ESCURSIONI A CHIESA VALMALENCO


Valle del Muretto

Il passo del Muretto (pas de mürét, l'antico monte dell'Oro) mette in comunicazione le due omonime valli, sul versante italiano e svizzero, congiungendo l’alta Valmalenco (val del màler) con l’Engadina. Per la sua quota relativamente modesta (m. 2562) rappresenta il più agevole valico fra i due versanti delle alpi Retiche, e, come tale, fu ampiamente sfruttato, nella storia, per i passaggi commerciali e militari. I primi erano alimentati soprattutto dalle esportazioni di vino valtellinese verso le regioni di lingua germanica. A riprova di ciò, si può ricordare una curiosa consuetudine: il municipio di Sondrio assegnava, nei secoli passati, un premio al primo mercante che avesse valicato, dopo i rigori dell’inverno, il passo con un mulo carico di vino. L’itinerario per l’Engadina era denominato “viaggio della montagna dell’Oro”, dal momento che il tratto che risale la valle del Muretto in territorio italiano si snoda ai piedi del versante sud-occidentale dell’imponente monte dell’Oro (m. 3154), posto sulla dorsale che, con andamento da sud-est a nord-ovest, scende fino al monte Muretto, che sorveglia il passo (m. 3104).
Ci offre un’ampia presentazione storica di questo importante passo Cristina Pedana, nello studio “Sentieri e strade storiche in Valtellina e nei Grigioni – Dalla preistoria all’epoca austro-ungarica” (Ottobre 2004, dal sito www.castellomasegra.org/):
La strada del passo del Muretto… costituiva la direttrice più breve sulla linea Venezia, Septimer e Coira. Frequentata verosimilmente in epoca preistorica, lo fu con una certa sicurezza anche nel periodo romano, come proverebbe il ritrovamento di monete di quel periodo proprio nei pressi del passo.
Ma è nel Medioevo che l'utilizzo di questa via, soprattutto per traffici commerciali a carattere locale, divenne regolare e continuo, prolungandosi poi nei secoli successivi.L'itinerario che aveva inizio a Sondrio, nel periodo più antico saliva dalla vecchia strada della Valmalenco fino a Mossini (forse l'antica Rovoledo, poi distrutta da una enorme frana) e proseguiva fino a Cagnoletti e a Torre.
Solo durante il Medioevo fu costruita la cosiddetta "cavallera" che da Sondrio attraverso la salita Ligari o la via Scarpatetti raggiungeva il castello Masegra, quindi il Moncucco, i piccoli centri di Pozzoni e di Scherini, Arquino, dopo aver attraversato il ponte sull'Antognasco, Caparé, Menesatti, Cucchi, e, dopo il passaggio sul ponte nuovo sul torrente Mallero, raggiungeva Torre.
Da lì, restando accanto al corso d'acqua, arrivava a Chiesa, quindi oltrepassava la località Giovello, San Giuseppe, Carotte e Chiareggio (o Cereccio come si trova in alcuni antichi documenti). Dopo aver attraversato il piano del Lupo, così detto dal termine lop che indica i residui di miniera, la strada saliva senza tornanti, direttamente all'Alpe Oro, quindi superava uno sperone di roccia, un lungo pendio ghiaioso e infine la bala del Muret, l'ultimo ripido pendio prima della discesa sul versante elvetico dove il tracciato antico è scomparso.Comunque la via, dopo aver superato il Plan Canin dove ha inizio la valle del Forno, scendeva al lago di Cavlocio e raggiungeva il passo del Maloia…
Il passo del Muretto era largamente praticato, come pure il passo di Tremoggia, anche grazie alle condizioni climatiche, un tempo decisamente più favorevoli di quelle di oggi. Per impedire il transito di eserciti nemici, non appena i Capitanei riuscirono a imporre il loro potere sulla media Valtellina, furono costruite fortificazioni, a destra e a sinistra del Mallero a difesa della valle e, quindi, di Sondrio… Attraverso questa linea diretta, a vista, in pochissimo tempo era possibile inviare informazioni dai 2572 metri del Muretto a Sondrio e anticipare di molto le invasioni di nemici che avanzavano lungo le faticose vie di terra.”
Si tratta, dunque, di un passo denso di storia. L’episodio più famoso riguarda il rapimento dell’arciprete di Sondrio Nicolò Rusca. Siamo agli inizi del Seicento, la Valtellina è soggetta al dominio dei Grigioni, di religione protestante. Costoro si adoperano diffondervi la fede riformata, suscitando resistenze ed opposizione fra il clero ed i fedeli cattolici. Uno dei più fieri oppositori di questo disegno è proprio Nicolò Rusca, figura che si presta ad una diversa lettura: da una parte alcuni ricordano che, per la determinazione del suo impegno a difesa del Cattolicesimo, fu denominato “martello degli eretici”, dall’altra si ricorda, a riprova del suo atteggiamento di comprensione umana, l’affermazione “Odiate l’errore, amate gli erranti”. Una figura comunque scomoda.
Ecco che, dunque, viene deciso una sorta di blitz che lo conduca, a viva forza, in territorio elvetico, perché subisca un processo. Esecutore del blitz è una schiera di sessanta armati, scesi in Valmalenco proprio dal passo del Muretto, che lo sorprendono, nella notte fra il 24 ed il 25 luglio 1618, nella sua camera da letto. Gli viene concesso solo di vestire il suo abito talare, poi viene legato, a testa in giù, sotto il ventre di un mulo (o, secondo altra versione, di un cavallo), ed il drappello muove sulla via del ritorno, seguendo l’itinerario che passa per Moncucco e Ponchiera. Proprio mentre passavano di qui, sul far del giorno, le cronache narrano di un episodio curioso.
La schiera di armati incrocia il parroco di Lanzada, che scende verso Sondrio travestito da “Magnàn” (calderaio), per timore di essere catturato dalle milizie dei Grigioni (la loro discesa lungo la Valmalenco non è passata inosservata, e lui era uno dei ricercati: riuscirà, poi, a mettersi in salvo nella bergamasca).
Era stato, infatti, avvertito da un eretico del progetto dei protestanti di rapire anche lui (si narra che costui, combattuto fra il desiderio di salvare il prete, che stimava, e la promessa fatta ai correligionari di non rivelare nulla della congiura, si sia cavato d’impaccio con la coscienza recandosi da lui, picchiando con un bastone sopra la pietra del focolare e pronunciando queste parole: “Io dico a te, o pietra, che i Grigioni sono per condor via l’Arciprete di Sondrio e domani mattina, se non fuggirà in tempo, verranno a prendere anche il parroco di Lanzada”). Egli non difettava certo di prontezza di spirito e, alla domanda se avesse visto il parroco di Lanzada, la sua risposta fu pronta: “Sì, questa mattina ha già detto Messa”. Il Cilichini ebbe salva la vita, lasciando la Valtellina per il crinale orobico e rifugiandosi a Milano, dove si presentò al celebre Cardinal Federico Borromeo “con preghiere, con singulti e con lagrime… l’afflitta religione raccomandandogli e del suo favore appresso al governatore supplicandolo” (Carlo Botta, “Storia d’Italia…”, 1835). Sorte ben diversa attende il Rusca, costretto a proseguire il suo triste viaggio.
La marcia serrata dei soldati prosegue: la mulattiera porta da Ponchiera ad Arquino, poi a Ca’ Ceschina, Prato e Torre. Avanti ancora, fino a Chiesa ed a Primolo (prémul), dove la mulattiera, qui ancora visibile, taglia il fianco orientale del monte Braccia, scende a valicare il Mallero (màler) su un ponte e risale a San Giuseppe. Segue il tratto San Giuseppe-Primolo, di cui restano poche tracce, che passa per le località Sabbionaccio e Carotte. L’ultimo tratto, in territorio italiano, è quello che è passa per il Pian del Lupo (cattiva trasposizione in italiano di cià lla lòp, o ciàn de la lòp, vale a dire il piano della loppa, o lolla, materiale di scarto derivato dalla cottura del ferro: niente a che fare con i lupi, dunque!) e risale la valle del Muretto. Qui il tracciato è ancora ben visibile, anche per i rimaneggiamenti successivi, apportati a fini militari.
Lasciata alla propria destra l’alpe dell’Oro (m. 2010), la salita al passo avviene percorrendo una valle brulla, un po’ triste, che tuttavia regala ottimi scorci su alcune importanti cime: innanzitutto sui pizzi Rachele (m. 2988) e Cassandra (m. 3226) e sull’aspra ed impressionante parete nord del monte Disgrazia (m. 3678) a sud; poi sulle cime di Rosso (m. 3386), di Vazzeda (m. 3301) e di Val Bona (m. 3033) a sud-ovest; ancora, sull’elegante monte del Forno (fùren, o fórn, m. 3214), ad ovest. Ad est, invece, incombe il poderoso fronte della dorsale monte Oro-monte Muretto, un fronte segnato anche da diversi movimenti franosi.
Narrano i pastori, che ne frequentano malvolentieri le pendici erbose, di tre confinati, cioè anime condannate da Dio a vagare senza pace nei luoghi più remoti, che talora scagliano, nella loro rabbia cieca ed impotente, massi su uomini e bestie: per evitarli ci si deve fare il segno della croce. Ma torniamo dalla leggenda alla storia.
Il Rusca, anch’egli impotente, ma, possiamo immaginare, posseduto da sentimenti di pena e tristezza più che di rabbia, vede per l’ultima volta, il 26 luglio del 1618, i monti di Valtellina: valicato il passo, infatti, la schiera di armati scende nella chiusa ed ombrosa valle del Muretto svizzera, che confluisce nella più ampia valle del Forno, e da qui raggiunge l’alta Engadina, sulle rive dell’ampio Lei da Segl (m. 1797). L’illustre prigioniero, spossato per le fatiche del viaggio compiuto in condizioni penose, non può certo godersi le bellezze dell’ampia valle svizzera: viene condotto a Coira e lì rinchiuso nella soffitta di un’osteria, dove rimane per quasi un mese. Poi, ai primi di settembre, la destinazione finale, Thusis, dove viene incriminato presso lo Strafgericht, il temutissimo tribunale speciale che si occupava di processare i cattolici. Non sopravvive alle feroci torture (comuni, peraltro, nella pratica giudiziaria di quei tempi), e muore il 4 settembre del 1618. Scrive lo storico Cesare Cantù: "Il ben vissuto vecchio, benché fosse disfatto di forze e di carne e patisse d'un ernia e di due fonticoli, fu messo alla tortura due volte, e con tanta atrocità che nel calarlo fu trovato morto. I furibondi, tra i dileggi plebei, fecero trascinare a coda di cavallo l'onorato cadavere, e seppellirlo sotto le forche, mentre egli dal luogo ove si eterna la mercede ai servi buoni e fedeli, pregava perdono ai nemici, pietà per i suoi."
Alla notizia della sua morte l’impressione, in Valtellina, è enorme: si diffonde la convinzione che i Grigioni meditino di introdurre con la forza la fede riformata nella valle, e nei due anni successivi la tensione cresce, finché scoppia, il 19 luglio del 1620, a Tirano, quel terribile moto tristemente noto come “Sacro macello Valtellinese”, una vera e propria strage di riformati in tutta la valle. La reazione dei Grigioni non si fa attendere, e proprio per il passo del Muretto scende, il primo agosto di quel medesimo 1620, un corpo di mille soldati agli ordini del capitano Guller, che ha l’ordine di prendere Sondrio, metterla a ferro e fuoco e congiungersi con gli altri corpi di spedizione che sarebbero dovuti scendere dall’alta Valtellina. L’impresa non riesce, e l’11 settembre del 1620 le truppe Grigionesi, Zurighesi e Bernesi sono sconfitte dalle truppe Valtellinesi nella battaglia di Tirano.
A questa battaglia, è interessante ricordarlo, è legata una leggenda secondo la quale la statua di bronzo dell’arcangelo Michele, in cima alla cupola del santuario della Madonna di Tirano, si sarebbe rivolta in direzione del campo di battaglia; non solo, ma la spada impugnata dall’arcangelo si sarebbe più volte mossa, fendendo, minacciosa, l’aria, a simboleggiare l’intervento divino in soccorso delle armi cattoliche. La battaglia di Tirano è, però, solo l’inizio, per la Valtellina, di un tristissimo periodo di campagne militari e battaglie fra i due opposti fronti, cioè Grigioni e Francesi, da una parte, Imperiali e Spagnoli, dall’altra, nel contesto della guerra dei Trent’anni. Questa la storia, uno scorcio di storia del passo valicato da mercanti ed armati.
Esiste, però, anche una nota leggenda (riportata nell'articolo di Giuseppe Novellino "Il viaggio", nel Corriere della Valtellina del 17 gennaio 1976), anch’essa di tono decisamente mesto, che ha come cornice la via che, attraverso il passo, conduce in Engadina. La percorse, un giorno, il diacono Francesco, che tornava da Sondrio a St. Moritz. Mentre camminava, solitario e meditabondo, risalendo la valle fra Sondrio e Chiareggio, vide davanti a lui, ad una certa distanza, un uomo alto, magro, vestito umilmente, di un nero mantello, che pareva un pellegrino. Non riuscì bene a scorgerne il volto, ma ebbe l’impressione di una figura emaciata, triste, quasi segnata da un destino di solitudine, come se fosse sempre stata allontanata e rifuggita, per paura ed avversione, da tutti gli uomini. Impressioni, nulla più.
Nel desiderio di avere una compagnia lungo il viaggio, il diacono lo chiamò, una prima volta, ma questi proseguì, senza voltarsi. Chiamò di nuovo, con voce più forte, convinto che non avesse sentito. Ma questi continuò, con passo fermo, nel suo cammino. Un passo fermo, regolare, veloce, troppo veloce, si sarebbe detto, o forse semplicemente regolare ed inesorabile, come il trascorrere degli istanti di cui si intesse il tempo. Provò ancora, una terza volta, stupito della mancata risposta: anche questa volta la sua voce si perse, senza esito, nel malinconico silenzio della valle. Allora si fermò, per qualche istante, stupefatto, chiedendosi se non si trattasse di un pellegrino duro d’orecchie, o forse anche sordo. Bastò quella breve sosta perché la figura del misterioso viandante scomparisse ai suoi occhi.
Il diacono dovette, quindi, compiere il suo viaggio da solo. Giunto, il giorno successivo, a St. Moritz, incontrò per primo un vecchio, che se ne stava seduto all’ingresso del paese ed aveva disegnata sul volto un’espressione triste. Ne chiese il motivo, e la risposta del vecchio fu laconica: era morto un ragazzo, un ragazzo molto giovane, non aveva che dodici anni. La morte è sempre un evento straziante, ma quando colpisce i più giovani suscita uno strazio che sembra non poter essere sanato: così pensò il diacono Francesco, riprendendo il cammino. E, quasi per associazione di idee, gli venne tornò in mente il misterioso viandante che aveva intravisto il giorno prima. Si volto e chiese, quindi, di nuovo al vecchio se avesse visto giungere in paese, prima di lui, un pellegrino avvolto in un mantello nero. Il vecchio rispose che se ne stava lì dall’inizio del giorno, ma di pellegrini avvolti in un mantello nero non ne aveva visti passare.
Il diacono si stupì molto di questa risposta. Poi, di colpo, comprese: nel suo cammino aveva incontrato, per un breve tratto, la morte.

L'alone di leggenda legato al passo non si limita, però, a questa leggenda. Si narra, infatti, che il fianco destro (per chi sale, cioè nord-orientale) della valle, occupato dall'impressionante versante montuoso che scende dalla dorsale monte dell'Oro (m. 3154, a sud-est) - monte Muretto (m. 3104, a nord-ovest), è luogo di espiazione eterna per tre confinati. Questi "cunfinàa" si muovono, senza pace, fra massi e gande, scagliandoli, spesso, sui malcapitati pastori o viandanti (alp de l'òor, nel 1544 alpis de loro: chiamata così per la leggendaria presenza di oro nel vicino Monte dlel'Oro, o forse anche dalla radice "ör", che significa "bordo, ciglio su salto o dirupo") conduce al passo. Il rimedio contro questa minaccia, però, è semplice e sicuro: basta farsi il segno di croce, per mettere in fuga le tre anime in pena.
Ma le storie del Muretto sono connesse anche con l'oro, da sempre simbolo fascinoso di potere ed immortalità, l'oro cui è legato il nome stesso di questi luoghi. Il Romegialli scrive ne "Storia della Valtellina e delle già contee di Bormio e Chiavenna" (Sondrio, 1834): "Vi è la pirite marziale con molto oro in Valle Malenco"; effettivamente in valle del Muretto, al monte dell'Oro ed ai laghetti di Chiesa (Valmalenco), secondo quanto riferisce Ercole Bassi, l'oro, almeno nell'ottocento, veniva estratto. Ercole Bassi riporta il racconto popolare che parla di un tale svizzero, il quale, nella seconda metà dell'ottocento, venne per tre o quattro estati a fare scavi in un luogo molto elevato e quasi sempre coperto da neve del monte dell'Oro, valicando, al ritorno, il passo del Muretto carico d'oro. Quando la cosa si riseppe, vi fu una piccola caccia all'oro, ma nessuno altro riuscì mai a trovare tracce del prezioso metallo. Venne bensì trovato un buco, ad una quota superiore ai 2400 metri, ma, appunto, senza traccia dell'oro favoleggiato.
Un aneddoto gustoso, infine. Si racconta che nei secoli passati un pellegrino scese dalla fredda e nordica Università di Bamberga per varcare il Muretto, diretto a Roma in occasione del Giubileo. Cadde però in un crepaccio poco sotto il passo, e non riusciva più ad uscirne, per cui si mise a gridare, disperato, chiedendo aiuto. Aiuto che venne da alcuni mulattieri che valicavano il passo in senso opposto, trasportando una buona quantità di pregiato vino Inferno. Proprio con l'Inferno cercarono di ritemprare l'infreddolito pellegrino, dopo averlo tratto dal crepaccio. E la cosa gli piacque tanto da fargli dimenticare gelo e spavento e da indurlo a chiedere con entusiasmo qual mai vino fosse. "E' Inferno", gli risposero. "Bonum, bonum", avrebbe allora commentato questi, aggiungendo: "Utinam de isto inferno in paradiso bibatur!", cioè: "Voglia il cielo che questo inferno si possa bere in paradiso!"

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APPENDICE STORICA

Tarcisio Salice, in un articolo sul castello di Malenco pubblicato sul Bollettino della Società Storica Valtellinese del 1979, così inquadra il rilievo storico del passo del Muretto:
“Nell'alto Medioevo la «via» della Valmalenco o del Muretto — inteso questo termine nel senso voluto da Cassiodoro — servì soprattutto per trasportare al piano i minerali e il legname, di cui la zona era particolarmente ricca; nel secolo XI, però, essa riprese importanza anche come naturale prolungamento verso i paesi transalpini delle mulattiere che dalla Bergamasca conducono alla media Valtellina attraverso la Valmadre e la convalle di S. Salvatore. Ne è prova la chiesa di S. Giacomo, menzionata per la prima volta nel Liber censuum della Chiesa romana, compilato nel 1192 dal cardinale Cenzio Savelli, poi papa Onorio III. Significativo è pure il fatto che tra i diritti feudali della famiglia De Capitani di Sondrio ci sia stato anche il pedaggio sul traghetto di Albosaggia.
Quella chiesa, sorta quando più frequenti divennero i pellegrinaggi dalle regioni germaniche al santuario di S. Giacomo di Compostella, sta ad indicare che all'interno dell'ansa del Mallero — e quindi ben protetto —andava già sviluppandosi quello che diverrà il paese principale della valle, anzi il suo capoluogo amministrativo e religioso. Alla fine del '200 la chiesa dei santi Giacomo e Filippo di Malenco appare già provvista di un proprio clero beneficiato e precisamente di un prete di nome Cressio Della Pergola e di un chierico (Ruggero Capitani) che era anche canonico di Sondrio. Nel 1343 la contrada di Chiesa mandava già quattro rappresentanti al consiglio generale del comune di Sondrio, come Ponchiera.
Il Duby ritiene che in casi consimili siano stati gli stessi signori feudali a decidere di organizzare il popolamento delle valli alpine, mossi molte volte da considerazioni politiche. «Si trattava — egli scrive — di rafforzare la sicurezza di una strada popolando le foreste che attraversava, oppure di consolidare la frontiera [del loro dominio] insediando nelle marche boscose e deserte che finora gli avevano formato intorno un largo spalto protettivo, forti comunità contadine costrette al servizio militare».
Che tale possa essere stato anche il caso della Valmalenco lo indica, a mio parere, il termine anziano, col quale veniva designato il capo amministrativo di quella quadra. Nei documenti chiavennaschi della seconda metà del '200 il titolo di anziano viene dato normalmente al vicino preposto a un drappello di soldati per distinguerlo dal nobile, al quale spettava quello di capitano. E' possibile, quindi, che il responsabile amministrativo della comunità di Malenco abbia avuto, almeno in origine, anche
compiti militari connessi col castello. Il periodo che va dall'XI al XIII secolo si distingue appunto per un notevole incremento demografico con conseguente espansione delle antiche zone agricole, per lo sfruttamento dei grandi erbai degli alpeggi e per l'intensificarsi del commercio di prodotti dell'allevamento, della lana, delle pelli e del legname da costruzione.

L'importanza militare del passo del Muretto aumentò specialmente durante l'interminabile contesa tra le due fazioni dei Rusca (ghibellini) e dei Vittani (guelfi) per la signoria di Como. Passarono sicuramente per quel passo i tre uomini che, fuggiti dalla Valtellina nel 1289 chi per Malenchum e chi per vallem Malenchi, furono catturati dai chiavennaschi e condotti a Como. Fu attraverso quel passo che nel 1326 i guelfi sondraschi fecero «una grande andata in servizio del signor Giorgio di Vicosoprano» e nell'anno successivo Egidio De Capitani, zio di Tebaldo, «mandò in soccorso del vescovo di Coira cinquanta uomini».
Sotto gli Sforza la via del Muretto fu considerata così importante per la difesa militare della Valtellina da essere compresa nel piano di revisione generale della viabilità valligiana voluto da Ludovico il Moro. Attraverso il Muretto i devoti di S. Gaudenzio martire pellegrinavano fino a Casaccia. in Valbregaglia, a venerarne le reliquie, mentre i De Vizzola e i Beccaria, loro successori nel capitaneato delle pievi di Sondrio e di Berbenno, allacciavano nodi matrimoniali coi Marmorera e i Castelmuro. Eppure, a detta del Lavizzari che cita in proposito il cronista Stefano, a Merlo, il passo del Muretto — o della Montagna dell'Oro, com'era anche chiamato — era transitabile soltanto in alcuni mesi estivi; solo eccezionalmente, nel 1540, era rimasto aperto tutto l'anno perché «dalle Calende di ottobre del 1539 non [era] caduta neve od acqua alcuna sino al 15 aprile dell'anno seguente»”

Ecco, infine, quanto scrive Nemo Canetta in un articolo del medesimo Bollettino della Società Storica Valtellinese, nel numero del 1978:
“Però non furono certamente solo considerazioni geografiche a far scegliere il passo del Muretto come via di comunicazione principale tra la media Valtellina ed il Nord, certo notevole peso ebbe il fatto che ai due capi delle valli che adducono al passo, vi siano Sondrio, capitale della Valtellina, e il passo della Maloggia. Il tragitto risulta particolamente breve e, a quanto ci consta, nel 1500 le carovane, che portavano nei Grigioni vino e «piode» di Valmalenco, impiegavano solo un giorno e mezzo dalla metropoli valtellinese al passo della Maloggia, con evidente risparmio di tempo rispetto ai lunghi giri sugli itinerari principali, inoltre l'itinerario attraversava la Valmalenco che, con i suoi oltre trecento kmq e le sue grandi ricchezze in boschi, pascoli e minerali, costituiva e costituisce tuttora una delle principali convalli della Valtellina, tanto che in essa sono compresi ben cinque comuni (Spriana, Torre Santa Maria, Chiesa, Caspoggio e Lanzada) oltre a larghi tratti del comune di Sondrio e Montagna. Pertanto la strada del Muretto non attraversava sterili lande ma territori relativamente ricchi e che anzi potevano concorrere ai commerci, ad esempio con le già citate «piode». A questo punto riteniamo che non vi sia bisogno di aggiungere altro sull'importanza di questo valico. ... Già parlando in generale del passo del Muretto è stata citata la strada che ad esso adduceva, sarà però opportuno chiarire che non si trattava di un solo itinerario ma di una serie di mulattiere che percorrevano i due fianchi della valle, almeno nella sua parte medio-inferiore. L'itinerario più antico, secondo alcuni avrebbe addirittura origine pre-romana, partiva dall'attuale abitato di Mossini passava per il borgo di Gualtieri e da qui si alzava a Cagnoletti e dopo un tratto a mezza costa portava a Bondoledo (Ca' Bianchi) ed al Castello di Torre, al di là del quale il percorso si confondeva in gran parte con le strade moderne fino a Chiesa. Qui con ogni probabilità l'itinerario si divideva in due: uno superiore che passando da Sasso portava a Primolo e da qui a S. Giuseppe e uno inferiore, forse più importante, che transitando dall'attuale centro di Chiesa conduceva al ponte di Curlo ed al Castello di Malenco e per la stretta del Giovello anch'esso a S. Giuseppe. Di qui la strada proseguiva con un tracciato più basso dell'attuale sino a Chiareggio e al passo. Verso la fine del Medio Evo la parte inferiore di questo itinerario doveva essere, almeno parzialmente, caduta in disuso con la costruzione del ponte di Arquino e la successiva stradetta che porta sotto Cagnoletti, prosegue poi per Tornadù ricongiungendosi con la precedente all'altezza di Torre.
Questo itinerario rimase il principale sino all'epoca della dominazione austriaca quando, sotto Bedoglio, venne costruito il ponte della Luisa; fu questa la prima vera strada carreggiabile della valle, tuttavia sia il ponte di Arquino che le tracce successive di strada sotto Cagnoletti dimostrano che questo itinerario già aveva la possibilità di essere percorso, almeno in parte, da qualche leggero traino locale. E' probabile che più o meno nello stesso periodo prendesse forma anche un altro itinerario, totalmente alternativo ed ancor oggi in gran parte percorribile se non fosse per la frana di Bedoglio. Sempre dal ponte di Arquino, ma tenendosi sul lato sinistro orografico della valle, una bella mulattiera si alza a Cucchi e da qui a Bedoglio, per Spriana e Marveggia ci si porta poi a Zarri e da qui a Cristini e a Milirolo. Da Milirolo il tracciato si confonde in gran parte con l'attuale strada provinciale, ma allora portava senza dubbio al Castello di Caspoggio e da qui all'omonimo borgo. Passando poi per Lanzada, Vassalini ed il Curlo ci si ricollegava alla strada principale…
Da quanto prima esposto risulta evidente che in un paio di giorni di marcia un esercito invasore poteva piombare dal cuore dei Grigioni su Sondrio, la capitale. Inoltre tale esercito, ed è proprio ciò che successe all'epoca del «Sacro Macello», una volta discesa la Valmalenco non aveva di fronte più nessun ostacolo naturale e pertanto poteva prendere sul rovescio tutte le forze di difesa dell'alta Valtellina. E infatti nell'agosto del 1620, quando le forze grigione, bloccate lungo gli itinerari principali, riuscirono a forzare il passaggio al Castello di Valmalenco non solo conquistarono Sondrio ma misero anche in crisi tutto lo schieramento degli insorti provocando l'intervento diretto degli Spagnoli.


Monte Disgrazia

Su un piano militare bisogna inoltre tener conto di altri due fattori: innanzitutto la strada del Muretto non è costituita da un singolo itinerario che, come tale, può essere facilmente interrotto o sbarrato da esigue forze, ma da un fascio di mulattiere che a partire dall'alpestre borgo di S. Giuseppe scendono verso Sondrio tenendosi talora a notevole distanza l'una dall'altra. Inoltre esistono alcuni valichi, già citati, tra la Valmalenco orientale e l'alta valle di Poschiavo, territorio quest'ultimo che fu praticamente sempre sotto controllo grigione.
Questa via di penetrazione era importante in quanto permetteva di aggirare completamente la stretta del Giovello, fortificata dal castello di Malenco, e la cosa è comprovata dal fatto che durante la rivolta valtellinese furono inviati su questi confini dei guastatori per interrompere le comunicazioni.
Da quanto sopra esposto risulta evidente che chi aveva il controllo di Sondrio, se voleva guardare i confini settentrionali, non poteva limitarsi a presidiare un castello in Valmalenco, anche se in posizione strategica (castello di Malenco), ma doveva fortificare tutta la valle facendo sì che le varie opere fossero in comunicazione ottica una con l'altra. In tale modo, come da noi sperimentato tempo fa, Sondrio poteva essere avvertita del pericolo ai confini, in poco più di mezz'ora, quando le truppe nemiche fossero state ancora all'altezza di S. Giuseppe, a distanza cioè di più di mezza giornata di marcia dal capoluogo valtellinese.
Vi sarebbe perciò stato tutto il tempo, mentre le fortificazioni della valle trattenevano l'esercito invasore, non solo di approntare la difesa della città ma anche di reagire controffensivamente. Va tuttavia detto che non vi sono prove certe che questo sistema sia stato effettivamente utilizzato. Probabilmente all'epoca del cosidetto «Sacro Macello» era già caduto in disuso o perlomeno i vari autori non ne fanno parola.Dobbiamo però notare che la tradizione di queste comunicazioni ottiche, da un fortilizio all'altro, si è tenacemente perpetuata sino ai giorni nostri e che anzi ci è sovente capitato di incontrare anziani valligiani che ne parlavano con assoluta sicurezza e cognizione di causa. Lo schema delle fortificazioni della Valmalenco è pertanto il seguente:

Alta valle del Mallero: nessuna fortificazione; vi è però qualche vaga tradizione di posti di avvistamento nella zona di S. Giuseppe, il che è perfettamente plausibile.

Castello di Malenco: a sbarramento della stretta del Giovello, più o meno fiancheggiato da trinceramenti nella zona di Primolo.

Castello di Caspoggio: su di un dosso di fronte a Chiesa Valmalenco, al di là del Mallero.

Torre di q. 822 (detta anche di Basci): lungo l'attuale provinciale Torre Santa Maria - Chiesa.

Torri di Milirolo: complesso fortificato situato sulla parte anteriore dell'omonimo borgo.

Castello di Torre Santa Maria: si trattava probabilmente di una residenza castellata, è situata in località Volardi.

Torre nel comune di Spriana: di incerta localizzazione ma ricordata da numerose tradizioni orali.

Torre di Gualtieri: sita nei pressi dell'omonima frazione di Sondrio.

Castel Masegra.”


Valle del Muretto

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