Il rifugio Longoni

Fra le mete più note agli escursionisti affezionati alla Valmalenco si pone senza dubbio il rifugio Longoni, meta di un’escursione di media portata che remunera ampiamente delle fatiche per la panoramicità e la suggestione dei luoghi raggiunti. E' collocato su un cengione della fascia rocciosa terminale sulla cresta che scende a sud-ovest dalla sassa d'Entova, a cavallo fra Val Forasca, ad ovest, e valle d'Entova, ad est. Di proprietà del CAI di Seregno, venne costruito nel 1938 ed è dedicato alla memoria dei fratelli Elia ed Antonio Longoni, medaglia d'argento, caduti nella prima guerra mondiale. Dispone di una comoda sala da pranzo e può accogliere più di trenta persone in camere da 4 letti, da 6 letti, ed un camerone da 17 cuccette.
Due gli itinerari possibili per salirvi, più o meno equivalenti quanto ad impegno.

SAN GIUSEPPE-RIFUGIO LONGONI

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Alpe Bracciascia-Alpe Entova-Rifugio Longoni
3 h
800
E
SINTESI. Raggiunta Chiesa in Valmalenco, proseguiamo alla volta di San Giuseppe (m. 1433), dove lasciamo la strada, che prosegue per Prìmolo, salendo, sulla destra, in direzione dell’alpe Palù. Incontriamo ben presto il rifugio Sasso Nero (m. 1520), presso il quale si trova un ampio piazzale, e proseguiamo salendo, verso i Barchi: in corrispondenza del secondo tornante destrorso troviamo, sulla sinistra, la deviazione per il rifugio Longoni. La imbocchismo proseguendo su una stradina che si conclude al parcheggio dei Prati della Costa (m. 1678). Lasciata qui l'automobile, ci incamminiamo (o cominciamo a pedalare) sulla pista sterrata chiusa al traffico dei veicoli non autorizzati. Dopo pochi tornanti ed un lungo traverso, raggiungiamo l'alpe di Entova (m. 1939). Qui saliamo lungo i prati a sinistra delle baite al vicino cartello che segnala, alla nostra sinistra, la partenza del sentiero che sale diretto in una macchia di pini mughi, intercettando di nuovo la pista più in alto. Torniamo a camminare sulla pista e dopo pochi tornanti siamo allo slargo dove parte, segnalato, il sentiero per il rifugio Longoni. Lasciamo la pista ed imbocchiamo il largo sentiero che sale ripido sul versante di sfasciumi e pini mughi, verso nord-ovest, intercettando il sentiero che seguito verso destra porta al rifugio Longoni (m. 2450).


Apri qui una fotomappa degli accessi al rifugio Longoni

Il primo parte dagli alpeggi a monte della località di San Giuseppe. Raggiunta Chiesa in Valmalenco, proseguiamo alla volta di San Giuseppe (m. 1433), dove lasciamo la strada, che prosegue per Prìmolo, salendo, sulla destra, in direzione dell’alpe Palù. Incontriamo ben presto il rifugio Sasso Nero (m. 1520), presso il quale si trova un ampio piazzale, dove è possibile lasciare l’automobile. Possiamo salire ancora un po’, verso i Barchi (barch, maggengo già citato in un documento del 1556 nella formula “ad barchos”, dal termine lombardo “barch”, che significa tettoia, ricovero per gli animali o deposito per gli attrezzi): in corrispondenza del secondo tornante destrorso troviamo la deviazione per il rifugio Longoni, che viene dato a due ore e mezza di cammino. Lasciata l’automobile in una piazzola appena sotto la deviazione, iniziamo la salita, che inizialmente sfrutta una comoda pista; poco più avanti, troviamo una sbarra, perché la pista è chiusa al traffico non autorizzato.


Apri qui una panoramica dell'alpe Bracciascia

Nel primo tratto di salita possiamo ammirare, alla nostra sinistra, lo splendido scenario dei Prati della Costa e dell’alpe Bracciascia (m. 1678). Davanti a noi si apre, progressivamente, lo scenario della testata della Val Sissone (val de sisùm), con le cime di Rosso e di Vazzeda e, più a sinistra, il monte Sissone e le cime di Chiareggio. Ai lati della pista un bellissimo bosco di abeti sostituisce i prati dell’alpe. Questa piacevole salita, con pendenza regolare ed abbordabile, conduce ad un tratto ancora più dolce, dove la pista tocca l’alpe Èntova (éntua, m. 1929), le cui belle baite sembrano riposare tranquille sui dolci prati a destra della strada. Chi vuole effettuare questa salita a piedi, trova qui una scorciatoia che permette di guadagnare mezzora di cammino: un sentiero, segnalato da un cartello sul lato destro della pista e da segnavia rosso-bianco-rossi, passa a sinistra delle baite e taglia un bosco ed una macchia di pini mughi, salendo con andamento diretto verso nord-ovest fino ad intercettare di nuovo la pista un paio di tornanti prima della deviazione per il rifugio Longoni.


Apri qui una panoramica dell'alpe d'Entova

Ci attende ora un lungo tratto quasi pianeggiante, verso ovest, al termine del quale, ignorata la deviazione sulla sinistra per le cave di serpentino, la pista scarta bruscamente verso nord-ovest. Dopo un tornante sinistrorso, al successivo tornante dobbiamo ignorare una nuova deviazione che si stacca dalla pista sulla sinistra. Ancora un tornante sinistrorso: qui giunge il sentierino sopra citato. Saliamo ancora e, dopo due tornanti, raggiungiamo un bivio, a quota 2240 circa: a sinistra la pista termina, per lasciare il posto al sentiero che sale al rifugio Longoni (m. 2450).


Apri qui una panoramica dal sentiero che dall'alpe d'Entova sale alla pista sterrata

Il sentiero, bel marcato, sale inizialmente in una macchia di pini mughi, poi taglia una fascia di pietrame, ai piedi della rocca rocciosa dietro la cui sommità sta, ben nascosto, il rifugio. Al termine della salita raggiungiamo un trivio: i cartelli ci indicano che procedendo diritti saliamo verso il passo di Tremoggia, prendendo a sinistra scendiamo all’alpe Fora, mentre la direzione di destra è quella per il rifugio. Un breve tratto ci separa dalla bandiera italiana che annuncia il rifugio Longoni.  
Il rifugio è posto a 2450 metri, su un terrazzo roccioso panoramico sulla cresta sud-ovest della Sassa d'Entova, dal quale si domina l'alta Valmalenco (val del màler) e si gode di un'ottima visuale. In particolare, si riconoscono, a sud, le principali cime della catena orobica, il pizzo di Coca, la punta di Scais ed il pizzo del Diavolo di Tenda. Più a destra, a sud-ovest, riconosciamo la cima del Duca, il pizzo Cassandra ed il monte Disgrazia. Ad ovest vediamo la testata della Val Sissone, seguita dalla cima di Vazzeda, dal monte Rosso e dal monte del Forno. Ad est, infine, si mostrano il monte Nero, il monte Motta ed il pizzo Scalino.

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CHIAREGGIO-RIFUGIO LONGONI

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Chiareggio-Alpe Fora-Rifugio Longoni
4 h
840
E
Chiareggio-Alpe dell'Oro-Alpe Fora-Rifugio Longoni
5 h
920
E
SINTESI. Ci portiamo sul limite orientale di Chiareggio, saliamo a sinistra alle case di Corti, entriamo poi in un fresco bosco e, superato il torrente della val Novasco, saliamo, con una lunga diagonale verso nord-est, fino a raggiungere il limite inferiore dell'alpe Fora, sul lato occidentale della val Forasco. Il sentiero risale verso nord i prati inferiori dell'alpe, passando poco a destra delle due baite dell'alpe Fora (m. 2053). Ignorato il sentiero di sinistra, che si porta alle baite e traversa all'alpe dell'Oro, e quello di destra, che scende ad intercettare la pista per l'alpe Bracciascia, proseguiamo diritti salendo su una ripida china ed infilandoci nel vallone del torrente Forasco, che resta alla nostra destra, fino al cartello che dà il rifugio Longoni a 30 minuti. Pieghiamo a destra, superiamo su un ponte il torrente Forasco e ci affacciamo agli splendidi piani di Fora, delimitati a monte da cascate, passando a sinistra del baitello quotato 2283 metri ed a lato di un piano torboso di quota 2300 metri. Più avanti passiamo a sinistra del piccolo Lach di Ciazz. Proseguiamo verso sud-est, superando il torrente Foraschetto ed iniziando a salire su una fascia rocce rotte, prima di raggiungere un trivio, al quale proseguiamo diritti, raggiungendo, dopo pochi minuti, la bandiera italiana, che precede di poco il rifugio Longoni (m. 2450).
Variante: Portiamoci al limite occidentale di Chiareggio e ad un bivio andiamo a destra, procedendo su strada, larga e comoda, che sale in una bella pineta con diversi tornanti, nei cui pressi si trovano anche alcune aree di sosta attrezzata. Dopo circa un'ora di cammino, procedendo verso nord-ovest usciamo dalla pineta e, lasciata a sinistra la strada del Muretto, prendiamo a destra (segnalazione per il rifugio Longoni) e guadagniamo il terrazzo dell'alpe dell'Oro (m. 2010). Attraversiamo i prati dell'alpe passando a valle delle baite a ridosso della pietraia ed imbocchiamo la pista che traversa verso est, entrando in una bella pineta e salendo ad una prima radura. Attraversata la parte bassa dei prati, la pista riprende a salire in pineta ed attraversa un corpo franoso, per poi uscire alla parte bassa di una nuova fascia di prati (m. 1883). Qui la pista piega a sinistra e sale ripida per terminare allo splendido terrazzo di prati del piano dell'Oro. Noi, però, la lasciamo seguendo il sentiero segnalato che se ne stacca sulla destra, procedendo in piano in una pineta. Superata una valletta, proseguiamo in piano nella rada boscaglia, sempre verso est. Tagliata una fascia di prati ed una valletta, rientriamo nella pineta ed in leggera discesa passiamo a valle della balconata rocciosa che sostiene il piano dell'Oro. Superata una nuova valletta ed una rada boscaglia, usciamo ad una ripida fascia di prati, che tagliamo in leggera discesa, per rientrare poi nella boscaglia. Attraversate in piano due vallette, proseguiamo sempre diritti in pineta, per poi uscirne ed attraversare un ripido vallone erboso. Rientrati in pineta, ci affacciamo all'ampio solco della Val Nevasco. Qui siamo ad un bivio (entrambi i rami portano comunque all'alpe Fora), e seguiamo la traccia di destra, che traglia i due rami del torrente procedendo in piano fra radure e brevi macchie. Ci portiamo così ai piedi di uno speroncino di roccette quotato 2170 metri, e, sempre in piano e nella boscaglia, tagliamo il dosso che ci separa dall'ampio anfiteatro della Val Forasca. Usciamo al bordo alto di un ampio terrazzo di prati. Poco sotto, le baite dell'alpe Fora (m. 2053), alle quali ci portiamo in pochi minuti, procedendo su debole traccia ed intercettando poco oltre il più marcato sentiero che da Chiareggio sale al rifugio Longoni (si tratta del primo tratto della quarta tappa dell'Alta Via della Valmalenco, di cui abbiamo percorso una variante). Dall'alpe Fora proseguiamo, come sopra descritto, per il rifugio Longoni.


Apri qui una fotomappa della traversata Chiareggio-Rifugio Longoni

Il secondo itinerario di accesso al rifugio parte dalla notissima località di Chiareggio, in fondo all’alta Valmalenco, e coincide con la prima metà della IV Tappa dell’Alta Via della Valmalenco (traversata da Chiareggio al rifugio Palù). Si tratta di una traversata che non comporta un impegno altimetrico eccessivo, ma ha uno sviluppo considerevole (circa 13,2 km).
Portiamoci all'ingresso di Chiareggio (m. 1612), dove troviamo le indicazioni della quarta tappa dell'Alta Via della Valmalenco, che ci fanno imboccare, sulla sinistra, una strada carrozzabile, la quale, dopo un breve tratto, conduce ad un breve sentiero mineralogico, dove troviamo gli esempi delle diverse rocce che caratterizzano il variegato panorama della Valmalenco.


Apri qui una fotomappa degli accessi al rifugio Longoni

Ripartiamo, dunque, da Chiareggio (cirècc, cirécc o ciarécc; in un documento del 1544 “gieregio”; in una mappa del 1816 risultava costituito dalla chiesetta di S. Anna, dall’Osteria del Bosco, dal baitone di fronte alla chiesa e da sei piccole costruzioni lungo il Mallero -màler-), per effettuare la quarta tappa che si configura come una lunga traversata panoramica. Il primo tratto, da Chiareggio all'alpe Fora, può essere percorso in due modi diversi.
Il più lungo prevede la salita all'alpe dell'Oro (alp de l'òor, nel 1544 alpis de loro: niente a che vedere con il nobile metallo, ma con la radice che significa "bordo, ciglio su salto o dirupo"; chiamata anche curt de l’òor, in una mappa del 1816 risultava costituita da 22 baite), seguendo la strada che entra nella valle del Muretto e sale al passo (pas de mürét, l'antico monte dell'Oro). All'alpe si lascia la strada per imboccare a destra un sentiero che effettua una lunga traversata, poco sotto la quota 2100, fino all'alpe.
La seconda variante permette di risparmiare un'ora circa di cammino, ed offre scorsi panoramici non meno affascinanti. Se la scegliamo, dobbiamo portarci all'ingresso di Chiareggio, dove troviamo le indicazioni della quarta tappa dell'alta via, che ci fanno imboccare, sulla sinistra, una strada carrozzabile, la quale, dopo un breve tratto, conduce ad un breve sentiero mineralogico, dove troviamo gli esempi delle diverse rocce che caratterizzano il variegato panorama della Valmalenco. Seguendo i segnavia (che fino all'alpe Fora sono nella maggior parte dei casi bandierine rosso-bianco-rosse, spesso sovrapposte ai triangoli gialli dell'alta via) e lasciando alle nostre spalle le case di Corti ("la cùurt", m. 1638; una mappa del 1816 vi segnava 12 fra case e stalle), entriamo poi in un fresco bosco e, superato il torrente della val Novasco, saliamo, con una lunga diagonale verso nord-est, fino a raggiungere il limite inferiore dell'alpe Fora (alp de fura de fö), sul lato occidentale della val Forasco ("furàsch"; alpeggio assai importante, che, da una mappa del 1816, risultava costituito 27 baite complessive).
All'uscita dal bosco si impongono subito alla nostra attenzione due cime, il pizzo Tremoggia (m. 3441) ed il pizzo Malenco (m. 3438). Il primo è di grande interesse, in quanto presenta la particolarità di essere rivestito di roccia dolomitica. Alla sua sinistra si trova, su una ben visibile depressione del crinale, il passo di Tremoggia (buchèta o pas di tremögi, m. 3014), al quale si sale abbastanza facilmente dal rifugio Longoni. Non meno interessante è il panorama che ci si offre sul lato opposto, cioè verso sud-ovest: qui è la parete nord del monte Disgrazia ad imporsi, ma, a differenza di quanto accade durante la terza tappa, qui il suo volto appare meno selvaggio e più armonioso e simmetrico.


Piani e cascate di Fora

Il sentiero risale verso nord i prati inferiori dell'alpe, passa poco a destra delle baite dell'alpe Fora (m. 2053). Alle spalle del baitone dell'alpe si trova un grande masso erratico sul quale sono incise croci e coppelle, queste ultime forse risalenti ad epoche preistoriche. Si tratterebbe quindi del segno del più alto insediamento preistorico in Valmalenco. Ignorato il sentiero di sinistra, che traversa alle baite ed all'alpe dell'Oro, e quello di destra, che scende ad intercettare la pista per l'alpe Bracciascia, proseguiamo diritti salendo su una ripida china, al termine della quale ci affacciamo al vallone del torrente Forasco, che scorre alla nostra destra. Lo tagliamo in leggera salitafino al cartello che segnala a sinistra la deviazione per il passo di Tremoggia,dato a 2 ore e 20. La ignoriamo e seguiamo il cartello che dà il rifugio Longoni a 30 minuti. Superato su un ponte in legno il torrente Forasco, ci affacciamo ai Piani di Fora (Ciaz de Fura de sot), splendido ed ampio terrazzo, delimitato a nord da enormi blocchi e da belle cascate, ai piedi degli occhieggianti pizzi Tremoggie a Malenco.


Apri qui una fotomappa del percorso dall'alpe Fora al rifugio Longoni

Pieghiamo a destra e passiamo a sinistra del baitello quotato 2283 metri ed a lato di un piano torboso di quota 2300 metri. Più avanti passiamo a sinistra del laghetto chiamato localmente "laghèt" o "làch (lèch) di ciàz"; invece della corretta trasposizione in italiano di "lago dei Piazzi" (o meglio ancora "Lago dei Piani"), si trova in alcuni testi, lago Rosso o lago di Zocca. Fa piacere, in questo luogo gentile, sostare per passare in rassegna le cime che abbiamo incontrato più da vicino durante la terza tappa. L'alpe è chiusa, a monte, da alcune cascate, che scendono dagli scuri gradoni rocciosi.


Il Lach di Ciàz

L'alta via prosegue verso sud-est: attraversato il torrente Foraschetto, dobbiamo superare, con una salita non severa, una fascia di rocce rotte, prima di raggiungere un trivio: i cartelli ci indicano che scendendo a destra raggiungiamo la strada per San Giuseppe (san giüsèf o giüsèp), salendo a sinistra ci dirigiamo verso il passo di Tremoggia. Noi, però, proseguiamo diritti, raggiungendo, dopo pochi minuti, la bandiera italiana, che precede di poco il rifugio Longoni (m. 2450).


Apri qui una fotomappa della salita al rifugio Longoni

VARIANTE. Possiamo portarci all'alpe Fora per un giro più lungo salendo in Valle del Muretto e traversando dall'alpe dell'Oro all'alpe Fora.


Alpe dell'Oro

Sul limite occidentale di Chiareggio la strada che lo attraversa porta ad un bivio: proseguendo diritti ci dirigiamo verso la pineta di Pian del Lupo (cattiva trasposizione in italiano di cià lla lòp, o ciàn de la lòp, vale a dire il piano della loppa, o lolla, materiale di scarto derivato dalla cottura del ferro: niente a che fare con i lupi, dunque!), mentre prendendo a destra saliamo alla volta dell'alpe dell'Oro e della valle del Muretto (o val Muretto), che, insieme alla val Ventina (val de la venténa) ed alla Val Sissone (val de sisùm) costituisce l'estrema propaggine dell'alta Valmalenco. Scegliamo, seguendo le chiare indicazioni di un grande cartello, questa seconda possibilità, dopo aver parcheggiato l'automobile in uno dei parcheggi disponibili nel paese o nei suoi pressi. La strada, larga e comoda, sale in una bella pineta con diversi tornanti, nei cui pressi si trovano anche alcune aree di sosta attrezzata.  
La maggior parte del suo tracciato è sostenuto, nel versante verso valle, da un muretto ben tenuto. Alcune soste ci permettono di ammirare buona parte della testata della val Sissone, dal monte omonimo, a destra (m. 3330), all'impressionante parete nord del monte Disgrazia (m. 3678), alla cui sinistra si distingue il pizzo Cassandra (piz Casàndra o Casèndra, m. 3226).


Alpe Fora

Dopo circa un'ora di cammino usciamo dalla pineta, lasciamo la strada del Muretto e, prendendo a destra (segnalazione per il rifugio Longoni) guadagniamo il bellissimo terrazzo dell'alpe dell'Oro (m. 2010), le cui baite raggiungono il limite di un versante franoso ai piedi del massiccio versante meridionale del Monte dell'Oro. L'alpe, chiamata localmente alp de l'oor, curt de l’òor o munt de l'oor, è attestata in un documento del 1544, con la denominazione Alpis de loro. In una mappa del 1816 risultava costituita da 22 baite
Il toponimo "Oro", in genere, deriva non dalla del prezioso metallo, ma dalla radice "or", che significa "bordo", "ciglio". Ma in questo caso le cose forse stanno diversamente. Il Romegialli scrive ne "Storia della Valtellina e delle già contee di Bormio e Chiavenna" (Sondrio, 1834): "Vi è la pirite marziale con molto oro in Valle Malenco"; effettivamente in valle del Muretto, al monte dell'Oro ed ai laghetti di Chiesa (Valmalenco), secondo quanto riferisce Ercole Bassi, l'oro, almeno nell'ottocento, veniva estratto. E sempre il Bassi riporta il racconto popolare che parla di un tale svizzero, il quale, nella seconda metà dell'ottocento, venne per tre o quattro estati a fare scavi in un luogo molto elevato e quasi sempre coperto da neve del monte dell'Oro, valicando, al ritorno, il passo del Muretto carico d'oro. Quando la cosa si riseppe, vi fu una piccola caccia all'oro, ma nessuno altro riuscì mai a trovare tracce del prezioso metallo. Venne bensì trovato un buco, ad una quota superiore ai 2400 metri, ma, appunto, senza traccia dell'oro favoleggiato. Ed allora, riflettendo su queste notizie in apparenza contraddittorie, capisci che quando c'è di mezzo l'oro occorre procedere... con i piedi di piombo.


I prati dell'alpe Fora

E' doveroso aggiungere che la fama del Monte dell'Oro è legata anche ad una leggenda che lo vuole popolato da pericolosi cunfinàa, anime che dopo la morte vengono respinte da cielo ma sono anche poco gradite all'inferno, tanto da essere condannate a vagare in eterno fra desolate pietraie, passando le notti a frantumare massi a colpi di mazza. Il fianco destro (per chi sale, cioè nord-orientale) della valle del Muretto, occupato dall'impressionante versante orientale del monte dell'Oro (m. 3154), sarebbe luogo di espiazione eterna per tre confinati, che talora scagliano sui viandanti che salgono al Muretto i massi che hanno frantumato. Per fortuna il versante meridionale del monte non pare sia di loro competenza, per cui chi vi transita non dovrebbe correre pericolo alcuno.
Quel che è certo è che l'alpe dell'Oro costituisce un eccellente belvedere dal quale ammirare la parete nord del monte Disgrazia, con il severo e tormentato ghiacciaio. Non è questa, però, l'unica cima degna di essere osservata con attenzione: alla sua sinistra si distinguono, oltre al citato pizzo Cassandra, il pizzo Ventina ("piz de la venténa", immediatamente a destra dell'omonimo passo) ed il pizzo Rachele; alla sua destra, invece, sono ben visibili le cime di Vazzeda (m. 3301) e di Val Bona (m. 3033), che delimitano il piccolo ghiacciaio di Vazzeda, e l'elegante monte del Forno (fùren, o fórn, ma anche munt rus, m. 3214), a destra dell'omonimo valico.


Apri qui una fotomappa della traversata alpe dell'Oro-alpe Fora

Attraversiamo i prati dell'alpe passando a valle delle baite a ridosso della pietraia ed imbocchiamo la pista che traversa verso est, entrando in una bella pineta e salendo ad una prima radura. Attraversata la parte bassa dei prati, la pista riprende a salire in pineta ed attraversa un corpo franoso, per poi uscire alla parte bassa di una nuova fascia di prati (m. 1883), compreso nel sistema di alpeggi complessivamente denominati "monte dell'Oro". Qui la pista piega a sinistra e sale ripida per terminare allo splendido terrazzo di prati del piano dell'Oro. Noi, però, la lasciamo seguendo il sentiero segnalato che se ne stacca sulla destra, procedendo in piano in una pineta.
Superata una valletta, proseguiamo in piano nella rada boscaglia, sempre verso est. Tagliata una fascia di prati ed una valletta, rientriamo nella pineta ed in leggera discesa passiamo a valle della balconata rocciosa che sostiene il piano dell'Oro. Superata una nuova valletta ed una rada boscaglia, usciamo ad una ripida fascia di prati, che tagliamo in leggera discesa, per rientrare poi nella boscaglia. Attraversate in piano due vallette, proseguiamo sempre diritti in pineta, per poi uscirne ed attraversare un ripido vallone erboso. Rientrati in pineta, ci affacciamo all'ampio solco della Val Nevasco. Qui siamo ad un bivio (entrambi i rami portano comunque all'alpe Fora), e seguiamo la traccia di destra, che traglia i due rami del torrente procedendo in piano fra radure e brevi macchie. Ci portiamo così ai piedi di uno speroncino di roccette quotato 2170 metri, e, sempre in piano e nella boscaglia, tagliamo il dosso che ci separa dall'ampio anfiteatro della Val Forasca. Usciamo al bordo alto di un ampio terrazzo di prati. Poco sotto, le baite dell'alpe Fora (Alp de Fura de dint, m. 2053, che, insieme a l'Alp de Fura de fò comprendeva, nel 1816, ben 27 baite), alle quali ci portiamo in pohi minuti, procedendo su debole traccia, intercettando poco oltre il più marcato sentiero che da Chiareggio sale al rifugio Longoni (si tratta del primo tratto della quarta tappa dell'Alta Via della Valmalenco, di cui abbiamo percorso una variante).
La salita da questo incrocio al rifugio Longoni segue il percorso sopra descritto.


Il rifugio Longoni

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TRAVERSATA CAMPOMORO-RIFUGIO LONGONI PER LA FORCA D'ENTOVA

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Parcheggio diga di Campomoro-Bocchetta delle Forbici-Vallone di Scerscen-Forca di Entova-Pista sterrata-Rif. Longoni
7 h
1500
E
SINTESI. Saliamo in Valmalenco, a Lanzada, e proseguiamo sulla carozzabile che raggiunge Campo Franscia e prosegue terminando a Campomoro (m. 1990), presso l'omonima diga artificiale. Parcheggiamo all'ampio spiazzo ed attraversiamo il coronamento della diga, scendendo, sul lato opposto, su una pista sterrata che dopo pochi tornanti porta ad una piazzola. Di qui parte un largo sentiero che risale ripido l'aspro versante meridionale del Sasso Moro, verso ovest. Al termine della salita volge a destra (nord) ed inizia una lunga traversata, salendo molto moderatamente, verso nord-nord-ovest, sull'alto versante del bacino di Musella, prima fra radi larici, poi all'aperto, fino ad intercettare il sentiero della V tappa dell'Alta Via della Valmalenco. Il sentiero poi risale, ripido, una serie di dossi e conduce al rifugio Carate-Brianza (m. 2636). Dal rifugio saliamo alla vicinissima Bocchetta delle Forbici ed entriamo nel vallone di Scerscen, lasciamo alla nostra destra il sentiero per il rifugio Marinelli-Bombardieri al Bernina e scendendo verso sinistra (indicazione su un masso “Ponte-Cimitero Alpini”) in direzione del laghetto delle Forbici (m. 2618). Superato un secondo laghetto (m. 2611), l’itinerario comincia a scendere decisamente (attenzione ai segnavia), volgendo verso sud-ovest, con un andamento zigzagante. Piega, poi, a destra, assumendo la direzione nord, e supera una fascia di rocce sfruttando un canalino. In questo tratto, particolarmente ripido, dobbiamo prestare una certa attenzione. Raggiungiamo, quindi, un terreno più tranquillo, che alterna fasce di massi a magri pascoli, volgendo in direzione nord-ovest e passando a monte di un enorme masso. Dopo un'ultima fascia di massi siamo al ponte sul torrente Scerscen (m. 2240). Saliamo poi ad un pianoro e di qui saliamo di nuovo, verso sinistra, alla bocchetta di quota 2360 (quattro cartellie scursionistici), dove si trova un secondo cartello, che indica la direzione in cui si trova il Cimitero degli Alpini, a 5 minuti di cammino. Andiamo a sinistra e, seguendo alcuni ometti, raggiungere la croce del piccolo monumento, seminascosta da un dosso. Tornati ai quattro cartelli della bocchetta di quota 2360, seguiamo le indicazioni per la forca d’Entova. Senza perdere quota, entriamo nel pianoro che chiude l’ampio vallone che sale alla forca. Raggiunta la parte terminale del pianoro, dirigiamoci alla piccola morena, sulla nostra destra, e seguiamone il breve filo, fino a giungere in vista dei triangoli gialli che ci guidano nella salita verso la forca d'Entova. Stiamo sul suo lato destro (per noi), poi pieghiamo a sinistra ed ancora a destra, passiamo a destra di una prima pozza ed in mezzo a due microlaghetti prima di raggiungere l'ampio corridoio della Forca d'Entova (m. 2831). Scendiamo poi per un vallone di sfasciumi, seguendo i triangoli gialli, passiamo a sinistra del lago di Entova Superiore (m. 2738) raggiungiamo un pianoro dove intercettiamo una pista sterrata, per la quale scendiamo per lungo tratto, prima con tornanti, poi con traverso verso ovest, fino ad una piazzola dove troviamo le indicazioni per il rifugio Longoni. Qui lasciamo la pista salendo verso destra, su marcato e ripido sentiero che intercetta un secondos entiero procedendo verso destra sul quale in breve siamo al rifugio Longoni (m. 2450).


Apri qui una fotomappa della salita dalla diga di Campomoro alla bocchetta delle Forbici

Raccontiamo, ora, una seconda interessantissima possibilità escursionistica che passa per la forca d’Entova, la traversata Campomoro-Rifugio Longoni. Punto di partenza è la diga di Campomoro (m. 1990), che si raggiunge salendo, da Chiesa Valmalenco (a 15,5 km da Sondrio) verso Campo Franscia (m. 1550, 8 km da Chiesa Valmalenco) e da Campo Franscia, su strada interamente asfaltata, a Campomoro (6 km da Campo Franscia). Qui si trova ampia possibilità di parcheggio. Lasciata l’automobile, iniziamo il cammino attraversando, sul camminamento, la corona della grande diga e portandoci sul suo lato settentrionale, dove troviamo una pista che scende ad uno spiazzo sottostante, a quota 1940. Qui parte il più frequentato sentiero per il rifugio Marinelli.
Nel primo tratto sale, ripido, sull’aspro versante meridionale del Sasso Moro (m. 3108), con qualche tratto esposto protetto da corrimano. Il sentiero volge, poi, gradualmente a destra (nord-ovest), raggiungendo un più tranquillo bosco di larici, che attraversiamo percorrendo un lungo tratto con andamento quasi pianeggiante. Usciti dal bosco, riconosciamo subito la bocchetta delle Forbici (buchèl di fòrbes) e, poco sotto, il rifugio Carate Brianza (m. 2636), per il quale passa il sentiero. Per raggiungerlo, dopo aver intercettato il sentiero che sale, da sinistra, dall’alpe Musella, dobbiamo risalire una serrata sequenza di dossi (si tratta dei famosi “sette sospiri” - "set suspìir" ), ai piedi del versante meridionale delle eleganti cime di Musella (m. 3088). Dopo due ore circa di cammino siamo, dunque, alla bocchetta delle Forbici (m. 2660), che ci introduce al grandioso, selvaggio e bellissimo vallone di Scerscen.


Apri qui una fotomappa del Vallone di Scerscen e della testata della Valmalenco

Ora, invece di proseguire in direzione del rifugio Marinelli, dobbiamo seguire i segnavia bianco-rossi, che ci guidano nella discesa nel cuore del Vallone. La partenza di questo itinerario è segnalata su un masso, posto a sinistra del sentiero per la Marinelli, a poca distanza dalla bocchetta delle Forbici, con la scritta “Ponte-Cimitero Alpini”. I segnavia, che vanno sempre seguiti con attenzione lungo l’intera discesa, dal momento che la traccia di sentiero è assai discontinua e labile, ed attraversa luoghi esposti, ci porta, dopo un primo tratto, sulla riva orientale del laghetto delle Forbici (m. 2618), nel quale, durante le belle giornate con calma di vento, si specchia l’imponente testata della Valmalenco. 
Poco oltre, troviamo un secondo e più piccolo laghetto (m. 2611). Da qui possiamo distinguere chiaramente la forca d’Entova, che si trova sul crinale che separa la valle di Scerscen dall’alta Valmalenco, a sinistra della marcata punta del Sasso d’Entova, alla cui destra si distingue il pizzo Malenco. Guardando ancora più a destra, vediamo la vedretta di Scerscen inferiore, delimitata, a nord, dalla massiccia dorsale che comprende, da sinistra, il pizzo Glüschaint (m. 3594), La Sella (m. 3854), i pizzi Gemelli (m. 3500 e m. 3501) ed il pizzo Sella (m. 3511).


Apri qui una fotomappa dell'alto Vallone di Scerscen

Oltrepassato il laghetto, l’itinerario comincia a scendere decisamente, volgendo verso sud-ovest, con un andamento zig-zagante. Piega, poi, a destra, assumendo la direzione nord, e supera una fascia di rocce sfruttando un canalino. In questo tratto, particolarmente ripido, dobbiamo prestare una certa attenzione. Raggiungiamo, quindi, un terreno più tranquillo, che alterna fasce di massi a magri pascoli, volgendo in direzione nord-ovest e passando a monte di un enorme masso, che cattura la nostra attenzione, accendendo la fantasia, che si sbizzarrisce nell’immaginare da quale cima e come sia potuto scendere fin quasi nel cuore del vallone. Guardando verso nord, dominiamo l’ampia parte terminale del vallone, sovrastata dalle più alte cime della testata della Valmalenco.


Apri qui una fotomappa del Vallone di Scerscen

Superata un’ultima fascia di massi, ci ritroviamo a monte del ponte sul torrente Scerscen, gettato, a quota 2240, dal gruppo degli Alpini di Lanzada nel luglio del 1996. Saliamo, quindi, sul lato opposto della valle, lasciando alle nostre spalle il fragore rabbioso delle acque che scendono dal ghiacciaio di Scerscen. La salita ci porta ad un tranquillo pianoro, dove si trova il cartello già menzionato sopra, nel racconto della variante della V tappa dell’Alta Via. Prima di continuare verso la forca d’Entova, prendiamoci il tempo di un interessanti fuori-programma: saliamo, verso sinistra, alla bocchetta di quota 2360, dove si trova un secondo cartello, che indica la direzione in cui si trova il Cimitero degli Alpini (cimitéri di alpìn), a 5 minuti di cammino. Si tratta di piegare a sinistra e, seguendo alcuni ometti, raggiungere la croce del piccolo monumento, seminascosta da un dosso. Esso è posto a 2370 metri, e ricorda la morte di un gruppo costituito da 16 alpini, travolti da una valanga il 2 aprile 1917, mentre salivano al rifugio Marinelli, dove era alloggiato un distaccamento di Alpini, dalla bocchetta delle Forbici. La targa, posta dal gruppo A.N.A. di Lanzada, commemora il loro sacrificio con queste parole: “A questi prodi vigili sui monti non parve sorte dura precipitare a valle sotto la valanga immane se il verde delle fiamme e il rosso del sangue loro sul bianco della neve simboleggiarono al termine estremo del fronte di guerra la gloria del tricolore”. Alle spalle della croce i giganti ci guardano con sovrano silenzio, così come furono muti testimoni della lontana tragedia.


Apri qui una fotomappa dell'alto Vallone di Scerscen

Possiamo finalmente apprezzare l'imponenza e la suggestione del vallone che stiamo attraversando.
La valle, o vallone, di Scèrscen ("valùn de scérscen") è stata definita il Gran Canyon della Valmalenco: paragone azzardato se prendiamo in considerazione le dimensioni, azzeccato, invece, se ci riferiamo alla suggestione che questa grande conca di detriti alluvionali, che si stende ai piedi dei giganti della testata della valle, suscita. Una suggestione legata alla solitudine dei luoghi, assai meno percorsi rispetto alle vie escursionistiche più classiche della Valmalenco, ed all’acuta sensazione della propria piccolezza, che si sperimenta di fronte alla vastità degli spazi che gradualmente si aprono ed alla verticalità della compagine delle cime che chiudono l’orizzonte a nord.


Il vallone di Scerscen

La storia di questo imponente bacino è assai interesssante ed istruttiva. Nei quasi tre secoli della cosiddetta Piccola Età Glaciale, dalla seconda metà del Cinquecento agli inizi dell'Ottocento, le temperature medie subirono un marcato calo. In quel periodo l'aspetto del Vallone di Scerscen era assai diverso dall'attuale. Un unico imponente ghiacciaio ne era padrone, con una superficie complessiva di circa 20 kmq. La sua lingua più bassa raggiungeva lo sbocco del vallone che sale alla forca d'Entova.


Il cimitero degli Alpini nel cuore del Vallone di Scerscen

La risalita delle temperature dalla seconda metà dell'Ottocento ne minò gradualmente la consistenza, frammentandolo nei cinque nuclei che vi troviamo oggi, la vedretta di Scercen inferiore (590 ha), quella di Scerscen superiore (553 ha), il ghiacciaietto Marinelli (28 ha), la vedretta di Caspoggio (52,5 ha) e quella di Musella (11,5 ha), con una superficie complessiva di circa il 65% di quella del ghiacciaio unificato. Le proiezioni per i decenni futuri vedono purtroppo un'accelerazione del ritiro dei ghiacciai per il ben noto processo di global warming. In futuro il Vallone di Scerscen dovrebbe essere interamente dominato dall'elemento minerale, con la presenza dei ghiacciai ridotta a sporadiche chiazze o addirittura annullata.


Il Vallone di Scerscen

Riprendiamo il racconto della traversata. Non è necessario, ora, ridiscendere alla piana: tornati ai quattro cartelli della bocchetta, seguiamo le indicazioni per la forca d’Entova, data a 2 ore (mentre il rifugio Longoni è dato a 3 ore e 45 minuti). Senza perdere quota, entriamo nell’ameno pianoro che chiude l’ampio vallone che sale alla forca. Raggiunta la parte terminale del pianoro, dirigiamoci alla piccola morena, sulla nostra destra, e seguiamone il breve filo, fino a giungere in vista dei triangoli gialli che ci guidano nella salita verso la forca. Percorriamo, ora, a rovescio l’itinerario descritto nella prima metà della variante della V tappa dell’Alta Via. Se avessimo difficoltà a rintracciare i segnavia, o dovessimo perderli, poco male: possiamo proseguire a vista, rimanendo, più o meno, al centro dell’ampio vallone, passando a destra del primo laghetto ed in mezzo ai due specchi d’acqua più alti.
Raggiungiamo, così, l'ampio corridoio della Forca d'Entova (m. 2831). Scendiamo poi per un vallone di sfasciumi, seguendo i triangoli gialli, passiamo a sinistra del lago di Entova Superiore (m. 2738) raggiungiamo un pianoro dove intercettiamo una pista sterrata, per la quale scendiamo per lungo tratto, prima con tornanti, poi con traverso verso ovest, fino ad una piazzola dove troviamo le indicazioni per il rifugio Longoni.


Apri qui una panoramica del Vallone di Scerscen

Qui lasciamo la pista salendo verso destra, su marcato e ripido sentiero che intercetta un secondos entiero procedendo verso destra sul quale in breve siamo al rifugio Longoni (m. 2450). Raggiungiamo il rifugio dopo circa 7 ore e mezza di cammino, necessarie per superare circa 1500 metri di dislivello.


Apri qui una fotomappa della discesa al laghetto di Entova superiore dalla Forca d'Entova

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RIFUGIO LONGONI-PASSO DELLE TRE MOGGE

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Rifugio Longoni-passo delle Tre Mogge
2 h
560
E
SINTESI. Dal rifugio Longoni torniamo sui nostri passi (ovest), fino al punto in cui il sentiero che sale dalla piazzola intercetta quello per i rifugio. Qui siamo ad un trivio segnalato da cartelli, e prendiamo a destra (indicazioni per il passo, dir. nord-nord-est). Nel primo tratto seguiamo i segnavia rosso-bianco-rossi, passando a fatica fra grandi massi, poi troviamo una traccia di sentiero che si fa largo, con andamento quasi pianeggiante, in una fascia di massi meno grandi e meno caotici. Raggiungiamo, così, uno sperone roccioso, che dobbiamo tagliare (breve passaggio esposto, servito da una piccola corda fissa). Proseguiamo, a ridosso di grandi roccioni, per un ulteriore tratto, fino a raggiungere una zona più tranquilla, nella quale la traccia si dipana fra magri pascoli, piccoli corsi d’acqua, massi e rocce arrotondate. Un tratto in leggera discesa ci porta nel cuore di una modesta conca, a sinistra di una formazione rocciosa, che prelude all’ingresso nell’ampia piana, o meglio, nell’ampio pendio dalla pendenza assai modesta, che si apre, a quota 2500 circa, a nord-est della conca dell’alpe Fora. Proseguiamo in direzione di un primo grande masso rossastro, sul quale è ben visibile un bollo bianco con bordo rosso. Oltre questo primo masso, ne troviamo altri tre, più grandi: dobbiamo attraversare un torrentello e dirigerci verso quello di sinistra, che, visto da vicino, rivela una curiosa spaccatura che sembra doverlo tagliare in due. Proseguendo nella medesima direzione, cioè con una diagonale verso nord-ovest (sinistra), ci portiamo sul limite di un poco pronunciato dosso erboso: qui la traccia comincia a salire puntando, diritta, verso nord. Ai pascoli si sostituisce un terreno di sfasciumi, fra i quali il sentiero prosegue, salendo sempre diritto, ma con pendenza non accentuata. Troviamo, così, alla nostra sinistra un nevaietto, che fiancheggiamo per un buon tratto, per poi attraversarne la parte terminale, verso sinistra. Il sentiero affronta, ora, con ripidi tornantini, un dosso erboso, descrivendo, poi, una diagonale su un versante erboso meno severo. Raggiunto e superato un valloncello, ritroviamo una serie di ripidi tornantini che si snodano in un sistema di speroni rocciosi ricoperti da pascoli e ci conducono, dopo un passaggio un po’ esposto sul limite superiore di un ripido vallone, al limite inferiore di una vasta fascia di sfasciumi. La traccia qui si fa meno evidente, ma è sempre visibile (è qui segnalata da alcuni bolli rossi), ed attraversa in diagonale, risalendola in direzione nord-ovest (sinistra), la fascia (scénc' del cavàl). Raggiungiamo così il suo limite superiore, in corrispondenza di un torrentello: siamo a quota 2927, ad un’ampia conca terminale, la cui parte inferiore ospita uno splendido laghetto, dal quale esce il piccolo corso d’acqua (laghèt di tremögi). Seguendo la traccia ed i segnavia, saliamo ad un primo dosso. La traccia piega, infine, leggermente a destra, puntando al passo Tremoggia (m. 3014).


Val di Fex dal passo delle Tremogge

Dal rifugio possiamo salire al passo delle Tremogge. Il passo delle Tre Mogge (o, come anche si può chiamare, dal Tremoggia o, ancora, di Tremogge; buchèta o pas di tremögi) prende il nome dal pizzo che, sulla testata dell’alta Valmalenco (val del màler), si trova immediatamente ad oriente. Si tratta di un passo alto, posto, com’è, a 3014 metri, sulla costiera che divide la Valtellina dall’Engadina, in territorio svizzero, un passo, quindi, non agevole (anche se la salita, dal versante italiano, non è difficile).


Apri qui una fotomappa degli accessi al rifugio Longoni

Eppure anch'esso era utilizzato come via commerciale: fin dal secolo XV lo raggiungeva una mulattiera che risaliva la cengia del cavallo. Per meglio comprendere la sua importanza nei secoli scorsi si tenga presente che la situazione climatica medievale fu caratterizzata da una fase di temperature mediamente elevate, tanto da rendere valicabili passi alpini che poi, durante la cosiddetta Piccola Era Glaciale (dalla seconda metà del Cinquecento agli inizi dell'Ottocento), tornarono a coprirsi di ghiacciai e quindi divennero impraticabili. Ciò accadde anche al passo del Tremoggia. Ancora agli inizi del Seicento, quando già l'inversione di tendenza era in atto, il segretario della Serenissima Repubblica di Venezia Giambattista Padavino (1560-1639) segnalava, nelle sue Relazione de’ Grisoni, 1605, e Relazione del governo et stato de’ Signori Svizzeri, 1608, l'esistenza di un passo che da Selvaplana permetteva di scendere in Valmalenco ed a Sondrio "passando il monte Mallencasco et una vedretta longa circa un miglio dove perpetuamente è ghiaccio et difficilissimo per cavalli". Il riferimento al passo del Tremoggia appare chiaro. Del resto, ancora agli inini del Novecento la via di discesa sul versante malenco presentava tratti accuratamente lastricati. Ma l'inizio del Seicento era anche l'inizio della fine per la sua praticabilità: il clima più rigido fece del vicino passo del Muretto la via di collegamento rivilegiata per il passaggio dall'Engadina alla Valtellina.


Apri qui una fotomappa della salita dal rifugio Longoni alla cengia del Cavallo

E' rimasto comunque intatto il suo peculiare fascino, legato non solo agli scenari splendidi dei quali è circondato, ma anche dalle suggestioni e riflessioni che suscita: è uno dei numerosi segni che ci fanno comprendere come la catena alpina unisca, più che dividere, popolazioni e cultura diverse. Il suo nome ("pas di tremògi") deriva dall'espressione dialettale "tremògi", che però non si riferiva solo al pizzo delle Tre Mogge, ma al complesso di elevazioni sulla cresta che corre dalla forca d'Entova (buchèta d’éntua o buchèl de la scaròlda) al passo delle Tremogge, vale a dire al pizzo omonimo, al pizzo Malenco ed alla Sassa d'Entova (sasa d’éntua): ecco spiegate le "tre mogge". Anticamente, però veniva chiamato anche "la muntagna de fèt", cioè la montagna delle pecore.
Per salire al passo, dobbiamo ridiscendere dal rifugio al trivio segnalato da cartelli: su un grande masso si trova l’indicazione della partenza del sentiero per il passo. Sentiero per modo di dire: nel primo tratto, infatti, l’itinerario, tracciato dai segnavia rosso-bianco-rossi, si districa a fatica fra grandi massi, che demoralizzano un po’. In breve, però, per fortuna, il cammino si fa meno faticoso, e troviamo una traccia di sentiero che si fa largo, con andamento quasi pianeggiante, in una fascia di massi meno grandi e meno caotici. Raggiungiamo, così, uno sperone roccioso, che dobbiamo tagliare: è il tratto che richiede maggiore attenzione, perché impone un breve passaggio esposto, servito da una piccola corda fissa.
Superato, con la dovuta prudenza, questo passaggio proseguiamo, a ridosso di grandi roccioni, per un ulteriore tratto, fino a raggiungere una zona più tranquilla, nella quale la traccia si dipana fra magri pascoli, piccoli corsi d’acqua, massi e rocce arrotondate. Un tratto in leggera discesa ci porta nel cuore di una modesta conca, a sinistra di una formazione rocciosa, che prelude all’ingresso nell’ampia piana, o meglio, nell’ampio pendio dalla pendenza assai modesta, che si apre, a quota 2500 circa, a nord-est della conca dell’alpe Fora. Lo scenario è dominato, dall’alto, dai pizzi Tremoggia, a sinistra, e Malenco, a destra, e da alcuni grandi massi. A sinistra del pizzo Tremoggia scorgiamo la depressione del passo.
Proseguiamo in direzione di un primo grande masso rossastro, sul quale è ben visibile un bollo bianco con bordo rosso. Oltre questo primo masso, ne troviamo altri tre, più grandi: dobbiamo attraversare un torrentello e dirigerci verso quello di sinistra, che, visto da vicino, rivela una curiosa spaccatura che sembra doverlo tagliare in due.
Proseguendo nella medesima direzione, cioè con una diagonale verso nord-ovest (sinistra), ci portiamo sul limite di un poco pronunciato dosso erboso: qui la traccia comincia a salire puntando, diritta, verso nord. Ai pascoli si sostituisce un terreno di sfasciumi, fra i quali il sentiero prosegue, salendo sempre diritto, ma con pendenza non accentuata. Troviamo, così, alla nostra sinistra un nevaietto, che fiancheggiamo per un buon tratto, per poi attraversarne la parte terminale, verso sinistra.
Il sentiero affronta, ora, con ripidi tornantini, un dosso erboso, descrivendo, poi, una diagonale su un versante erboso meno severo. Raggiunto e superato un valloncello, ritroviamo una serie di ripidi tornantini che si snodano in un sistema di speroni rocciosi ricoperti da pascoli e ci conducono, dopo un passaggio un po’ esposto sul limite superiore di un ripido vallone, al limite inferiore di una vasta fascia di sfasciumi. La traccia qui si fa meno evidente, ma è sempre visibile (è qui segnalata da alcuni bolli rossi), ed attraversa in diagonale, risalendola in direzione nord-ovest (sinistra), la fascia (scénc' del cavàl). Raggiungiamo così il suo limite superiore, in corrispondenza di un torrentello: abbiamo l’impressione che il passo sia lì, ma in realtà siamo approdati, a quota 2927, ad un’ampia conca terminale, la cui parte inferiore ospita uno splendido laghetto, dal quale esce il piccolo corso d’acqua (laghèt di tremögi).
Dove sia il passo, non lo si coglie immediatamente: parrebbe, infatti, collocato su un’ampia sella raggiunta da qualche estremo magro pascolo, alla nostra sinistra. In realtà è un po’ più a destra, ed è collocato su un modesto intaglio, riconoscibile anche da un piccolo corno roccioso che si trova immediatamente alla sua destra. Ci attende, dunque, l’ultima salita: seguendo la traccia ed i segnavia, affrontiamo un primo dosso e, guadagnando quota, scorgiamo sotto di noi, alla nostra destra un secondo laghetto gemello, immediatamente a monte del primo. I due laghetti, ai piedi di un ampio nevaio, sono dominati dal massiccio versante sud-occidentale del pizzo Tremoggia, che sembra guardarci severo, alla nostra destra.
La traccia piega, infine, leggermente a destra, puntando al passo Tremoggia, che raggiungiamo, alla fine, dopo circa due ore di cammino dal rifugio Longoni (il dislivello dal rifugio è di circa 560 metri). Siamo a 3014 metri di quota, e lo scenario che si apre sul versante svizzero è davvero sorprendente: ai piedi del passo di stende il ghiacciaio o vedretta dal Tremoggia, oltre la quale, in basso, si apre la diritta, verde e pianeggiante Val di Fex (da "fet", "feta", pecora), che sfocia nell’Engadina, dove riconosciamo anche il lembo orientale dell’ampio Lei da Segl, cioè del Lago di Segl. Sullo sfondo, la distesa maestosa delle cime settentrionali dell’Engadina.
Alla nostra destra, la punta del pizzo Tremoggia, muta testimone della nostra gioia e commozione: ci sono volute oltre quattro ore di cammino per giungere fin qui, ma ora di questa fatica non rimane quasi più neppure il ricordo, di fronte alla silenziosa bellezza che si offre ai nostri occhi.

Giunti fin qui, non possiamo non sostare per ascoltare la leggenda del pizzo delle Tre Mogge. La racconta Ermanno Sagliani, nel suo bel volume "Tutto Valmalenco" (Edizioni Press, Milano, 977):
"Quando, salendo la Val Malenco, si arriva nella piana di S. Giuseppe, si vede in alto tra le vette di roccia scura una cima dalle rocce stranamente chiare: il Pizzo Tremogge. Nei pascoli sottostanti, si dice che un tempo lontanissimo vivesse Gina, una giovane pastora di Somprato che d'estate saliva all'alpe a pascolare il bestiame.
Gina era sola al mondo, orfana dei genitori, uccisi da una frana e rimasti sepolti lassù sotto il Passo del Cavai (Passo Tremogge) mentre raccoglievano fiori di genziana ed erbe alpine. La giovane pastora si recava spesso sulle sponde di un piccolo specchio di acqua solitario e dimenticato, conosciuto solo da qualche mandriano, forse il Lago d'Entova.
Qui Gina restava lunghe ore, triste e sola, pensando ai giorni sereni in cui il padre le spiegava le meraviglie dei boschi e delle montagne ed ella ascoltava senza stancarsi mai.
Il ricordo le fece un giorno sentire più amara e triste la solitudine e invocò l'anima dei genitori perché presto la chiamassero a loro. Al tramonto s'incamminò pensosa verso la baita e guardando in alto sopra il Passo del Cavai, le parve che le vette dei monti fossero diventate stranamente pallide. Gina si spaventò e sentendosi prendere da un malessere, si coricò addormentandosi.
Quando si sentì bene tornò a pascolare le mandrie al lago. Ora le vette lassù le apparivano grandi e scure come sempre. Non trovava pace senza l'affetto della sua famiglia e Gina non poté trattenere qualche lacrima che, cadendo nel lago, fece degli anelli, come delle aureole in cui le apparve la visione di un bel volto femminile in un velo azzurro: la Madonna. "Gina, le anime dei tuoi genitori che tanto hai invocato ti vogliono a loro - le parve di udire da una voce soave - Lassù sulla cima più alta di tutte, che ai raggi della luna diventa d'argento". Da quel giorno Gina fu colta spesso dallo stesso improvviso malore ed un giorno i mandriani non la videro tornare più dal lago. La cercarono per un giorno intero e quando il sole scendeva e la valle era già piena d'ombre e soltanto molto in alto, sulle cime dei monti, splendeva ancora la luce del tramonto, i contadini videro con emozione le ombre dei genitori di Gina portare su verso le vette il corpo inanimato della piccola pastora coperto di fiori azzurri.
Da quel tempo lontano, le Tre Mogge del Pizzo, se non lo sapete, rappresentano tre anime: quella di Gina e dei suoi genitori. Le rocce scure della montagna che appare d'argento ai raggi di luna sono diventate stranamente candide, come appaiono tuttora.


Apri qui una panoramica della Valmalenco dal passo dal Tremoggia (Valmalenco)

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RIFUGIO LONGONI-RIFUGIO PALU'

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Rifugio Longoni-Rifugio Palù
2 h
200
E
SINTESI. Dal rifugio Longoni (m. 2450), seguendo le indicazioni della IV tappa dell'Alta Via della Valmalenco, procediamo verso ovest ed al bivio scendiamo verso sinistra (sud-est), seguendo un sentiero che, ben presto, attraversa un bel boschetto di pini mughi, prima di congiungersi con la strada sterrata che dai Prati della Costa, sopra san Giuseppe, sale verso l'ex rifugio Entova-Scerscen. Raggiunta la strada, seguiamo la segnalazione per il rifugio Palù e proseguiamo in leggera salita, verso nord-est, finché, dopo aver attraversato un torrentello, in corrispondenza di un tornante sx, troviamo l'indicazione della deviazione a destra che ci fa staccare dalla strada per effettuare una lunga traversata verso sud-est. Il primo tratto supera una fascia di grandi massi. Dopo aver attraversato il torrente Entovasco, iniziamo a salire gradualmente, trovando ogni tanto una traccia di sentiero, alternata a tratti in cui sono ancora i massi a farla da padrone. Ai tratti in salita si succedono anche brevi discese fino al'abbandonata alpe Sasso Nero. Ad una discesa che ci permette di superare un valloncello segue una nuova, faticosa ma ultima risalita, che ci fa guadagnare di nuovo una quota di poco superiore ai 2300 metri. Coi affacciamo all'ampia conca del lago Palù verso la quale scendiamo diretti fra pini mughi, fino all'alpe Roggione. Qui pieghiamo a destra ed in breve siamo al rifugio lago Palù (m. 1947), poco sopra le rive del lago Palù.


Apri qui una panoramica del lago Palù incorniciato dal monte Disgrazia

La traversata al rifugio Palù coincide con la seconda parte della IV tappa dell'Alta Via della Valmalenco. Dal rifugio, seguendo le indicazioni, scendiamo alla piazzola sulla pista che sale verso l'ex rifugio Entova-Scerscen. Raggiunta la strada, seguiamo la segnalazione per il rifugio Palù (che lo indica a 4 ore di cammino) e proseguiamo in leggera salita, verso nord-est, finché, dopo aver attraversato un torrentello, in corrispondenza di un tornante sinistrorso, troviamo l'indicazione della deviazione a destra che ci fa staccare dalla strada per effettuare una lunga traversata verso sud-est. Il primo tratto di questa traversata è piuttosto faticoso, perché dobbiamo superare una fascia di grandi massi; le segnalazioni sono però veramente abbondanti, per cui non possiamo perderci. Dopo aver attraversato il torrente Entovasco (éntuàsch), iniziamo a salire gradualmente, trovando ogni tanto una traccia di sentiero, alternata a tratti in cui sono ancora i massi a farla da padrone.
Ai tratti in salita si succedono anche brevi discese, in uno scenario solitario e selvaggio. Verso nord est la montagna mostra un volto arcigno e quasi scorbutico, costituito da speroni rocciosi e grandi ammassi di sfasciumi. Si distingue facilmente uno sperone più avanzato rispetto agli altri, denominato il Castello (castèl).
Questo sperone è legato ad un'interessante leggenda, che riportiamo nella versione contenuta nell'opera di Eermanno sagliani "Tutto Valmalenco" (Edizioni Press, Milano): "I pastori dell'alpe Sasso Nero, sanno di non avvicinarsi soli di notte allo spuntone roccioso di forme turrite detto il Castello. Potrebbero cadere improvvisamente delle pietre e colpirli.
Ai tempi delle calate barbariche delle orde Ungare, un soldato disertore, fuggendo, risalì la valle. Giunto all'alpe Sasso Nero, dove Cristina, giovane pastorella era intenta alle sue pecore, egli la ghermì e la portò seco sul Castello. Quando Antonio, suo promesso sposo, seppe la sventura della fanciulla, aiutato dai contadini, cautamente, di notte, diede assalto al Castello. Sorpreso nel sonno il barbaro fu incatenato e lassù morì di stenti. Cristina, liberata, tornò felice al suo amato. Nelle cupe notti di maltempo l'inquieto spirito del barbaro imprigionato sullo spuntone roccioso si vendica facendo rotolare pietre su chi per avventura passasse da quello che ancor oggi è chiamato il Castello.
"
Attenzione, dunque, a quel che accade a monte del sentiero: se avvertiamo rumori sospetti, potrebbero essere i massi scagliati dal bieco guerriero. Oltrepassato lo sperone, si raggiunge l'alpe Sasso Nero (alp de sas négru, abbandonata, m. 2304), posta ai piedi del grande fianco sud-occidentale del Sasso Nero (umèt, m. 2919). Ad una discesa che ci permette di superare un valloncello segue una nuova, faticosa ma ultima risalita, che ci fa guadagnare di nuovo una quota di poco superiore ai 2300 metri, su un piccolo terrazzo dal quale, finalmente, si mostra lo scenario più gentile dell'alpe e del lago Palù (anticamente chiamato semplicemente ‘l làach o lèèch, oggi làach o lèèch di palö) .
A questo punto il sentiero piega a destra (sud-est) e scende deciso in un bosco di pini mughi. Ai pini mughi si sostituiscono gradualmente gli abeti, mentre il sentiero piega leggermente a destra. Lo scampanio delle mucche (se percorriamo l'alta via nel periodo estivo) sembra un ritorno alla vita dopo una traversata del deserto. Ecco infatti, al termine della discesa, l'alpe Roggione (m. 2007), dalle cui belle baite scendiamo verso destra, raggiungendo, in breve, il rifugio Palù ('l rifùgiu). Il rifugio è posto a 1947 metri, e costituisce il punto d'appoggio per il pernottamento: la quarta tappa, infatti, dopo circa sette ore di cammino ed un dislivello in salita effettivo di circa 1000 metri, termina qui. In attesa del tramonto non possiamo però mancare di scendere sulle rive del bellissimo lago Palù (m. 1921), originato dallo sbarramento creato da una paleofrana. Il lago, a causa di infiltrazioni, è molto ridotto rispetto alle dimensioni passate: ai tempi di Melchiorre Gioia (1767-1829) lo sviluppo della riva era triplo, ed era necessaria un'ora e mezza per percorrerlo interamente. Era, inoltre, assai più pescoso, tanto da consentire a diverse famiglie di vivere praticando l'attività della pesca. Qui, se non c'è troppa gente, spira un senso di pace e di armonia che pervade nel profondo.


Apri qui una panoramica del lago Palù

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RIFUGIO LONGONI-RIFUGIO MARINELLI-BOMBARDIERI AL BERNINA

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Rif. Longoni-Pista-Laghetto e forca d'Entova-Vallone di Scerscen-Rif. Marinelli
6 h
1060
E
SINTESI. Dal rifugio Longoni (m. 2450), seguendo le indicazioni della IV tappa dell'Alta Via della Valmalenco, procediamo verso ovest ed al bivio scendiamo verso sinistra (sud-est), sul sentiero che confluisce nella pista per l'ex-rifugio Entova Scerscen. Giunti alla piazzola ad un tornante dx della pista, saliamo verso l'ex-rifugio, ignorando più avanti la deviazione a destra per il rifugio Palù (cioè lasciando la IV tappa dell'Alta Via e procedendo su una sua variante alta). Dopo diversi tornanti siamo al pianoro con una baita, al quale un tempo parcheggiavano i veicoli. Poco oltre la pista passa nei pressi del laghetto di Èntova superiore (m. 2738). La lasciamo prendendo a destra (segnavia: triangoli gialli) e passiamo a destra del laghetto, salendo il vallone di sfasciumi fino alla Forca d'Entova (m. 2831). Sempre seguendo i triangoli gialli, passiamo in mezzo a due pozze (laghetto Tricheco) e cominciamo a scendere sul fianco di un vallone laterale che confluisce nel Vallone di Scerscen, dapprima, con direzione est-nord-est, sul lato destro. Poi superiamo, passando a sinistra, la pozza quotata m. 2636, pieghiamo a sinistra e di nuvo a destra e proseguiamo la discesa sul fianco erboso di sinistra del vallone. a quota 2500 metri circa attraversiamo, verso destra, il modesto solco di un corso d’acqua spesso asciutto, proseguendo la discesa, senza percorso obbligato, sul ripido fianco erboso, fino ad un corridoio erboso, a quota 2430 metri circa, raggiunto il quale pieghiamo decisamente a sinistra, riprendendo, appena possibile, la discesa, disegnando una diagonale verso sinistra. La discesa termina in corrispondenza di una piccola morena, oltrepassata la quale, verso destra, ci troviamo a percorrere un gentile pianoro, a quota 2340 circa. Pieghiamo leggermente a sinistra, raggiungendo tre cartelli, che segnalano fra l'altro la direzione (nord) per il rifugio Marinelli-Bombardieri, dato a 2 ore e mezza: la seguiamo passando vicino ad un grande masso sul quale si trova una freccia bidirezionale gialla, in direzione della parte terminale del vallone. Per buona parte dell’itinerario rimanente non c’è una vera e propria traccia, (massima attenzione ai segnavia). Aggirata sulla destra una caratteristica formazione di rocce biancastre ed arrotondate, il sentiero volge decisamente a sinistra (direzione ovest), procedendo, per un buon tratto, in direzione della vedretta di Scerscen inferiore. Per un tratto ci allontaniamo dal rifugio Marinelli (già visibile ad est), ma ad un bivio un cartello ci manda a destra, e torniamo a procedere verso il rifugio. Troviamo il primo ponte su un ramo del torrente Scerscen. Proseguiamo verso destra (nord-est), superando una fascia di sfasciumi e tagliando il filo di una prima morena. Raggiungiamo, così, la parte terminale del vallone, ai piedi, anche se ad una certa distanza, dell’ultimo imponente gradino roccioso in cima al quale si mostra l’impressionante seraccata occidentale della vedretta di Scerscen superiore. Incontriamo altri due ponti, giungendo ai piedi della seraccata orientale della vedretta di Scerscen superiore. Ci attende, poi, un facile guado, prima di risalire una seconda morena, di cui seguiamo per un tratto il filo, in direzione nord, prima di piegare a destra, in direzione est, raggiungendo una fascia di grandi massi, oltre la quale ci attende un secondo guado, un po’ più impegnativo. troviamo una nuova fascia di sfasciumi. Qui dobbiamo prestare attenzione ai segnavia, per non sbagliare direzione. L’itinerario piega ora a destra, assumendo la direzione sud-est e salendo un ripido versante morenico; un ultimo traverso a destra ci porta al piazzale del rifugio Marinelli-Bombardieri al Bernina (m. 2812).


Apri qui una fotomappa del Vallone di Scerscen e della testata della Valmalenco

Più lunga ed affascinante è la traversata al rifugio Marinelli, per la forca d'Entova ed il vallone di Scerscen. Nel primo tratto coincide con la traversata al rifugio Palù, in quanto si segue la pista per l'ex-rifugio Entova-Scercen.


Apri qui una fotomappa della salita dal laghetto di Entova superiore alla Forca d'Entova

Scesi dal rifugio alla pista, prendiamo a sinistra, cominciando a salire con una pendenza sempre dolce. Ora puntiamo decisamente a nord-est. I triangoli gialli ci informano che stiamo percorrendo un tratto della quarta tappa dell’Alta Via della Valmalenco, che va da Chiareggio al rifugio Palù. Dopo qualche tornante, ci attende un tratto pianeggiante, prima di raggiungere il vallone dal quale scende il ramo occidentale del torrente Entovasco (éntuàsch). Qui, anche a stagione avanzata, possiamo trovare un nevaietto. Dopo un breve tratto, incrociamo anche il ramo orientale del torrente, e subito dopo il tracciato della quarta tappa dell’Alta Via ci lascia sulla destra, per addentrarsi in mare di massi, in direzione sud-est. Da qui in avanti comincia una fitta serie di tornanti (per sette volta sequenze sx-dx), che aggredisce l’aspro versante montuoso, caratterizzato da rocce dalle forme aspre, bizzarre, gotiche. Il rifugio è là, in alto, poi sparisce, mentre la salita si fa più faticosa.
Dopo l'ultimo tornante, procediamo verso nord, fino al pianoro dove troviamo una baita. Qui parcheggiavano i veicoli di
quanti volevano raggiungere il rifugio con un breve percorso, quando questo era aperto. Ora qui domina la solitudine: non sono in molti, infatti, a scegliere questo percorso per un’escursione. Poco oltre la baita ed un piccolo specchio d’acqua, una gradita sorpresa: la pista passa nei pressi del bellissimo laghetto di Èntova (m. 2738), una vera perla, alle cui spalle si disegna, netta, la forca d’Entova (buchèta d’éntua, m. 2831). I triangoli gialli tracciano il percorso che, passando a destra del laghetto, permette di risalire il versante accidentato e sassoso della forca. Si tratta di un percorso che permette di accedere al vallone di Scerscen, per poi percorrerlo interamente, passando a valle del lago di Scarolda e raggiungendo il rifugio Marinelli. Al passo si apre, appunto, il selvaggio e grandioso panorama del fianco orientale del Vallone, dominato dalle poderose pendici occidentali del monte delle Forbici.
Prima di lasciare l’alta Valmalenco, gettiamo però un’occhiata sul panorama che si offre al nostro sguardo dal valico: il laghetto d’Entova appare poco più in basso, nell’ampia conca incorniciata, ad ovest, dal Sasso d’Entova (sasa d’éntua), la cui breve punta sormonta un poderoso e frastagliato fronte roccioso.


Apri qui una panoramica del Vallone di Scerscen

Alle spalle di questo versante, in direzione ovest, si intravede la punta di Fora (sasa de fura o sasa ffura, m. 3363). Più a sinistra chiudono l’orizzonte, sempre verso ovest, le cime di Rosso e di Vazzeda. Verso est, invece, cioè in direzione della Val Lanterna, appare una sequenza di cime poderose. Si distinguono, da destra, il massiccio del monte delle Forbici (m. 2910; la denominazione è però erronea; viene chiamato localmente "bar óolt", perché le sue pendici nord-occidentali erano utilizzate per il pascolo di capre e pecore; alla sua sinistra si trova la bocchetta omonima, appena sopra il rifugio Carate Brianza), seguito dalle cime di Musella (m. 2990, 3079, 3094; più ad est, la cima di Caspoggio, m. 3136; queste vette sono chiamate, però, localmente, nel loro complesso, “sas di fòrbes”), che sovrastano la vedretta di Caspoggio, e dalla punta Marinelli (m. 3182). Proseguendo verso sinistra, scorgiamo il passo Marinelli orientale (m. 3120).
La discesa, che si conclude nel cuore del vallone di Scerscen, non presenta difficoltà. I segnavia dettano un percorso che passa fra due piccoli specchi d’acqua a quota 2800 (i laghèt), ben visibili dalla forca (passando poco distante, sulla destra, di quello di sinistra). Scendendo ancora, giungiamo in vista di un terzo specchio d’acqua, un po’ più grande, a quota 2636, a sinistra dell’imbocco di un vallone detritico che scende nella nascosta ed ampia conca che ospita il più misterioso lago della Valmalenco, il lago di Scarolda (m. 2456). Il lago è nascosto dalle quinte oscure e selvagge costituite dai roccioni nerastri del versante nord-occidentale del massiccio del Sasso Nero. Il nostro itinerario non lo tocca: resta là dietro, misterioso, in uno scenario degno di un’opera del genere fantastico.


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Noi passiamo a sinistra dello specchio d’acqua e, dopo una breve salita, ci affacciamo all’ampio versante di erbe e sfasciumi che scende al vallone di Scerscen. Scesi di altri cento metri, a quota 2500 metri circa attraversiamo, verso destra, il modesto solco di un corso d’acqua spesso asciutto, proseguendo la discesa, senza percorso obbligato, sul ripido fianco erboso, fino ad un corridoio erboso, a quota 2430 metri circa, raggiunto il quale pieghiamo decisamente a sinistra, riprendendo, appena possibile, la discesa, disegnando una diagonale verso sinistra. La discesa termina in corrispondenza di una piccola morena, oltrepassata la quale, verso destra, ci troviamo a percorrere un gentile pianoro, a quota 2340 circa. Alla nostra sinistra si mostra una grande e tondeggiante formazione di rocce biancastre e levigate, frutto del lavoro millenario del ghiacciaio di Scerscen inferiore, il cui fronte si è ora di parecchio ritirato. Proseguendo verso est, ci portiamo nel cuore del vallone di Scerscen: alla nostra destra (sud), nascosta da alcuni modesti dossi, si trova la bocchetta di quota 2360, per la quale passa il sentiero che, partendo dall’alpe Musella, risale il vallone.
Noi dobbiamo, invece, piegare leggermente a sinistra, raggiungendo tre cartelli, che segnalano la direzione (nord) per il rifugio Marinelli-Bombardieri, dato a 2 ore e mezza, quella per la bocchetta sopra citata (sud), vale a dire per il Cimitero degli Alpini (poco ad est della bocchetta), dato a 15 minuti, l’alpe Musella, data ad un’ora e 45 minuti, ed il rifugio Longoni (dal quale siamo giunti noi), dato a 4 ore, ed infine quella per il rifugio Carate Brianza (est), dato ad un’ora e 10 minuti, ed il Monumento degli Alpini, dato ad un’ora e 30 minuti. È facile comprendere come si tratti di un crocevia di molteplici possibilità escursionistiche. Seguiamo, ora, le indicazioni per il rifugio Marinelli, passando vicino ad un grande masso sul quale si trova una freccia bidirezionale gialla, in direzione della parte terminale del vallone. Teniamo presente che per buona parte dell’itinerario non c’è una vera e propria traccia, per cui bisogna prestare molta attenzione per non perdere i segnavia che indicano la direzione corretta. Aggirata sulla destra la formazione rocciosa biancastra, il sentiero volge decisamente a sinistra (direzione ovest), procedendo, per un buon tratto, in direzione della vedretta di Scerscen inferiore. In questo tratto si impone allo sguardo, verso nord-nord-est, il pizzo Sella, che mostra un elegante profilo.
La nostra meta, il rifugio Marinelli, già visibile, verso nord-ovest, alla sommità dell’imponente sperone roccioso rossastro che lo ospita, si allontana, alle nostre spalle, tanto che per un attimo ci assale il dubbio sulla correttezza dell’itinerario. Alla fine, però, un cartello della Comunità Montana Valtellina di Sondrio ci tranquillizza. Esso segnala un bivio: prendendo a sinistra, saliamo all’edificio dell’ex-rifugio Entova-Scerscen, dal quale possiamo poi scendere ad una comoda pista che ci porta a San Giuseppe (si tratta di una possibilità che può essere presa in considerazione da chi voglia chiudere un anello che parte ed arriva al rifugio Longoni); prendendo, invece, a destra ci portiamo ad un ponte, che attraversa uno dei rami dello Scerscen, proseguendo nel cammino verso la Marinelli. Il ponte, nuovo e robusto, è il primo dei tre nuovi ponti che hanno sostituito quelli precedenti, travolti dalla furia delle acque.
Oltrepassato il ponte, l’itinerario prosegue verso destra, cioè in direzione nord-est, superando una fascia di sfasciumi e tagliando il filo di una prima morena. Raggiungiamo, così, la parte terminale del vallone, ai piedi, anche se ad una certa distanza, dell’ultimo imponente gradino roccioso in cima al quale si mostra l’impressionante seraccata occidentale della vedretta di Scerscen superiore. Il silenzio è, qui, rotto dal fragore delle acque e, qualche volta, da tonfi sordi e fragorosi. Non si tratta di frane, ma della caduta di grandi blocchi di ghiaccio che si staccano dal fronte della seraccata, precipitando più a valle. Proseguendo nella traversata, incontriamo altri due ponti, giungendo ai piedi della seraccata orientale della vedretta di Scerscen superiore. Ci attende, poi, un facile guado, prima di risalire una seconda morena, di cui seguiamo per un tratto il filo, in direzione nord, prima di piegare a destra, in direzione est, raggiungendo una fascia di grandi massi, oltre la quale ci attende un secondo guado, un po’ più impegnativo (mettiamo, quindi, in conto di poterci bagnare i piedi nelle gelide acque di fusione: un cambio di calze è, dunque, quanto mai opportuno). Un’eventuale sosta, necessaria, magari, per cambiare le calze bagnate, ci permette di riconoscere le cime che abbiamo lasciato alle nostre spalle,ad ovest: a destra della cima 3006, riconosciamo ora, in sequenza ravvicinata, il Sasso d’Entova, il pizzo Malenco ed il pizzo Tramoggia, che sormontano la vedretta di Scerscen inferiore.
Oltre l’ultimo ramo del torrente Scerscen, troviamo una nuova fascia di sfasciumi. Qui dobbiamo prestare attenzione ai segnavia, per non sbagliare direzione. L’itinerario piega ora a destra, assumendo la direzione sud-est. Mancano poco più di cento metri, si tratta di profondere le ultime energie nella salita, prima della meta. Un ripido tratto ci permette di guadagnare il bordo di un’ampia conca di sfasciumi, raggiungendo, infine, una marcata traccia, che conduce direttamente al rifugio Marinelli-Bombardieri al Bernina, che appare all'improvviso dopo un ultimo traverso a destra.
Da qui il panorama sui giganti della Valmalenco, che dal cuore del vallone rimangono seminascosti, è particolarmente felice: appaiono, in tutta la loro imponenza, da sinistra il pizzo Roseg (da “rösa” o “rosa”, massa di ghiaccio, m. 3937), il pizzo Scerscen (m. 3971), il pizzo Bernina (m. 4049) e la Cresta Güzza (m. 3869). L’ultimo tratto, pur presentando un fondo largo e regolare, deve essere affrontato con attenzione, perché è esposto. Alla fine, eccoci all’ampio piazzale del rifugio Marinelli (m. 2813), che raggiungiamo dopo circa 6 ore di cammino (il dislivello in salita è di circa 1060 metri). Dal piazzale si apre, verso est, il bellissimo scenario della vedretta di Caspoggio, incorniciata, sulla destra, dalle cime di Musella orientale (m. 3088) ed occidentale (m. 2990).
Il rifugio, di proprietà del CAI di Sondrio, fu costruito nel 1880. Il suo nome originario era rifugio Scerscen ma, dopo la morte del suo ideatore, Damiano Marinelli, nel 1882 venne intitolato a lui. Nel tempo fu soggetto a numerosi ampliamenti (1906, 1915, 1917, 1925 e 1938), finché, dopo la seconda guerra mondiale, per impulso di Luigi Bombardieri venne raddoppiato. Alla morte del Marinelli, in seguito alla tragica caduta dell’elicottero che lo trasportava nel 1957, il suo nome venne aggiunto nell’intitolazione del rifugio, che ebbe come custode Cesare Folatti.


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CARTA DEL PERCORSO sulla base della Swisstopo, che ne detiene il Copyright. Ho aggiunto alla carta alcuni toponimi ed una traccia rossa continua (carrozzabili, piste) o puntinata (mulattiere, sentieri). Apri qui la carta on-line

Mappa del percorso - elaborata su un particolare della carta tavola elaborata da Regione Lombardia e CAI (copyright 2006) e disponibile per il download dal sito di CHARTA ITINERUM - Alpi senza frontiere

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