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Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Diga di Gera-Alpe Gembrè-Bivacco Anghileri Rusconi-Piz Varuna
5 h e 30 min.
1600
EE
SINTESI. Saliamo in Valmalenco e raggiungiamo Lanzada, proseguendo per Canpo Franscia e Campomoro e parcheggiando in fondo alla pista, sotto il muraglione della diga di Gera (m. 1990). Saliti al camminamento, stiamo sulla destra e percorriamo il sentiero che corre a destra del lago di Gera. Ignoriamo la deviazione a destra per la Val Poschiavina, scendiamo in un vallone e risaliamo fino a raggiungere l'alpe Gembrè (m. 2224). Prima di giungere all'alpe, dobbiamo superare due croci, una di ferro ed una di legno; pochi metri oltre le croci, lasciamo il sentiero principale per seguirne uno meno marcato, che raggiunge due baite ed una piccola fontana, proseguendo verso nord-est. Il sentiero ben marcato risale il ripido gradino erboso e roccioso, dapprima verso sinistra, poi con alcuni tornanti, e si affaccia al primo pianoro della Val Confinale (m. 2400). In mezzo al pianoro, un modesto ricovero diroccato per i caricatori d'alpe. Qui la traccia si fa molto debole, ma con un po' di attenzione riusciamo a seguirla, anche perché prosegue diritta verso il centro del pianoro, a sinistra della sommità di un dosso pratoso. Ci ritroviamo ai piedi di una formazione rocciosa arrotondata, presso un grande ometto. La aggiriamo sulla sinistra e ci ritroviamo nei pressi di un torrentello che scende da un grande vallone. Seguiamolo, lasciandolo sempre alla nostra sinistra: in breve ritroviamo il sentiero, segnalato anche da evidenti ometti. Risalito il canalone, raggiungiamo una bella spianata. Prendendo a sinistra saliamo facilmente al bivacco Anghileri-Rusconi (m. 2654). Volgiamo, quindi, a nord e cominciamo a salire, inizialmente verso sinistra: troveremo subito il cippo di legno con il numero 5. Pieghiamo, poi, a destra e varchiamo una piccola porta. Troveremo il sentiero, abbastanza marcato, ed i segnavia: non perdiamoli, perché il varco che supera la fascia di rocce non è individuabile ad occhio nudo. Procedendo verso destra, giungiamo ad un canalino, che il sentiero taglia, per poi risalire, con un breve tratto esposto, uno speroncino roccioso: qui dobbiamo prestare, ovviamente, una particolare attenzione (in presenza di neve o con rocce bagnate, il passaggio è sconsigliabile). Superato quello che è l'unico passaggio veramente delicato dell'escursione, approdiamo ad un più tranquillo crinale erboso, risalito il quale ci troviamo ai margini di una sorta di altipiano ondulato. Memorizziamo bene questi luoghi, perché, nel ritorno, se non prestiamo attenzione possiamo portarci fuori strada, dal momento che il corridoio che porta all'attacco del canalino non è affatto evidente. Il sentiero serpeggia fra gande, pianori e collinette, passando a sinistra dei due laghetti di quota 2805. Oltrepassiamo anche il cippo di legno con il numero 8, prima di passare a sinistra di un terzo e più grande laghetto, a quota 2909, che precede, di poco, il punto in cui la traccia raggiunge la sella che si affaccia sull'ampio bacino della vedretta di Varuna. Salendo alla sella, troviamo anche, su un masso, l'indicazione di un bivio, al quale andiamo a destra (indicazione Varuna). Prendiamo a destra e procediamo verso nord-est, seguendo i segnavia bianco-rossi, tagliando un pianoro morenico e passando a lato del laghetto di quota 2845. Puntiamo al largo imbocco dell’evidente canalone che dalla base del versante occidentale del massiccio sale fino alla cresta, restringendosi nella parte medio-alta. Si tratta di un canalino ripido, che nella parte terminale assume una tendenza prossima al 40%. A stagione avanzata ha un fondo prevalentemente di sfasciumi e terriccio, con nevaio nella parte alta. La salita nella prima parte è solo faticosa (anche se ci vuole grande attenzione per la caduta di sassi), ma nell’ultima richiede grande cautela, per evitare scivolate pericolosissime (ramponi e picozza sono consigliatissimi). Al termine della salita accediamo al crinale, che seguiamo verso nord, in direzione della cima. La cresta non è mai troppo stretta, ma è esposta, per cui va seguita con attenzione, per la presenza di neve ed anche di cornici. Dopo una breve discesa saliamo verso l’anticima, che raggiungiamo dopo aver superato una fascia di roccette che richiedono elementari passi di arrampicata. Ad una successiva discesa segue l’ultima rampa, sul filo di cresta assottigliato, fra massi e semplici blocchi, fino al grande ometto della cima del Piz Varuna (m. 3453).


Apri qui una fotomappa delle valli Confinale e Poschiavina

Il Piz Varuna (sulla carta IGM, con curiosa italianizzazione, Pizzo Verona, m. 3453) presidia l’angolo nord-orientale della Val lanterna, quindi della Valmalenco. A dispetto del nome, la sua cima, poco pronunciata, si distingue appena sopra poderosi contrafforti rossastri (le rocce prevalenti sono parascisti di epizona, con intercalazioni di ortogneiss sul versante orientale), che guardano al bacino di Fellaria orientale. Questa cima è già citata nella carta Topografica del Lombardo-Veneto del 1833. “Varuna”, ovviamente, non ha nulla a che vedere con la veneta Verona, ma è un toponimo che deriva dalle sottostanti sul versante della Valle di Poschiavo) valle ed ale Varuna, ed è forse riconducibile alla radice germanica “wer”, cioè “sopra”, da cui “werona”, nel senso di “alpe superiore”. La prima ascensione documentata è quella del 6 luglio 1865, effettuata da F. F. Tuckett, W. Freshfield, H. E. Buxton, F. Devouassoud e J. B. Walther, che però trovarono sulla cima un ometto.


Il lago di Gera

La salita al pizzo richiede buone condizioni di visibilità e grande esperienza escursionistica, oltre che piccozza e ramponi per affrontare la seconda parte del canalone che adduce alla cresta. L'itinerario si snoda dalla diga di Gera alla Val Confinale, dove si può assumere come punto di appoggio che divide in due giornate l'impegno il bivacco Anghileri-Rusconi.
Si tratta di zone meno frequentate rispetto ai luoghi classici dell'escursionismo in Valmalenco, ma di una bellezza particolarissima, che non ha nulla da invidiare agli scenari più noti. Il passo Confinale, poi, ha anche un interesse storico non trascurabile: insieme ai passi di Ur e Cancian, infatti, costituisce una porta abbastanza agevole per passare dalla Valmalenco alla Val Poschiavina, in territorio svizzero. Una curiosità sul nome: esso è in realtà erroneo, perché la denominazione originaria è "canfinàal", dalla sottostante alpe Canfinale (etimologicamente, del campo finale, più alto), in territorio elvetico; la presenza del confine di stato, però, ha indotto a registrare l'attuale denominazione.

 


La diga di Gera

La salita al passo ha come punto di partenza il piazzale antistante alla poderosa muraglia della diga di Gera. Lo si raggiunge facilmente salendo, oltre Lanzada, verso Campo Franscia (localmente solo “franscia”; l’aggiunta di “Campo-“ si deve ad una situazione curiosa: la Guardia di Finanza progettò di costruire a Campomoro una caserma; il progetto, però, mutò e la scelta cadde su Franscia, ma nei documenti, già pronti, venne cancellato solo –moro, sostituito con –franscia; così nacque il toponimo “Campofranscia”) e proseguendo, su strada interamente asfaltata, per altri 6 km, fino a Campomoro. Qui la strada asfaltata cede il posto ad una pista sterrata che fiancheggia il lato orientale della diga omonima (m. 1990) e conduce all'ampio piazzale sotto la diga di Gera. Guadagnata la sommità dello sbarramento seguendo la stradina asfaltata, ci troviamo di fronte ad un bivio.
Attraversando lo sbarramento, verso sinistra, si sale al rifugio Bignami. Noi dobbiamo invece seguire le indicazioni per Il giro del lago di Gera, L'alpe Gembrè e La val Poschiavina. Percorriamo così una pista sterrata intagliata nel fianco roccioso della montagna, che, ad un certo punto, inizia a salire in val Poschiavina. La dobbiamo seguire solo per un tratto: non appena scorgiamo, alla nostra sinistra, un ponte sul torrente della valle, dobbiamo lasciarla e seguire un sentiero che, valicato il torrente, sale all'alpe Poschiavina per poi scendere bruscamente per diverse decine di metri, riavvicinandosi al bacino artificiale.


L'alpe Gembrè

Dopo essere passati sotto un impressionante artiglio roccioso, raggiungiamo, con un ultimo tratto pianeggiante, l'alpe Gembrè (m. 2224), dove, d'estate, troveremo sempre qualcuno disposto ad offrirci preziose indicazioni. L'alpe, chiamata localmente giumbréie o gembrée, venne assegnata alla quadra di Lanzada nella ripartizione del 1544 ed è caricata da alpeggiatori di Tornadri – Lanzada -; interessante la struttura delle 15 baite, alte, al centro, quanto una persona, coperte di lastroni di pietra, con il focolare in un angolo ed un rialzo per i pagliericci nell’altro. La curiosa conformazione di queste baite lillipuziane colpì, fra gli altri, miss Elizabeth Tuckett, sorella del celebre alpinista inglese Francis Fox Tuckett, che con lui vi bivaccò nel 1864, disegnandone uno schizzo corredato dalla didascalia: "Second night's biouac at the lilliputian chalets of the Fellaria Alp". Gli aspetti sorprendenti dell'alpe non finiscono qui. Vi sono stati ritrovati resti di tronchi di larice, ad una quota superiore rispetto al limite alto del lariceto, il che suggerisce che in passato vi siano state una o più fasi climatiche caratterizzate da temperature medie più elevate delle attuali, cosa che, in effetti, sembra abbia caratterizzato il tardo Medio-Evo. Prima di giungere all'alpe, dobbiamo superare due croci, una di ferro ed una di legno; pochi metri oltre le croci, lasciamo il sentiero principale per seguirne uno meno marcato, che raggiunge due baite ed una piccola fontana, proseguendo verso nord-est. La traccia è ben marcata, ma le segnalazioni (bolli rossi) sono rare. Comunque non possiamo sbagliare: il sentiero (strada di vàchi) risale il ripido gradino erboso e roccioso, dapprima verso sinistra, poi con alcuni tornanti.

 

Il bivacco Anghileri-Rusconi

Qualche pausa ci permette di ammirare il panorama alle nostre spalle: da sinistra, la diga di Gera (incorniciata, sullo sfondo, dal monte Canale e dal versante occidentale della bassa Valmalenco, sul quale si stendono gli alpeggi di Torre S. Maria), il poderoso massiccio del Sasso Moro (m. 3108),  il pizzo di Caspoggio (m. 3136; fra le due cime, nascosta, la forca di Fellaria - buchèl de felérìe), la bocchetta di Caspoggio (m. 2983), le cime quotate 3011, 2940 e 2852, che separano l'alpe di Fellaria dal pianoro del ghiacciaio di Fellaria, la lingua occidentale del ghiacciaio di Fellaria, i due maestosi corni dei pizzi Argient e Zupò (m. 3945 e 3995), che si impongono per eleganza e bellezza, e, infine, l'affilato profilo del Sasso Rosso (m. 3481). Su un poggio roccioso, sotto il vallone della bocchetta di Caspoggio, riconosciamo, poi, il rifugio Bignami (m. 2385). In basso, infine, si apre l'ampia conca terminale della valle, sovrastata dal salto roccioso dal quale cadono le cascate di Fellaria. Uno scenario grandioso ed armonico, dove ogni elemento sembra essere al suo posto. Un'armonia che, però, nasconde un antichissimo e segreto dolore: mentre gambe e polmoni ci fanno avvertire la momentanea fatica della risalita del ripido crinale, rivolgiamo il pensiero alla millenaria fatica che il pizzo Zupò deve sostenere, la sofferenza di dovere cedere, per 5 soli metri, la palma di 4000 più orientale dell'arco alpino alla vicina cima del pizzo Bernina.

Ripreso il cammino, raggiungiamo un bellissimo pianoro, a quota 2400. Memorizziamo il punto di approdo, in funzione della discesa; se sbagliamo, infatti, rischiamo di trovarci sul ciglio di un pericoloso salto roccioso, il "sas de saguréte".
Siamo al grande pianoro di pascoli è chiamato localmente “saguréte”, o ciàn de saguréte”, percorso dal torrentello chiamato "acqua di cagnòz", che scende dal passo di Confinale. In mezzo al pianoro, un modesto ricovero diroccato per i caricatori d'alpe. Qui la traccia si fa molto debole, ma con un po' di attenzione riusciamo a seguirla, anche perché prosegue diritta verso il centro del pianoro, a sinistra della sommità di un dosso pratoso. Sul lato opposto rimane nascosta al nostro sguardo una baita diroccata, mentre in alto, a sinistra, si vede bene lo scatolone arancione del bivacco Anghileri-Rusconi, collocato, in territorio italiano, poco distante dal passo. Vediamo ora chiaramente, levando lo sguardo alla nostra sinistra, anche la meta, la cima Fontana, la maggiore elevazione che chiude a nord-est la valle. Alle nostre spalle, intanto, a sinistra dei pizzi Argient e Zupò fa capolino, con un profilo affilato, la Cresta Güzza (m. 3869), alla cui sinistra si riconosce anche la punta Marinelli
(m. 3182), a destra della quale si stende la sella nevosa del passo Marinelli orientale (m. 3120).

Ci ritroviamo ai piedi di una formazione rocciosa arrotondata, presso un grande ometto. Possiamo aggirarla a destra o a sinistra. Scegliamo questa seconda soluzione e ci ritroviamo nei pressi di un torrentello che scende da un grande vallone. Seguiamolo, lasciandolo sempre alla nostra sinistra: in breve ritroviamo il sentiero, segnalato anche da evidenti ometti.
Risalito il canalone, raggiungiamo una bella spianata. Si tratta della secondo ampio terrazzo di pascoli a monte della conca dell’alpe Gembré, contrappuntato da modeste formazioni rocciose e tagliato dal confine con la Svizzera, è chiamato “saguréte zùra”. Qui la traccia ci porta diritta al passo Confinale (m. 2628), che immette in val Tempesta, laterale di destra della Val Poschiavina, in Svizzera. Poco sotto il passo scorgiamo facilmente un piccolo specchio d'acqua.
Per raggiungere il bivacco non dobbiamo però valicare il passo, ma piegare a sinistra e risalire un dosso erboso, fino alla quota di 2654 metri. Dalla partenza sono trascorse circa due ore, per un dislivello di circa 664 metri.

 

Ora dobbiamo prestare un po' di attenzione per individuare il sentiero che porta alla cima Fontana, dal momento che non è segnato sulle carte. Ci aiutano alcuni cippi di legno numerati, i segnavia bianco-rossi ed anche un buon numero di ometti. Si tratta di superare un primo gradino rappresentato da una fascia di rocce posta immediatamente a nord del bivacco, cioè alla nostra sinistra, se ci volgiamo in direzione del versante svizzero. Volgiamoci, quindi, a nord e cominciamo a salire, inizialmente verso sinistra: troveremo subito il cippo di legno con il numero 5. Pieghiamo, poi, a destra e varchiamo una piccola porta. Troveremo il sentiero, abbastanza marcato, ed i segnavia: non perdiamoli, perché il varco che supera la fascia di rocce non è individuabile ad occhio nudo.
Procedendo verso destra, giungiamo ad un canalino, che il sentiero taglia, per poi risalire, con un
breve tratto esposto, uno speroncino roccioso: qui dobbiamo prestare, ovviamente, una particolare attenzione (in presenza di neve o con rocce bagnate, il passaggio è sconsigliabile). Superato quello che è l'unico passaggio veramente delicato dell'escursione, approdiamo ad un più tranquillo crinale erboso, risalito il quale ci troviamo ai margini di una sorta di altipiano ondulato. Memorizziamo bene questi luoghi, perché, nel ritorno, se non prestiamo attenzione possiamo portarci fuori strada, dal momento che il corridoio che porta all'attacco del canalino non è affatto evidente.

 

Lago Nero di Varuna

Di fronte a noi, leggermente spostata a sinistra, in primo piano, la cima Fontana. Intuiamo, ora, anche lo sviluppo successivo dell'ascensione: è necessario attraversare l'altipiano in direzione nord, per poi attaccare il facile crinale orientale (di destra) che sale alla cima. L'occhio, però, è attratto dalla muraglia che chiude, a nord, l'orizzonte, la muraglia dal color rosso cupo del massiccio che scende, a sud-est, dal pizzo Varuna (m. 3453), la cui cima tondeggiante si intravede appena, in alto, sulla sinistra. Ripreso il cammino, oltrepassiamo un grande ometto ed un cippo di legno con il numero 7. Sulla nostra destra, ottimo è il colpo d'occhio sulla valle di Poschiavo, che raggiunge Poschiavo ed il lago omonimo.


Attacco del canalone per il crinale

Parte finale del canalone per il crinale

Il sentiero serpeggia fra gande, pianori e collinette, passando a sinistra dei due laghetti di quota 2805, le cui acque, illuminate dal sole, restituiscono un colore verde intenso. Il più grande è chiamato Lago del Lupo ed è presidiato da un curioso e simpatico panettone roccioso. Alla nostra sinistra, nascosto dietro un dosso morenico, sta il lago di varuna, dalla forma marcatamente allungata. Proseguiamo diritti edoltrepassiamo anche il cippo di legno con il numero 8, prima di passare a sinistra di un terzo e più grande laghetto, a quota 2909, chiamato Lago Nero di Varuna, che precede, di poco, il punto in cui la traccia raggiunge la sella che si affaccia sull'ampio bacino della vedretta di Varuna. Salendo alla sella, troviamo anche, su un masso, l'indicazione di un bivio: a sinistra si prende per la cima Fontana, a destra per il ben più impegnativo pizzo Varuna.


Il pianoro morenico ed il pizzo Scalino, a sud

Avvicinamento al canalone

Canalone di accesso alla cresta

Prendiamo a destra e procediamo verso nord-est, seguendo i segnavia bianco-rossi, tagliando un pianoro morenico e passando a lato del laghetto di quota 2845. Puntiamo al largo imbocco dell’evidente canalone che dalla base del versante occidentale del massiccio sale fino alla cresta, restringendosi nella parte medio-alta. Si tratta di un canalino ripido, che nella parte terminale assume una tendenza prossima al 40%. A stagione avanzata ha un fondo prevalentemente di sfasciumi e terriccio, con nevaio nella parte alta. La salita nella prima parte è solo faticosa (anche se ci vuole grande attenzione per la caduta di sassi), ma nell’ultima richiede grande cautela, per evitare scivolate pericolosissime (ramponi e picozza sono consigliatissimi).


Canalone di accesso alla cresta

Canalone di accesso alla cresta

Cresta

Al termine della salita accediamo al crinale, che seguiamo verso nord, in direzione della cima. La cresta non è mai troppo stretta, ma è esposta, per cui va seguita con attenzione, per la presenza di neve ed anche di cornici. Dopo una breve discesa saliamo verso l’anticima, che raggiungiamo dopo aver superato una fascia di roccette che richiedono elementari passi di arrampicata. Ad una successiva discesa segue l’ultima rampa, sul filo di cresta assottigliato, fra massi e semplici blocchi, fino al grande ometto della cima del Piz Varuna (m. 3453).

 

Straordinariamente ampio il panorama. Vediamo cosa ci presenta in una carrellata a 360, in senso orario, che parte da sud. Sul fondo, le Orobie centrali; più avanti, il crinale che separa, ad ovest, la bassa Valmalenco dalla media Valtellina, con il monte Canale ed il Sasso Bianco; in primo piano, la vicina cima Fontana.


Il piz Zupò visto dal piz Varuna

Alle sue spalle si intravvede la cima del più illustre monte Disgrazia (m. 3678). A destra del monte Disgrazia, la testata della Val Sissone (val de sisùm), che propone le cime di Chiareggio, la punta Baroni (m. 3203), il monte Sissone (còrgn de sisùm, chiamato anche piz sisùm e, dai contrabbandieri, “el catapìz”, m. 3331), le cime di Rosso (m. 3369) e di Vazzeda (m. 3297).

Davanti a   queste cime, che stanno sullo sfondo, dominiamo con lo sguardo i due ampi valloni che confluiscono nell'alpe Fellaria, e che culminano nella forca di Fellaria (porta che permette una facile traversata dal rifugio Bignami al rifugio Carate-Brianza) e nella bocchetta di Caspoggio (porta che permette la traversata Bignami-Marinelli per la vedretta di Caspoggio).


Cresta

Cima del piz Varuna

Piz Palù dalla cima del Piz Varuna

Il Piz Palù dalla cima del piz Varuna

Il piz Palù dalla cima del piz Varuna

La Valle di Poschiavo dalla cima del piz Varuna

A destra di questa bocchetta, la sezione occidentale del ghiacciaio di Fellaria, che sale alla sella del passo Marinelli orientale e propone, alla sua destra, la più occidentale delle due impressionanti seraccate che caratterizzano questo ghiacciaio. A sinistra del passo Marinelli vediamo la punta omonima, mentre a destra riconosciamo la Cresta Güzza.


Il gruppo del Bernina visto dal piz Varuna

Proprio dietro il passo, ecco, finalmente, un po' defilati, i giganti della testata della Valmalenco, la celeberrima triade dei pizzi Roseg (da “rösa” o “rosa”, massa di ghiaccio, m. 3936), Scerscen (m. 3971) e Bernina (m. 4050). A destra della Cresta Güzza, ecco di nuovo i pizzi Argient e Zupò e l'affilata punta del Sasso Rosso. Alla sua destra, il ramo orientale del ghiacciaio di Fellaria, che propone la seconda impressionante seraccata, sovrastata dalle tre cime del piz Palù Alla sua destra il piz Cambrena.


Ghiacciaio di Fellaria inferiore

Dighe di Campomoro e Gera

A destra di queste cime, si apre il profondo solco della Valle di Poschiavo e le montagne del versante orientale della Valle di Poschiavo. Alle sue spalle le cime della della Val Grosina; si distinguono, in particolare, la cima di Val Viola e la cima Piazzi.


I pizzi Argient e Zupò visti dalla cima del piz Varuna

Verso sud si distingue la vedretta del pizzo Scalino, sormontata, da sinistra, dal pizzo Canciano (m. 3103), dalla cima di val Fontana (m. 3228, consacrata a Papa Giovanni Paolo II dal 28 agosto 2005) e dal pizzo Scalino (m. 3323). Sul fondo, la catena delle Orobie.

 

CARTA DEL PERCORSO sulla base della Swisstopo, che ne detiene il Copyright. Ho aggiunto alla carta alcuni toponimi ed una traccia rossa continua (carrozzabili, piste) o puntinata (mulattiere, sentieri). Apri qui la carta on-line


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