CARTA DEL PERCORSO


Buglio in Monte

Il celebre psicologo Jean Piaget scoprì che i bambini al di sotto dei sei anni sono dominati da una visione del mondo magico-animistica, per cui considerano che vi sia vita anche in quegli elementi che per noi appartengono al regno minerale. Così, secondo un suo esempio, osservando i ciottoli sul fondo di un corso d’acqua di cui hanno saggiato la temperatura rigida si domandano quanto freddo possano soffrire. Poi, dopo i sei anni, si afferma una visione più oggettiva e scientifica, e le pietre perdono, ai loro occhi, la vita. Non c’è vita, nelle pietre. Ma, ad una più attenta e diversa considerazione, possiamo scoprire qualche eccezione: alcune pietre conservano simboli, esprimono un linguaggio, ci parlano. Anche questa, in fondo, è una forma di vita. Gli esempi possibili sono davvero molti. Restringendo l’ambito di osservazione al territorio di Buglio in Monte, se ne trovano diversi, interessanti. Un giro sul versante che dal piano sale al paese di mezza costa e prosegue al cuore della Val Primaverta ci permetterà di scoprirne la profonda suggestione.


Corna di Danàa

Lasciata con l’automobile la ss 38 dello Stelvio allo svincolo segnalato per Buglio in Monte all’altezza della piana della Selvetta (sulla destra per chi proviene da Sondrio), giungiamo ad intercettare la strada provinciale Valeriana all’altezza della frazione di Villapinta. Qui volgiamo a sinistra e, dopo una salita, siamo ad una rotonda, dove prendiamo a destra, proseguendo sulla strada per Buglio in Monte. Ignorate due deviazioni sulla destra che portano al centro di Villapinta, proseguiamo, salendo, e, dopo una semicurva a sinistra, troviamo un tornante a destra. Superata una successiva sequenza di tornanti sx-dx, siamo ad un ponte sul torrente Pinta, in corrispondenza di una piazzetta con una bella fontana. Lasciata qui l’automobile, portiamoci sul lato destro della strada, appena sotto il ponte, dove si trova l’edificio della Latteria. Scendiamo sul lato sinistro della valletta, di pochi metri: sul lato opposto vedremo, quasi incastonata nei muri a secco, un roccione conosciuto localmente come Corna di Danàa. Racconta, infatti, una leggenda che si trattava di un enorme masso, in origine piantato sulle balze più alte della montagna, nel cuore della Val Primaverta. Durante un temporale di eccezionale violenza, le anime dannate confinate nei recessi di questa valle e condannate ad errare senza pace, approfittando della furia degli elementi lo sradicarono dal terreno e lo scaraventarono verso il basso. La furia delle acque del torrente lo trascinò giù, con forza immane, verso Villapinta. I dannati riuscirono, non si sa come, anche a farlo passare sotto il ponte della Latteria, che infatti rimase intatto. Ma poi una qualche forza protettrice degli uomini intervenne ed il masso si arenò pochi metri più in basso, con grande ira e scorno dei dannati, che videro naufragare il progetto di rovinare le case degli abitanti di Villapinta. Da allora il masso non si è più mosso, ed è rimasto lì, come un monito, un invito a non sottovalutare la potenza del male.


Ponte della Pelaröla

Riprendiamo la salita verso Buglio. Attraversata la frazione di Bugo, superiamo un tornante a sinistra ed una semicurva a destra, che ci riporta al torrente Pinta, scavalcato dal ponte detto della Pelaröla. Questa denominazione rimanda ad una seconda leggenda, quella della strega Pelaröla, una delle più terribili, che si nascondeva nelle selve nei pressi del ponte per tendere agguati, dopo il suono dell’Ave Maria della sera, alle sue vittime. Veniva chiamata così perché se le mangiava dopo averle pelate, e di loro si trovavano solo le ossa.
Dopo il ponte, siamo alle case di Buglio, l’ameno paese che per la sua bellezza si è meritato il titolo di giardino della Valtellina. Prima di arrivare alla piazza del municipio e della chiesa, in centro al paese, prendiamo a destra, seguendo le indicazioni per i maggenghi di Our, Merla e Verdel. Salendo su strette stradine, ci teniamo sulla sinistra, raggiungendo la parte alta del paese, dove, prendendo a sinistra, imbocchiamo la carrozzabile per Our (lür).  Dopo un primo tratto, troviamo un cartello che segnala, sulla destra, la partenza del sentiero per Nansegolo, con la scritta “Corna Lesa”. In realtà dobbiamo procedere ancora per un tratto, fino ad un nuovo canale con argini in cemento. Lasciata l’automobile ad una vicina piazzola, saliamo lungo l’argine del canale, fino a trovare la vecchia mulattiera per Nansegolo. Seguendola per un breve tratto, troviamo, sul suo lato destro, una pietra eccezionalmente levigata, la Còrna Lèsa, appunto. Per generazioni e generazioni, infatti, è stata utilizzata dai bambini come scivolo. Oggi nessuno più si diverte scivolandoci sopra, ma la vitalità ed il riso argentino di tutti i bambini cui ha regalato momenti di gioia sono rimasti qui, come parte di una sua misteriosa vita.


Corna Lèsa

Torniamo sulla strada per Our e ricominciamo a salire, prestando attenzione perché è stretta e priva di parapetti. Segue un tornante dx; al successivo tornante sx, siamo alla località di Nansegolo (nanségul).  Archeggiata l’auto,mobile, incamminiamoci sulla stradina che passa tra le abitazioni. Dopo una breve salita, la strada, che diventa pista sterrata, comincia a scendere. Dobbiamo, ora, prestare attenzione alla nostra sinistra, per scovare la partenza del sentiero che traversa in Val Primaverta, portandosi sul suo versante orientale. Imboccato il sentiero (sentée di vòlti), che sale gradualmente, dopo pochi minuti troviamo la strada quasi sbarrata da un enorme masso erratico, la Còrna Perpesòia. Anche questo masso è legato ad una leggenda. La sua posizione ne fa una potenziale minaccia per l’abitato di Buglio, perché se dovesse mettersi in movimento, niente lo potrebbe più fermare.


Corna Perpesoia

Qualcosa però, lo trattiene lì ed impedisce che il pericolo si concretizzi. Qualcosa di profondo. Di profondo come un sentimento. Come il sentimento dell’amore. Sì, perché questo masso, dietro la scorza durissima, cela un cuore che batte per la sua innamorata, o morosa. Pegno del fidanzamento è un anello che si trova proprio alla sua sommità. Guai anche solo a pensare di portarlo via! L’incanto dell’amore si spezzerebbe, e nulla tratterrebbe più lì il masso. Ed allora per Buglio sarebbero dolori! Ah, giusto, chiedete di cosa mai possa essere innamorato un masso. Non dirò di una massa, perché in italiano la parola significa altra cosa, ma di un altro masso con anima femminile. Basta proseguire per circa duecento metri ed eccola lì, la Corna Muruşa. Più piccola, rotondetta, un po’ civetta, forse. Da tempi immemorabili l’idillio lega questi due pietroni. Per ora nessuna forza umana o sovrumana ha potuto spezzarlo.


Corna Murusa

Edificati da questa bella storia, torniamo sui nostri passi e riprendiamo a salire in automobile. Dopo un tornante sx, siamo ad un bivio al quale prendiamo a sinistra. Segue un lungo traverso, esposto sul lato sinistro, ed una sequenza di tornanti dx-sz-dx-sx. Prima dell’ultimo tornante dx che precede le baite di Our di Fondo, vediamo, sulla destra, una pista con fondo erboso. Lasciamo l’automobile al più vicino slargo ed incamminiamoci su questa pista, fino ad arrivare all’ultima baita, dove troviamo anche una sbarra. Sotto la baita troviamo un ripido pendio di prati. Scendendo più o meno sulla verticale della baita, giungiamo al limite del bosco, dove cerchiamo una larga mulattiera, l’antica mulattiera che veniva utilizzata per salire ai maggenghi di Our di Fondo e di Cima. Una volta trovata, la seguiamo, in discesa, per breve tratto, verso destra. Troveremo, sul suo lato sinistro, il più arcano dei sassi, chiamato “Ul Pè dul Signùr”, perché reca impressa l’orma del piede del Signore, che di qui spiccò un balzo traversando tutto il fondovalle, fino ad Alfaedo (qui si trova un altro masso con la sua impronta; per la cronaca, ne è segnalato, con tanto di cartello, un terzo nei boschi del versante settentrionale del Culmine di Dazio, non distante da qui).


Pè dul Signùr

Questo masso fu sempre oggetto di grande rispetto, venerazione, addirittura, da parte della gente del posto. Una leggenda rafforza questa venerazione. Si narra che un giorno un giovane, giocando a fare carambola con il masso, inavvertitamente lo mise in movimento, facendolo rotolare giù, lungo il pendio boscoso. Spaventato, non disse nulla a nessuno. Senonchè nel giro di pochi giorni cominciò a star male: avvertiva forti dolori di cui il medico non sapeva spiegarsi l’origine. Il padre, allora, preso dal sospetto, gli chiese se avesse fatto qualcosa. Allora il giovane scoppiò in lacrime e gli confessò quello che aveva combinato. Il padre non ebbe dubbi: era quella l’origine del male. Da esperto conoscitore dei boschi, non ci mise molto a trovare il masso ed a ricollocarlo là dove era sempre stato. E subito il figlio guardì. Ora, sarà inutile raccomandare a tutti il massimo rispetto per questo segno, che sembra, in qualche modo, partecipare di una vita sovrannaturale. Termina qui questa breve ricognizione alla scoperta delle pietre che vivono. E che, ancora, parlano agli uomini.


Val Primaverta

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