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Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Area di sosta Solena-Malga di Forcola-Forcola di Rims-Punta di Rims-Bocchetta di Pedenoletto-Bocchetta di Pedenolo-Piani e malga di Pedenolo-Area di sosta Solena
7 h
1000
E
SINTESI. Oltrepassata Bormio in direzione della Valdidentro, ci si stacca sulla sinistra dalla ss. 38 dello Stelvio per immettersi sulla strada che sale al passo del Foscagno. Dopo aver superato il ponte allo sbocco della Valle del Braulio (qui si trova un’area picnic e da qui parte la pista che sale direttamente all’imbocco della Valle della Forcola, presso l’area di sosta di cui diremo), si giunge alla località di Fior d'Alpe Turripiano, dove, appena dopo la chiesa ed una semicurva a destra, si trova, segnalato, sulla destra lo svincolo per Pedenosso e Cancano. Si sale lungo la strada e ad un bivio si prende a destra (indicazioni per Cancano). Di qui in poi la strada, sempre abbastanza larga ed interamente asfaltata, porta ai piedi della muraglia rocciosa sul cui ciglio si affacciano le torri di Fraele e ci si affaccia alla Val Fraele. Dopo il lago delle Scale, ad un bivio si va a destra e si scende, con qualche tornante, al coronamento della diga di Cancano, lo si percorre interamente e, sul lato opposto della valle, si risale allo spiazzo del ristoro Solena. La pista prosegue fra i pini mughi, tocca l’alpeggio chiamato Grasso di Solena (alle falde del monte omonimo) e, dopo breve discesa, conduce all’area di sosta (Picnic Solena, 1993 m), dove dobbiamo parcheggiare. Ci incamminiamo sulla pista che si addentra in Valle della Forcola e superate due rogge porta alle Fornelle (m. 2025). Più in alto la valle si apre e raggiungiamo la malga di Forcola (m. 2311). Riprendiamo il cammino, sulla pista, ora meno marcata, che riparte a destra della casera (direzione est) ed inanella alcuni tornanti (sequenza sx-dx-sx-dx) per vincere un gradino di pascoli e roccette, portandoci, dopo un traverso a sinistra ed uno a destra, ad un verdissimo ripiano (m. 2500) nel quale attraversiamo un riposante corridoio erboso. Procediamo verso est e dopo una serie di tornanti raggiungiamo la Bocchetta o forcola di Rims (m. 2768). Ridiscendiamo poi per breve tratto, fino all’ex-caserma-ricovero; qui stacchiamoci dalla pista e cerchiamo, a destra dell’edificio in cemento, la partenza della larga mulattiera che risale il versante con andamento regolare e diversi tornanti, guadagnando ben presto il crinale e seguendolo per un tratto, fino ad una curiosa piazzola panoramica che si affaccia sulla Valle del Braulio. La mulattiera, ridotta a sentiero, si stacca poi dal crinale e comincia un lungo traverso che taglia il fianco occidentale del monte (paletti con segnavia rosso-verde e bianco). Poi il sentierino volge a destra e dopo lungo traverso porta alla cima della punta di Rims (m. 2947). Ridiscesi al ricovero dell’ex-caserma scemdiamo fino al vicino bivio per la bocchetta di Pedenoletto. Qui troviamo gli ultimi cartelli, lasciamo la pista per la quale siamo saliti e prendiamo a sinistra (indicazioni per la bocchetta di Pedenoletto), su largo sentiero che corre, con qualche saliscendi, tagliando la grande colata di sfasciumi che scende dai fianchi nord-occidentali del monte Braulio, passando a monte di una bella piana che ospita alcune pozze. La bocchetta di Pedenoletto, a quota 2790 metri, si affaccia su un altipiano (piano di Pedenoletto). Proseguiamo sulla pista che però è interrotta da una frana, per cui, poco prima di unl nevaietto, laddove il muro della pista termina, scendiamo, con cautela, per un canalone di sfasciumi, seguendo una labile traccia, fino alla parte bassa del nevaio, che si attraversiamo con facilità, quasi in piano, proseguendo, poi, a vista: attraversata una breve fascia di massi, saliamo, così, senza difficoltà, ad intercettare la pista per la bocchetta pochi tornanti sotto una bocchetta che introduce ad una specie di corridoio alto sospeso sul fianco orientale della Valle della Forcola. Poco più avanti, siamo alla bocchetta di Pedenolo (m. 2703), dalla quale, su regolare tracciato militare, scendiamo con diversi tornanti alla malga di Pedenolo (m. (m. 2384). Da qui scendiamo per un tratto e poi pieghiamo a destra, seguendo il sentiero che scende con tornantini verso ovest e poi scarta a destra (nord), effettuando un traverso che si confluce ad un ponte sul fondovalle, oltrepassato il quale siamo sulla pista sfruttata per salire in Valle della Forcola; per questa pista scendiamo al parcheggio del Picnic Solena.


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Nel 1493 il dominio degli Sforza sulla Valtellina e la Contea di Bormio era prossimo alla fine (nel 1500 sarebbero arrivati i Francesi, poi dal 1512 al 1797 le Tre Leghe Grigie), ma Ludovico il Moro, signore di Milano, pensava di essersi saldamente assicurato il potere alleandosi con l’Imperatore Massimiliano degli Asburgo d’Austria. A suggellare l’alleanza, il matrimonio della duchessa Bianca Maria Sforza con l’imperatore stesso. Bianca Maria venne in Valtellina dal Lago di Como, il suo corteo, spettacolo davvero inconsueto ed ammirato, la risalì interamente, fino alla Magnifica Terra.


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Scrive Enrico Besta (“Le Valli dell’Adda e della Mera nel corso dei secoli”, Milano, Giuffè, 1964): “A dicembre, sfidando impavidamente le nevi, poteva sicuramente salir verso lo Stelvio Bianca Maria, sorella di Gian Galeazzo, incontro al regale suo sposo. Quella, che già i Bormiesi chiamavano regina, era il grazioso pegno della amicizia poco prima suggellata fra Massimiliano e Ludovico il Moro…. Tutti avrebbero fatto certo del loro meglio per non sfigurare presso la bionda e diafana signora, “bianca di perle e bella più che il sole”, che sbattuta ancora per la tempesta del lago era tuttavia dolce dispensiera di sorrisi a coloro che le mostravano amore… Si pensa che accanto alla duchessa Bianca fosse anche Leonardo da Vinci e che da quella diretta visione della Valtellina traesse le impressioni che manifestò descrivendola.
Fu fatta alla regina la migliore accoglienza quando partì, Bormio (aveva fatto riguardare a dovere la via dell'Umbrail) la volle anche accompagnata fino al giogo da ben arredati balestrieri.”


Valle della Forcola di Rims

In che consisteva la via dell’Umbrail, detta anche “via dell’Ombraglio”, per il quale passò la futura consorte dell’Imperatore Massimiliano? Si trattava della “via breve di Val Venosta”. Ecco come la descrive, nel suo studio “Sentieri e strade storiche in Valtellina e nei Grigioni - Dalla preistoria all’epoca austro-ungarica” (ottobre 2004), Cristina Pedana, che offre un’efficace sintesi del sistema di comunicazioni fra Magnifica Terra e territori di lingua tedesca:
In Alta valle i passi ed i percorsi più importanti verso l'Engadina e la Val Venosta, frequentati probabilmente anche in epoche preistoriche, ma comunque largamente utilizzati dal Medioevo fino agli inizi del XIX secolo furono il passo di Umbrail o Ombraglio denominato "via breve di Val Venosta" e il passo di Fraele o "via lunga di Val Venosta".


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Entrambi avevano come punto di partenza Bormio dove si giungeva attraverso il passo del Gavia o seguendo la Valtellina per Bolladore, Serravalle, Cepina.
Il primo itinerario all'uscita da Bormio, oltrepassato il torrente Campello e raggiunto il bivio da cui si divideva la strada per Fraele, proseguiva a destra per Molina, attraversava il bosco di Morena (l'attuale parco dei Bagni Nuovi) raggiungeva il difficile passaggio delle "scale dei Bagni" sotto la chiesetta, costruita probabilmente in epoca carolingia, di San Martino dei Bagni; con un altro pericoloso tratto si portava sotto la torre detta Serra frontis, oggi scomparsa, che faceva parte di un sistema di fortificazioni citato per la prima volta in un documento del 1201, ma sistemato e reso sicuro nel 1391 per volontà di Gian Galeazzo Visconti.
Da lì la strada scendeva al ponte sul torrente Braulio, poi, senza tornanti ma con una ampia curva, risaliva il versante opposto per raggiungere l'imbocco della valle della Forcola di Rims, superato il passo omonimo, affacciato sulla valle del Braulio, attraverso il passo di Umbrail e la valle Muranza scendeva a Santa Maria in Val Monastero. Nei pressi del passo, poco prima dell'inizio della discesa c'era una "hostaria", storicamente documentata dal 1496, che costituiva un sicuro ricovero per i viandanti soprattutto in inverno. Essa venne distrutta e successivamente ricostruita due volte nel corso del '600.


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Lungo questo itinerario passò Bianca Maria Sforza per andare incontro al suo sposo Massimiliano I d'Asburgo nel 1493, ancora vi passò Ludovico il Moro nel 1496, quando si recò a Mals per incontrare l'imperatore Massimiliano, probabilmente accompagnato da Leonardo da Vinci. Invece di scendere in Val Monastero, vi era la possibilità di salire fino al passo dello Stelvio e, con un percorso piuttosto accidentato, raggiungere Malles lungo la valle di Trafoi. Questo itinerario, percorribile solitamente solo alcuni mesi in estate, fu aperto nell'inverno del 1485, quando si scatenarono forti dissidi con gli abitanti della Val Monastero per ragioni commerciali. Fu utilizzato anche dal Duca di Feria nel 1633, quando, non volendo passare sul territorio dei Grigioni, con imponenti truppe raggiunse il Tirolo… Tra le merci trasportate era soprattutto il vino della Valtellina ad avere il posto d'onore nell'esportazione verso oltralpe, mentre veniva importato dal Tirolo il sale di Halstatt, considerato merce preziosissima, perché permetteva di conservare gli alimenti. Solo negli ultimi anni del XVIII secolo, anche a causa del clima più crudo, era infatti in atto la cosiddetta piccola glaciazione napoleonica, fu decretato ufficialmente l'abbandono della via di Umbrail a favore di quella di Fraele più comoda e sicura.”


Valle della Forcola di Rims e monte Braulio

Ripercorrere, per quanto solo in parte, le orme del corteo ducale che accompagnò, nell’inverno fra il 1492 ed il 1493, Bianca Maria nel suo viaggio verso il Tirolo può essere non solo suggestione storica, ma anche ottima idea per un’escursione che tocca luoghi non molto frequentati, ma di bellezza veramente rara. Escursione, peraltro, di medio impegno e non difficile, che ha come punto di partenza la Valle di Fraele e porta a risalire interamente la Valle della Forcola (o Valle della Forcola di Rims, per distinguerla dall’omonima nel Livignasco – ve n’è una, non secondaria, anche in Val Chiavenna -).  Lo schema dell’escursione è il seguente: con l'automobile, al primo bivio dopo il ristoro Monte Scale (all’ingresso della Val Fraele), prendiamo a destra, scendendo, con qualche tornante, su pista sterrata, al coronamento della diga di Cancano e passando sul lato opposto della valle, dove si trovano una chiesetta ed il ristoro Solena. Proseguendo su una pista sterrata, superiamo il grasso di Solena e, con breve discesa, raggiungiamo un parcheggio nei pressi di un punto di sosta attrezzato. Qui giunge anche la pista che sale da un tornante della strada per il passo di Foscagno (di qui salì il corteo ducale di Bianca Maria). Da qui inizia la lunga salita della Valle della Forcola, interamente servita da una pista di origine militare, che porta fino alla storica Forcola di Rims o Bocchetta della Forcola (m. 2768), che si affaccia sulla Valle del Braulio. L'escursione alla Forcola di Rims può chiudersi tornando in valle di Fraele per la bocchetta di Pedenolo (troviamo la deviazione segnalata che ci porta ad essa sulla strada per la Forcola, sulla destra, poco sotto il valico), cui giunge una carrozzabile militare sfruttando la quale scendiamo ai piani ed alla malga di Pedenolo, celebri in passato per le miniere di ferro. Da qui, infine, la pista, che si riduce a largo sentiero, comincia la discesa sullo scosceso versante che precipita sul fondo della Valle della Forcola, e ci porta ad un ponticello in legno oltrepassato il quale ci ricongiungiamo con il primo tratto della pista che abbiamo percorso nella salita della Valle della Forcola. L'intero anello, che può essere impreziosito dalla salita alla panoramicissima punta di Rims (un largo sentiero militare parte alle spalle della ex-caserma ricovero che vediamo, sulla sinistra, poco sotto la Forcola di Rims), richiede circa 5 ore e mezza di cammino (dislivello approssimativo: 850 metri), ed è davvero imperdibile.


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Ma vediamo di descriverlo più in dettaglio. Per salire in Val Fraele si procede così. Oltrepassata Bormio, ci si stacca sulla sinistra dalla ss. 38 dello Stelvio per immettersi sulla strada che sale al passo del Foscagno. Dopo aver superato il ponte allo sbocco della Valle del Braulio (qui si trova un’area picnic e da qui parte la pista che sale direttamente all’imbocco della Valle della Forcola, presso l’area di sosta di cui diremo), si giunge alla località di Fior d'Alpe Turripiano (3 km da Bormio), dove, appena dopo la chiesa ed una semicurva a destra, si trova, segnalato, sulla destra lo svincolo per Pedenosso e Cancano. Si sale lungo la strada e ad un bivio si prende a destra (indicazioni per Cancano). Di qui in poi la strada, sempre abbastanza larga ed interamente asfaltata, porta ai piedi della muraglia rocciosa sul cui ciglio si affacciano le torri di Fraele e con un'ultima serrata serie di tornanti affronta il traverso finale, con tratto in galleria, che termina proprio alle celebri torri. Si tratta solo del primo segno di una valle densa di storia, per la sua posizione strategica nell'antica Contea di Bormio. Queste torri sorvegliavano infatti gran parte della Magnifica Terra e permettevano di segnalare tempestivamente eventuali eserciti invasori.
Oltre le torri, la strada si fa pressoché pianeggiante, e conduce, in breve, al bellissimo laghetto delle Scale, l'unico naturale nella valle, ed al ristoro Monte Scale. Di qui, prendendo a destra ad un bivio, si scende, con qualche tornante, al coronamento della diga di Cancano, lo si percorre interamente e, sul lato opposto della valle, si risale allo spiazzo del ristoro Solena, dove si trova anche la bella chiesetta di S. Erasmo, dedicata ai caduti nella guerra partigiana e nei lavori di costruzione delle gigantesche dighe di Cancano e S. Giacomo. La pista prosegue fra i pini mughi, tocca l’alpeggio chiamato Grasso di Solena (alle falde del monte omonimo) e, dopo breve discesa, conduce all’area di sosta (Picnic Solena, 1993 m), dove dobbiamo parcheggiare (un pannello con carta escursionistica ci può aiutare, se non avessimo le idee del tutto chiare). Troviamo anche due cartelli escursionistici: uno indica la pista in discesa (sopra menzionata) che in 50 minuti porta alla località Boscopiano ed in un’ora e 10 minuti alla ss. 38 dello Stelvio); l’altro, quello che ci interessa, dà la Malga di Forcola ad un’ora e 20 minuti, la bocchetta di Forcola a 2 ore e 40 minuti  e la IV Cantoniera dello Stelvio a 3 ore e mezza. Un cartello del comune di Valdidentro segnala, infine, il divieto di transito sulla pista della Valle della Forcola.
Ci mettiamo, dunque, in cammino, accodandoci al corteo, magari fra quei balestrieri che Bormio volle come scorta d’onore alla Duchessa. L’antico sentiero, però, non c’è più: è stato sostituito da una pista militare, tracciata durante la prima guerra mondiale (poi allargata, nel primo tratto, come pista di servizio AEM), che ci accompagna fino al passo. Il primo tratto della pista che si addentra sul fianco sinistro (per noi) della valle è in leggera discesa; poi, dopo una semicurva a sinistra, cominciamo a salire, ma con pendenza modesta. Alla nostra sinistra un versante roccioso che può scaricare qualche masso: evitiamo di attardarci! Alla nostra destra cominciamo a vedere il lungo disegno della pista militare che sale sul ripido fianco della valle fino all’altipiano della malga di Pedenolo: di lì torneremo. Alle nostre spalle, invece, bel colpo d’occhio sul Monte delle Scale. Superiamo una roggia ed una pista secondaria AEM che si stacca alla nostra destra; la valle si mostra, ora, un po’ di più, ma da qui il suo volto trasmette un inquietante senso di pallida e profonda solitudine: detriti candidi sembrano averne preso possesso ed avervi cacciato la vita stessa. Questa pallida solitudine non può non evocare, nella nostra mente, un’immagine di Bianca Maria, la duchessa che, conformemente ai canoni estetici del tempo, proprio nel pallore della carnagione trovava il più prezioso elemento della sua bellezza. Si sarà sentita a casa sua, qui, anche se il volto della valle a lei apparve ben diverso, interamente coperto com’era dalle nevi.
Superata una seconda roggia, siamo alle Fornelle (m. 2025), località chiamata così perché il ferro estratto ai piani di Pedenolo vi riceveva una prima lavorazione. In passato la Valle di Fraele era famosa, oltre che per le sue vie di comunicazione, per l’estrazione del ferro, che proseguì fino alla seconda metà dell’Ottocento (nella prima metà di quel secolo lavoravano ancora nel forno della località più di 250 persone). Si fatica ad immaginare l’animazione di quei tempi, il fuoco dei forni, ora che qui domina una mesta solitudine, stemperata solo, durante la piena stagione estiva, dal passaggio di qualche biker, che scende dal passo della Forcola. Poco oltre, un bivio: sulla destra si scende al torrente, lo si scavalca su un ponte in legno e ci si immette sulla pista militare per i piani di Pedenolo. Un cartello dà, su questo percorso, la malga di Pedenolo ad un’ora, la bocchetta di Pedenolo a 2 ore e 20 minuti e la bocchetta della Forcola a 3 ore. Noi invece, proseguiamo diritti (un altro cartello dà la malga di Forcola a 40 minuti, la bocchetta di Forcola a 2 ore e la IV Cantoniera dello Stelvio a 2 ore e 50 minuti). Proseguiamo nella salita, fino ad un punto nel quale slavine e smottamenti si sono mangiati un bel pezzo della pista. Guardando verso l’alto, alla nostra sinistra, possiamo ammirare l’articolato ed irsuto sistema di torri e guglie che scandisce il fianco orientale della punta di Schumbraida (m. 3124), che da qui resta nascosta. Siamo ormai prossimi alla stretta della valle, dove il suo corso piega verso destra, passando dall’andamento nord-est a quello est.
Giunti alla soglia, si apre a noi un diverso mondo: l’alta valle non mostra più un volto di pallida solitudine, ma un’ampia spianata verde. Probabilmente sorpresa fu anche Bianca Maria, alla quale apparve il più ampio e luminoso circo della valle, dopo l’angusta ed un po’ angosciante strettoia. Vediamo, ora, al termine di un lungo traverso, la malga di Forcola (m. 2311), posta su una spianata ai piedi delle balze che salgono verso il circo terminale della valle. Bianca Maria non vi trovò nessuno, in pieno inverno, ma d’estate qui voci di pastori e di mandrie ravvivavano a quei tempi la valle. Alla malga troviamo oggi un baitone ed una casera in buone condizioni. Ottimo da qui il colpo d’occhio sui fianchi occidentali della Schumbraida. Un cartello dà la bocchetta di Forcola ad un’ora e 20 minuti e la IV Cantoniera dello Stelvio a 2 ore e 20 minuti. Troviamo anche un cartello, più vecchio, dell’Alta Via della Magnifica Terra (infatti durante l’escursione troviamo qualche raro segnavia rosso-bianco-rosso con la lettera “A”), che dà la forcola di Rims (cioè la bocchetta di Forcola) ad un’ora e 50 minuti: speriamo abbia ragione il più recente cartello.


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Nessuna segnalazione, invece, per l’itinerario che si stacca dal nostro e sale diritto verso nord, seguendo l’andamento del vallone alla cui cima si trova, ben nascosto fra le balze, il lago della Forcola (m. 2588), quasi a metà strada fra due ulteriori valichi, di importanza locale, il passo dei pastori (m. 2770), a destra (nord-est), e la forca di Schumbraida (m. 2736), a sinistra (ovest): entrambi permettono di transitare in territorio elvetico e di scendere in Val Mora, che si immette poi nella maggiore Valle di Monastero. Possono costituire meta di un’interessantissima escursione a sé, fra scenari di profonda ma non malinconica solitudine.
Riprendiamo il cammino, sulla pista, ora meno marcata, che riparte a destra della casera (direzione est) ed inanella alcuni tornanti (sequenza sx-dx-sx-dx) per vincere un gradino di pascoli e roccette, portandoci, dopo un traverso a sinistra ed uno a destra, ad un verdissimo ripiano (m. 2500) nel quale attraversiamo un riposante corridoio erboso. Anche se poco visibile, si stacca qui, sulla sinistra, una traccia di sentiero che sale in diagonale sul versante dell’alta valle, fra magri pascoli, ed effettua una traversata al già citato lago di Forcola. Ora la bocchetta è visibile, e si scorge anche il cartello che vi è collocato. Superato un torrentello, ci abbassiamo per breve tratto e ne superiamo un secondo (m. 2550), prima di riprendere a salire decisi: sono gli ultimi sforzi prima della meta. In alto vediamo, alla nostra destra, le guglie gotiche del monte Braulio (m. 2980), mentre a sinistra la valle è chiusa da un lungo versante di candidi sfasciumi, che sale, sul limite destro, ad una cupola appena accennata. Si tratta della punta di Rims (m. 2947), anche se, vista da qui, non si capisce proprio perché sia stata definita punta.
Affrontiamo gli ultimi larghi tornanti, incontrando, sulla destra, la deviazione segnalata della pista che conduce alla bocchetta di Pedenolo (passeremo di lì al ritorno). Un cartello dà la bocchetta a 40 minuti, la malga di Pedenolo ad un’ora e 40 minuti e Cancano a 3 ore e mezza; un secondo cartello dà la bocchetta di Forcola a 25 minuti e la IV Antoniera dello Stelvio ad un’ora e 20 minuti.  Più avanti, troviamo una nuova deviazione, sempre sulla destra: questa volta si tratta di un largo sentiero che taglia il versante di sfasciumi sul fianco del monte Braulio e si porta alla bocchetta di Pedenoletto. Un cartello dà questa bocchetta a 30 minuti e la malga di Pedenolo ad un’ora e mezza; la bocchetta della Forcola, invece, è ormai solamente a dieci minuti. Lasciata sulla sinistra, all’ultimo tornante dx, un’ex caserma, ancora in buone condizioni ed utilizzata come ricovero (m. 2743), con un ultimo traverso a destra siamo al sospirato valico, la bocchetta di Forcola o meglio, con nome più suggestivo, la forcola di Rims (m. 2768). La denominazione di Rims appare più appropriata anche considerando l’etimo, dalla voce retica “rimes”, che significa “fessura”, “spaccatura”, “apertura”, e ben si addice a questa larga sella che introduce all’alta Valle del Braulio.


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Alle nostra spalle l’alta Valle della Forcola mostra tutta la sua bellezza sfoderando un ricco gioco di sfumature cromatiche, dai grigi pallidi ai verdi saturi, dalle tinte ocra a quelle del grigio più cupo. Di fronte a noi si apre non solo l’alta Valle del Braulio, ma anche un ottimo scorcio del gruppo dell’Ortles-Cevedale.  Troviamo, oltre ad un cartello dell’Alta Via della Magnifica Terra, un cartello del Parco Nazionale dello Stelvio che dà la IV Cantoniera a 50 minuti. È giunto il momento di prendere congedo da Bianca Maria: il corteo nuziale prosegue sulla via dell’Ombraglio non portandosi al passo dello Stelvio, considerato pericoloso per le slavine, ma al più vicino giogo di S. Maria o passo di Umbrail (l’Ombraglio, appunto), dal quale inizia la discesa verso S. Maria di Monastero, passando appena ad est del pizzo di Umbrail.
Auguriamo alla candida duchessa ogni felicità per la sua nuova vita come consorte dell’Imperatore della casa d’Asburgo (rimasta famosa, peraltro, nella storia per l’accortezza delle scelte diplomatico-matrimoniali: “Tu, felix Austria, nube”, si diceva, cioè “Tu, felice Austria, sposa”). In realtà le cose non andarono benissimo per lei. Massimiliano, che succedette all'imperatore Federico III proprio nel 1493, attendeva da lei un erede che non nacque mai. Ma, come abbiamo capito, tutto quel che tocca questo passo è, nel fondo, profonda malinconia.


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La prodonda malinconia che colse, proprio qui, anche uno straordinario personaggio che esplorò ed amò le montagne di Valtellina e Valchiavenna. Passò di qui, il 4 agosto 1906, il valente alpinista e naturalista Bruno Galli Valerio, che così scrive della traversata dalla Valle della Forcola a quella del Braulio (in "Punte e passi", traduzione dal francese di Luisa Angelici ed Antonio Boscacci, Sondrio, 1998):
"...Raggiungiamo alle cinque e venti il sentiero che risale la Valle della Forcola. Il tempo si è fatto splendido. Alla Baita dei Pastori, ci ristoriamo con un po' di latte di capra. Risalendo al passo della Forcola, volgiamo lo sguardo verso il Schumbraida. Esso ci presenta la sua enorme parete grigia, che cade a picco verso la valle della Forcola. Dietro la sua cima si nasconde il sole e gli dà l'aspetto di un enorme vulcano. Alle sette e venti siamo sul passo (2900 m.). Grandi ombre si stendon nella valle. Sotto i raggi del sole morente, i ghiacciai dell'Ortler e del Cristallo mandano nell'aria mille scintille. Una malinconia profonda mi prende. Mi passan nella mente alcune strofe di una poesia senza rima nè verso, scritta in un momento di grande sconforto:
O nevi che brillate
sotto il sole che muor,
nell'ore desolate
datemi un po' d'amor. (in italiano nel testo, ndc)
Sì, sì, datemene nei momenti di sconforto infinito, nell'ore di dubbio; apparite davanti a me, cime indorate dal sole che muore, sopra le ombre profonde delle valli e della vita!
Scendiamo per pascoli alla terza Cantoniera. Non c'è alloggio, e lungo la strada polverosa raggiungiamo la quarta Cantoniera. Sono le otto di sera. La luna rischiara lo splendido paesaggio. Rinaldi esprime l'idea che domani passeremo la giornata oziando al passo dello Stelvio; è anche molto sorpreso quando gli do gli ordini per fare il giorno dopo il passo dell'Ablès e scendere a Bormio
."


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Qualche anno dopo questi luoghi divennero scenario di quella lunga tragedia che fu la prima guerra mondiale. Sul passo e sul crinale che sale alla punta di Rims venne allestita, infatti, la seconda linea di difesa avanzata italiana, che guardava allo Scorluzzo, la cima nei pressi dello Stelvio, tenuta dagli Austro-Ungarici. Vennero scavate due lunghe trincee parallele (di cui possiamo vedere ancora i chiari segni), con feritoie ed appostamenti per gli obici.
Un pannello posto a poca distanza dal passo ci dà qualche ulteriore informazione:
I preparativi alla guerra nell'anno 1915 sia da parte italiana che da parte austriaca erano indirizzate alla difesa del territorio. Il raggio d'azione dei cannoni d'artiglieria era insufficiente per azioni offensive. In relazione a questo fatto entrambi gli avversari dovevano raggruppare diversamente la loro artiglieria e posizionarla rispettivamente più vicina al confine.


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Più di 20 cannoni italiani con un raggio d'azione fino a 9000 metri si trovavano in sequenza su una linea che andava dalla Bocchetta di Forcola fino al Monte Radisca, passando per il Monte Braulio. Nella valle del Braulio, poco distante dalla 2. Cantoniera, si trovavano ulteriori posizionamenti. Sul pendio opposto le linee di posizione passavano in alto dal Filone del Mot e arrivavano ai piedi del Monte Scorluzzo. Sul Passo d'Ables, infine, venne piazzata la posizione d'artiglieria del "Gruppo artiglieri Forcola", maggiormente a sud. Da queste posizioni fu possibile per gli italiani, a partire dal 1916, agire fino a Trafoi equindi tenere sotto tiro le basi logistiche e i sentieri utilizzati per il rifornimento dalle truppe austriache.
Un secondo gruppo d'artiglieri detto "Valfurva" copriva le posizioni a nord e a sud della Val Zebrù. II suo raggio d'azione arrivava fino a Trafoi e alla Val Solda.”


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Siamo in cammino da circa tre ore; se abbiamo tempo e forze, non possiamo rinunciare ad una puntata alla … punta di Rims, anch'essa postazione strategica nel conflitto, oggi solo eccellente punto panoramico.
Torniamo, dunque, indietro per breve tratto, all’ex-caserma-ricovero; qui stacchiamoci dalla pista e cerchiamo, a destra dell’edificio in cemento, la partenza della larga mulattiera che risale il versante con andamento regolare e diversi tornanti, guadagnando ben presto il crinale e seguendolo per un tratto, fino ad una curiosa piazzola panoramica che si affaccia sulla Valle del Braulio. La mulattiera, ridotta a sentiero, si stacca poi dal crinale e comincia un lungo traverso che taglia il fianco occidentale del monte (paletti con segnavia rosso-verde e bianco). Dopo un primo breve tratto, siamo ad un valloncello: da qui è anche possibile staccarsi dal sentiero e risalire il crinale di terriccio e sassi, scegliendo il percorso meno ripido, fino alla cima. In effetti il sentiero pare più comodo, ma si tenga presenta che slavine e colate di sfasciumi in alcuni punti l’hanno ridotto ai minimi termini, ed il versante è piuttosto ripido, per cui bisogna percorrerlo con attenzione. Il lungo traverso porta a poca distanza dal crinale, sotto alcune roccette; qui il sentiero piega a destra ed effettua l’ultimo traverso, che porta ai 2947 metri della punta di Rims.


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Il panorama è incredibilmente ampio e suggestivo, spaziando dalle cime della Val Monastero fino alle Alpi bavaresi, a nord, al gruppo dell’Ortles-Cevedale a nord-est; a sud fa capolino la cima Piazzi, poi il gruppo del Bernina, poi le alpi dell’Engadina, quindi le cime del Livignasco. Ma ciò che attrae maggiormente lo sguardo è lo stupendo laghetto di Rims, le cui acque di un azzurro intenso, come perla o, ancor più preziosa lacrima, stanno sulla soglia dell’ampio terrazzo della Val da Lai. Lai, come lamenti? Probabilmente no, ma è suggestivo pensarlo. Così come è suggestivo lasciar libera la fantasia sulla leggenda legata a questo lago. Eccola, così come la riporta Maria Pietrogiovanna in “Le leggende in Alta Valtellina – Raccolta di leggende e credenze dell’Alta Valtellina”, dattiloscritto, Valfurva, 27 giugno 1998:


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“Nel paese della Lajadira sulle rive di un grande lago, un paese di sole, aranci, cedri e lauri, viveva una bellissima principessa. Costei ed il suo trovatore si amavano, ma la principessa fu costretta a sposare un re forestiero, che abitava al di là delle Sette Montagne di Vetro. Il trovatore intonò con il liuto la sua canzone d'amore in ogni ritrovo e divenne famoso in tutti i castelli della Lajadira ed ancora più lontano. La ragazza, intanto, languiva d'amore e, pensando al trovatore, si ammalò. Il suo male crebbe a dismisura, quando un vecchio troviero arrivò alla corte del regno nordico e narrò del menestrello celebre per il proprio canto e di come questi, disperato d'amore, si fosse fatto soldato e fosse morto in terra lontana. La principessa non ebbe più pace ed un mattina fu trovata morta nel proprio letto. Dunque, sia il trovatore sia la principessa morirono di dolore per non aver potuto realizzare il proprio sogno d'amore. Dopo la morte della principessa, la Lajadira, da plaga felice intorno ad un bellissimo lago, si trasformò in un paese aspro senza più fiori, brulla, solo con ghiaia e neve, sui confini del bormiese. Dalle rupi brulle che attorniano il "Lago del Deserto", ossia il Lago di Rims, col vento delle Alpi giungono i gemiti delle anime sconsolate dei due che vivono fra quei dirupi e quelle onde protetti dalla fata alpina Arteluca.”


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Una versione leggermente diversa della leggenda è riportata da Aurelio Garobbio, uno dei maggiori studiosi dell’universo immaginario dell’arco alpino, nella bella raccolta “Leggende delle Alpi Lepontine e dei Grigioni” (Rocca San Casciano, Cappelli, 1969): “Sulle montagne della Bassa Engadina, tra il Piz d'imez, di mezzo, ed il Liscianna, il Curtinac ed il da Rims, vi è una deserta distesa di rocce frantumate, di morene e nevai, costellata da innumerevoli laghetti.
È la contrada iffadeda, la contrada fatata, la contrada transloceda, la contrada traslocata. Quella terra non è sempre stata lassù, nel desolato silenzio delle vette sassose. Un tempo si trovava intorno ad un magnifico lago, il Garda, era allietata da mirabili fiori e si chiamava Laiadira.
La figlia del re della Laiadira, si era segretamente fidanzata con un menestrello da lei intensamente amato. Il padre la sposò ad un re straniero, il quale la portò nei suoi squallidi domini, di là dalle Sette Montagne di Vetro. La principessa languì, consumata da un male inguaribile: la gronda passiun.
Appreso che il menestrello, disperato per il perduto amore, era andato a combattere ed era morto, il cuore più non le resse e spirò. Ed allora la Laiadira fu prodigiosamente trasportata sulle Sette Montagne di Vetro: pietre e neve la ricoprirono, né più ebbe fiori né canzoni d'amore."
Lajadira: la Val di Lai! Il vento che facilmente troveremo a spazzare la cima ci restituirà il pianto degli amanti infelici? O forse ci raccoglierà nel pensiero che gira intorno, affaticandosi, all’interrogativo: qual è mai il legame fra la profonda esperienza di bellezza e la morte? Qui, in una luminosa giornata di sole, l’esperienza di bellezza si fa sentire fin quasi a far male, e ad essa vien dietro, come luce su luce, il pensiero della morte, quasi che ogni cosa bella non possa non essere rapita in un deserto, come il lago di Rims fra le pietre senza respiro, o sospesa su un abisso, come piani e malga di Pedenolo, che andremo ad incontrare. Solo così, forse, la bellezza è sottratta alla sofferenza del tempo, e paga questa eternità con un suo proprio deserto. Come il lago del Deserto, che sta proprio sotto i nostri occhi. Già, lago di Rims, Rims come spaccatura, quindi anche ferita. La bellezza come ferita che non si può sanare: dove porta questo pensiero?


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Intanto un cartello ci restituisce a meditazioni più prossime al farsi del tempo come storia. Quel che vi sta scritto merita di essere riportato integralmente (per la parte in lingua italiana; se volete lo splendido testo in romancio, venite fin quassù):
Solo chi è in grado di stabilire metro per metro la linea di confine, può attribuire oggigiorno i resti di postazioni e di costruzioni visibili alle nazioni impegnate. Sull’altura della Punta di Rims si trovavano baracche che fungevano da alloggio per i soldati italiani e svizzeri, che proverbialmente erano state costruite muro contro muro. Ma anche le postazioni di difesa italiane lungo la linea di confine al Passo Umbrail e a Spi di Rims cercavano volutamente il contatto col vicino neutrale. Più prossimo si trovava infatti il confine svizzero, più diminuiva il pericolo che l’artiglieria austriaca prendesse sotto tiro queste postazioni. La neutralità veniva violata semplicemente sparando sopra il territorio nazionale svizzero. Allo stesso modo gli austriaci utilizzavano la vicinanza del confine neutrale svizzero nel tratto sul Pizzo delle Tre Lingue. Il rifornimento delle postazioni degli ufficiali svizzeri sulla Punta di Rims avveniva partendo dal passo di Umbrail, seguendo il confine e passando per Spi da Rims. Colonne di portatori dovevano far arrivare quotidianamente in questi luoghi generi alimentari, ma anche legna da ardere e da costruzione durante i brevi mesi estivi, al fine di ridurre possibilmente al minimo il fabbisogno di rifornimenti durante l’inverno. I soldati italiani sulla Punta di Rims approfittavano della vicinanza delle loro postazioni alla bocchetta di Forcola che poteva essere raggiunta attraverso una strada ben costruita. La restante linea di confine veniva resa sicura grazie a ronde di pattuglia di soldati svizzeri che giornalmente arrivavano fino alla Bocchetta del Lago e al Passo dei Pastori.”  
È incredibile quel che avviene nel camminare. Abbiamo da mezzora lasciato Bianca Maria nel suo viaggio verso il consorte, ed eccoci proiettati in questa incredibile dimensione dello spirito: uomini accanto a uomini come stranieri accanto a stranieri, accomunati da una di quelle assurdità che solo lo spirito umano pare in grado di generare.
Va bene, non possiamo essere così malvagi dal lasciarvi il tarlo della curiosità sul testo romancio. Eccolo.
“Be quel chi sa definir sül meter precis la lingia da cunfin, es in cas da dir a chenüna naziun cha las restanzas dais singuls posts e da las chamonnas appartgnaivan. Süll'otezza da Punta di Rims as rechattaivan per uschedir paraid cunterparaid las baraccas talianas e svizras. Mo eir ils foss da protecziun e da defaisa taliansd'eiran gnüts erets dal Pass Umbrail sur il Spi da Rims fich dastrusch al cunfin dal vaschinneutral. Plü damaniv chi's d'eira al cunfin svizzer, tant più pitschen d'eira il privel da gnirtoc da l'artigliaria austriaca. Listess sco's Talians han eir ils Austriacs profità da pudair eriger il chomp da la truppa sül Piz da las trais Linguas in vicinanza dal cunfin da la Svizra neutrala. Sch'üna da las artigliarias inimias traiva sur il territori svizzer via, gniva qual resguardàsco violaziun da la neutralità. Il provedimaint dal post d'uffizials sülla Punta di Rims succediva lung la lingia da cunfindavent dal Pass Umbrail sur il Spi da Rims. Culuonnas da transport portaivan minchadi mangiativas, material da fabrica e dad arder fin sü quist lö da chantun dal dispositiv svizzer. Quai gniva fat ouravanttuot dürant la stà.
Ils sudats talians siilla Punta di Rims vaivan l'avantag d'esser in vicinanza da las posiziuns da cumbat Bochetta di Forcola chi vaivan üna buna via d'access. La lingia da cunfin da Bochetta del Lago fin al Passo dei Pastori gniva controllada mincha di da patruglias svizras.”


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Beh, almeno per il testo in tedesco salite da voi stessi alla punta. Noi torniamo al ricovero dell’ex-caserma e scendiamo fino al vicino bivio per la bocchetta di Pedenoletto. Qui troviamo gli ultimi cartelli: da ora in poi, fino al ritorno al fondo della Valle della Forcola, non ne troveremo più. Portandoci a questa bocchetta, allunghiamo di quasi mezzora il tempo complessivo dell’anello, ma visto che siamo in ballo… Il largo sentiero corre, con qualche saliscendi, tagliando la grande colata di sfasciumi che scende dai fianchi nord-occidentali del monte Braulio, passando a monte di una bella piana che ospita alcune pozze. La bocchetta, a quota 2790 metri, si affaccia su un altipiano (piano di Pedenoletto) sospeso sul versante nord-occidentale della Valle del Braulio e delimitato, ad est (alla nostra sinistra) dal monte Radisca (m. 2970) e dalle Corne di Radisca (m. 2984).


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Dalla bocchetta parte una pista che conduce direttamente alla bocchetta di Pedenolo; purtroppo nel primo tratto è franata ed un ripido nevaio, presente anche a stagione avanzata, sconsiglia l’attraversamento alla parte intatta. Per questo conviene, poco prima del nevaietto, laddove il muro della pista termina, scendere, con cautela, per un canalone di sfasciumi, seguendo una labile traccia, fino alla parte bassa del nevaio, che si attraversa con facilità, quasi in piano, proseguendo, poi, a vista: attraversata una breve fascia di massi, saliamo, così, senza difficoltà, ad intercettare la pista per la bocchetta pochi tornanti sotto la stessa. Un attimo di sosta ci permette di ammirare, alle nostre spalle, le guglie gotiche di un intenso color ruggine del monte Braulio. Eccoci, infine, alla bocchetta di Pedenolo, così almeno ci pare.
E invece no: siamo ad una bocchetta che introduce ad una specie di corridoio alto sospeso sul fianco orientale della Valle della Forcola. La bocchetta è un po’ più in là: la pista, con fondo ottimo, la raggiunge subito e si affaccia sui luminosi ed ampi piani di Pedenolo. Sul fondo, ci saluta la parete nord della cima Piazzi, con il suo ghiacciaio. Siamo a 2703 metri, ed inizia la discesa. Notiamo subito, alla nostra destra, una formazione rocciosa isolata, dalla forma singolare, probabilmente unica: sopra una base ristretta di eleva una sorta di stelo più ampio. Sicuramente avrà una denominazione particolare, ci avranno costruito sopra una qualche leggenda: sarà, che so, la sedia del diavolo, o il dito della strega. O chissà. Intanto eccoci al grande altipiano noto nei secoli passati per le miniere di ferro. Il luogo dei piedi, stando all’etimologia, il luogo cui si saliva a piedi, forse. Di fatto la pista militare, ancora ottimamente conservata, scende con andamento regolare e pendenza costante e dolce: abbiamo tutto il tempo di lasciarci avvolgere dall’intenda magia verde di questi spazi. Alla nostra destra, un declivio erboso non difficile sale alla cima del monte Pedenolo (m. 2780). Sul versante opposto, a sinistra, resta ancora qualche traccia delle antiche miniere, attive fino alla seconda metà dell’ottocento.
Sui piani di Pedenolo ed, in particolare, l’attività di estrazione del ferro cui furono interessati in passato, leggiamo, nel bel volumetto di Isella Bernardini e Giovanni Peretti "Itinerari storici e culturali in alta Valtellina", (Alpinia Editrice): “Una delle aree dove più intensa fu l'estrazione è proprio quella dei Piani di Pedenòlo e Pedenolètto, dove ancor oggi sono correnti toponimi che si rifanno a quei periodi, quale il Trój de la Véna, aereo sentiero pianeggiante che costeggia gli aggettanti strapiombi che dominano la val del Bràulio e la conca bormiria, o il Trój de Strósc per il quale, data la pendenza, era facile trascinare i carichi di minerale estratto (ir a strósc=trascinare). Oltre al ferro, vanno citati anche i tentativi di sfruttare estrazioni di argento… I piani di Pedenòlo sono anche interessanti per gli aspetti naturalistici: da osservare gli importanti fenomeni legati al carsismo di superficie, quali le doline, conche di assorbimento dell'acqua di pioggia e di fusione, inghiottitoi e piccole grotte, eccetera. Il panorama sulla piana di Bormio che da qui si gode è fantastico e mozzafiato.”


Scendendo dalla bocchetta di Pedenolo

Mentre scendiamo i numerosi tornanti, abbiamo tutto il tempo per lasciarci trasportare di nuovo nel regno dell’immaginario, con una leggenda legata alle miniere di ferro della zona. Diamo la parola di nuovo a Maria Pietrogiovanna:
Una nobile e bella tirolese, ospite del convento di Munster, venne rapita da un signore valtellinese invaghitosi di lei. Ne nacque tra Bormio ed Innsbruck una guerra diplomatica per i reclami del padre oltraggiato alla luogotenenza di Innsbruck. Bormio, minacciata dalla cittadina austriaca, ordinò al rapitore direstituire l'amata, ma il signore delle Miniere di Fraele e Premadio preferì rinunciare alle ricchezze e fuggì da Bormio conl'amata. Silenzio e rovina rimasero in quelle valli e latradizione di un nuovo tesoro nascosto si aggiunse alla leggendaamorosa. La leggenda ha un fondamento storico.”


La malga di Pedenolo

Il silenzio, in effetti, c’è tutto. La rovina, non parrebbe affatto. Qualcosa luccica là, da qualche parte? Che sia il tesoro? Che sia un riflesso del sole che va a scendere proprio davanti a noi dietro il lontano versante retico? Dopo molti tornanti, la pista contorna un bel pianoro e ci porta ad una gobba erbosa, superata sulla sinistra la quale ci affacciamo alla malga di Pedenolo (m. 2384), alpeggio che viene ancora oggi caricato. Interessanti sono anche alcune doline, cioè conche con inghiottitoio carsico presenti nella zona. Passiamo a sinistra della baita della malga e, seguendo la pista che ormai si è ridotta a sentiero fra l’erba, giungiamo alla sua soglia, delimitata da un cartello. Rivediamo il Monte delle Scale ed il lago di Cancano: la meta non è lontana. Il largo sentiero comincia da qui una lunga discesa lungo l’impressionante dirupo che si apre ad ovest della malga (ma ve n’è un altro ben più impressionante, un salto di roccia vertiginoso a sud-est a sud). Inanelliamo così una lunga serie di tornanti; dopo il quindi tornante dx scopriamo, con un po’ di disappunto, che smottamenti e slavine si sono mangiati buona parte della pista. È stato tracciato sul corpo franoso un nuovo sentiero, ma è decisamente meno tranquillo e riposante. Intanto, dopo i tornanti dx, rivediamo la Valle della Forcola, dominando proprio la stretta che abbiamo superato nella prima parte della salita.
Terminato l’ultimo lungo traverso che segue ad un tornante dx, siamo, infine, al ponte di legno sul torrente della valle; una breve salita, sul lato opposto, ci riconsegna alla comoda pista per la quale siamo saliti. Seguendola docilmente, in leggera discesa, dopo l’ultima modesta salita, siamo di nuovo al parcheggio dove, circa sei ore prima (o sette, se siamo saliti alla Punta di Rims) abbiamo lasciato l’automobile. Qui lasciamo il travestimento da balasterieri che ci è servito per accodarci al seguito di Bianca Maria e, rivolto un ultimo pensiero alle sue sorti nella lontana terra d’Austria ed alla bellezza del lago di Rims, intrappolata per sempre nel deserto della morte, ci riconsegnamo anche ai più banali e rassicuranti simboli della quotidianità.


La malga di Pedenolo

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