Nella valle degli spiriti e degli eremiti
CARTA DEL PERCORSO - VAL LADROGNO E BIVACCO CASORATE-SEMPIONE - LEGGENDE DELLA VAL LADROGNO Dopo Vallone di Revelaso e Val Grande, la Val Ladrogno è la terza laterale orientale della Val Codera. Si tratta di una valle densa di suggestione e mistero, legata a leggende di spiriti ed eremiti. Quasi inaccessibile allo sguardo di chi percorra il sentiero di fondovalle, è meta di pochi escursionisti o alpinisti che si portano al bivacco Casorate-Sempione (m. 2090) per poi scalare le pareti delle cime della sua testata, la punta Redescala (il Redescàl, m. 2304), il famoso Sasso Manduino (m. 2888), la punta Como (m. 2846), le cime di Gaiazzo (m. 2920), la punta Bresciadega (m. 2666), la cima di Lavinia (m. 2307). Pochi escursionisti, si è detto, perché la salita al circo terminale della valle è lunga (soprattutto se si parte da Novate Mezzola, mentre più semplice è far tappa a Codera) e non priva di problemi di orientamento, dal momento che il sentiero a monte dell’alpe Ladrogno è poco evidente, anche se segnalato da segnavia bianco-rossi ed ometti. È necessaria quindi esperienza escursionistica, buone condizioni di terreno ed allenamento per affrontare un’escursione che ripaga per gli scenari di selvaggi e solitari che si aprono nella parte superiore della valle.
Staccandoci dalla ss. 36 dello Spluga all'altezza di Via Ligoncio (Farmacia), la percorriamo interamente in salita fino al suo termine, cioè al parcheggio di Mezzolpiano (m. 326), frazione di Novate Mezzola, dove parte una mulattiera comoda e ben curata, che si inerpica sull’impressionante fianco sinistro (per chi sale) della forra della Val Codera. Questo sentiero è, insieme con quello gemello sul lato opposto della valle, l’unico accesso a questa importante valle, il che la rende pressoché unica fra le grandi valli della provincia di Sondrio. Il primo centro abitato che si incontra salendo è quello di Avedèe, a 790 metri. Poco oltre, la valle comincia a mostrarsi all’escursionista: appare anche Codera, il suo centro principale. Per raggiungere il paese bisogna però scendere di qualche decina di metri, lambendo, quasi, il fianco granitico della montagna e sfruttando anche due preziosissime gallerie paramassi (i massi sono, infatti, su tracciati come questo la più grande minaccia). Si risale, infine, ad una cappelletta che annuncia il paese, preceduto dal suo cimitero, posto quasi di fronte alla laterale val Ladrogno.
Codera (m. 850) ci accoglie con la chiesa, dal caratteristico campanile. Sul sagrato un possibile prezioso punto di appoggio, il rifugio La Locanda. Sul lato opposto del paese, abitato tutto l’anno, si può raggiungere un secondo prezioso punto di ristoro, l’Osteria Alpina. Torniamo, ora, indietro: poco oltre l'Osteria Alpina, proseguendo sulla destra, troviamo un bivio: prendendo a destra (segnalazioni per San Giorgio ed il Sentiero Life delle Alpi Retiche) scendiamo, con pochi tornanti, al ponte sul torrente Codera, piccolo capolavoro d’ingegneria, sospeso su quaranta metri di vuoto. Poco oltre raggiungiamo un secondo ponte, sospeso sulla paurosa forra terminale della Val Ladrogno, caratterizzato da una cappelletta sul suo lato sinistro.
Subito dopo superiamo una scalinata e troviamo un bivio, segnalato da due cartelli: il sentiero principale porta al Tracciolino ed a San Giorgio, passando per Cii, mentre quello che se ne stacca a sinistra porta al bivacco Casorate-Sempione. Lasciamo dunque il sentiero per Cii, prendiamo a sinistra ed iniziamo a salire nel castagneto, verso sud-est, con rapide serpentine, guadagnando rapidamente quota, in un ambiente di irreale silenzio, rotto solo dal canto di qualche uccello. Ci fanno compagnia i rassicuranti segnavia bianco-rossi e dopo una decina di minuti il bosco si apre ad una radura con le baite di Piana Cii. Qui ci raggiunge da destra il sentiero che traversa da Cii.
Il sentiero rientra subito nel bosco di betulle ed alni (che ha colonizzato gli abbandonati prati da sfalcio) e sale diretto verso sud-sud-est e poi sud-est. Ci raggiunge da destra un terzo sentiero, che traversa fin qui da Cola. Passiamo poi per una panoramicissima radura, ai piedi di un roccione: da qui il colpo d’occhio sul lago di Novate Mezzola e sull’alto Lario fino a Menaggio è suggestivo. Poco oltre raggiungiamo i prati dell’alpe in Cima al Bosco, presidiata da una baita solitaria (m. 1268), sul crinale che separa l’ampia e selvaggia Val Ladrogno, alla nostra sinistra, dalla minore (a dispetto del nome) Val Grande, alla nostra destra. Dall’alpe possiamo cominciare ad intravvedere gli spalti di granito delle cime che coronano la val Ladrogno, vale a dire, procedendo da sud (destra) in senso antiorario, la punta Redescala (il Redescàl, m. 2304), il Sasso Manduino (m. 2888), la punta Como (m. 2846), le cime di Gaiazzo (m. 2920), la punta Bresciadega (m. 2666), la cima di Lavrinia (m. 2307) e il Mot Luvrè (m. 2047), a nord.
Il sentiero prosegue lasciando verso sinistra il crinale e piega leggermente a sinistra (est), tagliando il ripido versante meridionale della Val Ladrogno, poco sotto le incombenti pareti rocciose che lo delimitano. All'inizio della lunga traversata, fra silenziosi abeti e larici, dobbiamo prestare attenzione ad un grande masso a lato del sentiero, chiamato scapüsc’ (voce dialettale che significa “inciampo”). La ragione del nome curioso è legata ad una radicata tradizione: bisogna lasciare un’offerta simbolica sulla cima del masso, un sasso o una manciata d’erba, per evitare, nel prosieguo della salita, di inciampare (e in diversi punti un inciampo può costare caro!).
Quando si parla di escursioni l’aggettivo “selvaggio” tende ad essere un po’inflazionato, ma qui va recuperato in tutta la sua forza: passo dopo passo aumenta l’impressione di addentrarci in un ambiente aspro ed arcigno, dove le slavine la fanno da padrone e solo i fedeli segnavia bianco-rossi, contrappuntati da qualche ometto, sembrano restituirci l’impressione di una presenza amica. I torrentelli si sono scavati con giovanile prepotenza il solco fra la viva roccia, e solo gli ontani sembrano potersi adattare al meglio alla furia delle nevi in primavera. Stiamo attraversando uno dei tratti più caratteristici della Val Ladrogno, i Ruèrs, ed il sentiero fatica a farsi strada nella ricca vegetazione estiva. Superiamo così, sempre procedendo verso nord-est, una bella cascata ed alcune placche levigate attraversate da un torrentello (attenzione!).
Non senza rimpianti lasciamo l’alpe e procediamo salendo diretti verso nord-est, in un bosco di larici, rododendri e lamponi, via via più rado. Dobbiamo stare molto attenti perché la traccia è debole e discontinua, per cui è tassativo non perdere d’occhio segnavia ed ometti. Superata una sorgente a quota 1760 metri, usciamo di nuovo all’aperto, passando a lato di un tronco che sembra protendersi sul sentiero, e raggiungiamo il Doss Bèl, che deve il suo nome alla posizione panoramica, più che alla gentilezza dei luoghi.
Eccoci infine al bivacco Casorate-Sempione (m. 2090), a ridosso del grande masso erratico. Il panorama si apre, anche da qui, soprattutto a sud-ovest, sull’alto Lario, ma appaiono anche, ad ovest, le cime del versante occidentale della Valchiavenna. In primo piano il pizzo di Prata, o Pizzasc’, sul versante occidentale della Val Codera. Il bivacco, per iniziativa di Gino Buscaini e della sottosezione CAI Casorate Sempione, venne inaugurato il 23 settembre 1979, come struttura di appoggio alle ascensioni di uno dei più selvaggi nodi orografici, fra Val Codera e Val dei Ratti.
LEGGENDE DELLA VAL LADROGNO: GLI SPIRITI DELL'ALPE LADROGNO, IL "PENTI'" DEL GAIAZZO E L'APPRODO DI NOE' Sulla Val Ladrogno sono fiorite alcune leggende, legate alla suggestione del nome, che, con facile ipotesi, si vorrebbe ricondurre a “ladro”. Ipotesi quasi sicuramene errata, ma l’immaginazione popolare non si cura delle sottigliezze etimologiche. Ecco allora due storie legate a furti ed inganni. L’inganno, innanzitutto, sarebbe quello operato da abitanti di Campo di Novate ai danni di quelli di Codera. La posta in gioco sarebbero stati gli alpeggi di Ladrogno, un tempo assai più ampi di quanto oggi appaia (la fascia di prati era assai più estesa e comprendeva baite poste a diversa altezza), acquisiti dai primi con mezzi non del tutto leciti, a danno dei secondi. Il sentire umano e la giustizia divina sono però assai severi con coloro che operano con mezzi illeciti. Lo sdegno popolare creò il nome, “Ladrogno”, appunto, che significa “ruberia”. La punizione celeste popolò gli alpeggi di sinistre ed umbratili presenze, fantasmi, spiriti malevoli che turbavano le fatiche degli alpigiani e minacciavano l’integrità delle bestie.
Una volta, si racconta, all’alpe Ladrogno era rimasta temporaneamente una sola ragazza. Nel silenzio della notte, il suo sonno, già leggero ed inquieto per quelle voci sentite fin da bambina sui fantasmi dell’alpe, fu bruscamente interrotto dal forte muggito delle mucche, che si mischiava ad un tumultuoso scampanio. Le ci volle un attimo ad affacciarsi alla finestra: le mucche erano il bene più prezioso, perderne anche solo una era danno importante. Vide l’intera mandria dirigersi come impazzita verso il sentée di Camusc’, stretto ed impervio. La paura degli spiriti la frenò solo per un attimo, ma subito fu vinta dal pensiero di quel che sarebbe accaduto. Realizzò in un istante che se non fosse riuscita a fermarle sarebbero tutte precipitate lungo i ripidi versanti della valle. Una disgrazia! Una catastrofe! Si precipitò fuori alla luce incerta della luna e si mise a correre inseguendo la mandria, guidata più dal suono che dalle malcerte ombre. Ma quel suono di campanacci sembrava impazzito: risuonava, taceva, tornava a risuonare in una diversa direzione, poi in una terza ancora. La ragazza correva, si fermava, tornava indietro, si rimetteva a correre, confusa, incerta e disperata. Si fermò piangendo per lo sconforto.
Una seconda leggenda ha come scenario Traona, al centro della Costiera dei Cech, non distante, in linea d’aria, dalla Val Ladrogno. Anche qui un furto, questa volta però finito tragicamente. Il ladro aveva infatti sorpreso su un sentiero a monte del paese un contadino che tornava alla sua baita dopo aver venduto i suoi formaggi alla fiera paesana. Lo aveva aggredito colpendolo con violenza e, senza neppure badare alle sue condizioni, gli aveva strappato la borsa con i soldi fuggendo via. Il pover’uomo era morto, ma il ladro non pensava già più a lui quando era tornato sull’uscio di casa. Stava per inserire la chiave nella toppa quando si accorse del sangue sulle sue mani. Entrato in casa, si lavò. Ma le mani erano ancora macchiate. Le strofinò con maggior forza, con sapone, spazzola, sabbia, senza risultato. Fu preso non da pentimento, ma da terrore: il sangue indelebile avrebbe tradito il suo crimine. Prese due sacchi di tela e se li avvolse attorno alle mani.
In questa penosa condizione rimase tre mesi, poi, quando la neve cominciò a ricoprire bacche e radici di cui si nutriva, capì che doveva tornare al paese. Con enorme fatica ritrovò i sentieri che lo condussero, nel cuore della notte, a monte di Traona. Le campane suonavano a distesa, la gente si affettava a raggiungere la chiesa di S. Alessandro. Era tornato proprio la notte di Natale. Fu colto da una specie di ispirazione. Non andò a casa, ma entrò in chiesa, nascondendo le mani, sempre avvolte nei sacchetti. Si celebrava la solenne messa di mezzanotte. Lo prese una forte commozione. Capì che quella parola che lo aveva torturato più del freddo e della fame non era una condanna senza appello. Dopo la messa chiese di essere confessato. Nei giorni seguenti vendette ogni cosa e fece in modo che la famiglia della sua vittima ricevesse tutto il ricavato. Poi percorse di nuovo, ma stavolta con animo ben più leggero, i sentieri che portano alla valle remota. Vi tornò e vi rimase come eremita. Pian piano la sua storia si diffuse. Per questo la valle remota fu chiamata “Ladrogno”, e la sua cima più alta, ai cui piedi l’eremita condusse una severa vita di penitenze, “Gaiazzo”, a memoria della gioia che non lo abbandonò più.
Una nota biblica conclusiva serve a riscattare la Val Ladrogno da quel legame con il furto che il suo nome reca con sé. Qui non si parla più di furti, ma di restituzioni. La restituzione della vita e della speranza, per l’umanità intera. Spostiamoci in alto, sul vertice sud-orientale della valle, presidiato dal famoso Sasso Manduino (m. 2888), massiccio ed ardito, soprattutto nella sua luminosa parete meridionale, ben nota a chi guarda in direzione nord dal Pian di Spagna. Ora, si racconta da secoli, fra i contadini di San Giorgio di Cola e di Cola, che ai tempi del diluvio universale, quando Valtellina e Valchiavenna erano interamente sommerse dalle acque da cui emergevano solo le cime più alte, giunse fin qui l'Arca di Noè. Il Patriarca, constatato che la pioggia era cessata ed il livello delle acque cominciava a scemare, scelse di ancorare la sua Arca proprio al poderoso fianco del Sasso Manduino. Vi infisse un anello, a cui la legò. Ebbene, i contadini giurano che l'anello sia ancora là, inaccessibile ormai, ma solidissima prova del singolare privilegio concesso dal Patriarca a questi luoghi. CARTA DEL PERCORSO sulla base della Swisstopo (CNS, come quelle sopra riportate), che ne detiene il Copyright. |
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