I rifugi Cesare Mitta ed Alpe Musella (müsèla, m. 2012) sono posti, a breve distanza, su un dosso morenico che chiude a sud l'ampia ed incantevole conca dell'alpe Musella, uno dei luoghi che più si raccomandano agli amanti dei soggiorni tranquilli ed ameni. Vennero edificati poco prima dello scoppio della Prima Guerra Mondiale. Durante il conflitto il rifugio Musella ospitò un presidio di Alpini, che fu protagonista di un tragico episodio di cui resta ancora ampia eco nella memoria locale ed a cui è dedicato il Cimitero degli Alpini nel Vallone di Scerscen: 24 alpini morirono sepolti in due distinte valanghe nell’aprile del 1917, durante la Prima Guerra Mondiale. Le eccezionali precipitazioni nevose di fine marzo furono all’origine di due tragedie. Il 1 aprile una valanga, staccatasi dal Sasso Moro, rovinò sull’albergo Musella (così si chiamava allora la struttura), uccidendo 9 alpini (si racconta che alcuni alpini si salvarono uscendo dall'edificio attraverso la canna fumaria). Il giorno successivo una colonna di 42 alpini che dal rifugio Marinelli (dove c'era un distaccamento del presidio) traversava alla bocchetta delle Forbici venne investita da una seconda valanga, staccatasi dalla cima occidentale di Musella. 15 di loro rimasero sepolti. Terminata la guerra, Giacomo Mitta ricostruì il rifugio nel 1920, mentre nel luogo in cui sorgeva il precedente rifugio venne edificato l'attuale rifugio Mitta, utilizzato dalla guida alpina Cesare Mitta, per molti anni gestore della capanna Marinelli. Qualche anno dopo, nel 1927, venne costruita, poco distante dai rifugi, anche la chiesetta dedicata alla Madonna di Lourdes, che presidia il lato occidentale dell'alpe.
Il rifugio Musella
Ben più antica la storia dell'alpe, che nel 1544 venne assegnata, insieme all'alpe Campascio, alle quadre di Melirolo e Campo di Torre di S. Maria. Le sue baite sono distribuite in tre nuclei distinti per contrada di provenienza degli alpigiani, i fuiàn ad ovest, i giàn al centro e gli zar (dalla contrada Zarri) ad est, su un pianoro rialzato. Sul significato del nome,
gli studiosi non sono concordi: secondo alcuni deriverebbe da una voce
pre-latina, che significa “mucchi di pietre”, mentre secondo
altri deriverebbe dalla voce medio-latina “musus”, che significa
“sporgenza”, o, ancora, dalla voce lombarda “mosa”,
che significa “pantano”. Sulla bellezza del luogo, invece,
non c’è disaccordo: chiunque si trovi a passare di qui
non può che rimanere stupito dall’armonia dello scenario.
In passato l'alpeggio ospitava un numero consistente di capi, tanto che, per una quindicina di giorni, si cercava nuovo pascolo perfino nel vicino ed aspro Vallone di Scerscen. Cuore dell'alpeggio è la piana centrale, la cuurt de müsèla, solcata dal rungiùn, il torrente che scende dal versante a monte dell'alpe. Questo è coronato da un'elegante cornice di cime: da sinistra (ovest) il poderoso monte delle Forbici (m. 2908, chiamato localmente "bar olt"), al centro, dopo la bocchetta delle Forbini ("buchèl di fòrbes", m. 2661), le cime di Musella (m. 2990, 3079, 3094) e la cima di Caspoggio (m. 3136; queste vette sono chiamate localmente, nel loro complesso, “sas di fòrbes”), a destra l'altrettanto massiccio Sasso Moro (m. 3108).
Apri qui una fotomappa del versante orientale del Monte Motta
Ad inizio secolo Bruno Galli Valerio, che passò dall'alpe salendo da Franscia alla bocchetta delle Forbici ed al rifugio Marinelli, ci offre queste interessanti note di colore: "Il 26 luglio 1900, io, l'amico M.P. e la guida E. Schenatti siamo in cammino per la capanna Marinelli. Il tempo è splendido e molto caldo. La piramide dello Scalino, spicca superba contro il cielo azzurro, al di là dei verdi pascoli di Franscia. Alla bell'alpe di Campascio regna una grande silenzio. Ci sono due capre vicino al ponte che ci guardano passare. Ci inerpichiamo nel Bosco pieno di ciuffi rosati di rododendri. Attraverso le conifere si vede ergersi la massa nera del Sasso Moro. Tocchiamo l'alpe di Musella (2066 m.) colle sue minuscole baite di legno. La salita senza fine lungo le coste erbose e le frane comincia: lassù si scorge la Bocchetta delle Forbici (2662 m.) e la si direbbe vicinissima. Ma dobbiam traversare una serie di piani sovrapposti in gradini prima d'arrivare all'ultima costa. Un'aria fresca ci annuncia che ci stiamo avvicinando al passo. Pernici bianche si levano in volo. Due bracconieri alla ricerca di camosci, appaiono e scompaiono sulla cresta a sinistra della bocchetta. Arriviamo al passo: è lo splendido colpo di scena tante volte visto e che desideriamo sempre rivedere. Gli immensi ghiacciai di Scerscen e il gruppo del Bernina appaiono d'un tratto davanti a noi." (Bruno Galli Valerio, "Punte e passi", a cura di Luisa Angelici ed Antonio Boscacci, ed. CAI di Sondrio, 1998). Ancor prima, la Guida alla Valtellina del CAI di Sondrio (1884, II ed.) così sintetizza la salita alla capanna Marinelli per l'alpe Musella: "il sentiero guida all'Alpe Musella (2100 m.) ricca di capanne e di pascoli. Da quest'alpe per la Bocchetta delle Forbici (2700 m.), al nord del Sasso Moro, e poi per le rocce che s'alzano a settentrione, e un tratto di vedretta si arriva in tre ore alla Capanna Marinelli (3000 m.), costruita su di uno sperone di roccia che dalla Cresta Aguzza si spinge a mezzodì nel ghiacciaio di Scerscen."
ACCESSO DA CAMPOMORO
Punti di partenza ed arrivo |
Tempo necessario |
Dislivello in altezza
in m. |
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti) |
Campomoro-Rifugi Mitta e Musella |
1 h |
140 |
T |
SINTESI. Saliamo da Sondrio a Lanzada e proseguiamo sulla carozzabile che passa per Campo Franscia e termina a Campomoro, dove parcheggiamo. Attraversato il camminamento della diga, scendiamo sulla pista che dopo pochi tornanti porta ad uno spiazzo. Ignorato il sentiero segnalato per il rifugio Marinelli, proseguiamo sulla pista sterrata in leggera discesa, poi in piano, fino a trovare, sulla destra, la partenza del sentiero per l'alpe Musella, segnalata da un cartello. Un primo tratto in salita ci fa guadagnare quota 2010
metri, in corrispondenza di un roccione levigato e panoramico. Poi il
tracciato assume un andamento pianeggiante, attraversando una splendida
radura, attraversata da un piccolo corso d’acqua. Dopo un ultimo tratto fra larici, siamo all'alpe Musella (m. 2020), dove troviamo i rifugi di Mitta e Musella. |
La più breve e semplice via di accesso al rifugio è quella che parte da Campomoro (m. 1990), che si raggiunge salendo, da Chiesa Valmalenco (a 15,5 km da Sondrio) e Lanzada verso Campo Franscia (m. 1550, 8 km da Chiesa Valmalenco; localmente solo “franscia”) e da Campo Franscia, su strada interamente asfaltata, a Campomoro (6 km da Campo Franscia). Qui si trova ampia possibilità di parcheggio (m. 1980). Lasciata l’automobile, iniziamo il cammino attraversando, sul camminamento, la corona della grande diga e portandoci sul suo lato settentrionale, dove troviamo una pista che scende, con pochi tornanti, ad uno spiazzo sottostante (m. 1930). Qui parte, appunto, il più frequentato sentiero per il rifugio Marinelli. Invece di imboccarlo, proseguiamo sulla pista (un cartello dà l'alpe Foppa a 20 minuti e l'alpe Musella ad un'ora), che scende ancora, fino ad intercettare una seconda pista che proviene da sinistra. Dopo un tratto che prosegue in leggera discesa, la pista assume un andamento pianeggiante, e viene raggiunta, da sinistra, da un sentiero che sale dall'alpe Foppa. restando sulla pista, proseguiamo in piano, fino a trovare, sulla destra, la partenza del sentiero per l'alpe Musella, segnalata da un cartello che dà l'alpe a 30 minuti (mentre la pista prosegue per l'alpe Campascio, data a 30 minuti). Un primo tratto in salita ci fa guadagnare quota 2010
metri, in corrispondenza di un roccione levigato e panoramico. Poi il
tracciato assume un andamento pianeggiante, attraversando una splendida
radura, attraversata da un piccolo corso d’acqua. Oltre le cime
dei larici, appaiono le eleganti cime di Musella, separate sulla sinistra, dalla bocchetta
delle Forbici, dalla massiccia mole del monte delle Forbici,
che si erge imponente: il tutto compone un quadretto
alpino degno di ispirare il più valente dei pittori.
Siamo ormai vicini alla meta: dopo un ultimo tratto, infatti, usciamo
dal bosco e ci ritroviamo sul limite orientale dell’ampio pianoro
dell’alpe Musella, a quota 2020 metri.
ACCESSO DA CAMPO FRANSCIA
Punti di partenza ed arrivo |
Tempo necessario |
Dislivello in altezza
in m. |
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti) |
Campo Franscia-Alpe Foppa-Rifugi Mitta e Musella |
1 h e 45 min. |
500 |
E |
Campo Franscia-Alpe Foppa-Rifugi Mitta e Musella |
1 h e 45 min. |
470 |
E |
SINTESI. Saliamo in Valmalenco e, superata Lanzada, ci portiamo a Campo Franscia, dove ci stacchiamo verso sinistra dalla strada per Campomoro e ci portiamo a parcheggiare al secondo ponte, sullo Scerscen. Appena prima dell'imbocco del ponte troviamo la mulattiera che sale all'alpe Foppa (m, 1825). Pieghiamo a sinistra, seguiamo il bordo dell'alpe poi pieghiamo a destra e riprendiamo a salire fino ad intercettare la pista Campomoro-Campascio. La seguiamo per breve tratto verso destra, in salita, fino a trovare sulla sinistra il sentiero segnalato per l'alpe Musella. Dopo un tratto in salita ed uno quasi in piano, usciamo alla piana dell'alpe Musella (m. 2020), dove troviamo i rifugi di Mitta e Musella. |
Un po' più lungo, ma molto interessante l'accesso da Campo Franscia, che può avvenire seguendo due diverse direttrici, quella orientale che passa per l'alpe Foppa e quella occidentale che passa per l'alpe Campascio.
Consideriamo la prima. Punto di partenza è la località di Campo Franscia, chiamata localmente solo “franscia”; l’aggiunta di “Campo-“ si deve ad una situazione curiosa: la Guardia di Finanza progettò di costruire a Campomoro una caserma; il progetto, però, mutò e la scelta cadde su Franscia, ma nei documenti, già pronti, venne cancellato solo –moro, sostituito con –franscia; così nacque il toponimo “Campofranscia”. Per raggiungerla, percorriamo la strada che risale la Valmalenco, passando ad ad est di Chiesa Valmalenco
(sgésa, a 15,5 km da Sondrio), oltrepassando Lanzada e le sue contrade Ganda,
Vetto e Tornadri, seguendo le indicazioni per Franscia. Una strada
asfaltata risale il fianco sinistro (occidentale) della Val Lanterna,
il grande ramo orientale nel quale la Valmalenco si divide sopra Chiesa.
La strada taglia l’aspro fianco roccioso della valle, anche grazie
ad ardite gallerie che non mancano di impressionare chi vi transiti
per la prima volta. Prima dell’ultima galleria, ci troviamo sul
lato sinistro della stretta val Brutta, in uno scenario che non corrisponde
esattamente al nome, ma certamente non presenta un particolare fascino. Vediamo,
qui, infatti, il cuore della montagna messo a nudo dalle cave estrattive
di serpentino, pietra ollare e talco. Non vediamo più, invece,
i mulini che, sul greto del torrente, facevano muovere i torni utilizzati
per la lavorazione dei “lavecc”, i tradizionali recipienti
in pietra ollare.
L’ultima galleria, infine, ci introduce all’ampia ed amena
conca nella quale è adagiata Campo Franscia, o, con antico nome,
Carale (a m. 1521 e ad 8 km da Chiesa Valmalenco). Qui si incontrano
le due valli nelle quali la Val Lanterna, nella sua parte alta, si divide,
vale a dire, ad est (destra) la valle di Campomoro, dalla quale scende
il torrente Lanterna, o Cormor, e, ad ovest (sinistra) la valle di Scerscen,
dalla quale scende il torrente omonimo. L’importanza del villaggio
era legata alle attività commerciali, di allevamento e di estrazione
mineraria (qui si trovava il cuore del sistema delle miniere di amianto,
aperte verso la fine dell’Ottocento per iniziativa di imprenditori
inglesi). Per questo nodo passavano tutte le mulattiere che si diramavano
poi, nell’alta Valmalenco orientale, in direzione, verso nord-est,
dei passi per la Valle di Poschiavo (già valicati in epoca romana,
come testimonia il ritrovamento di una moneta romana al passo di Canciano)
e, verso nord, dello splendido gruppo del Bernina, dove si trova l’omonimo
pizzo, il “quattromila” più orientale della catena
alpina: questo spiega anche la presenza, in passato, di una caserma
della guardia di Finanza. In
epoca più recente, la costruzione di due grandi sbarramenti idroelettrici,
le dighe di Gera e Campomoro (dighe de la Gère e dighe de Cammòor), nell’omonima valle, hanno determinato
un elemento di accelerazione nello sviluppo della zona, facendo della
località una sede di villeggiatura estiva ed invernale.
Da qui parte l’anello. Raccontiamo innanzitutto le possibilità
escursionistiche. All’uscita della galleria, troviamo
subito, alla nostra sinistra, l’albergo-ristorante Fior di Roccia:
lasciamo qui la strada principale, che prosegue, interamente asfaltata,
fino alla diga di Campomoro, prendendo a sinistra ed attraversando il
suo parcheggio, fino a raggiungere un primo ponte, quello sul torrente
Cormor. Poco più avanti, troviamo un secondo ponte, sul torrente
Scerscen. Qui dobbiamo lasciare l’automobile e cominciare a salire,
da una quota approssimativa di 1500 metri.
La mulattiera, che costituisce l’antica via di accesso ai rifugi
alti Carate Brianza e Marinelli, parte appena prima dell’imbocco
del ponte, e sale, con un primo tratto ripido, in direzione nord-nord-est,
allontanandosi gradualmente dalle gole dello Scerscen. Il suo fondo
è ampio e piacevole da percorrere. Il tracciato, piegando gradualmente
in direzione nord-est, si snoda ai piedi di massicci roccioni strapiombanti,
la cui mole incombente, sulla
sinistra, è resa più cupa dalla coloritura nerastra che
talora assumono: sembrano lì lì per porre termine a quell’innaturale
sospensione e precipitare, seppellendolo, sull’inerme escursionista
che ne viola i recessi. Sotto uno di questi roccioni troviamo anche
una cappelletta, che sembra posta proprio per scongiurare il pericolo
di questa ecatombe. La loro inquietante presenza è però
temperata da uno splendido bosco di larici che accompagna, con la sua
gentile ombra ed il canto degli uccelli, la fatica della salita.
A quota 1770 circa il sentiero piega leggermene a sinistra, assumendo
un andamento verso nord e raggiungendo il limite orientale della nascosta
conca erbosa dell’alpe Foppa (fópo, m. 1825). Qui, volgendo ancora a
sinistra, attraversa, su un ponticello, un piccolo corso d’acqua,
corre per un breve tratto verso ovest, lungo il limite settentrionale
dell’alpe, per poi piegare a destra e riprendere a salire in direzione
nord-est. Dopo un breve tratto in salita, la mulattiera intercetta,
a quota 1900 circa, una pista sterrata che proviene, da destra, dalla
diga di Campomoro e prosegue, verso sinistra, fino all’alpe Campascio (campàasc).
Seguiamo per un breve tratto la pista, che sale, verso destra, fino
a trovare, sulla nostra sinistra (cioè a monte), la ripresa della mulattiera, con segnalazione
per l’alpe Musella. Imbocchiamo
la mulattiera che sale in un bosco di larici, guadagnando quota 2000
metri, in corrispondenza di un roccione levigato e panoramico. Poi il
tracciato assume un andamento pianeggiante, attraversando una splendida
radura, attraversata da un piccolo corso d’acqua. Oltre le cime
dei larici, appaiono le eleganti cime di Musella e siamo ormai vicini alla meta: dopo un ultimo tratto, infatti, usciamo
dal bosco e ci ritroviamo sul limite orientale dell’ampio pianoro
dell’alpe Musella, a quota 2020 metri.
Vediamo, ora, come salire da Campo Franscia all'alpe Musella per l'alpe Campascio. Parcheggiata l'automobile nel grande parcheggio di Campo Franscia, attraversiamo il ponte sul torrente Scerscen e proseguiamo sulla pista che sale nella parte occidentale del nucleo. Ignorate due deviazioni a sinistra, arriviamo ad un cartello che dà la Cima Sassa a 2 ore, Ponte a 2 ore e 30 minuti e l'ex-rifugio Scerscen ad un'ora. Imbocchiamo un sentiero che piega a destra (direzione nord-ovest e nord), ignorando una deviazione a sinistra per il Ciudée ed una a destra per Orsera. Il sentiero volge bruscamente a sinistra (direzione sud-ovest), poi a destra (direzione nord) e si porta al Dosso dei Vetti (dus di vèt), dove si trova il già citato ex-rifugio Scerscen (m. 1813). Proseguiamo, seguendo le indicazioni di un cartello che dà l'alpe Musella a 40 minuti. Il sentiero piega a sinistra ed assume la direzione nord-ovest, salendo al punto terminale di una pista che scende dal passo di Campolungo. Qui siamo ad un bivio, segnalato da un cartello: salendo lungo la pista ci portiamo al rifugio Motta, che sta oltre il passo di Campolungo, mentre proseguendo diritti ci portiamo all'alpe Campascio ed all'alpe Musella.
Proseguiamo, dunque, diritti, al'ombra di un bel bosco di larici, sulla bella mulattiera che taglia il fianco del monte con andamento quasi pianeggiante e qualche discesa, in direzione nord-nord-ovest e nord. Superati un paio di corsi d'acqua, ci affacciamo al limite meridionale dell'alpe Campascio (campàasc', m. 1814, anch'essa caricato da abitanti di Torre S. Maria, da non confondere con l'omonimo alpeggio ai piedi del pizzo Scalino, contiguo all'alpe Prabello). Superato su un ponte il torrente Scerscen, ignoriamo il sentiero che procede verso destra e continuiamo diritti (nord), tagliando la piana dell'alpe, percorsa da numerosi corsi d'acqua secondari. Ben visibili sono i segni della tristemente famosa alluvione del 1987, quando la furia del torrente Scerscen si è portata via 4 baite ed una buona parte del pascolo. Superato un secondo torrentello, ci portiamo al ben visibile baitone dell'alpe (m. 1844), posto sul suo limite settentrionale, a ridosso della fascia boscosa che la sovrasta. Alle spalle del baitone parte un sentiero marcato che sale in un bel bosco di larici, con diversi tornantini, in direzione nord-est, uscendo all'aperto proprio sotto il rifugio Alpe Musella. Pochi metri ancora, e siamo al rifugio Mitta, alle soglie dell'alpe Musella.
Ovviamente questi due itinerari possono essere combinati ad anello.
Verso l'alpe Campascio
ACCESSO DAL RIFUGIO PALU'
Punti di partenza ed arrivo |
Tempo necessario |
Dislivello in altezza
in m. |
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti) |
Rifugio Palù-Bocchel del Torno-Alpe Campascio-Rifugi Mitta e Musella |
2 h e 30 min. |
550 |
E |
SINTESI. Dal rifugio Palù saliamo all'alpe Roggione (m. 2007) ed attraversiamo un piccolo bosco, nel quale la traccia di
sentiero si fa strada a fatica fra alcuni grandi massi. Usciti dal bosco,
cominciamo a risalire uno stretto vallone, fra erbe e qualche masso, in
direzione della sella terminale, cioè del Bocchel del Torno (m.
2203). Ignoriamo le segnalazioni per Il sasso Nero alla
nostra sinistra e cominciamo a scendere verso destra, entrando nuovamente in
un bosco di larici.
Ignorata
la deviazione a destra per l'alpe Campolungo, continuiamo, dunque, a scendere verso sud-est, raggiungendo
le pisce di sci e la stazione dalla quale parte lo ski-lift che sale fino
al monte Motta.
Poco sopra la quota 1800, invece di proseguire nella medesima direzione, pieghiamo a sinistra, percorrendo una mulattiera che entra nella valle
di Scerscen. Superato l'omonimo torrente, raggiungiamo il pianoro dell'alpe Campascio, attraversandolo fino alle baite dell'alpe (m. 1844), precedute da due torrentelli. Presso la prima di queste baite imbocchiamo, sempre seguendo le segnalazioni,
il sentiero che riprende a salire verso destra (nord-est) per circa duecento
metri, fino a raggiungere la radura dove sono collocati i rifugi Mitta
e Musella, a 2021 metri. |
Lago Palù
Questa terza possibilità di accesso all'alpe Musella ed i suoi rifugi coincide con la prima parte della V tappa dell'Alta Via della Valmalenco, costituita dalla traversata dal rifugio Palù al rifugio Marinelli.
Partiamo, dunque, dal rifugio Palù ('l rifùgiu) e saliamo sul sentiero-tratturo segnalato che prosegue verso est-nord-est verso l’alpe Roggione (alp del rungiùm; si tratta dell’inizio della V tappa dell’Alta Via della Valmalenco, per cui troveremo un abbondante corredo dei caratteristici triangoli gialli che fungono da segnavia in tutto il suo sviluppo). In breve siamo alle baite dell’alpe, chiusa, a nord, dalle articolate pendici del massiccio del Sasso Nero. Davanti a noi, ad est, si impone il versante occidentale del monte Roggione. Lasciata alle spalle l’ultima baita, proseguiamo su un sentierino (direzione est) che si immerge in un bosco di larici, pini mughi ed abeti. Diversi i massi, fra i quali il sentiero si districa, segno della paleofrana che, come detto, creò lo sbarramento che originò il lago. Su uno di questi leggiamo, in caratteri gialli, „Rif. Marinelli-C. Franscia“, le due principali mete della traversata che stiamo percorrendo: il primo è la meta della V tappa dell’alta Via della Valmalenco, il secondo è la nota località cui si può scendere, staccandosi da quest’ultima, scavalcato il Bocchel del Torno. Ci approssimiamo, quindi, al canalone che sale al Bocchel del Torno (buchél di tórn, m. 2179), e cominciamo a sentire lo scroscio delle acque del torrente Roggione (rungiùm), che raccoglie le acque di fusione del versante del Sasso Nero. Ad un certo punto lo dobbiamo guadare, da sinistra a destra, per accedere all’ultima rampa che adduce al passo.
Ai 2179 metri del passo troviamo una bella piana ed alcuni cartelli. Uno riguarda i sentieri 310 e 305: andando a destra possiamo traversare in un’ora e 50 minuti all’alpe Musella, per poi salire ai rifugi Carate Brianza e Marinelli, oppure scendere a Campo Franscia in un’ora e mezza. Prendendo a sinistra, invece, possiamo salire alla cima del Sasso Nero. Andiamo a destra (sud) portandoci ad uno splendido spiazzo con una pozza, bucolico e panoramico, che invita ad una sosta meditabonda. Alla nostra destra (ovest) le cime dell’Alta Valmalenco incorniciano il lago Palù e la sua splendida pineta. Spicca il monte Disgrazia, che occhieggia alle spalle della cresta Giumellino-Sassersa-Rachele, mentre più a destra si distinguono la testata della val Sissone e della valle del Muretto. Davanti a noi (sud) il monte Roggione. Alla nostra sinistra (est), infine, il pizzo Scalino, che mostra un profilo regolare come un teorema geometrico, seguito, a destra, dalla costiera Acquanera-Cavaglia-Palino.
Pizzo Scalino visto dal Bocchel del Torno
Prendiamo a sinistra, seguendo il triangolo giallo che indica la partenza di un sentierino, il quale procede in direzione sud-est, in leggera discesa, fra radi larici, fino ad un’ampia piana che ci pone quasi faccia a faccia con la piramide del pizzo Scalino. Portiamoci, ora, ai cartelli escursionistici che segnalano un bivio: scendendo diritti, in direzione della larga striscia delle piste di sci, procediamo verso Campo Franscia o l’alpe Musella ed i rifugi Carate e Marinelli (Alta Via), mentre prendendo a destra traversiamo in 20 minuti all’alpe Campolungo ed in un’ora e 20 minuti alla Cima Sassa (o monte Motta - sentiero 339-1). Ignoriamo
la deviazione e scendiamo verso sud-est, raggiungendo
le pisce di sci e la stazione dalla quale parte lo ski-lift che sale fino
al monte Motta.
Poco sopra la quota 1800, invece di proseguire nella medesima direzione
(che ci condurrebbe al rifugio Scerscen - m. 1813 - e da qui a Campo Franscia
- m. 1620), pieghiamo a sinistra, percorrendo la già citata mulattiera che effettua, quasi in piano,
una lunga traversata sul fianco orientale del versante montuoso che dal
Sasso Nero scende fino al monte Motta: entriamo così nella valle
di Scerscen e, superato l'omonimo torrente, raggiungiamo il pianoro dell'alpe Campascio (campàasc), fino alle baite dell'alpe (m. 1844), precedute da due torrentelli. Procediamo, ora, come sopra raccontato:
dal baitone dlel'alpe, sempre seguendo le segnalazioni,
imbocchiamo il sentiero che riprende a salire verso destra (nord-est) per circa duecento
metri, fino a raggiungere la radura dove sono collocati i rifugi Mitta
e Musella, a 2021 metri.
Alpe Campascio
SALITA AL RIFUGIO MARINELLI PER LA BOCCHETTA DELLE FORBICI
Punti di partenza ed arrivo |
Tempo necessario |
Dislivello in altezza
in m. |
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti) |
Rifugi Mitta e Musella-Rifugio Carate Brianza-Rifugio Marinelli |
2 h e 30 min. |
820 |
E |
SINTESI. Poco sopra i rifugi Mitta e Musella raggiungiamo le baite dell'alpe Musella (m. 2076), dalle quali inizia la lunga salita verso nord che porta ad intercettare il sentiero che proviene da Campomoro (dalla nostra destra) ed a salire verso sinistra
alla bocchetta delle Forbici, che vediamo fin dall'alpe Musella. Appena prima della bocchetta si trova il rifugio rifugio
Carate Brianza (m. 2600). Oltre la bocchetta il sentiero procede verso nord, aggira
lo sperone roccioso che scende verso nord-ovest dal gruppo delle cime
di Musella e piega verso destra, alla volta del pianoro detritico
che si trova ai piedi della vedretta di Caspoggio, passando a destra
del laghetto di Musella. Superati alcuni rami del torrente che scende dalla vedretta di Caspoggio, piega a sinistra (direzione ovest) e si inerpica, con diversi tornanti, sul pendio del fianco orientale di uno sperone roccioso in cima al quale è posto il rifugio Marinelli-Bombardieri al Bernina (m.
2813). |
Dall'alpe Musella due sono gli itinerari che portano al celebre rifugio Marinelli, quello, più classico, per la bocchetta delle Forbici e quello che risale interamente il Vallone di Scerscen.
Nel primo caso seguiamo il percorso della V tappa dell'Alta Via della Valmalenco, che giunge fin qui dal rifugio Palù, per il Bocchel del Torno e l'alpe Campascio. La meta è là, ben visibile: la bocchetta delle Forbici sembra quasi a portata di mano, ma è solo un'impressione fallace, perché siamo solo a meno di metà della salita.
Dal rifugio Mitta procediamo, seguendo le indicazioni, verso nord-est, attraversando la piana e guadando un piccolo corso d'acqua, oltrepassato il quale pieghiamo leggermente a destra (est-nord-est) portandoci ad un secondo corso d'acqua. attraversato anche questo, pieghiamo a destra e per breve tratto procediamo verso sud-est, fino ad una doppia coppia tornantini dx-sx-dx-sx, dopo la quale procediamo verso est. Volgendo a sinistra, scavalchiamo per la seconda volta il medesimo corso d'acqua, questa volta da destra a sinistra, e continuiamo a salire, in direzione nord, con diversi tornantini, piegando leggermente a sinistra, tagliando un dosso e scavalcando un valloncello, con due corsi d'acqua, sempre da destra a sinistra. Ci attende, quindi, una nuova rampa, con diversi tornantini, in direzione nord, giungendo ad intercettare il già descritto sentiero che proviene dalla nostra destra (si tratta del sentiero che parte da Campomoro). La salita procede, verso nord, superando una serrata sequenza di faticosi dossi, i famosi "sette sospiri", che precedono l'agognata meta del rifugio Carate Brianza.
Il rifugio ("la caràte") era, in origine, un deposito costruito, nel 1916, dagli Alpini che erano di stanza alla capanna Marinelli. Nel 1926 il comune di Torre S. Maria lo cedette all'Unione Escursionisti Caratesi, che lo ristrutturarono ed ampliarono e lo inaugurarono il 15 agosto 1927.
Panorama dall'alto bacino di Musella
Varchiamo, dunque, la bocchetta delle Forbici, che ci introduce al grandioso scenario dei colossi della testata della Valmalenco, e seguiamo il sentiero segnalato, che, con alcuni saliscendi, piega ora a destra (nord), correndo a mezza costa fra il versante occidentale delle cime di Musella ed il vallone di Scerscen, fino ad aggirare lo sperone di nord-ovest delle cime di Musella e piegare ancora a destra (direzione nord-est), iniziando un tratto in leggera discesa. Appaiono ora tutte le cime della parte occidentale della testata della Valmalenco, cioè, da sinistra (ovest), il pizzo Glüschaint (m. 3594), la Sella (m. 3584), i caratteristici pizzi Gemelli (m. 3500 e 3501), l’elegante e simmetrico pizzo Roseg (da “rösa” o “rosa”, massa di ghiaccio, m. 3936), il massiccio pizzo Scerscen (m. 3971), il quattromila più orientale della catena alpina, cioè il pizzo Bernina (m. 4049) e la Cresta Güzza (m. 3869). Scendiamo, così, nel cuore del vallone che scende, alla nostra destra, dalla vedretta di Caspoggio, il piccolo ghiacciaio per il quale passa la sesta tappa dell’Alta Via, e passiamo a destra di un laghetto, prima di attraversare, su un ponticello, il torrente che scende dal ghiacciaio.
Possiamo vedere di fronte a noi la meta, cioè il rifugio Marinelli, in cima ad un imponente sperone roccioso, di color rosso cupo. Ne raggiungiamo, quindi, il fianco orientale, dopo una breve salita fra sassi e sparute erbe, per volgere a sinistra e risalirlo, con ripidi tornanti, ignorando la deviazione, a destra, per la bocchetta di Caspoggio. Dopo circa tre ore ed un quarto di cammino raggiungiamo, così, il piazzale del rifugio Marinelli (m. 2813).
SALITA AL RIFUGIO MARINELLI PER IL VALLONE DI SCERSCEN
Punti di partenza ed arrivo |
Tempo necessario |
Dislivello in altezza
in m. |
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti) |
Rifugi Mitta e Musella-Vallone di Scerscen-Rifugio Marinelli |
2 h e 45 min. |
810 |
E |
Poco sopra i rifugi Mitta e Musella raggiungiamo poi le baite dell'alpe Musella (m. 2076). Ora, invece
di seguire le indicazioni per i rifugi Carate e Marinelli, portiamoci
verso il limite sud-occidentale dell’alpe, passando a monte di
una chiesetta posta su un piccolo poggio. Presso la più bassa
delle baite che troviamo sul limite occidentale dell’alpe troveremo
il triangolo giallo che segnala la variante della V tappa dell’Alta
Via che passa per il vallone di Scerscen. Il sentiero procede in un bosco di larici, supera una roccia levigata grazie ad una passerella in legno, attraversa un corpo franoso e passa a sinistra delle ex-miniere di amianto (m. 2050). Superiamo su un ponte il torrente Scerscen da destra a sinistra (per noi), procediamo guidati dai triangoli gialli non lontano dalla sua riva e cominciamo a salire gradualmente. Giunti ad un ampio pianoro, procediamo in piano e riprendiamo
a salire, volgendo leggermente a destra, passando a sinistra di una
curiosa formazione rocciosa costituita da due corni e sormontando un
dosso di magri pascoli e sassi, fino a giungere alla sella di quota
2360 (quadrivio segnalato da cartelli). Qui ignoriamo le indicazioni per la Forca d'Entova e seguiamo le indicazioni per il rifugio Marinelli procedendo verso nord-est e passando vicino ad un
grande masso sul quale si trova una freccia bidirezionale gialla, in
direzione della parte terminale del vallone. Per
buona parte dell’itinerario rimanente non c’è una vera e propria
traccia, (massima attenzione ai segnavia). Aggirata sulla destra una caratteristica formazione di rocce biancastre ed arrotondate, il sentiero volge decisamente a sinistra
(direzione ovest), procedendo, per un buon tratto, in direzione della
vedretta di Scerscen inferiore. Per un tratto ci allontaniamo dal rifugio Marinelli (già visibile ad est), ma ad un bivio un cartello ci manda a destra, e torniamo a procedere verso il rifugio. Troviamo il primo ponte su un ramo del torrente Scerscen. Proseguiamo verso destra (nord-est), superando una fascia di sfasciumi e tagliando il filo di una prima morena. Raggiungiamo, così, la parte terminale del vallone,
ai piedi, anche se ad una certa distanza, dell’ultimo imponente
gradino roccioso in cima al quale si mostra l’impressionante seraccata
occidentale della vedretta di Scerscen superiore. Incontriamo altri due ponti, giungendo ai piedi della seraccata orientale della vedretta
di Scerscen superiore. Ci attende, poi, un facile guado, prima di risalire
una seconda morena, di cui seguiamo per un tratto il filo, in direzione
nord, prima di piegare a destra, in direzione est, raggiungendo una
fascia di grandi massi, oltre la quale ci attende un secondo guado,
un po’ più impegnativo. troviamo una nuova
fascia di sfasciumi. Qui dobbiamo prestare attenzione ai segnavia, per
non sbagliare direzione. L’itinerario
piega ora a destra, assumendo la direzione sud-est e salendo un ripido versante morenico; un ultimo traverso a destra ci porta al piazzale del rifugio Marinelli-Bombardieri al Bernina (m. 2812). |
Apri qui una panoramica del Vallone di Scerscen
Meno nota è la salita che sfrutta il Vallone di Scerscen. In questo caso dobbiamo portarci sul limite sud-occidentale dell’alpe e passando a monte della
chiesetta dedicata alla B. V. di Lourdes e posta su un piccolo poggio. Presso la più bassa delle
baite che troviamo sul limite occidentale dell’alpe troveremo
il triangolo giallo che segnala la variante della V tappa dell’Alta
Via che passa per il vallone di Scerscen (il termine “Scérscen” deriva, probabilmente, da quello dialettale “scérsc”, “cerchio”, e si riferisce alla conformazione dell’ampio catino glaciale che si apre, con forma circolare, ai piedi dei colossi della testata occidentale della Valmalenco). Imbocchiamo, così,
un sentiero che per un buon tratto corre, con qualche saliscendi, in
un bosco di larici, tagliando le estreme propaggini di rocce arrotondate
che scendono dallo sperone meridionale del monte delle Forbici. Il sentiero,
raggiunto un punto panoramico che ci permette di gettare un’occhiata
sulla piana dell’alpe Campascio (campàasc), occupata, nella parte occidentale,
da detriti alluvionali, piega a destra, esce dal bosco e taglia il selvaggio
fianco sud-occidentale del monte delle Forbici.
Apri qui una fotomappa dell'alto Vallone di Scerscen
Ad
un certo punto, sulla nostra destra, si impone allo sguardo una singolare
e quasi surreale formazione rocciosa, massiccia, levigata, dalle sfumature
nere e rossastre; rappresenta un po’ un punto di svolta, in quanto
il panorama, alle nostre spalle, dominato dalla costiera Valmalenco
- Val di Togno, con il pizzo Scalino sulla snistra, comincia a chiudersi,
mentre si apre gradualmente quello del vallone. Poco oltre, una grande
roccia arrotondata ed esposta si frappone al nostro cammino: non potremmo
superarla senza l’ausilio della passerella in legno costruita
sul suo fianco e corredata di una corda fissa.
Poi il sentiero attraversa un corpo franoso e passa a sinistra di un masso curiosissimo, a forma di sedia, chiamato "sas de la sedia" o anche "sedia del diàul", non perché qui sedesse il diavolo in persona, ma perché un tempo i ragazzi salivano, per gioco, dal lato posteriore e faticavano non poco, poi, per scendere.
Apri qui una panoramica del Vallone di Scerscen
Poco oltre, ecco le miniere abbandonate di amianto, a quota 2050, segnalate da un cartello
della Comunità Montana Valtellina di Sondrio, che dà anche
il Cimitero degli Alpini ad un’ora di cammino. A poca distanza
dalle miniere, raggiungiamo il ponte che ci porta sul lato opposto del
vallone nel quale stiamo entrando, cioè sul lato occidentale.
Percorriamo, ora, la zona denominata "brüt de scérscen", per il suo aspetto particolarmente desolato. Qui, per un buon tratto, procediamo sul limite dei depositi alluvionali
del torrente Scerscen, prima di guadagnare un po’ quota, guidati
dai segnavia (triangoli gialli) sul fianco del vallone. Si apre, intanto,
il superbo scenario delle più alte cime di Valmalenco: le prime
ad apparire sono il pizzo Sella (m. 3511), a sinistra, ed il pizzo Roseg (da “rösa” o “rosa”, massa di ghiaccio, m. 3937), a destra. Ben presto appaiono, poi, più a destra,
i pizzi Scerscen (m. 3971) e Bernina (m. 4049). Ancora più a
destra, ecco la caratteristica ed inconfondibile Cresta Güzza (m.
3869). Chiude la superba testata della Valmalenco, sul lato destro,
il pizzo Argient (forma dialettale per "Argento"; nell'ottocento veniva chiamato Piz Ladner, poi anche Piz Blondina; m. 3945).
Continuiamo
a guadagnare gradualmente quota, portandoci verso il fianco roccioso
che chiude alla nostra sinistra (ovest) il vallone, prima di approdare
ad un ampio pianoro. Mentre alla nostra destra la massiccia complesso
roccioso che culmina nel monte delle Forbici rende sempre meglio visibile,
le cime della testata della Valmalenco cominciano a defilarsi, nascoste
dai possenti gradoni rocciosi che si trovano nella parte medio-alta
del vallone. A sinistra si fa sempre più slanciata la cima quotata
3006, immediatamente a nord della forca d’Entova (buchèta d’éntua, termine che significa, etimologicamente, posto fra due corsi d'acqua, dai termini lombardi "ent" ed "ova"), cima che nasconde
alla vista le più famose cime del Sasso d’Entova (sasa d’éntua, m. 3329),
del pizzo Malenco (m. 3438) e del pizzo Tramoggia (m. 3441), posti a
nord-ovest della stessa.
Dopo un tratto pianeggiante, riprendiamo a salire, volgendo leggermente
a destra, passando a sinistra di una curiosa formazione rocciosa costituita
da due corni e sormontando un dosso di magri pascoli e sassi, fino a
giungere ai cartelli che segnalano un trivio. Un primo cartello indica,
per chi scende, che l’alpe Musella è raggiungibile in un’ora
e mezza di cammino e Campo Moro in due ore; un secondo cartello indica
che, volgendo a sinistra, possiamo salire, in due ore, alla forca d’Entova,
porta di accesso all’alta Valmalenco, e dalla forca proseguire,
con un’ulteriore ora e tre quarti di marcia, fino al rifugio Longoni;
un terzo cartello segnala che, proseguendo in direzione opposta, cioè
verso destra, possiamo raggiungere, in cinque minuti, il Cimitero degli
Alpini.
Apri qui una panoramica del Vallone di Scerscen
A
noi interessa, però, la quarta indicazione, quella che segnala
il sentiero che prosegue diritto e che dà il rifugio Carate Brianza
ad un’ora e 20 minuti, il Monumento degli Alpini ad un’ora
e 30 minuti ed il rifugio Marinelli a 2 ore e 40 minuti. Prima di proseguire
su questo sentiero, che inizia un tratto in discesa, vale però
la pena di prendere a destra e, seguendo alcuni ometti, raggiungere
la croce, posta, a 2370 metri, a ricordo della morte di un gruppo costituito
da 16 alpini, travolti da una valanga il 1 aprile 1917, durante la I Guerra Mondiale, mentre marciavano per salire alla capanna Marinelli, allora presidiata, appunto, dagli Alpini.
Il cimitero degli Alpini
La valanga si era abbattuta sul rifugio Musella dalle pendici del Sasso Moro. La targa, posta dal gruppo A.N.A. di Lanzada, commemora il loro sacrificio con queste parole: “A questi prodi vigili sui monti non parve sorte dura precipitare a valle sotto la valanga immane se il verde delle fiamme e il rosso del sangue loro sul bianco della neve simboleggiarono al termine estremo del fronte di guerra la gloria del tricolore”. Alle spalle della croce i giganti ci guardano con sovrano silenzio, così come furono muti testimoni della lontana tragedia. Ecco i loro nomi: Francesco Agazzi, Mario Bonaiti, Lorenzo Capelli, Alessandro di Biase, Giuseppe Regazzoni, Faustino Sosio, Luigi Paini, Rocco Palermo, Antonio Ramboldini, tutti del V Reggimento Alpini. Il giorno dopo, 2 aprile 1917, una seconda valanga travolse gli Alpini che scendevano in loro soccorso. I loro nomi sono ricordati su un'altra lapide: Bernardo Bormolini, Angelo Bonfadini, Pietro Bonzi, Angelo Crescini, Pasquale Di Battisti, Di Pietrantonio..., Antonio Galli, Ugolino Generali, Mauro Mapello, Francesco Magliano, Luigi Olivieri, Ernesto Pellegrinello, Eppe Petrucciani, Enrico Rosati, Luigi Tomasini.
Seguendo il Sentiero dei Ponti
Per riprendere il cammino alla volta del rifugio Marinelli non è
necessario tornare ai cartelli: possiamo tagliare, in diagonale, verso
sinistra, scendendo ad un secondo pianoro che si stende ai piedi di
una grande e caratteristica formazione rocciosa biancastra, che reca
il segno del lavoro millenario del ghiacciaio che l’ha levigata.
Volgendo leggermente a destra e passando vicino ad un grande masso sul
quale si trova una freccia bidirezionale gialla, proseguiamo in direzione
della parte terminale del vallone. L’indicazione del cartello
che abbiamo lasciato alle spalle menziona anche il rifugio Carate Brianza,
che si trova appena sotto la bocchetta delle Forbici, la quale, a sua
volta, si trova circa trecento metri più in alto, alla nostra
destra ed a sinistra del monte delle Forbici. Tale
indicazione si giustifica per la presenza di una deviazione, a destra,
segnalata da segnavia bianco-rossi: questa variante si stacca dal sentiero
per la Marinelli e, proseguendo verso sud-est, attraversa il torrente
Scerscen e risale il fianco orientale del vallone, raggiungendo dapprima
il laghetto delle Forbici, poi la bocchetta omonima.
Ma torniamo al sentiero principale (sentiero per modo di dire, perché
per buona parte dell’itinerario non c’è una vera
e propria traccia, per cui bisogna prestare molta attenzione per non
perdere i segnavia che indicano la direzione corretta): aggirata sulla
destra la formazione rocciosa biancastra, esso volge decisamente a sinistra
(direzione ovest), procedendo, per un buon tratto, in direzione della
vedretta di Scerscen inferiore. In questo tratto si impone allo sguardo,
verso nord-nord-est, il pizzo Sella, che mostra un elegante profilo.
La nostra meta, il rifugio Marinelli, già visibile, verso nord-ovest,
alla sommità dell’imponente sperone roccioso rossastro
che lo ospita, si allontana, alle nostre spalle, tanto che per un attimo
ci assale il dubbio sulla correttezza dell’itinerario. Alla fine,
però, un cartello della Comunità Montana Valtellina di
Sondrio ci tranquillizza. Esso segnala un bivio: prendendo a sinistra,
saliamo all’edificio dell’ex-rifugio Entova-Scerscen, dal
quale possiamo poi scendere ad una comoda pista che ci porta a San Giuseppe (san giüsèf o giüsèp);
prendendo, invece, a destra ci portiamo ad un ponte, che attraversa
uno dei rami dello Scerscen, proseguendo nel cammino verso la Marinelli.
Il ponte, nuovo e robusto, è il primo dei tre nuovi ponti che
hanno sostituito quelli precedenti, travolti dalla furia delle acque.
Apri qui una fotomappa dell'alto Vallone di Scerscen
Oltrepassato
il ponte, l’itinerario prosegue verso destra, cioè in direzione
nord-est, superando una fascia di sfasciumi e tagliando il filo di una
prima morena. Raggiungiamo, così, la parte terminale del vallone,
ai piedi, anche se ad una certa distanza, dell’ultimo imponente
gradino roccioso in cima al quale si mostra l’impressionante seraccata
occidentale della vedretta di Scerscen superiore. Il silenzio è,
qui, rotto dal fragore delle acque e, qualche volta, da tonfi sordi
e fragorosi. Non si tratta di frane, ma della caduta di grandi blocchi
di ghiaccio che si staccano dal fronte della seraccata, precipitando
più a valle.
Seguendo il Sentiero dei Ponti
Proseguendo nella traversata, incontriamo altri due ponti, giungendo
ai piedi della seraccata orientale della vedretta di Scerscen superiore.
Ci attende, poi, un facile guado, prima di risalire una seconda morena,
di cui seguiamo per un tratto il filo, in direzione nord, prima di piegare
a destra, in direzione est, raggiungendo una fascia di grandi massi,
oltre la quale ci attende un secondo guado, un po’ più
impegnativo (mettiamo, quindi, in conto di poterci bagnare i piedi nelle
gelide acque di fusione: un cambio di calze è, dunque, quanto
mai opportuno). Un’eventuale sosta, necessaria, magari, per cambiare
le calze bagnate, ci permette di riconoscere le cime che abbiamo lasciato
alle nostre spalle,ad ovest: a destra della cima 3006, riconosciamo
ora, in sequenza ravvicinata, il Sasso d’Entova, il pizzo Malenco
ed il pizzo Tramoggia, che sormontano la vedretta di Scerscen inferiore.
Seguendo il Sentiero dei Ponti
Oltre l’ultimo ramo del torrente Scerscen, troviamo una nuova
fascia di sfasciumi. Qui
dobbiamo prestare attenzione ai segnavia, per non sbagliare direzione.
L’itinerario piega ora a destra, assumendo la direzione sud-est.
Mancano poco più di cento metri, si tratta di profondere le ultime
energie nella salita, prima della meta. Un ripido tratto ci permette
di guadagnare il bordo di un’ampia conca di sfasciumi, raggiungendo,
infine, una marcata traccia, che conduce direttamente al rifugio. Da
qui il panorama sui giganti della Valmalenco è particolarmente
felice. L’ultimo tratto, pur presentando un fondo largo e regolare,
deve essere affrontato con attenzione, perché è esposto.
Apri qui una fotomappa del Sentiero dei Ponti
Alla fine, eccoci all’ampio piazzale del rifugio Marinelli (m.
2813). Il rifugio, di proprietà del CAI di Sondrio, fu costruito nel 1880. Il suo nome originario era rifugio Scerscen ma, dopo la morte del suo ideatore, Damiano Marinelli, nel 1882 venne intitolato a lui. Nel tempo fu soggetto a numerosi ampliamenti (1906, 1915, 1917, 1925 e 1938), finché, dopo la seconda guerra mondiale, per impulso di Luigi Bombardieri venne raddoppiato. Alla morte del Marinelli, in seguito alla tragica caduta dell’elicottero che lo trasportava nel 1957, il suo nome venne aggiunto nell’intitolazione del rifugio, che ebbe come custode Cesare Folatti.
Apri qui una fotomappa del Vallone di Scerscen e della testata della Valmalenco
Dal piazzale si apre, verso est, il bellissimo scenario della
vedretta di Caspoggio, incorniciata, sulla destra, dalle cime di Musella
orientale (m. 3088) ed occidentale (m. 2990).
TRAVERSATA AL RIFUGIO BIGNAMI
Punti di partenza ed arrivo |
Tempo necessario |
Dislivello in altezza
in m. |
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti) |
Rifugi Mitta e Musella-Campomoro-Rifugio Bignami |
2 h |
420 |
E |
SINTESI. Dai rifugi Mitta e Musella ci portiamo al limite orientale dell'alpe Musella (di destra per chi guarda a monte), seguendo il sentiero che entra in una macchia di larici e dopo qualche saliscendi scende verso sud ad intercettare la pista sterrata che, seguita in salita (verso est-nord-est) porta ad una spianata sotto il muraglione della diga di Campomoro. Una breve salita sulla medesima pista dopo pochi tornanti porta al camminamento della diga; lo percorriamo e siamo al parcheggio di Campomoro. |
Rifugio Carate-Brianza
Due sono gli itinerari per i quali si può traversare dall'alpe Musella al rifugio Bignami. Il primo, più semplice, consiste nel portarsi alla diga di Campomoro percorrendo a rovescio la via di accesso all'alpe raccontata sopra. Da Campomoro, poi, seguendo la pista che porta ai piedi della muraglia della diga di Gera, si sale sul camminamento della sua corona e, prendendo a sinistra, si arriva al sentiero segnalato che porta diritto al rifugio Bignami, tagliando il fianco del Sasso Moro.
Punti di partenza ed arrivo |
Tempo necessario |
Dislivello in altezza
in m. |
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti) |
Rifugi Mitta e Musella-Rifugio Carate Brianza-Forca di Fellaria-Rifugio Bignami |
3 h |
810 |
E |
SINTESI. Poco sopra i rifugi Mitta e Musella raggiungiamo le baite dell'alpe Musella (m. 2076), dalle quali inizia la lunga salita verso nord che porta ad intercettare il sentiero che proviene da Campomoro (dalla nostra destra) ed a salire verso sinistra
alla bocchetta delle Forbici, che vediamo fin dall'alpe Musella. Appena prima della bocchetta si trova il rifugio rifugio
Carate Brianza (m. 2600). Seguendo le indicazioni di un cartello a lato del rifugio Carate Brianza, procediamo su traccia di sentiero verso ovest-nord-ovest, tagliando il versante meridionale ai piedi delle cime di Musella. Seguiamo gli abbondanti segnavia biancorossi (ma anche triangoli gialli, perché percorriamo una variante bassa della VI tappa dell'Alta Via della Valmalenco), che ci aiutano a districarci in una fascia di blocchi e sfasciumi. Nella seconda parte della traversata pieghiamo verso destra (sud-est) e ci portiamo al centro del vallone che sale alla forca di Fellaria, poi su quello di destra (per noi). Dopo aver guadagnato un po’ di quota sul versante destro, iniziamo
la parte terminale della traversata, con andamento più tranquillo,
in direzione sud-est, verso l’evidente depressione della forca.
Dopo circa un’ora di cammino dal rifugio Carate Brianza,
ci affacciamo alla forca di Fellaria (2819 m.). Scendiamo
in un ampio vallone, compreso fra il vallone gemello che culmina nella
bocchetta di Caspoggio, a nord, ed il versante settentrionale del Sasso
Moro, a sud; piegando a destra, ci portiamo sul suo lato destro, fino
a raggiungere, sempre guidati dai segnavia, un pianoro percorso da un pigro torrentello. Procediamo, quindi, in direzione est-nord-est, con
andamento pianeggiante. La traccia non sempre è visibile, ma la traversata, senza problemi,
ci conduce sulle soglie di un modesto avvallamento, nel quale scendiamo
da destra, raggiungendo il punto in cui il sentiero confluisce in quello
che, salendo dal rifugio Bignami, conduce alla bocchetta di Caspoggio.
Percorrendolo verso destra, siamo in breve alle baite dell’alpe
di Fellaria (m. 2401) e, a breve distanza, al rifugio Bignami (m. 2385). |
Meno nota, ma più interessante, è la traversata che sfrutta la Forca di Fellaria. In questo caso si sale al rifugio Carate Brianza, per la via sopra raccontata parlando della salita al rifugio Marinelli. Qui giunti, invece di varcare la bocchetta delle Forbici, si prende a destra, imboccando il sentiero segnalato per la bocchetta delle Forbici. Questo sentiero si dirige verso
est-nord-est, ed è segnalato da segnavia diversi (soprattutto
bianco-rossi, ma anche triangoli bianchi con bordo giallo, ad indicare
che si tratta di una variante della sesta tappa dell’Alta Via).
Non si tratta di un sentiero marcato, anzi la traccia, in molti punti,
si perde in un dedalo caotico di massi, grandi e piccoli, ma non rischiamo
di perderci, in quanto i segnavia sono addirittura sovrabbondanti, soprattutto
nella prima parte, e ci guidano, si può ben dire, passo per passo.
Oltretutto ben presto giungiamo in vista della meta, in quanto la forca
ci appare come l’evidente sella che chiude il vallone di sfasciumi
verso il quale ci stiamo dirigendo. Il vallone è delimitato a
sud dalle propaggini che scendono verso nord-ovest dalla cima del Sasso
Moro ed a nord dalle cime di Musella (m. 2990, 3079, 3094; più ad est, la cima di Caspoggio, m. 3136; queste vette sono chiamate, però, localmente, nel loro complesso, “sas di fòrbes”).
Il sentiero comincia la traversata a mezza costa sul fianco sinistro
(per noi) del vallone, cioè su quello settentrionale, salendo
molto gradualmente. I
magri pascoli cedono ben presto il passo ad una fascia di massi di dimensioni
medio-piccole. Guardando davanti a noi, abbiamo l’impressione
che la traccia debba effettuare la traversata rimanendo su questo versante
e raggiungendo la sella con un arco di cerchio. Invece, ad un certo
punto, i segnavia ci fanno piegare a destra e scendere leggermente,
raggiungendo il cuore del vallone, dove si trova una fascia di grandi
massi.
È, questo, il tratto più faticoso dell’anello: i
segnavia ci guidano, ma, per diversi minuti, dobbiamo, con cautela,
districarci in una congerie di massi di dimensioni rilevanti, portandoci
gradualmente sul lato opposto (destro) del vallone. Su un terreno del
genere ci si deve muovere sempre con calma ed attenzione, perché
un piede messo malamente o uno scivolone in un buco possono essere all’origine
di infortuni anche seri. Qualche pausa, per riprendere fiato, ci consente
di osservare le cime di Musella occidentali che, viste da qui, assumono
un aspetto quasi gotico, mostrandosi come un irto sistema di guglie
e pinnacoli.
Dopo aver guadagnato un po’ di quota sul versante destro, iniziamo
la parte terminale della traversata, con andamento più tranquillo,
in direzione sud-est, verso l’evidente depressione della forca.
Prima di raggiungerla, passiamo a sinistra di un’ampia finestra
dalla quale appaiono, alla nostra destra, il
monte Disgrazia e, sul fondo, uno scorcio della catena orobica.
Poi, dopo circa un’ora di cammino dal rifugio Carate Brianza,
ci affacciamo alla forca di Fellaria, posta a 2819 metri, che ci immette in un corridoio
dal quale si vedono già, verso nord-est (alla nostra sinistra)
il piz Varuna (m. 3453) e, alla sua destra, la cima Fontana (m. 3070),
sul versante settentrionale della val Confinale. Sullo sfondo, qualche
scorcio del versante orientale della Valle di Poschiavo e le più
alte cime della Val Grosina. Lasciamo, invece, alle nostre spalle un’esigua
finestra nella quale, sul fondo, si individua la vedretta di Scerscen
inferiore e, sul suo limite sud-occidentale, la dorsale scandita dalla
triade del pizzo Tramoggia (piz di tremögi,, m. 3441), a nord-ovest, dal pizzo Malenco
(m. 3438), al centro, e dal Sasso d’Entova (sasa d’éntua, m. 3329; le tre vette, nel loro insieme, erano chiamate, localmente, “i tremögi”; la denominazione distinta deriva da un interesse alpinistico), a sud-est.
Il corridoio che stiamo percorrendo suscita un forte senso di tranquilla
solitudine: è un luogo appartato, lontano dalle vie più
battute della Valmalenco, dove, preso nella morsa di un silenzio inviolato,
anche il tempo sembra aver fermato il suo corso.
La discesa è assai più agevole della salita: troviamo
una buona traccia di sentiero che ci permette di perdere quota senza
fatica. Scendiamo
in un ampio vallone, compreso fra il vallone gemello che culmina nella
bocchetta di Caspoggio, a nord, ed il versante settentrionale del Sasso
Moro, a sud; piegando a destra, ci portiamo sul suo lato destro, fino
a raggiungere, sempre guidati dai segnavia, un pianoro percorso da un pigro torrentello. Procediamo, quindi, in direzione est-nord-est, con
andamento pianeggiante.
La traccia non sempre è visibile, ma la traversata, senza problemi,
ci conduce sulle soglie di un modesto avvallamento, nel quale scendiamo
da destra, raggiungendo il punto in cui il sentiero confluisce in quello
che, salendo dal rifugio Bignami, conduce alla bocchetta di Caspoggio.
Percorrendolo verso destra, siamo in breve alle baite dell’alpe
di Fellaria (m. 2401) e, a breve distanza, al rifugio Bignami (m. 2385),
collocato su un ampio terrazzo che domina il lago di Gera (m. 2150).
L’alpe Fellaria (o Fellerìa, in dialetto “felerìe”) merita un breve discorso. Si tratta, infatti, di uno dei più alti alpeggi alpini, posta, com’è, a 2400 metri. Il suo centro è posto in un piccolo avvallamento che pone le baite al riparo dai venti che spirano dai ghiacciai omonimi. Fino alla metà degli anni Settanta del secolo scorso era caricata da una decina di famiglie della contrada di Ganda (Lanzada), ciascuna con il proprio soprannome (i re, i gat, i santin, i mau, i gnolii, i tonitoni, i alpin, i öc, i péteréi), con una settantina di capi che salivano fin qui dopo aver sostato nei sottostanti alpeggi di Campomoro e di Gera (prima che gli attuali invasi li sommergessero); oggi, invece, da molti anni nessun capo di bestiame pascola più nella splendida cornice dell’alta Valle di Campomoro.
Nei pressi del rifugio troviamo il sentiero che scende, in direzione
sud, verso la muraglia che sbarra la diga, e che corre sul versante denominato "còsto granda" e sulla parte bassa
del possente versante sud-orientale del Sasso Moro. Nella discesa si
apre al nostro sguardo un bello scorcio della val Poschiavina (da non
confondere con la ben più ampia Valle di Poschiavo, in territorio
svizzero, alla quale, peraltro, si accede da questa valle minore valicando
il passo di Canciano), posta a sud della val Confinale. L’ultima
parte del sentiero, intagliata nella viva roccia che precipita nelle
acque del lago, propone qualche saliscendi, prima di condurci sul lato
occidentale del camminamento della poderosa muraglia della diga di Gera che, con i suo 65 milioni di metri cubi, è una delle più
grandi d’Italia.
Attraversando il camminamento, possiamo gustare, sia a valle che a monte,
un ottimo panorama. Verso nord vediamo, a destra della cima del Sasso
Rosso (m. 3481), la seraccata che scende dal ramo orientale del ghiacciaio
di Fellaria e, alla sua destra, il piz Varuna. Verso sud, invece, dominiamo
la piana di Campomoro, occupata dall’omonima diga, e possiamo
scorgere, sulla destra, il monte Disgrazia (m. 3678), alla cui sinistra
si individua il pizzo Cassandra (piz Casàndra o Casèndra, m. 3226). Dal camminamento scendiamo
ai piedi della muraglia e procediamo su una pista sterrata che, dopo
un paio di tornanti in discesa, assume un andamento pianeggiante, fiancheggiando
il lato orientale della diga di Campomoro.
TRAVERSATA AL RIFUGIO PALU'
Punti di partenza ed arrivo |
Tempo necessario |
Dislivello in altezza
in m. |
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti) |
Rifugi Mitta e Musella-Alpe Campascio-Bocchel del Torno-Rifugio Palù |
2 h |
380 |
E |
Lago Palù
Per traversare dall'alpe Musella al rifugio ed al lago Palù (percorrendo a rovescio la V tappa dell'Alta Via della Valmalenco, quindi con il riferimento costante dei classici triangoli gialli) dobbiamo scendere, sfruttando il sentiero che parte appena sotto il rifugio Musella, all'alpe Campascio. Dobbiamo,
in questo caso, raggiungere il limite meridionale dell’alpe Campascio (campàasc)
e, seguendo le indicazioni, piegare leggermente a destra, fino ad un
ponte di legno sul torrente Scerscen. Sul
lato opposto del ponte troviamo la larga e comoda mulattiera che, con
andamento sostanzialmente pianeggiante, attraversa uno splendido bosco
di larici e confluisce nella pista sterrata che scende dal passo di
Campolungo. Qui confluisce anche, come indica un cartello, da destra
il sentiero che scende dal bocchel del Torno (buchèl di tórn, o tùrn), e
che costituisce la prosecuzione della V tappa per chi, sceso dalla Marinelli,
prosegua verso il rifugio Palù. Seguiamo il sentiero che, tagliando la pista, ci porta ai 2179 metri del bocchel del Torno.
Scendiamo, ora, per un ripido canalone, attraversiamo verso destra un torrentello e proseguiamo, con andamento meno ripido, in un bosco di larici, fra molti massi che testioniano una paleofrana scesa dai fianchi del Sasso Nero, alla nostra destra. Alla fine usciamo agli ampi prati dell'alpe Roggione, per poi, con breve ulteriore discesa, raggiungere il rifugio Palù, presso la riva dello splendido lago omonimo.
CARTA DEL PERCORSO sulla base della Swisstopo, che ne detiene il Copyright. Ho aggiunto alla carta alcuni toponimi ed una traccia rossa continua (carrozzabili, piste) o puntinata (mulattiere, sentieri). Apri qui la carta on-line
Mappa del percorso - elaborata su un particolare della carta tavola elaborata da Regione Lombardia e CAI (copyright 2006) e disponibile per il download dal sito di CHARTA ITINERUM - Alpi senza frontiere
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