellina di Morbegno, che dà la casera di Combanina ad un’ora e 30 minuti. Oltrepassata la baita, troviamo un casello con un nuovo cartello: seguiamo le indicazioni per il Masoncello, ignorando quelle per il Gaggio. Dobbiamo quindi ignorare un sentierino che si stacca da quello principale, sulla destra, e proseguire diritti, fino al guado del torrentello della Val del Bur (così chiamata perché un tempo veniva usata per trascinare a valle i grossi tronchi tagliati, "bur"), oltre il quale la mulattiera prende a salire. Ci raggiunge, dopo un breve tratto, da sinistra un’altra mulattiera, che proviene dalle case alte del paese (per imboccarla, avremmo dovuto, all’oratorio di San Rocco, svoltare a sinistra e seguire la strada principale fino alle ultime case, poi imboccare un tratturo che alla fine si restringe a mulattiera).


Pescegarz

Proseguiamo nella salita, sbucando, in breve, ad una fascia di prati con una baita, a quota 1210 metri, la parte bassa dei Masoncelli (“masunscél”).
Qui dobbiamo prestare attenzione, perché dai prati partono tre sentieri: uno alla nostra destra, in corrispondenza di una fontana in cemento, uno al centro ed uno a sinistra, a ridosso della baita. Il sentiero che ci interessa è quello di centro: un segnavia rosso-bianco-rosso su un masso (non immediatamente visibile, per la verità), lo conferma. Per trovarlo saliamo al centro dei prati, passando presso un tavolo con panche in legno, e sul limite della selva prendiamo a destra. Troviamo nel primo tratto un nuovo cartello del comune di Pedesina, che dà la Val del Bur a 5 minuti, il Grass a 40, l'alpe Combanina (Pescegarz) a 35, l'alpe Combanina (Ciof) ad un'ora e l'aloe Combana ad un'ora e 40 minuti, Il sentiero, sempre largo, volge gradualmente a destra e sale nel bosco.
Segue un tratto pianeggiante (corredato anche da un corrimano), che ci porta a guadare di nuovo la Val del Bur. Poco più avanti, siamo alla località Val del Bur, con nuovo cartello ad un bivio. Prendendo a destra siamo alle Foppe in 25 minuti, a Pescegarz in 30 ed alla Combanina (Ciof) in 55, mentre salendo a sinistra siamo al Grass in 35 minuti, all'alpe Combana in un'ora e 35 minuti ed all'alpe Stavello in 2 ore e 25 minuti. Stiamo sulla destra (direzione per le Foppe e il Pescegarz) e prendiamo a salire decisamente, incontrando anche due cartelli con divieto di caccia. Segnavia bianco-rossi ed alcune frecce bianche si alternano a quelli rosso-bianco-rossi. Dopo una svolta a destra, la salita prosegue, decisa, mentre compaiono i primi larici ed i primi abeti. Raggiunto il punto nel quale il sentiero è parzialmente ostruito da una pianta caduta, prendiamo a sinistra, lasciando alla nostra destra un baitello ed un sentiero secondario. Segue una sequenza di tornanti dx-sx-dx-sz-dx, che ci porta ad un baitello in corrispondenza del guado di un torrentello, a 1310 metri.


Panorama da Pescegarz

Oltre il guado, usciamo per un tratto dal bosco e troviamo subito un bivio: un ramo del sentiero prosegue diritto, l’altro sale deciso a sinistra. Prendiamo questo secondo ramo, trovando subito su un tronco un segnavia. Dopo il primo tratto di salita, una finestra che si apre nel bosco ci permette di vedere, alla nostra destra, la parte alta della Val Bomino con il passo di Verrobbio; poco più avanti troviamo, a quota 1350, un baitello, con un cartello della Comunità Montana Valtellina di Morbegno che dà l’alpe Combanina ad un’ora e 10 minuti. La mulattiera piega poi a sinistra (tratto con parapetto) ed inizia a salire, con brevi serpentine, una bella pecceta, abbastanza aperta. Poi il bosco si richiude e ricompaiono i faggi: la traccia si fa più stretta e marcata, e continua a salire con qualche tornantino.


Pescegarz

Dopo un ultimo tratto diritto, usciamo dal bosco alla parte bassa dei prati del Pescegarz, a quota 1500, appena a sinistra di un calec (ricovero costituito dal solo fondamento delle mura perimetrali), importante punto di riferimento per ritrovare il sentiero al ritorno. Più in alto vediamo, quasi sulla nostra verticale, una baita ed un baitello, quasi a ridosso di un roccione, denominati “caséri végi de cumbanìna” (m. 1543); sullo sfondo, dietro la baita di destra, l’elegante e slanciata cima della Rosetta (“scima de la rusèta”, m. 2142), riconoscibile per la croce che la sovrasta. Siamo nella parte più bassa dell’alpe Combanina, che occupa il lungo dosso che separa la Val del Bur, a sud, dalla Val Mala (“val màla”), a nord. A destra delle due baite si apre, infatti, un’ampia conca di pascoli, che viene ancora caricata. Non passiamo, però, di lì, ma restiamo sul limite sinistro dei prati, a ridosso del bosco, salendo in direzione della baite e proseguendo a sinistra, dove troviamo la ripartenza del sentiero, che sale per un tratto nell’incantevole cornice di una macchia di radi larici, con una splendida radura alla nostra destra. Siamo, così, in breve ad un bivio, a 1570 metri. Un cartello segnala che il sentiero 115 prosegue sulla sinistra, con traccia più marcata, e porta in 50 minuti all’alpe Ciof ed all’incrocio con la Gran Via della Orobie ed in un’ora e 10 minuti all’alpe Combana. C’è, però, anche un sentierino che sale diritto e che porta per via più diretta alla casera dell’alpe Combanina o Giuf.

 


Alpe Ciof

Lasciamo, dunque, il sentiero di sinistra, che sfrutteremo al ritorno, per salire diritti, volgendo poi verso destra ed effettuando un lungo traverso a monte dei pascoli del Grasso, fra radi larici. Poi il sentiero volge a sinistra e sale ad un poggio dal quale vediamo già la casera di Ciof, sorvegliata da una piccola croce di legno, alla quale giungiamo dopo un ultimo strappo sul dosso che precede i prati dell’alpe. Alpe Combanina (sul dosso di Ciof o Giuf, m. 1732; alpe Ciof è la denominazione che troviamo sulla IGM): si tratta della “casera de cumbanìna”, o anche “casera del giùuf”, da nome del dosso sul quale è posta (“dòos del giùuf” o “dòos de cumbanìna”). La denominazione “Ciof” è evidentemente una storpiatura di “Giùuf”. Quanto all’origine del nome Combanina (e dell’analogo Combana), si può ipotizzare che derivi dalla voce comasca e bormina “combal”, “combol”, cioè sommità. Ma per l’alpe Combana esiste anche un’altra ipotesi, di cui diremo. Intanto vediamo come proseguire l’anello.
Dopo uno sguardo al magnifico panorama che si apre dalla casera, sia sul gruppo del Masino che sulla Val Gerola, riprendiamo la salita. Sulla facciata della baita, troviamo due cartelli della Comunità Montana di Morbegno: il primo dà, verso sinistra (sud), l’alpe Combana a 30 minuti e l’alpe Stavello ad un’ora, mentre il secondo dà, verso destra (nord), il Bar Bianco a 40 minuti ed il lago di Culino a 45 minuti. Non seguiremo, però, nessuna di queste due direttrici, ma saliremo diritti, alla parte alta dell’alpe, fino al punto in cui il dosso, che segna anche il confine fra i comuni di Rasura e Pedesina, si restringe ed i prati lasciano il posto ad un bosco di larici. Qui troviamo una traccia di sentiero che rimane approssimativamente sul filo del dosso ed entra nel bosco, facendosi più marcata e piegando a destra. Il sentiero diventa ancora più largo, e taglia il fianco del crinale, salendo molto gradualmente, fino ad uscire dal bosco presso un casello dell’acqua. Oltre il casello, la traccia, bruscamente, si interrompe fra i prati, ma non c’è problema. Passiamo appena a valle della baita isolata quotata 1940, attraversiamo da sinistra a destra un torrentello e lasciamo alla nostra sinistra una pianetta paludosa.


Apri qui una panoramica dall'alpe Giuf

Ci siamo portati nel territorio del comune di Rasura e lo scenario è davvero affascinante: siamo in una sorta di conca, raccolta, tranquilla, bucolica. Cominciamo, poi, a risalire un cocuzzolo che sta alla nostra destra, superando una fascia di macereti e guadagnando i pascoli soprastanti, che sembrano sorvegliati da alcuni larici isolati. In breve, siamo alla cima del modesto rilievo che domina l’alpe ed il laghetto di Culino ("lach de cülìgn”, toponimo che deriva da "aquilino". m. 1959). Il panorama da qui è davvero bello.
La tranquillità di questi luoghi non deve, però, farci dimenticare il contrasto che divise le due comunità di Rasura e Pedesina quando quest'ultima si staccò dalla prima, nel 1483: sorse il problema di delimitare il confine fra i due comuni nella parte alta della Valmala, e ciò non era privo di risvolti economici, perché si trattava di assegnare all'uno o all'altro porzioni di pregiatissimo alpeggio. Solo il 20 agosto del 1488, cioè dopo 5 anni, la vertenza venne chiusa da un arbitrato del notaio Giovanni Maria Foppa di Bema.
Riprendiamo, ora, il cammino, scendendo facilmente al laghetto (m. 1959), che purtroppo in diversi momenti dell’anno è ridotto a poco più di una grande pozza (il progressivo processo di interramento ha già decretato la sua fine), ed iniziamo a percorrere la via del ritorno (anche se, qualora non lo avessimo mai fatto, non perdiamo l’occasione per prolungare l’escursione fino alla panoramicissima e vicina cima della Rosetta, raggiungibile in 30-40 minuti).
Nei pressi della baita quotata 1959 metri troviamo il largo sentiero che scende alla baita di quota 1801. Qui troviamo tre cartelli. Il primo cartello dà, in salita, il lago di Culino a 30 minuti e la cima della Rosetta ad un’ora e 10 minuti; il secondo, che riguarda il sentiero della Gran Via delle Orobie, che passa per l’alpe Ciof, dà l’alpe Combana a 30 minuti e Laveggiolo a 2 ore e 20 minuti; il terzo, che interessa coloro che procedono nella discesa, segnala che ci si può portare all’alpe Olano in 50 minuti, all’alpe Tagliata in un’ora e 50 minuti ed all’alpe Piazza in 2 ore e 30 minuti.
A noi interessa la seconda possibilità, quella della Gran Via delle Orobie: seguendo il sentiero segnalato, prendiamo a destra e, dopo una breve discesa, ci portiamo al solco dell’alta Val Mala, percorso da un modesto torrentello, che scavalchiamo su un ponticello di legno, tornando nel territorio del comune di Pedesina. La Valmala ("val màla", detta anche "val del pich") è, come dice il suo nome, la valle cattiva, e deve il suo nome poco accattivante all’orrido che scava nella viva roccia del fianco della valle nella sua parte più bassa: lo possiamo osservare, percorrendo la strada provinciale n. 7 della Val Gerola, in direzione di Gerola, poco oltre il paese di Rasura. Ma è anche una valle che qui, nella parte alta (chiamata anticamente canale del vén), propone un aspetto decisamente più rassicurante. Superati alcuni larici ed una baita isolata (“bàita del vén” o “bàita del livén”), proseguiamo nella traversata, con tratto quasi pianeggiante, che attraversa una macchia di larici, fino al cadavere di un larice colpito da un fulmine: ci affacciamo, così, di nuovo all’alpe Combanina, un po’ a monte rispetto alla casera di Ciof, chiudendo il primo anello.
Ora, invece di scendere per la medesima via di salita, proseguiamo sulla Gran Via delle Orobie, effettuando la traversata all’alpe Combana sul sentiero segnalato. Seguiamo le indicazioni dei cartelli presso la casera:
il sentiero non taglia il pascolo, ma prosegue appena sopra il limite superiore del bosco (leggermente più in basso rispetto alla casera). Procediamo verso sud-ovest, passando sotto il baitone di Combanina (“baitùn de cumbanìna”) e procediamo sul sentiero segnalato da segnavia, immergendoci in uno splendido bosco di larici. Dopo un breve tratto di traversata, giungiamo al punto nel quale ci intercetta, salendo da sinistra, un sentiero (quel medesimo sentiero che abbiamo ignorato al bivio poco a monte delle baite del Grasso). Tre cartelli ci chiariscono la situazione: procedendo diritti sulla G.V.O. ci si porta in un’ora all’alpe Stavello ed in 4 ore e 40 minuti al lago di Trona; nella direzione dalla quale veniamo l’alpe Culino è data a 40 minuti, l’alpe Olano ad un’ora e 20 minuti e l’alpe Piazza a 2 ore e 40 minuti (si tratta sempre della G.V.O., nella direzione opposta); imboccando, infine, il sentierino che scende sulla sinistra ci si porta in 50 minuti alle Foppe, in un’ora e 20 minuti ai Masoncelli ed infine a Pedesina.
È questa la soluzione che ci interessa: cominciamo, dunque, la discesa, su sentiero che in alcuni tratti è poco marcato, ma sempre visibile (in ogni caso i segnavia bianco-rossi e rosso-bianco-rossi non ci abbandonano). Il sentiero, che procede diritto, corre, nel primo tratto, fra radi larici, poi si fa più marcato ed attraversa una bella pecceta, intervallata da poche radure. Un ultimo tratto a ridosso di alcune roccette ci riporta al bivio di quota 1570. A questo punto il ritorno a Pedesina avviene seguendo la via di salita (unico problema: trovare la partenza del sentiero al limite basso dei prati del Grasso, prendendo come riferimento il calecc e portandosi pochi metri alla sua destra).
L’anello della Combanina comporta un dislivello approssimativo di 960 metri e richiede circa 5-6 ore di cammino. Ovviamente può essere percorso in forma abbreviata, scegliendo, all’alpe Combanina, di portarsi solamente all’alpe Culino o di traversare subito verso l’alpe Combana.

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ANELLO STAVELLO-COMBANA

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Parcheggio di San Giovanni sopra Gerola-Ponte di val di Pai-Casera di Stavello-Val vedrano-Bocchetta dell'Uschiolo-Casera di Combana-Casera di Stavello-Parcheggio di San Giovanni
7 h
1020
SINTESI. Alla prima rotonda all'ingresso di Morbegno (per chi proviene da Milano) prendamo a destra ed alla successiva ancora a destra; dopo un ponte imbocchiamo la provinciale della Val Gerola, saliamo a Gerola Alta e all'uscita dal paese lasciamo la strada per Pescegallo per prendere a destra, imboccando la strada che termina a Laveggiolo. All'ultimo tornante sx prima di Laveggiolo la lasciamo per imboccare una pista che sale a destra. Al cartello di divieto di transito parcheggiamo. Ci mettiamo in cammino passando a monte della chiesetta di San Giovanni. Dopo un breve tratto in leggera discesa, proseguiamo in moderata salita, fino ad incontrare, ad una piazzola, una sbarra, oltre la quale proseguiamo in una pecceta. Poi la pista piega a sinistra e noi la lasciamo, imboccando sulla destra, a quota 1490 metri, un sentiero (nel primo tratto è assai largo) che effettua un lungo traverso sul selvaggio e scosceso del fianco meridionale della Valle di Pai. Poi usciamo ad una radura e vediamo, alla nostra destra, una deviazione: un sentierino, segnalato da segnavia bianco-rossi, lascia quello che procede in piano e scende sul fondovalle. La breve discesa, su traccia piuttosto stretta ed insidiata dalla bassa vegetazione, porta ad un ponte in legno che ci permette di attraversare il torrente. Prima del ponte ci raggiunge da destra un sentiero che sale da Ravizze. Dopo il ponte il sentierino riguadagna rapidamente quota sul ripido fianco settentrionale della valle. Dopo qualche tornantino, ci raggiunge, da sinistra, un sentierino pianeggiante. Qui prendiamo a destra e ci allontaniamo dal torrente della valle, avvicinandoci ad una vallecola minore; abbiamo l’impressione di doverla attraversare, ma di nuovo il sentiero piega a sinistra e se ne allontana. Ogni tanto, su qualche sasso, troviamo segnavia bianco-rossi e la sigla GVO. Pieghiamo di nuovo a destra e, con qualche serpentina, raggiungiamo un primo gruppo di ruderi di baita, mentre sulla destra vediamo di nuovo la vallecola minore; un po’ più avanti, a quota 1590, troviamo il rudere di una baita più grande. Saliamo ancora con tornantini in una rada macchia di larici, poi approdiamo ad una nuova radura e di nuovo troviamo, a quota 1690 metri, un rudere di baita, passando alla sua sinistra. Superata un’altra macchia, raggiungiamo, a quota 1790 metri, il limite di una più ampia radura, che il sentiero attraversa stando per un tratto sul lato sinistro, poi tenendo il centro. Il sentiero riprende a salire verso destra, superando anche cinque grandi larici, poi volge a sinistra ed effettua un secondo traverso, proponendo poi una sequenza di tornanti dx-sx-dx-sx-dx, prima di congiungersi, a quota 1870, con un sentiero pianeggiante che proviene, sulla sinistra, dall’alpe Svanollino. Andiamo a destra, su sentiero largo ma esposto (corde fisse) perché taglia il ripido fianco della valle ed è esposto su un salto roccioso. In breve siamo alla parte bassa dei prati dominati dal baitone e dalla casera di Stavello (m. 1944). Da qui partono due sentieri: seguiamo quello che i cartelli indicano per la bocchetta di Stavello (verso nord): passa accanto ad una croce in legno, sale alle spalle della casera, verso sinistra (faccia alla casera), taglia una formazione rocciosa (passaggio esposto) e porta all'alta Val di Pai, traversando alla “baita del dòos trùnch”, posta, a quota 2095, alla base di un dosso abbastanza ripido. Ora lasciamo alla nostra sinistra il sentiero che procede verso la bocchetta di Stavello e cominciamo a salire alle spalle della baita, verso sinistra, piegando, appena possibile, a destra, superando un torrentello e passando vicino ad un rudere di baita a quota 2140 metri. Qui troviamo una traccia di sentiero che prosegue verso destra, in direzione di un grande ometto sulla parte sommitale del dosso che divide l’alta Val di Pai, e supera il torrentello che, più in basso, scende nella gola di roccia che abbiamo visto salendo dalla casera di Stavello. Superate alcune balze erbose giungiamo in vista della baita quotata 2178 metri (“bàita del pegurèr”), posta su uno splendido terrazzo. A valle della baita, il grande ometto che abbiamo già scorto salendo; a monte, altri due grandi ometti. Riprendiamo la salita puntando all’ometto più alto, di sinistra, per poi piegare a sinistra e raggiungere il centro del vallone che scende alla casera di Stavello, per poi seguirlo stando leggermente sul lato sinistro, fino ad un rudere di baita a quota 2265 metri. Siamo alle soglie di un ampio pianoro nell’alta Val di Pai che, sul lato opposto, ospita anche un micro laghetto. Dal rudere dobbiamo prendere a destra, attraversando un corpo franoso ed attaccando il ripido versante erboso sotto il crinale che separa l’alta Val di Pai dall’alta Val Combana. Prendiamo come riferimento una sorta di panettone roccioso che si distingue abbastanza bene sul crinale (“ul pizzöl”), e saliamo, faticosamente, in quella direzione. Poco sotto la fascia di rocce intercettiamo, con grande sollievo, un sentiero marcato che proviene da sinistra (giunge fin qui dopo una lunga traversata dell’alta valle). Lo seguiamo, verso destra, ed in breve, superato con attenzione un ultimo tratto esposto dove la traccia è meno marcata, siamo alla bocchetta dell’Uschiòlo, sul crinale omonimo, a 2341 metri di quota. Per la discesa all'alpe Combana, sul lato opposto, non esiste una traccia di sentiero marcata, per cui bisogna procedere in buona parte a vista. Stiamo per un brevissimo tratto sul crinale e cominciamo a scendere su un versante in buona parte sassoso; portiamoci un po’ a destra, fino ad intuire una traccia di sentiero, che scende con qualche tornantino, poi volge a sinistra, finendo per perdersi a quota 2265. Procediamo nella medesima direzione, giungendo vicino ad un roccione, alla nostra sinistra, che sembra un ricovero: qui torna a farsi vedere la traccia, che seguiamo verso destra. Scemndiamo ancora, su traccia che un po’ c’è ed un po’ latita, cercando la via meno faticosa ed evitando le colate di massi. Giungiamo al pianoro della “segùnda curt”, dove si trova anche un rudere di baita (m. 2110). La successiva discesa avviene a vista, restando leggermente a destra rispetto al centro della valle ed a sinistra del ramo di destra del torrente della valle. Giungiamo, così, alla “prüma curt”, la più bassa, a 2031 metri, dove si trova una baita. Le due corti sono complessivamente indicate, sulla carta IGM, come Alpe Piazzi di Fuori. Ora dobbiamo portarci decisamente a destra, in direzione del torrente della valle, puntando al limite alto del bosco di larici che costituisce il punto più alto cui giunge la fascia boschiva della valle. Appena a sinistra del torrente ed appena sopra gli ultimi larici, a quota 1975, troviamo il sentiero (attenzione a non mancarlo) che scende a sinistra, poi propone qualche tornantino e si porta più o meno al centro della valle. La discesa termina alla casera di Combana (m. 1810). Passiamo a sinistra della casera, per poi piegare decisamente a destra e passare appena sotto l’edificio; riprendiamo poi a salire, per intercettare il sentiero della Gran Via delle Orobie, poco prima che questo entri, sempre in salita, in un bosco di larici, a quota 1870 metri circa. Sul sentiero ritroviamo i segnavia, che abbiamo lasciato iniziando la salita alla bocchetta dell’Uschiolo. Dopo un breve tratto pianeggiante, riprendiamo a salire, con pendenza non eccessiva, ma senza soste, fino ad uscire dal bosco per effettuare l’ultima traversata che, superato un torrentello, ci riporta alla casera di Stavello. Qui prendiamo a sinistra e scendiamo a cercare la partenza della mulattiera con tratto servito da corde fisse. Dopo averla trovata, continuiamo a scendere per la medesima via di salita, fino a tornare all’automobile, nei pressi di San Giovanni.

Vediamo, ora, un secondo possibile anello, che richiede maggiore esperienza escursionistica: potremmo chiamarlo l’anello Stavello-Combana ed ha come punto di partenza San Giovanni sopra Gerola (si potrebbe partire anche da Pedesina, ma i tempi si allungherebbero sensibilmente). Portiamoci, dunque, a Gerola Alta (m. 1053), per poi imboccare, all’uscita dal paese, appena oltre il piccolo cimitero, la strada che si stacca, sulla destra, dalla provinciale e sale alle frazioni alte. Tocchiamo, così, la Foppa (“la fòpa”),  e Castello (“castèl”); non ci portiamo, però, alle case di Castello, ma, al tornante destrorso che precede la località, proseguiamo nella salita, ignorando la successiva deviazione sulla destra per la località Case di Sopra (“li cà zzuri”); dopo il successivo tornante sinistrorso, passiamo, a monte del bell’oratorio di S. Rocco (“san ròch”, m. 1395); dopo il tornante destrorso, proseguiamo fino al successivo ed ultimo tornante sinistrorso, in corrispondenza del quale si stacca, sulla destra, una pista secondaria che porta alla località di S. Giovanni.
La strada asfaltata termina alla frazione di Laveggiòlo (“lavegiöl”, m. 1470); noi, però, la lasciamo prima, all’ultimo tornante sx, prendendo a destra e parcheggiando l’automobile nell’ampio spiazzo dal quale parte una pista sterrata (un cartello di divieto di transito ci induce a lasciare qui l’automobile). Incamminiamoci, dunque, seguendo la pista sterrata che passa a monte della chiesetta di San Giovanni (“san giuàn”). Dopo un breve tratto in leggera discesa, proseguiamo in moderata salita, fino ad incontrare, ad una piazzola, una sbarra che impedisce l’accesso a qualsivoglia veicolo. Oltrepassata la sbarra, continuiamo il cammino nella splendida cornice di un bosco di larici di rara bellezza. Poi la pista piega a sinistra e noi la lasciamo, imboccando, a quota 1490 metri, un sentiero (che nel primo tratto è assai largo) che effettua un lungo traverso sul selvaggio e scosceso del fianco meridionale della Valle di Pai (“val dè pài”, che scende dalla bocchetta di Stavello e segna il confine fra il comune di Gerola, a sud, e quello di Pedesina, a nord; la denominazione deriva, probabilmente, da un cognome, come Fai, Nai e simili).
Il sentiero procede con qualche saliscendi, all’ombra di un bosco, su un versante quasi sempre umido (attenzione, soprattutto di prima mattina, ai sassi scivolosi). Ad un certo punto un pannello ci informa che questa zona rientra in un Sito di Interesse Comunitario per la presenza di habitat e specie animali e vegetali pregevoli e, come tale, è stata oggetto, nel triennio 1999-2002, di interventi selvicolturali per la conservazione degli ambienti, di interventi di rinaturalizzazione di sentieri secondari e tracce, di sfalci e decespugliamenti, di opere di recupero di situazioni di degrado. Poi usciamo ad una radura e vediamo, alla nostra destra, una deviazione: un sentierino, segnalato da segnavia bianco-rossi, lascia quello che procede in piano e scende sul fondovalle, dove sentiamo scrosciare il torrente. La breve discesa, su traccia piuttosto stretta ed insidiata dalla bassa vegetazione, porta ad un ponte in legno che ci permette di attraversare il torrente (“ul bit de la val de pài”; “bit” è termine generico che significa “torrente”), a quota 1497. Prima del ponte ci raggiunge da destra il sentiero che sale da Ravizze (ma, in questo punto, è piuttosto sporco).
Oltrepassando il ponte passiamo dal territorio di Gerola a quello di Pedesina, e troviamo tre cartelli: il primo (sentiero 130) segnala che, percorrendo il sentiero appena menzionato, si scende a Ravizze in 50 minuti; il secondo segnala che, nella direzione dalla quale proveniamo, si raggiunge Laveggiolo in 30 minuti, alla Casera di Trona in 2 ore e 50 minuti ed il lago di Trona in 3 ore; il terzo, infine, segnala che, nella direzione in cui procediamo, ci si porta all’alpe Stavello in un’ora, all’alpe Combana in un’ora e mezza ed all’alpe Culino in 2 ore e mezza. Una scritta sbiadita sugli ultimi due cartelli ci informa che la direttrice alpe Culino-lago di Trona si inserisce nella Gran Via delle Orobie (G.V.O.). Riprendiamo, dunque, il cammino sul sentierino che riguadagna rapidamente quota sul ripido fianco settentrionale della valle. Dopo qualche tornantino, ci raggiunge, da sinistra, un sentierino pianeggiante, prosecuzione del sentiero che abbiamo lasciato sul lato opposto della valle per scendere al ponte (anch’esso si porta ad un guado del torrente, meno agevole, però). Qui prendiamo a destra e ci allontaniamo dal torrente della valle, avvicinandoci ad una vallecola minore; abbiamo l’impressione di doverla attraversare, ma di nuovo il sentiero piega a sinistra e se ne allontana. Ogni tanto, su qualche sasso, troviamo segnavia bianco-rossi e la sigla GVO. Pieghiamo di nuovo a destra e, con qualche serpentina, raggiungiamo un primo gruppo di ruderi di baita, mentre sulla destra vediamo di nuovo la vallecola minore; un po’ più avanti, a quota 1590, troviamo il rudere di una baita più grande, con la scritta 130/GVO, a significare che il tratto che percorriamo è parte del sentiero 130 e della Gran Via delle Orobie. La salita non dà tregua: il sentiero procede con tornantini in una rada macchia di larici, poi approda ad una nuova radura e di nuovo troviamo, a quota 1690 metri, un rudere di baita, passando alla sua sinistra.
Superata un’altra macchia, raggiungiamo, a quota 1790 metri, il limite di una più ampia radura, che il sentiero attraversa stando per un tratto sul lato sinistro, poi tenendo il centro; all’inizio ed alla fine della traversata su due grandi massi sono segnati altrettanti segnavia con la solita sigla GVO. Stiamo attraversando luoghi di profonda solitudine, nel cuore della Valle di Pai che non si mostra, qui, oscuro e selvaggio, ma luminoso e gentile. Il sentiero si fa, ora, decisamente più marcato (ma, stranamente, non è segnalato sulla carta IGM) e riprende a salire verso destra, superando anche cinque grandi larici, che ci colpiscono per il loro portamento. Poco dopo il sentiero volge a sinistra ed effettua un secondo traverso, proponendo poi una sequenza di tornanti dx-sx-dx-sx-dx, prima di congiungersi, a quota 1870, con un sentiero pianeggiante che proviene, sulla sinistra, dall’alpe Svanollino (“sguanulìgn”; si tratta della “stràda de sguanulìgn”).
Dopo aver gettato uno sguardo in questa direzione, che ci permette di distinguere, sulla testata della Val di Pai,  la bocchetta di Stavello, prendiamo a destra, salendo su una larga mulattiera che ben presto diventa esposta sul lato destro (c’è un salto sicuramente mortale); per questo sul lato sinistro, chiuso da una parete rocciosa, è stata posta, per un buon tratto, una corda fissa di protezione, anche se la sede della mulattiera è tanto larga da consentirci di salire in sicurezza. Probabilmente il pericolo maggiore non sta alla nostra destra, ma alla nostra sinistra, visto che una scarica di sassi o una microfrana è evento assai raro, ma non impossibile. Meglio, dunque, non indugiare. La mulattiera termina, dopo una semicurva a sinistra, alla parte bassa dei prati dominati dal baitone e dalla casera di Stavello (“baitùn” e “casera de stavél”, m. 1944, nella parte bassa dell’alpe omonima; il termine deriva dal termine dialettale “stabiéll”, stalla, e si trova anche in altri luoghi della Valtellina, cioè in Val Lesina, in Val Grosina, sopra Tirano e Lovero).


Il rifugio Alpe Stavello

Il baitone è stato ristrutturato ed ospita oggi l'azienda agrituristica e rifugio Alpe Stavello, aperto nella stagione estiva, che offre servizio di pernottamento su prenotazione (telefonare al 334 7652242; cfr. www.alpestavello.it; per contatti via mail info@alpestavello.it), oltre alla possibilità di ristorazione e di consultazione di un'interessantissima biblioteca.
L'alpe è menzionata già in un documento del 1291, l'atto di vendita dell'alpeggio dalla famiglia Gamba di Bellano ai Capifamiglia di Pedesina. A quel tempo l'alpe Stavello comprendeva anche gli attuali alpeggi di Combana e Combanina. Dopo la Prima Guerra Mondiale la proprietà dell'alpe passò alla famiglia Martinelli di Morbegno, che ancora la possiede. Fino a quegli anni l'alpeggio caricava circa 100 capi e vi lavoravano dalle 20 alle 25 persone, una vera e propria piccola comunità con le sue figure e gerarchie, i riti ed i ritmi della vita d'alpeggio di cui oggi si stenta ad immaginare la durezza.

Dalla casera, come segnalano alcuni cartelli, partono due sentieri: quello di destra, prosecuzione della Gran Via delle Orobie, si porta all’alpe Combana, dopo aver aggirato un dosso boscoso (l’alpe Combana è data a 30 minuti, l’alpe Culimo ad un’ora e 20 minuti e l’alpe Piazza a 3 ore e 20 minuti); quello di sinistra, invece, ritorna verso la Val di Pai, portandoci al suo grandioso anfiteatro superiore (sentiero 115: la bocchetta di Stavello è data ad un’ora e 10 minuti, il monte Rotondo a 2 ore e 20 minuti). È quest’ultima la nostra direzione. La mulattiera parte appena a destra dei cartelli (la segnala un primo segnavia rosso-bianco-rosso), poi sembra perdersi un po’, ma non possiamo sbagliarci. Passiamo a destra di una croce in legno, per poi piegare a sinistra e tagliare, con ampio arco verso destra, lo sperone roccioso che divide in due l’alta Val di Pai (sezione settentrionale, a monte della casera di Stavello, e meridionale, verso la quale stiamo salendo). In un punto la mulattiera è esposta ad un salto pauroso a sinistra; dopo averlo superato, volgiamoci per ammirare l’ardito muro a secco che lo sostiene in quel punto. Nelle giornate limpide le rocce rossastre e color ruggine, sposandosi con il verde intenso dei larici ed il blu del cielo, compongono una sinfonia cromatica che è pura gioia per gli occhi.
Superato lo sperone roccioso, la mulattiera torna modesto sentiero, mentre davanti a noi l’alta Val di Pai squaderna tutta la sua luminosa e solitaria bellezza. Superato un torrentello, il sentiero sembra perdersi fra l’erba, ma poi lo ritroviamo quasi subito, e ci porta ad un secondo torrentello, che scende da una gola rocciosa davvero suggestiva. Poi un tratto elegantemente scalinato supera un roccione liscio, ed usciamo in vista della baita più alta di questa sezione dell’alpe, che raggiungiamo dopo aver superato un terzo torrentello. Si tratta della “baita del dòos trùnch”, perché è posta, a quota 2095, alla base di un dosso abbastanza ripido. Fin qui abbiamo seguito la mulattiera che porta alla bocchetta di Stavello; ora la lasciamo, per salire, a vista, alla bocchetta che ci permette di passare alla Valle Combana.
Cominciamo a salire alle spalle della baita, verso sinistra, piegando, appena possibile, a destra, superando un torrentello e passando vicino ad un rudere di baita a quota 2140 metri. Qui troviamo una traccia di sentiero che prosegue verso destra, in direzione di un grande ometto sulla parte sommitale del dosso che divide l’alta Val di Pai, e supera il torrentello che, più in basso, scende nella gola di roccia che abbiamo visto salendo dalla casera di Stavello. Superate alcune balze erbose, dietro le quali occhieggia, con effetto sorprendente e quasi magico, il monte Disgrazia, giungiamo in vista della baita quotata 2178 metri (“bàita del pegurèr”), posta su uno splendido terrazzo, dal quale il colpo d’occhio sul gruppo del Masino e sulla testata della Valmalenco è molto buono. A valle della baita, il grande ometto che abbiamo già scorto salendo; a monte, altri due grandi ometti. Teniamo presente che si può salire fin qui, a vista e per via più breve (ma anche molto meno interessante) partendo dalla casera di Stavello e procedendo verso destra.



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Riprendiamo la salita puntando all’ometto più alto, di sinistra, per poi piegare a sinistra e raggiungere il centro del vallone che scende alla casera di Stavello, per poi seguirlo stando leggermente sul lato sinistro, fino ad un rudere di baita a quota 2265 metri. Siamo alle soglie di un ampio pianoro nell’alta Val di Pai che, sul lato opposto, ospita anche un micro laghetto: luogo incantevole, foriero di pensieri filosofici o forse, più semplicemente, di pensieri felici. Può darsi che gli assilli, qui, allentino la loro presa e, per qualche attimo, rispettino il profondo silenzio dell’oblio. Chissà. Intanto diciamo che la puntata al laghetto allunga l’itinerario di salita, che, dal rudere, prevede che si penda a destra, attraversando un corpo franoso ed attaccando il ripido versante erboso sotto il crinale che separa l’alta Val di Pai dall’alta Val Combana. Prendiamo come riferimento una sorta di panettone roccioso che si distingue abbastanza bene sul crinale (“ul pizzöl”), e saliamo, faticosamente, in quella direzione. Poco sotto la fascia di rocce intercettiamo, con grande sollievo, un sentiero marcato che proviene da sinistra (giunge fin qui dopo una lunga traversata dell’alta valle). Lo seguiamo, verso destra, ed in breve, superato con attenzione un ultimo tratto esposto dove la traccia è meno marcata, siamo alla bocchetta dell’Uschiòlo, sul crinale omonimo (“buchéta de l’üs-ciöl”), a 2341 metri di quota (sulla carta IGM è quotata, ma non nominata).



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Varchiamo, così, il confine che separa il bacino dell’alpe Stavello da quello dell’alpe Combana. Eccola, davanti a noi, l’ampia e solitaria alpe Combana, con il suo grande e regolare anfiteatro terminale, che ricorda la forma di uno scafo. Scafo: “cumba”, in latino. Che sia questa la radice del suo nome? La probabilità di incontrare qualcuno in Val di Pai è assai bassa; in alta Val Combana, si può azzardare, è prossima a zero. Eppure i luoghi non solo desolati, selvaggi: la valle è quasi accogliente, gentile. Ottimo il panorama, dalla bocchetta: verso nord-ovest si vedono molte delle cime della Valchiavenna, poi, procedendo verso destra, la testata della Val dei Ratti, l’intero gruppo del Masino, un buono scorcio sulla testata della Valmalenco, il gruppo Scalino-Painale, le cime della Val Grosina, alcune cime dell’alta Valtellina, il gruppo dell’Adamello, le più alte cime della sezione centrale delle Orobie. Ma in primo piano si pongono il monte Rotondo (m. 2496), sulla testata della Val di Pai, ed il monte Stavello (m. 2416), su quella della Val Combana.


Val Combana

Non male, davvero. Vediamo, ora, come scendere. Non esiste una traccia di sentiero marcata, per cui bisogna procedere in buona parte a vista. Procediamo per un brevissimo tratto sul crinale e cominciamo a scendere su un versante in buona parte sassoso; portiamoci un po’ a destra, fino ad intuire una traccia di sentiero, che scende con qualche tornantino, poi volge a sinistra, finendo per perdersi a quota 2265. Davanti a noi, l’arrotondata cima del monte Stavello, sull’angolo di sud-ovest della valle. Procediamo nella medesima direzione, giungendo vicino ad un roccione, alla nostra sinistra, che sembra un ricovero: qui torna a farsi vedere la traccia, che procede, salendo, ora, in direzione del monte Stavello. Se vogliamo allungare di un’ora l’escursione, possiamo puntare alla sua vetta, non difficile da raggiungere. In caso contrario, invece di continuare a salire, prendiamo a destra e scendiamo, sulla traccia che un po’ c’è ed un po’ latita, cercando la via meno faticosa ed evitando le colate di massi.
Ci portiamo, così, al pianoro superiore della valle, ma più in basso rispetto alla  “tèrza curt”, o “tèrza curt del làach”, che resta alla nostra sinistra, sul versante opposto, ed è chiamata così perché vi si trova un microlaghetto (“ul làach”). Noi siamo, invece, in prossimità della “segùnda curt”, dove si trova anche un rudere di baita (m. 2110). La successiva discesa avviene a vista, restando leggermente a destra rispetto al centro della valle ed a sinistra del ramo di destra del torrente della valle. Giungiamo, così, alla “prüma curt”, la più bassa, a 2031 metri, dove si trova una baita. Le tre corti sono complessivamente indicate, sulla carta IGM, come Alpe Piazzi di Fuori, toponimo che, però, non ha riscontro nell'uso locale. Ora dobbiamo portarci decisamente a destra, in direzione del ramo di sinistra del torrente della valle, puntando al limite alto del bosco di larici che costituisce il punto più alto cui giunge la fascia boschiva della valle.
Appena a sinistra del torrente ed appena sopra gli ultimi larici, a quota 1975, troviamo, finalmente, il sentiero marcato che sale all’alta valle dalla parte più bassa dell’alpe, superandone il gradino di soglia. Attenzione a non mancarlo: anche se scendendo non lo vediamo, sul lato di destra della valle c’è un salto roccioso dal quale scende una cascata. Il sentiero scende a sinistra, poi propone qualche tornantino e si porta più o meno al centro della valle: sotto di noi vediamo già l’ampio recinto dell’alpe bassa e l’edificio della casera di Combana (“casèra de cumbàna”, m. 1810). Procediamo con alcuni tornantini, passando a destra di un rudere di baita; poi la traccia diventa decisamente meno marcata, ma, con discesa diretta, ci porta senza problemi sull’angolo alto di sinistra del recinto per il bestiame. È interessante ricordare che sul versante per il quale siamo scesi si trova anche una sorgente denominata “Acqua di san Carlo” (“acqua de san carlo”): non è l’unica, in Valtellina (ce n’è una nella vicina Gerola, una seconda all’Aprica, una terza in Valfurva ed una quarta sotto la chiesetta di San Colombano) e, come le altre, è legata alla leggenda del grande santo della Controriforma che, passando in Valtellina, operò in più luoghi il miracolo di far scaturire dalla roccia nuove fonti o di rendere limpide le acque di fonti d’acqua torbida.
Seguendo il muretto del recinto, passiamo a sinistra della casera di Combana, per poi piegare decisamente a destra e passare appena sotto l’edificio; riprendiamo poi a salire, per intercettare il sentiero della Gran Via delle Orobie, poco prima che questo entri, sempre in salita, in un bosco di larici, a quota 1870 metri circa. Sul sentiero ritroviamo i segnavia, che abbiamo lasciato iniziando la salita alla bocchetta dell’Uschiolo (questa salita e la successiva discesa per l’intera val Combana non sono, infatti, segnalate); dopo un breve tratto pianeggiante, riprendiamo a salire, con pendenza non eccessiva, ma senza soste, fino ad uscire dal bosco per effettuare l’ultima traversata che, superato un torrentello, ci riporta alla casera di Stavello. Qui prendiamo a sinistra e scendiamo a cercare la partenza della mulattiera con tratto servito da corde fisse. Dopo averla trovata, continuiamo a scendere per la medesima via di salita, fino a tornare all’automobile, nei pressi di San Giovanni.
Questo splendido anello comporta un dislivello approssimativo di 1020 metri e richiede circa 6-7 ore di cammino.

 

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