CARTA DEL PERCORSO


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Eremo: luogo appartato, lontano dal mondo, nel quale gli uomini che vogliono percorrere la strada della santità vivono di preghiere e rinunce, cercando nel silenzio la voce di Dio. In Valtellina c’è un luogo che sembra corrispondere, più di ogni altro, a questa definizione. Un luogo dove la solitudine ti circonda da ogni lato, e le finestre del tempo sembrano schiudersi su prospettive inattese, lasciando filtrare, come lame di luce, le atmosfere di un passato di cui si è persa la voce. È l’oratorio dei Sette Fratelli. Un piccolo luogo di preghiera perso in un oceano di prati alti, appena sopra i duemila metri, ai piedi delle guglie di granito che separano la Costiera dei Cech dalla Valle dei Ratti. Un luogo misterioso, lontano dagli altri luoghi della presenza dell’uomo (il più vicino alpeggio, i prati Consiglio, se ne sta quasi 700 metri più in basso, a due ore di cammino). Cosa ci fa qui questo luogo di preghiera? Forse il suo significato è proprio legato all’idea di un ritiro dal mondo.
Salire fin qui è un’esperienza che lascia il segno. Qui lasciamo anche le parole che forse potrebbero dare corpo alla profonda emozione. Non riusciamo a portarle via. Restano qui, assorbite nel silenzio, che è più forte, qui. Vediamo, almeno, di raccontare come dirigere i nostri passi a questa dimora del silenzio.
Raggiungiamo il limite occidentale di Mello, dove parte una strada sterrata che, superata una bella cappelletta, oltrepassa la valle di San Giovanni e risale al bel poggio boscoso sul quale è collocata la bellissima chiesa di San Giovanni di Bioggio (m. 691).
Dietro la chiesa parte una pista carrozzabile (transitabile però solo previo acquisto di pass di accesso giornaliero al bar nel centro di Mello) che, superata la cappella di S. Antonio ed il vallone di S. Giovanni, porta alle spalle della chiesa, dove possiamo lasciare l’automobile. La pista prosegue per i prati di Aragno; noi, a piedi, invece di seguirla, imbocchiamo un sentiero, che si trova proprio alle spalle della chiesa, sul lato destro della pista, e che sale nel bosco di castagni (facciamo attenzione a non seguire la traccia che corre, verso destra, quasi pianeggiante, in direzione del solco del vallone, ma quella che sale, decisa, sul filo del dosso). Si tratta di un sentiero diritto e diretto, di quelli pensati per agevolare lo strascico del legname verso valle. Seguendolo, tagliamo per tre volte la pista sterrata, risparmiando parecchio tempo.
Nell’ultimo tratto, però, non lo troviamo più, e dobbiamo seguire la più monotona e tranquilla pista, fino ai prati di Aragno (1146 metri), che dalla pista non si vedono (per vederli, dobbiamo lasciarla, sulla sinistra, raggiungendo il loro limite inferiore). Possiamo giungere fin qui anche con l’automobile: il fondo della pista non è buono, ma neppure pessimo. A monte delle baite, che se ne stanno nella parte alta dei prati, la pista porta ad uno slargo. Qui la lasciamo ed imbocchiamo un sentiero, in corrispondenza di un cippo che ricorda un giovane tragicamente morto collaborando al taglio di una pianta.
Dopo aver descritto una diagonale verso nord ovest, il sentiero ci fa passare dal territorio del comune di
Mello (cui appartengono i prati di Aragno) a quello del comune di Traona, e conduce ai prati di Bioggio (termine connesso con la voce dialettale “bedoia”, betulla, oppure con “Biogio”, soprannome personale, m. 1258), ampio terrazzo estremamente panoramico, soprattutto in direzione della bassa Valtellina e dell’alto Lario. Guardando, invece, verso nord distinguiamo chiaramente il poggio che sta sulla verticale dei prati, denominato Piazzo della Nave: nella salita, passeremo di lì.
Salendo un poco, presso alcuni grandi massi disseminati nel prato, troviamo una sorpresa inattesa: invisibile da sotto, ecco una pista tagliafuoco, che proviene dalla lontana alpe Piazza, sul limite occidentale della Costiera dei Cech, sopra Cino, e prosegue ancora per un breve tratto verso est (alla nostra destra), prima di fermarsi a ridosso dei paurosi dirupi che, più in basso, precipitano nel vallone di S. Giovanni. Seguiamo la pista, verso destra (est), solo per pochi metri, finché troviamo, sulla sinistra, la partenza di un sentiero che sale, in diagonale, verso destra, superando alcuni ruderi di baita e portando ad una nuova fascia alta di prati, a 1348 metri. Fino a qualche tempo fa una simpatica bandiera gialla ci accoglieva nell’approdo a questi prati; ora non c’è più.
Dobbiamo, ora, puntare alle baite nella parte alta dei prati, e proseguire sul sentiero che parte alle loro spalle. Cominciamo a trovare, su alcuni sassi, dei segnavia blu. Il primo è rappresentato da una freccia, sotto la quale è riportata la sigla 7 F, che sta, ovviamente, per “Sette Fratelli”. Dopo un tratto verso destra, incontriamo un piccolo trogolo, cioè vasca per la raccolta dell’acqua, problema essenziale in queste montagne particolarmente aride. Il sentiero inanella alcuni tornantini, e, salendo troviamo altri due trogoli, prima di un bivio segnalato, a poca distanza di una baita isolata, a monte dei prati. Su un masso la freccia blu ci indica che dobbiamo, ora piegare a destra (il sentiero che procede diritto effettua una lunga traversata fino ai prati Brusada, m. 1584, a monte di Cercino).
Una diagonale verso destra ci porta al rudere di baita quotato m. 1445, dove pieghiamo a sinistra. Sempre guidati dai segnavia e da qualche fettuccia blu sul tronco di alberi, inanelliamo alcuni tornanti in una rada selva, prima di uscire ad un terreno scoperto, occupato da rada boscaglia, effettuando prima una diagonale a destra, poi un’ultima a sinistra, che ci porta al terrazzo denominato Piazzo della Nave (m. 1637), che appartiene sempre al territorio del comune di Traona. Qui incontriamo un elemento fortemente mitico, anche se affonda le sue radici nel racconto veterotestamentario: la denominazione del luogo, infatti, si ricollega ad una leggenda, secondo la quale l'Arca di Noè sarebbe approdata, dopo la lunga navigazione nell'oceano desolato provocato dal diluvio universale, sulla terraferma proprio qui, attraccando ad un grosso masso arrotondato, ben visibile sul limite inferiore orientale del Piazzo (per vederlo, dobbiamo scendere di qualche metro, e guardare a sinistra). Forse un albero a poca distanza dal masso servì per assicurare la nave nei pressi di quello che doveva essere un grande scoglio. Forse. Quel che è certo è che l’albero si è prima rinsecchito, probabilmente colpito da un fulmine, ed ora non è più neppure lì, a vegliare presso il masso: lo hanno tagliato e lasciato a poca distanza. È altrettanto certo che questo ampio poggio, collocato approssimativamente al centro della Costiera dei Cech, ne è un po' come l'ombelico, il luogo in cui sembrano riassumersi le sue suggestioni ed il suo fascino.
Lasciamoci prendere, dunque, dal gusto di questo fascino, immaginiamo il vegliardo Noè guardare compiaciute questa nuova terra, la terra della rinascita, immaginiamo tutte le specie animali scendere dall’arca e disperdersi fra queste montagna. Alcune per rimanervi e riprendere, dopo la pausa dell’epica navigazione, l’antichissima lotta (come la vipera e l’aquila), altre per lasciarle, alla ricerca di climi più adatti. E Noè? Il suo cuore è rimasto qui. Racconta, infatti, la leggenda che egli ami tornare, ogni anno, nelle notti di agosto, a visitare questi luoghi. Lo sanno i pastori, che in queste notti ne scorgono, per qualche istante appena, l’ombra, la quale si aggira, discreta e silenziosa, a ricercare i ricordi che rimandano al giorno in cui di nuovo tornò a baciare la terraferma. Ed i pastori amano ricordare questo, anche per tacitare i loro "colleghi" del versante orobico che fronteggia i Cech, cioè i Maroch, i quali pure vantano un Piazzo della Nave, nei boschi sopra Delebio. Immersi in questi pensieri, gustiamo per qualche attimo ancora l’ottimo panorama verso sud, che va dalle Orobie centrali all’alto Lario, prima di riprendere la salita.
Il sentiero riprende sul lato nord del terrazzo, alle spalle dei pochi pini solitari (una fettuccia su un albero aiuta ad individuare il punto), e sale quasi diritto, piegando poi leggermente a destra, fino a raggiungere un punto che vale la pena memorizzare in vista del ritorno (sopra il Piazzo della Nave, infatti, non ci sono più segnavia; ricordiamoci, scendendo, che qui dobbiamo piegare a destra): si tratta di una specie di punto di svolta, dal quale, per la prima volta, guardando in alto, a destra di una rada pineta persa nel mare d’erba, vediamo la meta, l’oratorio. Qui il sentiero piega a sinistra e, zigzagando, guadagna il filo di un largo dosso, sul cui fianco destro si stende la rada pineta, e sul quale corre anche, senza che ce ne accorgiamo, il confine fra i comuni di Traona, alla nostra sinistra, e Mello, alla nostra destra. Qualche parola sulla pineta, che, per quanto rada, è un piccolo gioiello. Si tratta di una pineta costituita da pini silvestri: il pino silvestre è un po' il signore della Costiera dei Cech, che ha colonizzato approfittando della situazione climatica particolare, che garantisce inverni assai miti.
La salita prosegue decisa, con poche serpentine, in uno scenario quasi surreale: numerosi scheletri d’albero, infatti, con i rami rinsecchiti protesi verso l’alto in modo bizzarro e quasi patetico, danno l’idea di una sorta di cimitero degli alberi, simile a quel mitico cimitero nel quale, si dice, gli elefanti si rechino a morire. L’oratorio, apparso per pochi istanti, già non si vede più. Si vede bene, invece, in alto, la cima del monte Sciesa (m. 2487), che sorveglia questo quadrante della Costiera dei Cech. Dobbiamo fiancheggiarla tutta, la pineta, fino al suo limite superiore, prima che il sentiero, raggiunti i 2010 metri, pieghi a destra, riportandoci, con un ultimo tratto in leggera salita, nel territorio del comune di Mello.
Eccolo, finalmente, l’oratorio dei Sette Fratelli, finalmente vicino, amico. Eccolo, dopo quasi 4 ore di cammino (il dislivello, se siamo partiti da
S. Giovanni di Bioggio, è approssimativamente di 1300 metri). Eccolo, nella mistica compagnia di una grande croce lignea tridimensionale, con una campanella che ogni visitatore può far risuonare, per dar voce alla gioia che si libera, dopo tanta fatica. Purtroppo non possiamo entrare nell’oratorio, che, per impedire l’ingresso degli animali (è, questo, luogo di cui sono padrone capre errabonde ed impertinenti: fra gli ospiti dell'Arca di Noè, questi animali sono stati, senza dubbio, i più entusiasti dei luoghi cui essa è approdata), è sbarrato da assi di legno.
Nulla ci impedisce, invece, di ammirare il panorama, che, per la verità, è meno ampio di quello che si apre più in basso, perché le due costiere ad oriente e ad occidente chiudono un po' la visuale. Ad est, cioè alla nostra sinistra, osserviamo il lungo dosso che ospita, ad una quota pressoché identica a quella dell'oratorio, i Tre Cornini, e che chiude la visuale sulla media Valtellina. Si mostra, invece, quasi interamente la catena orobica, dalle sue propaggini orientali a metà circa della Val Lesina. Il dosso che abbiamo risalito, infine, chiude a destra la visuale, sottraendo ai nostri occhi il monte Legnone, la bassa Valtellina e l'alto Lario. Guadando verso il basso, vediamo, alla nostra sinistra, il solco che, da modesto avvallamento, si approfondisce gradualmente, man mano che scende, nell'oscuro vallone di S. Giovanni. A sinistra del vallone, vediamo tutta la bella piana di Poira, con Poira di Dentro e di Fuori. Sul fondovalle, infine, ottimo è il colpo d'occhio su Talamona e Morbegno, alle cui spalle si aprono le Valli del Bitto di Albaredo e Gerola.
Alle spalle dell'oratorio, sul crinale erboso, riusciamo a distinguere una traccia di sentiero, che scende per un buon tratto prima di scomparire alla nostra vista. Si tratta del sentiero che effettua una lunga traversata, intercettando il sentiero per l'alpe Visogno poco sopra il Pre Soccio, ad una quota, cioè di circa 1750 metri. Un sentiero, però, non segnalato, dalla traccia incerta, sconsigliabile, quindi, anche perché, se lo perdiamo, non abbiamo la possibilità di scendere a vista, dal momento che passiamo a monte dei dirupi che convergono nel vallone di S. Giovanni. All'oratorio scende (ma non lo si distingue) anche un secondo sentiero, che effettua una traversata alta (2100-2200 metri) fra gli ultimi pascoli e le formazioni rocciose della Costiera, fino al dosso a monte dei Tre Cornini. Si tratta di un sentiero altrettanto sconsigliabile, perché non segnato, incerto ed esposto.
E' tempo, però di dar voce ad una domanda, finora inespressa: perché questo nome? Chi sono i sette fratelli? L’oratorio, eretto nel 1761, è dedicato a S. Felicita, madre di sette figli, tutti martirizzati e canonizzati, quindi santi come lei, nei primi secoli dell’era cristiana. Ecco chi sono i sette fratelli: Gennaro, Felice, Filippo, Silano, Alessandro, Vitale e Marziale, martirizzati al tempo dell'Imperatore Antonino. Gennaro, dopo essere stato percosso con verghe nel carcere, fu ucciso con flagelli piombati; Felice e Filippo furono uccisi con bastoni; Silvano fu gettato in un precipizio; Alessandro, Vitale e Marziale furono puniti con sentenza capitale. Un dipinto li raffigura, insieme alla madre, sul fondo dell’oratorio.

Costei fu l'ultima ad essere uccisa, decapitata, dopo aver provato l'immenso dolore per il supplizio dei figli, ma anche la consolazione di averli visti tanto saldi nella fede da dare la vita per essa. La sua festa viene celebrata il 23 novembre, ma possiamo comunque rivolgerle una preghiera, tenendo anche presente che la devozione per questa santa è particolarmente viva fra le donne che non riescono ad avere figli e da lei implorano questa grazia.
Ma non c’è solo il riferimento alla storia della chiesa. Esiste anche un’antichissima leggenda, curiosa, un po’ enigmatica, assai meno tragica. E parla di una madre che aveva sette figli, inquieti, monelli. Una madre, intenta, in una baita dell’alta alpe, a “tarare” la polenta che stava cuocendo nel paiolo, ad un certo punto si spazientì, perché i suoi sette figli, intorno a lei, facevano troppo chiasso, non sapendo attendere tranquilli che la polenta fosse servita. Sembra che la donna sia sbottata gridando: “Via poch de bun, vün per cantùn”, cioè: “Via, poco di buono, uno per ogni angolo”, sottinteso di queste montagne. Ed in effetti i figli se ne andarono, proprio in sette angoli diversi della bassa Valtellina, tutti visibili dal luogo della dispersione, che poi divenne luogo di preghiera, l’Oratorio, da allora chiamato “dei Sette Fratelli”.
La sfuriata della madre, oltre a regalarle un po’ di pace, ebbe l’effetto di trasformare i figli indisciplinati in altrettanti eremiti devoti, che fondarono sette chiese: S. Antonio, S. Pietro in Vallate, San Giuliano sopra Dubino, S. Domenica a Delebio, S. Esfrà sull’alto versante retico sopra Mello, S. Maria in
Val Gerola e S. Giovanni di Bioggio.
I sette fratelli non ebbero più modo di ritrovarsi, né di vedere la madre, ma un segno li legò sempre, un fuoco, acceso la sera, con il quale segnalavano ciascuno agli altri che erano ancora in vita. Ma venne per ciascuno il giorno della morte: e la sera di quel giorno non vide il fuoco consueto, ma una nuova stella accendersi in cielo. Prima che le stelle si accendano nel cielo, viene, però, per noi il momento di scendere. Facciamolo per la medesima via di salita, fino ad un tornante sinistrorso in corrispondenza del quale stacca dalla pista principale, sulla destra, una pista secondaria. Invece di proseguire la discesa per San Giovanni, imbocchiamo questa pista, scendendo, dopo alcuni tornanti, alla strada asfaltata che congiunge Cercino a Cino. Prendiamoci il tempo per scendere a visitare la bella chiesa parrocchiale di Cercino, poi torniamo sui nostri passi e, seguendo la strada verso ovest, raggiungiamo Cino, dove pernotteremo (albergo Fiorini; tel.: 0342 680133).
Questo se vogliamo fare gli eroi. Possiamo però anche, più umanamente, tornare a Mello, se abbiamo lasciato l'automobile, e con questa portarci a Cino.

CARTA DEL PERCORSO sulla base della Swisstopo, che ne detiene il Copyright. Ho aggiunto alla carta alcuni toponimi ed una traccia rossa continua (carrozzabili, piste) o puntinata (mulattiere, sentieri). Apri qui la carta on-line

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