1. Novate Mezzola -
Rif. Brasca

2. Rif. Brasca -
Rif. Gianetti

Variante: Sentiero Risari
Omio-Gianetti

3. Rif. Gianetti - Rif. Allievi

4. Rif. Allievi -
Rif. Ponti

5. Rif. Ponti -
Chiesa Valmalenco

CARTA DEL PERCORSO sulla base della Swisstopo, che ne detiene il Copyright. Ho aggiunto alla carta alcuni toponimi ed una traccia rossa continua (carrozzabili, piste) o puntinata (mulattiere, sentieri). Apri qui la mappa on-line

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Apri qui una galleria di immagini ; Sentiero Roma su YouTube 1, 2, 3, 4, 5; Su YouTube: Sentiero Roma 1: Novate Mezzola-Rif. Brasca

Il Sentiero Roma è forse la più classica ed affascinante delle escursioni sulle Alpi centrali, un'esperienza che non si dimentica e che diventa, per chi la vive, non solo un motivo di orgoglio, ma anche una lezione che insegna pazienza, capacità di guardare, scoprire e gustare dimensioni sottratte al tempo. Il sentiero deve essere percorso in più giornate e presenta diverse varianti. Prima di considerarle, però, vanno fatte alcune avvertenze generali. Il sentiero non richiede una specifica preparazione alpinistica, ma non va neppure preso sotto gamba. In particolare, nella sua sezione centrale, costituita dalla terza e quarta giornata (traversate Gianetti-Allievi e Allievi-Ponti), oppure già dalla prima, se si sceglie la variante breve del Sentiero Risari (Omio-Gianetti), propone diversi passaggi attrezzati, nella salita e discesa dai passi che scavalcano costiere impervie, per cui è necessario munirsi di cordino e moschettone per assicurarsi alle corde fisse. Non è affatto prudente affrontarlo da soli, o in condizioni di allenamento non adeguate. È del tutto sconsigliabile, poi, affrontarlo con neve o nelle giornate di tempo brutto (in molti tratti non c’è un vero e proprio sentiero, ma si debbono attraversare gande fra le quali, in condizioni di tempo buono, i numerosi segnavia dettano chiaramente il percorso, ma altrettanto facilmente ci si può perdere, se la visibilità si riduce, cosa che accade assai rapidamente quando il tempo si guasta). Non si confidi, poi, nei telefonini: restano desolatamente muti. Un’ultima minaccia, se ce ne fosse bisogno: i sassi mobili, che escursionisti poco attenti possono involontariamente lanciare sui malcapitati che si trovano più in basso: sono veri e propri proiettili, possono uccidere. Non vorremmo aver troppo spaventato con queste avvertenze, o, peggio ancora, dissuaso dall’affrontare un’esperienza che non si dimentica. L’intento è, invece, di invitare a farla, ma a farla nelle dovute condizioni di allenamento, equipaggiamento, umiltà, prudenza e bel tempo. Il periodo migliore è quello compreso fra agosto e settembre (anche luglio è un ottimo mese, se d’inverno non è nevicato troppo). Per il resto dell’anno la neve può costituire un’insidia di non poco conto. Bene, fatte le doverose premesse, mettiamoci in cammino. 
Il percorso integrale parte da Novate Mezzola, paese posto all'imbocco della Val Chiavenna, e precisamente dai 316 metri del parcheggio di Mezzolpiano (lo raggiungiamo staccandoci dalla ss. 36 dello Spluga - se procediamo in direzione di Chiavenna - sulla destra, all'imbocco di via Ligoncio - Farmacia - e risalendo la via per intero, senza deviazioni),
dal quale si stacca una bellissima mulattiera, larga un paio di metri, spesso scalinata ed incisa nel granito, che sale, nel primo tratto, in un bosco di castagni.  
La Val Codera è l'unica fra le valli maggiori della provincia di Sondrio a non essere accessibile alle automobili: questo le conferisce un fascino per molti aspetti unico. Le fatiche iniziali impongono qualche sosta, anche perché il fiato non è ancora rotto. In particolare, ad una prima cappelletta ci si può volgere alle spalle per ammirare l’ottimo colpo d’occhio
sul Pian di Spagna e sul lago di Novate Mezzola,
cui fa da cornice, sul fondo, spostato a sinistra, il massiccio corno del monte Legnone, estrema propaggine occidentale della catena orobica.  
Poi alla cornice di un gentile bosco di castagni si sostituisce quella più severa della nuda roccia, il granito, signore del Sentiero Roma.
Un granito che, però, in questa zona l’uomo ha piegato al suo servizio: si tratta, infatti, del San Fedelino, qualità pregiata che ha dato determinato l’apertura di numerose cave. Il sentiero è qui scavato proprio nel granito, e solo così può scavalcare la forra terminale della valle, che precipita, selvaggia, per circa 300 metri, sul fondo del torrente Codera.
Più avanti, incontriamo, a quota 714, una seconda cappelletta, al culmine dello sperone roccioso che veglia il fianco settentrionale della bassa Val Codera; poi ci tocca una prima discesa, all’ombra di un bosco di betulle, olmi e castagni, fino ad un valloncello, superato il quale riprendiamo a salire, fino all'abitato di Avedee, posto a 790 metri, sul lungo dosso che scende verso sud-est dal monte omonimo (m. 1405).  
Dalle sue baite solitarie si vede bene Codera, il centro principale della valle. Sulla sua verticale, il pizzo di Prata (m. 2727), denominato anche “Pizzasc”, che sovrasta, sul lato opposto della catena montuosa, anche Prata Camportaccio. Ad Avedèe troviamo anche graziosa chiesetta.
Ci tocca, ora, un tratto in discesa, elegantemente scalinato, con qualche tornante: scendiamo di un centinaio di metri per superare valloni dirupati, che ci impongono poi diversi saliscendi,  
ed anche l’attraversamento di due gallerie paramassi. 
Prima della seconda, superiamo un breve tratto nel quale la montagna sembra incombere proprio sul nostro capo: un grande roccione si ripiega sopra la nostra testa, come una bocca pronta a richiudersi.

Attraversata la seconda gallerie si torna a salire, si incontra una nuova cappelletta 

 
e si raggiunge il piccolo cimitero del paese. Una scritta sulla parete della cappelletta antistante ci invita a meditare sulla fragilità della condizione umana: “Ciò che noi fummo un dì voi siete adesso, chi si scorda di noi scorda se stesso”. No, non ci vogliamo scordare di chi riposa qui. Delle generazioni che qui, in questa valle aspra ed insieme dolce, hanno visto dipanarsi l’intero filo dell’esistenza, un’esistenza quieta, severa, anche misera, difficilmente immaginabile. L’esistenza di chi ha dovuto strappare alla valle di che sopravvivere, mentre noi, ora, strappiamo scampoli di emozioni profonde. Dentro la cappelletta, la Madonna della visione dell’Apocalisse, coronata di stelle, nell’atto di schiacciare il dragone-serpente, simbolo del male. 
Proseguiamo, incontrando un’altra cappelletta. Ed ecco, infine, l'imponente campanile della chiesa di S. Giovanni Battista (m. 825), staccato dal corpo della chiesa. 
E, nella piazza della chiesa, uno dei due rifugi che qui si trovano, la Locanda Risorgimento.  
Siccome la prima tappa del sentiero è la meno impegnativa, vale la pena di fermarsi a gustare l'abitato, che non rimane deserto neppure nei mesi invernali e presenta, fra gli altri motivi di interesse,    
un caratteristico museo etnografico, nell’edificio dell’ex-oratorio. 
Poi, seguendo le indicazioni, si lascia il paese ).  
e si prosegue su un sentiero  
che sale con molta gradualità ed impone numerosi saliscendi, descrivendo un ampio semicerchio in direzione nord-est. La valle si allarga, e lo scenario cambia, diventando più aspro,  
  anche a causa delle numerose gande che si debbono superare. Sfilano diversi gruppi di baite che parlano di una vita dura e severa:  
Corte, Ganda, Belèniga (m. 1037), Saline (m. 1085).     
Se le tappe che portano nel cuore del sentiero Roma mostrano la poesia della montagna, qui appare piuttosto la durezza ed il sudore di chi alla montagna ha dovuto strappare faticosamente di che vivere. Sul fondo, appaiono alcune importanti cime del gruppo del Masino, che avremo modo di vedere più da vicino e da una diversa prospettiva.  Al centro, tre cime poco pronunciate, quasi gemelle, le cime dell’Averta, che guardano sulla valle omonima, sul versante della Val Codera, e sulla Val Porcellizzo, cui approderemo nella seconda giornata.  
Alla loro destra, una cima dal profilo netto ed affilato, la cima del Barbacan (m. 2738). Alla loro sinistra il corpo poderoso del pizzo Porcellizzo (m. 3075). Torniamo a fissare lo sguardo sulla cima del Barbacan, e guardiamo alla sua sinistra: distingueremo un ripido canalone e, alla sua sommità, un passo: è il passo del Barbacan nord, che varcheremo nel momento culminante della seconda giornata. Intanto si va avanti, si lasciano alle spalle le tristi gande, ci si immerge in una ben più poetica pineta. Dopo aver varcato il torrente Codera su un ponticello, usciamo all’aperto, incontrando prima le baite di Stroppadura (m. 1033) e poi la piana di Bresciàdega (m. 1214),   
dove si trova il rifugio omonimo, oltre ad una cappelletta e ad una chiesetta. Guardiamo ancora ai bastioni di granito che lo sguardo incontra in direzione est: la cima del Barbacan appare ora proprio al centro, mentre a destra poderosi contrafforti celano i pizzi dell’Oro.  
La prima giornata riserva solo un’ultima breve ulteriore fatica, per raggiungere il rifugio Brasca. Nell'ultima sezione del percorso appare sulla destra, altrettanto improvvisa ed imponente, la selvaggia e cupa val Spassato o val Spazza (chiamata anche, in passato, valle d’Arnasca). Anche questa valle merita un'attenta osservazione. Si nota, al suo centro, l'evidente depressione sulla cui sinistra si trova il passo Ligoncio (m. 2557), incorniciato fra il Lis d'Arnasca, o pizzo dell’Oro meridionale, a sinistra (m. 2695) e la punta della Sfinge (m. 2802) ed il pizzo Ligoncio (m. 3032) a destra.  
Sorprende ed impressiona soprattutto la liscia parete occidentale della punta della Sfinge: una sfida, una vertigine. Si deve tener presente che la salita al passo, che può essere servita dal bivacco Valli, rappresenta un'interessante variante al sentiero Roma, in quanto permette di scendere comodamente in valle dell'Oro e di raggiungere il rifugio Omio, dal quale poi, seguendo il sentiero Risari, si raggiunge il rifugio Gianetti. (proprio dal rifugio Omio in Valmasino parte una variante del sentiero Roma che permette di non effettuare questa prima tappa che attraversa la Val Codera).
La salita al passo non è però priva di difficoltà: bisogna sfruttare una lunga cengia esposta, anche se protetta da corde fisse.
Ma torniamo al nostro percorso: dopo 4 ore e mezza circa di una salita condotta con buon passo (esclusi i tempi di eventuali soste), ecco infine, a 1304 metri, la meta, il rifugio Luigi Brasca, in posizione solitaria, in un’amena radura incorniciata da splendidi abeti.  

Qui si può pernottare, recuperando energie preziose per la seconda e più dura tappa che attente il giorno successivo, la salita al passo del Barbacan nord, il tratto più faticoso del sentiero Roma. Si tenga presente che il rifugio può essere punto di partenza anche per quella salita in val Spassato di cui si è detto sopra. Guardiamo, infine, verso l’alta valle, a nord: distingueremo il profondo intaglio della bocchetta della Teggiola (m. 2490), a sinistra dei pizzi dei Vanni. Un sogno. Una meta per una prossima escursione.

 
 

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