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La seconda (o terza) giornata di questo cammino fra i meandri del tempo e della storia inizia dal rifugio Trona Soliva, a quota 1907, nell'incomparabile scenario della diga e
 del pizzo di Trona, che, visto da qui, si mostra tutta il suo imponente e perentorio profilo. Eppure il toponimo “trona”, assai diffuso in ambiente alpino, non indica, come qualcuno fantasiosamente immagina, il rombo fragoroso del tuono, ma una cavità o spaccatura nella roccia (la “truna” è, per esempio, una famosa spaccatura nella roccia presso la sommità del Sasso Bianco, sul crinale fra Valmalenco e versante retico della media Valtellina). A destra del pizzo di Trona, massiccio e severo, si scorge anche il profilo defilato, più mite ed arrotondato del pizzo dei Tre Signori: non si direbbe, da qui, che fra le due cime vi siano circa 43 metri di differenza, a favore della seconda (m. 2510 contro m. 2553).
Ma il pizzo dei Tre Signori si prenderà la sua rivincita mostrandosi in tutta la sua signorilità dalla val Biandino, al termine di questa tappa. In cammino, dunque, seguendo un sentiero segnalato che attraversa una conca ai piedi degli ampi pascoli che scendono dal pizzo Mellasc e, aggirato un ampio dosso, immette nell’ampio vallone erboso alla cui sommità è posta la bocchetta di Trona (m. 2092),
il punto più alto della Via del Bitto. La bocchetta, che si raggiunge facilmente, è un osservatorio estremamente panoramico. Soffermiamoci ad ammirare il versante retico, dove si impone buona parte della lunga testata del gruppo Masino-Disgrazia, sulla quale distinguono, da sinistra, il pizzo Cengalo, i pizzi Gemelli, i pizzi del Ferro, la cima di Zocca, le cime di Castello e Rasica, i pizzi Torrone, il monte Sissone ed il monte Disgrazia, che si impone per la mole imponente.
Sul lato della bergamasca si apre, invece, un orizzonte assai vasto, che propone, in primo piano,
l'ampia conca dell'alta Val Varrone, dove, a quota 1672, è posto il rifugio Casera Vecchia di Varrone. Si tratta di una struttura sempre aperta nella stagione estiva e nei finesettimana durante il resto dell’anno, che rappresenta un ottimo punto di appoggio per l’esplorazione delle Orobie occidentali.

La discesa al rifugio può avvenire facilmente sfruttando un largo sentiero, anch’esso di notevole importanza dal punto di vista storico: si tratta dell’antica Strada del Ferro, poi denominata Strada di Maria Teresa. Si tratta di una via che parte dalla frazione Giabi di Premana e risale l’intera val Varrone, fino alla bocchetta di Trona. La sua funzione nei secoli fu quella di permettere il trasposto a valle del minerale di ferro estratto dalle miniere dell’alta val Varrone, di cui restano ancora importanti tracce poco sotto la Via del Bitto. Del resto, che vi sia minerale di ferro fra queste montagne è testimoniato dalla tonalità rossastra che osserviamo in molte rocce.
Il riferimento all’imperatrice Maria Teresa, poi, si giustifica tenendo presente che fu proprio lei, nel Settecento, a risistemarne il tracciato, per l’importanza che il ferro aveva nell’economia dell’Impero Asburgico. Durante la prima guerra mondiale, infine, la strada assunse anche importanza militare, nel contesto dei lavori di fortificazione del crinale orobico voluti dal generale Cadorna.

Il discorso sulla prima guerra mondiale ci introduce, poi, alla considerazione di un ulteriore elemento di interesse storico posto nei pressi della bocchetta di Trona. Si tratta dell’ex-fortino militare fatto costruire nel 1917 nel contesto delle fortificazioni della linea Cadorna: si temeva, infatti, che, in caso di sfondamento del fronte dello Stelvio-Adamello, gli Austriaci avrebbero potuto dilagare, attraverso la Valtellina, nella pianura Padana, minacciando Milano. La linea orobica doveva, quindi, assicurare il versante delle Orobie bergamasche da possibili direttrici secondarie di attacco alla pianura padana,
oltre che fungere da punto di partenza per eventuali controffensive. Il fortino divenne, dopo la guerra, una cappella. Sorse qui anche, nel 1924, Casa Pio XI, rifugio-colonia estiva della Federazioni Oratori Milanesi, che fu poi incendiata dai nazifascisti il 21 marzo 1944, per togliere ai partigiani un punto di appoggio. La stessa sorte toccò qualche mese dopo, come vedremo, al santuario della Madonna della Neve in val Biandino, meta di questo tratto della traversata. Per visitare l’ex-colonia Pio XI dobbiamo salire di qualche decina di metri dalla bocchetta, perché è collocata a quota 2122.
Torniamo alla Via del Bitto che, senza scendere nell’alta val Varrone, effettua una bella traversata che ne taglia il versante terminale, con qualche saliscendi, intorno a quota 2000, passando sopra la miniera di ferro abbandonata di quota 1921. Seguendo la via e le indicazioni per il rifugio S. Rita, scendiamo, dunque, un po' verso sinistra, passando a monte di una baita abbandonata.
Durante il cammino, abbiamo sempre davanti agli occhi il bello spettacolo del Dente del Varrone, anticima che ruba la scena alla cima principale del pizzo Varrone.
Dopo un breve tratto, incontriamo un bivio: salendo verso sinistra e seguendo le indicazioni “Falc” possiamo lasciare per un po’ la via del Bitto e guadagnare, sfruttando un canalino che immette in un più ampio vallone, il rifugio F.A.L.C. (m. 2215), che sorge dal 1948 poco al di sotto della bocchetta di Piazzocco.
Salendo ancora di pochi metri, ci affacciamo al suggestivo scenario della valle d’Inferno, dove l’omonimo lago artificiale è dominato dal pizzo di Trona. Si tratta di un fuori-programma di circa tre quarti d’ora, che ci può comodamente stare nell’economia complessiva di questa tappa.
Scendiamo di nuovo al bivio, per riprendere la via verso sud-ovest, aiutati anche, in un punto un po' esposto, dalle corde fisse.
Alla nostra sinistra è ben visibile l’imponente placca rocciosa che è posta ad ovest del crinale del pizzo Varrone e che separa l’alta val Varrone dalla val Biandino.
  Ignorata una seconda deviazione a sinistra, per la bocchetta di Piazzocco ed il pizzo dei Tre Signori, giungiamo, dopo un ampio traverso quasi pianeggiante,
 in vista della bocchetta della Cazza,
poco al di sotto della quale,
a 1999 metri, il rifugio S. Rita, sul crinale che separa val Biandino e val Varrone, e che, verso ovest, si biforca nella Sponda di Biondino e nella Costa del Dente, che culmina nel pizzo omonimo.
Dal rifugio possiamo gettare uno sguardo sul pianoro dell’alta val Biandino, dove, a 1595 metri, si trova il rifugio Madonna della Neve.
Non possiamo, però, non effettuare un secondo fuori-programma, di circa un'ora ed un quarto: la puntata al lago di Sasso. Poco prima del rifugio, infatti, troviamo una deviazione sulla sinistra,
che ci fa imboccare un sentiero che taglia il fianco montuoso e scende gradualmente al baitello del Lago (m. 1844).
Seguendo le segnalazioni,
che ci aiutano a destreggiarci fra diversi rami del torrente Troggia,
saliamo, infine, alla conca terminale dell’alta Val Biandino. Di fonte a noi, il Pizzo dei Tre Signori, che mostra, da qui, un profilo più slanciato. Ed eccoci, infine, alla meta,
che dal sentiero abbiamo solo intravisto per un breve tratto, e che ora, invece, si mostra in tutta la sua spettacolare bellezza: il lago di Sasso (m. 1922), pura gioia per gli occhi. Il lago è adagiato nella bella conca glaciale ai piedi del pizzo dei Tre Signori, in uno scenario affascinante, reso ancora più suggestivo da alcuni grandi massi che sorgono, a mo' di isolotti, dalle sue acque.
Il tempo, però, lavora contro questa perla, in quanto è in atto un lento processo di interramento dovuto al fatto che le acque di fusione che vi si immettono veicolano una cospicua massa di materiale solido. Ma di ciò si preoccuperà qualche nostro discendente. Noi dobbiamo, invece, solo preoccuparci di raggiungere la lunga e gentile piana della Val Biandino.
Potremmo scendere direttamente dal lago, passando per l’alpe Sasso, ma, per essere ligi al tracciato della Via del Bitto, dobbiamo tornare sui nostri passi, risalendo al bivio, per poi scendere, in breve, sul sentiero che dal rifugio Santa Rita, porta alla piana. La Via del Bitto scende, infatti, in val Biandino con un comodo tracciato (dove cominciamo a trovare i segnavia della Via del Bitto, bianco-rossi, con la sigla "VB"),
anche se il primo tratto è un po' ripido, passando anche nei pressi di un curioso larice solitario. Probabilmente anche lui, come noi, ammirerà la bellezza della piana.
La valle, infatti, ha un bell’aspetto verdeggiante, legato alla ricchezza delle acque che, a sua volta, rimanda alla natura delle rocce: si tratta di rocce acide, di natura silicea, impermeabili.
 La felice natura del luogo ha, ovviamente, favorito l’allevamento: siamo anche qui nella zona di denominazione doc del Bitto. Accanto al famoso Bitto, vi si producono anche l’altrettanto famoso Taleggio, la Ricotta ed il formaggio semigrasso. Sulla scorta di queste considerazioni gastronomiche, sicuramente appropriate dopo un cammino di circa 4 ore (compresi i due fuori-programma), con un dislivello complessivo di circa 500 metri, possiamo riposare le stanche membra presso il rifugio Madonna della Neve di Biandino,
presso il santuario omonimo, oppure ad uno dei due rifugi, il Tavecchia ed il Bocca di Biondino, posti circa un chilometro oltre, al termine della piana.
Vale la pena di ricordare che questa tappa può avere anche una diversa articolazione. La Via del Bitto può essere percorsa, infatti, anche affrontando in un’unica giornata il tratto Trona Soliva-Introbio, oppure quello Gerola-Santa Rita o Gerola-Madonna del Biandino. Ciascuno si può ovviamente regolare, secondo le proprie capacità, necessità e predilezioni.
Quel che nessuno può mancare di fare è invece di leggere il resoconto dell'ultimo tratto, raccontato nella quarta presentazione.

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